coch_98
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domenica 26 gennaio 2014
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il lupo perde il pelo ma non il vizio
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Eccoci arrivati al quinto sodalizio tra Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio, che insieme, a quanto pare, girano solo capolavori. Dal primo Gangs of New York al più recente Shutter Island, nessun film ha deluso le aspettative, anzi, tutte le hanno superate ampiamente.
La storia di questa pellicola è molto semplice: vita e opere di Jordan Belfort, affamato broker di Wall Street divenuto famoso con l'appellativo lupo, grazie alle sue abilità.
The Wolf of Wall Street ha una durata di tre ore, ma sono tre ore che volano via, poichè non annoiano mai. Questa black comedy dal ritmo veloce ci fa divertire ma anche pensare, come del resto ha voluto fare Jordan Belfort scrivendo il libro da cui è tratta la sceneggiatura di Terence Winter.
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Eccoci arrivati al quinto sodalizio tra Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio, che insieme, a quanto pare, girano solo capolavori. Dal primo Gangs of New York al più recente Shutter Island, nessun film ha deluso le aspettative, anzi, tutte le hanno superate ampiamente.
La storia di questa pellicola è molto semplice: vita e opere di Jordan Belfort, affamato broker di Wall Street divenuto famoso con l'appellativo lupo, grazie alle sue abilità.
The Wolf of Wall Street ha una durata di tre ore, ma sono tre ore che volano via, poichè non annoiano mai. Questa black comedy dal ritmo veloce ci fa divertire ma anche pensare, come del resto ha voluto fare Jordan Belfort scrivendo il libro da cui è tratta la sceneggiatura di Terence Winter. In una parola, STRAORDINARIA la prestazione di Leonardo DiCaprio (se quest'anno non gli assegnano l'Oscar è scandaloso), veloce la regia di Martin Scorsese, che ricorda quella di Quei bravi ragazzi, immensa la scenegiattura di Terence Winter e immenso anche il paranoico Jonah Hill che impersona il socio di maggioranza di Belfort. Insomma, un film che non manca di nulla. L'unico rimpianto che potrete avere è quello di non averlo visto.
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michele
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domenica 26 gennaio 2014
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scorsese demenziale
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Se in vita vostra non avete mai fatto uso di droghe o di altri stupefacenti, dopo la visione di questo film potrete dire, nonostante tutto, cosa si prova sotto l’effetto di tali sostanze. Ebbene si, la nuova pellicola di Martin Scorsese è un trip, un viaggio allucinante e allucinogeno senza un attimo di respiro che ci conduce alla scoperta non tanto di un mondo, quanto a quello di uno stile di vita e lo fa senza mezze misure, senza autocensure. Ampiamente riconoscibile la mano del regista italo-americano a partire dalla voce fuori campo che ci aiuta a districarsi nei meandri di una storia tutta sesso, droga e soldi e anche dal punto di vista della costruzione narrativa.
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Se in vita vostra non avete mai fatto uso di droghe o di altri stupefacenti, dopo la visione di questo film potrete dire, nonostante tutto, cosa si prova sotto l’effetto di tali sostanze. Ebbene si, la nuova pellicola di Martin Scorsese è un trip, un viaggio allucinante e allucinogeno senza un attimo di respiro che ci conduce alla scoperta non tanto di un mondo, quanto a quello di uno stile di vita e lo fa senza mezze misure, senza autocensure. Ampiamente riconoscibile la mano del regista italo-americano a partire dalla voce fuori campo che ci aiuta a districarsi nei meandri di una storia tutta sesso, droga e soldi e anche dal punto di vista della costruzione narrativa. Assistiamo infatti ad una trama del tutto classica e standard, tipica del biopic, dove il personaggio attraversa tutte le fasi che un eroe è solito compiere, quello dell’ambizione iniziale, della delusione, seguito dalla rivincita e dal successo per arrivare poi all’epilogo finale attraverso la sua parabola discendente. Bisogna però dire che la dove si è a volte prigionieri di una struttura piuttosto standardizzata, come in questo caso, il regista sa conferirgli una forma di grande spettacolarità, facendo leva sul versante più irriverente e comico possibile che fa divertire lo spettatore, lo coinvolge, lo invoglia