jack black 98
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martedì 22 gennaio 2013
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tarantino... un nome una garanzia
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Django Unchained.
Quentin Tarantino è tornato e con lui un altro dei suoi capolavori.
Prima di tutto questo regista è un po’ particolare e presenta uno stile registico tutto suo, quasi ogni scena di tutti i suoi film è esagerata nei comportamenti e nella violenza dei personaggi; questo è il tipico regista che collezione film che o adori o odi. (personalmente io punterei sulla prima scelta).
Un altra particolarità riscontrata in tutte le sue pellicole è: quasi tutte le scene sono lunghissime e potrebbero risultare interminabili ma questa cosa ha un suo perché: primo servono per far capire fino infondo quanto gli attori recitino alla perfezione (vedi Leonardo Di Caprio nella scena della trattativa a cena), secondo per far crescere la suspance e per far finire le suddette scene capovolgendo totalmente la situazione (vedi la scena della taverna in tedesco di bastardi senza gloria dove muoiono tutti alla fine).
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Django Unchained.
Quentin Tarantino è tornato e con lui un altro dei suoi capolavori.
Prima di tutto questo regista è un po’ particolare e presenta uno stile registico tutto suo, quasi ogni scena di tutti i suoi film è esagerata nei comportamenti e nella violenza dei personaggi; questo è il tipico regista che collezione film che o adori o odi. (personalmente io punterei sulla prima scelta).
Un altra particolarità riscontrata in tutte le sue pellicole è: quasi tutte le scene sono lunghissime e potrebbero risultare interminabili ma questa cosa ha un suo perché: primo servono per far capire fino infondo quanto gli attori recitino alla perfezione (vedi Leonardo Di Caprio nella scena della trattativa a cena), secondo per far crescere la suspance e per far finire le suddette scene capovolgendo totalmente la situazione (vedi la scena della taverna in tedesco di bastardi senza gloria dove muoiono tutti alla fine).
Tornando al film in questione, ogni singolo attore potrebbe essere premiato, primo di tutti Christofer Walz che regala dopo b.s.g. Un’altra delle sue meravigliose interpretazioni (da oscar!), Leonardo Di Caprio, personaggio quasi secondario nella storia ma che viene interpretato solo come Leo sa fare (insuperabile!), a Foxx non spettava un ruolo facile, Django è un personaggio complesso, è un uomo duro, gentile e profondamente innamorato, questo ruolo difficile non è stato un problema per Foxx che da la sua seconda miglior interpretazione dopo quella di Ray che gli valse l’oscar.
Ciò che Tarantino voleva veramente creare era uno spaghetti western che rimandasse alle atmosfere di “per un pugno di dollari”… e ci è pienamente riuscito!
La sceneggiatura è sicuramente una delle più curate che si siano mai viste, ma non mi pare che sia una novità per i film di Quentin quella di avere una sceneggiatura impeccabile.
Ciò che Tarantino sa fare meglio è mescolare alla perfezione scene di violenza sovra umana e scene di puro divertimento con battute spiritose e dissacranti, e di certo in questa pellicola c’è riuscito di nuovo.
Come stile questo film si può certo paragonare molto di più a Pulp Fiction ( che io considero il vero capolavoro di Tarantino) che a b.s.g., le scene pur avendo protagonisti e ambientazioni totalmente diverse dalla pellicola prima citata sono molto simili.
Ritroviamo dopo anni di inattività un Samuel L. Jackson più anziano (sia l’attore che il personaggio) ma di sicuro non meno talentuoso e perfetto per il personaggio; quel Jackson cinico e crudele che citava Ezechiele 25;17 ora è il miglore amico del “nemico”.
Insomma, Django Unchained, pellicola spettacolare sotto tutti i fronti, da apprezzare alla prima vistione e anche a tutte le successive.
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filippo catani
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lunedì 28 gennaio 2013
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un film vicino alla perfezione
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Sud degli USA 1858. Un eccentrico ex dentista ora diventato uno spietato cacciatore di taglie acquista uno schiavo di colore di nome Django in quanto egli può aiutarlo a rintracciare degli uomini che lui vuole uccidere per intascarne la taglia. Una volta ottenuta la libertà, Django si dedicherà alla sua vera missione ossia quella di liberare la moglie schiava di un terribile proprietario terriero.
Non si esagera certo se si parla di un film come questo di un quasi capolavoro e, a mio avviso, se non fosse capitato nell'anno di Lincoln avrebbe potuto ottenere molti più premi di quanti ha ottenuto e (speriamo) otterrà. Partiamo dalla storia che è assolutamente avvincente, mostra anche le condizioni di schiavitù e la situazione degli USA meridionali alla vigilia della Guerra di Secessione.
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Sud degli USA 1858. Un eccentrico ex dentista ora diventato uno spietato cacciatore di taglie acquista uno schiavo di colore di nome Django in quanto egli può aiutarlo a rintracciare degli uomini che lui vuole uccidere per intascarne la taglia. Una volta ottenuta la libertà, Django si dedicherà alla sua vera missione ossia quella di liberare la moglie schiava di un terribile proprietario terriero.
Non si esagera certo se si parla di un film come questo di un quasi capolavoro e, a mio avviso, se non fosse capitato nell'anno di Lincoln avrebbe potuto ottenere molti più premi di quanti ha ottenuto e (speriamo) otterrà. Partiamo dalla storia che è assolutamente avvincente, mostra anche le condizioni di schiavitù e la situazione degli USA meridionali alla vigilia della Guerra di Secessione. Poi in omaggio al genere non possono mancare le sparatorie e una degna colonna sonora fatta di brani originali e non con anche la collaborazione del grande Morricone insieme a un piccolissimo cameo di Franco Nero il Django "originale". Poi c'è quella splendida ironia che percorre tutto il film e che è incarnata dalla figura dell'eccentrico dentista tedesco alias un formidabile Waltz che regala un'altra sublime interpretazione che meriterebbe e varrebbe un premio. D'altro canto non si possono tacere le prestazioni assolutamente sopra le righe di Foxx e di un grande Leonardo di Caprio che si conferma uno dei migliori attori del momento anche grazie ad una oculata scelta di ruoli che ultimamaente gli hanno permesso di non sbagliare un colpo. Quindi poi un plauso al genio di Tarantino che con maestria e gusto è riuscito a riproporre un film di genere valido e coerente con grande rispetto per i film del passato (e il pericolo di uno scimmiottatura era dietro l'angolo). Veramente un film da gustare fino all'ultimo fotogramma.