inconsciamente a fare parte di quel mondo nel quale, seppur non si riconosce, proprio come sotto l’effetto di alcool o droghe, ne è improvvisamente attratto e ha voglia di viverlo fino in fondo, per una notte, una serata soltanto. A tratti addirittura potremmo dire demenziale, (vedi a questo proposito la scena tra di Caprio e Jonah Hill del telefono) il film non ha inibizioni di alcun tipo, Scorsese ci regala delle scene da antologia, estreme, con uno stile visivo che rispecchia a pieno l’ideale che la maggior parte dell’opinione pubblica ha di questo spaccato di società e infatti alla fine, nonostante l’enorme quantità di eccessi a cui siamo sottoposti durante la visione, l’unico aggettivo che ci sentiamo certamente di non affibbiare a questa pellicola è quella di scandalosa. Come spesso accade Scorsese però non si sa gestire molto con i tempi (vedi ‘The Aviator’ e ‘Gangs of New York’) e difatti la lunghezza (3 ore piene) non gioca pienamente a suo favore. Nella seconda parte si comincia leggermente ad accusare la stanchezza, la pellicola tende a diventare un po’ troppo prolissa e sembra, a tratti, non trovare mai una sua conclusione, un suo punto d’arrivo. In particolar modo il regista incappa in quell’errore che aveva saggiamente saputo arginare per più di metà film, ovvero quello di lasciare spazio ad alcune scene un po’ prevedibili e scontate (come il litigio con la moglie) che fanno perdere un po’ di valore al film che nel suo complesso rimane comunque esaltante.
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no_data
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sabato 1 febbraio 2014
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ecco dove è finito il nuovo sogno americano!
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The Wolf of Wall Street è un’opera in bilico tra la noia ed il capolavoro. La prima metà è eccessiva, volgare e risulta noiosa. Dopo aver visto l’intero film mi sono sentita quasi in colpa per averlo pensato. Credo che questo film si inscriva a pieno titolo fra i suoi capolavori; certo, Toro scatenato rimane un mostro sacro, un saccheggio di tormentosa bellezza artistica della durata di 129 minuti. Non c'è alcuna bellezza da catturare all'interno di quel microcosmo circense e perverso, abitato da giovani brokers con la mania della speculazione. Eppure le orge nichiliste, l’esplosione carnevalesca di colori e di espressioni di DiCaprio rimangono negli occhi, si imprimono nel cervello, se pur non nel cuore.
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The Wolf of Wall Street è un’opera in bilico tra la noia ed il capolavoro. La prima metà è eccessiva, volgare e risulta noiosa. Dopo aver visto l’intero film mi sono sentita quasi in colpa per averlo pensato. Credo che questo film si inscriva a pieno titolo fra i suoi capolavori; certo, Toro scatenato rimane un mostro sacro, un saccheggio di tormentosa bellezza artistica della durata di 129 minuti. Non c'è alcuna bellezza da catturare all'interno di quel microcosmo circense e perverso, abitato da giovani brokers con la mania della speculazione. Eppure le orge nichiliste, l’esplosione carnevalesca di colori e di espressioni di DiCaprio rimangono negli occhi, si imprimono nel cervello, se pur non nel cuore. Ed è necessario che sia così. La distanza con cui la macchina da presa indaga Jordan Belfort è evidente: mai indulge nell'adulazione, registra soltanto i suoi eccessi e, en passant, i suoi “sentimenti” confusi. Questa sciatteria emozionale, che non risparmia neppure le figlie, non è dovuta all’abuso di droghe o di escort di lusso ma ad una vera e propria assenza della dimensione coscenziale e quindi di scrupoli. Per questo il finale vittorioso del Jordan non più broker ma seminarista d’affari non dà voce ai disastri provocati dall’infamia cum laude del protagonista, se non in una brevissima frase della sentenza: si sarebbe stravolto il senso del film, che è quello di descrivere un personaggio animalesco. A proposito di "fenomeni da baraccone", il tiro di nani aggressivi in ufficio è lo spunto per citare - seguendo il filone inaugurato da Bertolucci in the Dreamers - Freaks, capolavoro di Tod Browning.
Il denaro vince su tutto e non è la lezione più alta che Scorsese avrebbe potuto dare al suo pubblico con questo film. Proprio in virtù del non detto, però, il regista interpreta la realtà più profonda che dis-anima la società americana che, a furia di capitalizzare, ha finito per svendere se stessa e il nobile e libertario sogno di cui si faceva portatrice.
La vera novità del film di Scorsese è l'eccezionalità di descrizione e narrazione con cui regista e attori spaziano in ogni registro. Quella di focalizzarsi su di una perdizione tragicomica è una scelta stilistica precisa, volta al racconto di quello che c'è e prescinde dal non voler dare un messaggio al film. Il finale è chiaro: non c’è riscatto, non sono contemplate né la redenzione di Belfort e dei suoi collaboratori, né una sollevazione di quelle migliaia di lavoratori ridotti al lastrico. I discutibili esponenti della giustizia, quando non si piegano alle voluttà con cui li seduce il denaro, sono mossi dall’invidia per un tenore di vita che non potranno mai condurre. La scala sociale è bloccata e questo nuovo Medioevo non è dettato da un’impossibilità di ascesa sociale ma da una temibile ascesa economica che implica una perdita di sé, un oblio strafatto in cui le sfumature tra buono e cattivo scompaiono, per lasciare spazio al colore dei soldi, l’unico per cui valga la pena di sporcarsi un po’.
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andrea alesci
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mercoledì 19 novembre 2014
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l'ipnotico abisso di una vita stupefacente
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Immersi in questo ponderoso film di mano Scorsesiana, siamo calamitati dall’esuberanza e dall’esaltazione spasmodiche di Jordan Belfort, ambizioso agente di borsa che in breve diventa quel che ha sempre voluto essere: ricco. Sfacciatamente dannatamente ricco.
Jordan è affamato di tutto: denaro, donne, droga, lussi. A soli 26 anni sente scorrere dentro di sé il sangue del lupo: è a capo della Sutton Oakmont Inc. da lui creata nel 1990, dopo aver conosciuto nel suo primo giorno alla Rotschild il crollo di Wall Street (1987).
Martin Scorsese ci porta nella storia vera di quest’uomo senza mai interferire con giudizi morali, gettandoci nella sballata frenesia della Oakmont e dei suoi facili guadagni a colpi di pennystock, dentro la famelica voglia di desideri ed eccessi, nel lucore dei lussi che il fruscio dei dollari assicura a una società-belva il cui re ha il volto di Leonardo DiCaprio.
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Immersi in questo ponderoso film di mano Scorsesiana, siamo calamitati dall’esuberanza e dall’esaltazione spasmodiche di Jordan Belfort, ambizioso agente di borsa che in breve diventa quel che ha sempre voluto essere: ricco. Sfacciatamente dannatamente ricco.
Jordan è affamato di tutto: denaro, donne, droga, lussi. A soli 26 anni sente scorrere dentro di sé il sangue del lupo: è a capo della Sutton Oakmont Inc. da lui creata nel 1990, dopo aver conosciuto nel suo primo giorno alla Rotschild il crollo di Wall Street (1987).
Martin Scorsese ci porta nella storia vera di quest’uomo senza mai interferire con giudizi morali, gettandoci nella sballata frenesia della Oakmont e dei suoi facili guadagni a colpi di pennystock, dentro la famelica voglia di desideri ed eccessi, nel lucore dei lussi che il fruscio dei dollari assicura a una società-belva il cui re ha il volto di Leonardo DiCaprio.
Calatosi nei panni di Jordan Belfort con l’assordante bravura di un attore-ancora-senza-Oscar, DiCaprio sa schiantarci nel frenetico incalzare quotidiano di perversioni e vizi della Oakmont e dei suoi broker, plasmati in ferini venditori di (finta) felicità.
Siamo trascinati nell’atmosfera di delirante follia che fa perno su Jordan e il suo panico desiderio di tutto: vestiti firmati, barche di lusso, macchine sportive, casa da favola e una moglie modella, ultimo precipitato chimico della sua vecchia vita ormai cancellata, come la consorte d’un tempo; di un tempo che per Jordan Belfort è solo quello dell’eterno presente.
Il lupo ha tutto, il lupo è tutto. Però, non ha fatto i conti coi cacciatori (alias Commissione di controllo e FBI). Quando capisce che il suo futuro potrebbe essere dietro le sbarre, che fermandosi in quel momento potrebbe comunque campare senza più lavorare, quietando Commissione e federali, allora ha un unico momento di sobrietà e decide che può bastargli, che lascerà la Stratton Oakmont Inc., che abbandonerà la sua creatura.
Ma un lupo solitario non sopravvive a lungo, ha bisogno del suo branco: e con un bulimico sussulto d’orgoglio decide di rimanere nella foresta a sbranare ancora e ancora, come il fiero leone simbolo della sua società. Dentro il turbinio caotico che si scatena nell’ultima ora di pellicola, Jordan Belfort perde tutto: villa, moglie, figlie, denaro, libertà. E rimane sobrio, insopportabilmente sobrio dentro una vita che ormai gli è sfuggita dalle fauci.
L’unica condizione per salvare i resti della sua esistenza è collaborare coi federali, distruggendo la Stratton Oakmont Inc.: 36 mesi di prigione invece di vent’anni di carcere che una condotta intransigente gli avrebbe aperto sotto i piedi. Stavolta Jordan Belfort accetta: il prezzo di una vita misurata, il peso di una vita non drogata.
Così, Martin Scorsese disegna una storia d’abisso con la leggerezza del grande maestro, descrivendo l’osceno luccichio del mondo di Belfort & Co. nelle sue orge di puttane, bizzarrie, sniffate di cocaina, cocktail di pasticche sempre più forti e un esorbitante diluvio di dollari a ricoprire tutto e tutti. Al vertice ci mette DiCaprio e i suoi eloqui in prima persona, pronto a mostrarci il (delirante) sogno di una parossistica finanza come promessa di inimmaginabili paradisi terreni. E di una, tante vite che dal vertice vengono risucchiate nel vortice, dove lo sfavillio di colori è destinato a trasformarsi nel nero più accecante. La premiata ditta “Marty & Leo” ci porta lì dentro: e lo fa con una vertiginosa perfezione.
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edodella
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martedì 7 luglio 2015
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molto entusiasmante
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Nonostante molte critiche su questo film, ho voluto vederlo comunque. L'inizio non mi è piaciuto molto, ma continuando a vederlo, mi sono appassionato molto e l'ho seguito con molta attenzione. Ho notato che è molto verosimile con la storia di Jordan Bredfort. Quindi un punto a favore per il regista che è stato molto bravo a incanalare la vera storia nel copione del film. Secondo me l'interpretazione di Leonardo Di Caprio è stata sublime ed è per questo che doveva vincere l'Oscar come miglior attore protagonista. Anche Jonah Hill, che interpreta Donnie Azoff è stato molto bravo, anche se poteva fare meglio.
Martin Scorsese ha fatto un ottimo lavoro.
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Nonostante molte critiche su questo film, ho voluto vederlo comunque. L'inizio non mi è piaciuto molto, ma continuando a vederlo, mi sono appassionato molto e l'ho seguito con molta attenzione. Ho notato che è molto verosimile con la storia di Jordan Bredfort. Quindi un punto a favore per il regista che è stato molto bravo a incanalare la vera storia nel copione del film. Secondo me l'interpretazione di Leonardo Di Caprio è stata sublime ed è per questo che doveva vincere l'Oscar come miglior attore protagonista. Anche Jonah Hill, che interpreta Donnie Azoff è stato molto bravo, anche se poteva fare meglio.
Martin Scorsese ha fatto un ottimo lavoro.
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great steven
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lunedì 16 maggio 2016
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storia di un uomo che sacrificò tutto per i soldi.
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THE WOLF OF WALL STREET (USA, 2014) diretto da MARTIN SCORSESE. Interpretato da LEONARDO DICAPRIO, JONAH HILL, MARGOT ROBBIE, MATTHEW MCCONAUGHEY, JON BERNTHAL, JEAN DUJARDIN, KYLE CHANDLER, ROB REINER, JON FAVREAU, CRISTIN MILIOTI, JOANNA LUMLEY, SHEA WINGHAM, CHRISTINE EBERSOLE
Ascesa e caduta di Jordan Belfort, broker di punta della Stratton Oakmont: da semplice e impreparato agente di borsa a Wall Street, costruisce in pochi anni uno stupefacente impero economico assoldando validi collaboratori intenzionati esclusivamente, come anche lui del resto, a far soldi e pensare come spenderli rapidamente adottando ogni sorta di eccesso senza il minimo scrupolo.
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THE WOLF OF WALL STREET (USA, 2014) diretto da MARTIN SCORSESE. Interpretato da LEONARDO DICAPRIO, JONAH HILL, MARGOT ROBBIE, MATTHEW MCCONAUGHEY, JON BERNTHAL, JEAN DUJARDIN, KYLE CHANDLER, ROB REINER, JON FAVREAU, CRISTIN MILIOTI, JOANNA LUMLEY, SHEA WINGHAM, CHRISTINE EBERSOLE
Ascesa e caduta di Jordan Belfort, broker di punta della Stratton Oakmont: da semplice e impreparato agente di borsa a Wall Street, costruisce in pochi anni uno stupefacente impero economico assoldando validi collaboratori intenzionati esclusivamente, come anche lui del resto, a far soldi e pensare come spenderli rapidamente adottando ogni sorta di eccesso senza il minimo scrupolo. Diventato ormai una leggenda imbattibile nel mondo della finanza, Jordan conquista un’enorme ricchezza, e vi fonda sopra un autentico modo di vivere, dedicandolo completamente alle droghe, alle prostitute, all’alcool e allo scialacquamento fine a sé stesso. Finché le autorità, e in particolar modo l’FBI nelle vesti dell’irriducibile agente Patrick Denham, non subodorano l’illegalità dei suoi maestosi introiti e non riescono ad incastrarlo per frode aggravata, privandolo di tutto ciò che gli è più caro (la moglie ex modella, le due figliolette, i suoi amici e, non ultima, l’associazione finanziaria da lui stesso tirata su dal nulla), ma senza defraudarlo del possesso del denaro e specialmente dell’uso che ne ha sempre fatto mantenendo uno stile di vita che l’ha trasformato in un idolo per intere generazioni di broker. Tratto dal libro autobiografico del vero Jordan Belfort (una storia vera che trasuda effetti reali dal primo momento in cui compare sullo schermo), è in assoluto il film più pazzo e meno controllato di Scorsese: il suo ritmo adrenalinico, i suoi toni da commedia satirica a briglia cortissima e il suo accavallarsi di nudi frontali, feste orgiastiche, montagne di denaro sperperato, fiumi di alcolici, yacht da sballo e attività economiche perentoriamente al di fuori della legge ne fanno un prodotto appetibile anche per la fetta di pubblico che non mastica di economia, dato che ha tutta l’aria di rivolgersi ad un target cui vadano a genio i personaggi mascalzoni (perché spesso più simpatici degli onesti) che divengono protagonisti di storie che ne narrano il successo e poi la decadenza. Che in questa pellicola ricchissima di sorprese come di cadute di tono, non poteva non centrare meglio il volto del carattere principale: un DiCaprio in forma smagliante che straparla, effettua rapidi movimenti, sorride e ringhia davanti alla telecamera come una rockstar ubriaca e strafatta su un palcoscenico, col piede decisamente abbassato sull’acceleratore e senza sbagliare una manovra sulla scia dell’autoparodia consapevole e di un fregolismo istrionico che non gli è normalmente abituale, ma che gli permette di fare centro con un’interpretazione irripetibile e ben più che efficace. Toni non certo consueti per lo stesso regista, ma Scorsese, dopo le ottime prove di Gangs of New York, The Departed e Shutter Island, ha abituato il suo pubblico ad una cooperazione col suo secondo attore di fiducia (da taluni considerato l’erede naturale di Robert De Niro) capace di sfornire chicche meravigliose, che si fanno apprezzare anche per qualche eccesso non certo frutto di sbadataggine o di fretta, ma bensì figlio di uno studiato amalgama di pathos, ironia, sarcasmo e trovate narrative di gusto sopraffino. Benché l’opera cavalchi spesso fuori dai recinti segnati dal percorso, il risultato predisposto e concordato all’inizio non potrebbe essere più soddisfacente di così: una critica al mondo della finanza statunitense che non risparmia nessuno, e sa mettere in cattiva luce quegli "intoccabili" che, già fra gli anni 1980 e 1990, governavano le sorti del mondo maneggiando palate di pecunia in modo da intascarne quanta più potevano e metterla da parte per interessi sfrenatamente egoistici e lussuriosi. Oltre ad un eccezionale DiCaprio, brilla J. Hill nel ruolo del suo braccio destro, l’occhialuto Donnie Azoff, inizialmente cameriere in un McDonald’s, e poi suo inseparabile compagno di birichinate a base di cocaina e birra, ma non meno straordinarie sono le performances di K. Chandler nella parte del poliziotto federale deciso fino in fondo a non farsi corrompere pur di incastrare un nemico quanto mai abile, di J. Dujardin come il collega svizzero che contribuisce a far incriminare i soci di Belfort dal suo piedistallo di finanziere manipolatore e di M. Robbie nelle vesti dell’impudica e autoritaria seconda moglie di Jordan, forse più amante del vil denaro e dell’esistenza dissipata che del suo stesso consorte. Un sottofondo di pessimismo non poteva mancare, per questo mastodontico apologo assolutamente spiazzante e fortificante sul tema di coloro che muovono i fili dell’economia internazionale: il film non esita a dipingere questo universo come un immondo crocevia di criminali che sanno il fatto loro e lo perseguono sacrificando volentieri ogni forma di rispetto, onestà e integrità.
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diomede917
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martedì 4 febbraio 2014
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vendimi questa penna
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Chi è Jordan Belfort , il lupo di Wall Street che da il titolo al film?
È l'altra faccia del sogno americano, l'uomo che realizza il proprio desiderio facendosi fagocitare dalle fauci dell'avidità.
Tratto dalla sua autobiografia The wolf of Wall Street è la strabordante parabola del capitalismo moderno......un capitalismo fatto di eccessi dove il denaro non è visto più come mezzo per esercitare potere ma una droga da cui è difficile non dipendere e che si alimenta di altre droghe che la società ti dispone.
Non poteva non essere che la nuova coppia d'oro di Hollywood Scorsese-Di Caprio ( qui alla loro quinta collaborazione ) a mettere in scena la vita di questo uomo eccessivo all'ennesima potenza che con le sue gesta evidenzia le doti istrioniche di Di Caprio.
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Chi è Jordan Belfort , il lupo di Wall Street che da il titolo al film?
È l'altra faccia del sogno americano, l'uomo che realizza il proprio desiderio facendosi fagocitare dalle fauci dell'avidità.
Tratto dalla sua autobiografia The wolf of Wall Street è la strabordante parabola del capitalismo moderno......un capitalismo fatto di eccessi dove il denaro non è visto più come mezzo per esercitare potere ma una droga da cui è difficile non dipendere e che si alimenta di altre droghe che la società ti dispone.
Non poteva non essere che la nuova coppia d'oro di Hollywood Scorsese-Di Caprio ( qui alla loro quinta collaborazione ) a mettere in scena la vita di questo uomo eccessivo all'ennesima potenza che con le sue gesta evidenzia le doti istrioniche di Di Caprio.
E Scorsese da regista navigato com'è ci sguazza che è un piacere, basta vedere la scena iniziale dove lanciano dei nani a una specie di tiro a segno per capire che c'è tutto il tocco del regista newyorkese......con un fermo immagine e voce off che ricorda tantissimo Quei Bravi Ragazzi......
Non a caso si avverte un certo parallelismo tra l'ascesa, caduta e falsa risalita di Henry Hill e la vita di Jordan Belfort.......e la violenza esaltata da un certo narcisismo viene sostituita da montagne di cocaina e sesso in tutte le salse.
Il film è volutamente sgrammaticato da un punto di vista narrativo perché è sconclusionata e senza filo conduttore la vita di questo rampante broker di Wall Street che finisce per rimanere incastrato nella tela da lui stesso costruita......
Così queste tre ore di film si dipanano in un susseguirsi di scene madre dal colloquio con il suo mentore al ristorante (un Matthew McCanaughey prestato da Dallas Buyers Club con un Cameo da nomination) ai comizi verso i suoi dipendenti (quello finale è da vedere per evidenziare la bravura di Di Caprio in versione One man show) agli effetti collaterali delle numerose droghe prese (esilarante al limite del grottesco l'effetto ritardante del Quaalude scaduto)......
È in dubbio che questo rutilante fiume in piena associato alla lunga durata possa risultare in alcuni tratti un po' ridondante e forse questo senso di ripetizione un po' forzata impedisce al film di Scorsese di arrivare alle vette di un capolavoro ma sicuramente è un'opera di valore altissimo meritevole di un 8
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cassiopea
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sabato 8 febbraio 2014
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storia di avidità senza sensi di colpa.
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Jordan è un ragazzo come tanti, sistemato in un matrimonio sereno, finchè non si trasferisce a Wall Street. Qui la sua vita cambia, perchè è LUI che cambia radicalmente. Conosce il mondo dei brokers ed entra a farne parte anima e corpo, senza rimpianti per quello che aveva e quello che era. Il suo rapporto sentimentale non regge dinanzi al luccicante splendore di festini, donne disponibili e bellissime, droghe, alcool e denaro sonante. Una vita spregiudicata, vissuta al di là della legalità, al di là dell'equilibrio e della stabilità. Il denaro gli permette di accedere a divertimenti di ogni genere, ed è questo che a Jordan interessa: la sete di denaro oscura ogni valore, tanto che il suo rapporto con la moglie è vissuto più a letto che altrove, e un reale attaccamento affettivo alla figlia non c'è.
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Jordan è un ragazzo come tanti, sistemato in un matrimonio sereno, finchè non si trasferisce a Wall Street. Qui la sua vita cambia, perchè è LUI che cambia radicalmente. Conosce il mondo dei brokers ed entra a farne parte anima e corpo, senza rimpianti per quello che aveva e quello che era. Il suo rapporto sentimentale non regge dinanzi al luccicante splendore di festini, donne disponibili e bellissime, droghe, alcool e denaro sonante. Una vita spregiudicata, vissuta al di là della legalità, al di là dell'equilibrio e della stabilità. Il denaro gli permette di accedere a divertimenti di ogni genere, ed è questo che a Jordan interessa: la sete di denaro oscura ogni valore, tanto che il suo rapporto con la moglie è vissuto più a letto che altrove, e un reale attaccamento affettivo alla figlia non c'è. Questa è una storia di avidità.
Questo tema è ritratto dal regista senza alcun senso di colpa, esattamente come lo vive il protagonista: qui sta la grandezza di questo film, l'importante messaggio finale è preceduto da ore di leggerezza e divertimento. Devo ammettere che in più di un'occasione non sono riuscita a trattenere grassissime risate, alcune scene sono a dir poco esilaranti! Ho amato questo film. DiCaprio, come al solito, ci regala un'interpretazione da Oscar, e mi auguro che questa volta riesca davvero ad ottenerlo. Tutto meritato!
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angelo76
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venerdì 24 gennaio 2014
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decisamente noioso
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Film anni 80 che parte bene, ma poi si ferma . Le ambientazioni sono belle e pure le musiche, ma lo storia è poco interessante e il ritmo lento.
Tre ore di film sono decisamete troppe, non finisce mai .
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pietro viola
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venerdì 24 gennaio 2014
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didascalico
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Eccezion fatta per the departed e l'ultima tentazione di cristo, il cinema di scorsese non mi ha mai suscitato particolari emozioni. Lo trovo un cinema medio, tecnicamente ineccepibile ma..... fondamentalmente verboso e un po' furbo, un cinema moralistico e moraleggiante, senza reali sprazzi di genio come invece nelle parlatissime opere dei cohen o di tarantino, o del vero gusto di osare dell'ultramoralista ferrara, ad esempio. Un cinema da premi oscar, non certo da cannes, o venezia. Per carità, i suoi film si fanno seguire, suscitano ammirazione per la sceneggiatura, le inquadrature, le scenografie, ma le emozioni, quelle forti, scarseggiano, e non possono essere costruite a tavolino dalle musiche insistenti di taxi driver (che funziona se visto a 16 anni, molto meno se rivisto dopo) o dai dialoghi infiniti di good fellas.
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Eccezion fatta per the departed e l'ultima tentazione di cristo, il cinema di scorsese non mi ha mai suscitato particolari emozioni. Lo trovo un cinema medio, tecnicamente ineccepibile ma..... fondamentalmente verboso e un po' furbo, un cinema moralistico e moraleggiante, senza reali sprazzi di genio come invece nelle parlatissime opere dei cohen o di tarantino, o del vero gusto di osare dell'ultramoralista ferrara, ad esempio. Un cinema da premi oscar, non certo da cannes, o venezia. Per carità, i suoi film si fanno seguire, suscitano ammirazione per la sceneggiatura, le inquadrature, le scenografie, ma le emozioni, quelle forti, scarseggiano, e non possono essere costruite a tavolino dalle musiche insistenti di taxi driver (che funziona se visto a 16 anni, molto meno se rivisto dopo) o dai dialoghi infiniti di good fellas. Ci vuole sempre dare una lezione, scorsese, far capire qualcosa, catturarci e stupirci, ma il gioco è per lo più troppo scoperto per non essere smascherato, e alla fine della visione dei suoi film, più che lacrime, o risate, o gioia, o cupezza, o angoscia, l'esito è un solo pensiero: ok, ho capito, e allora?
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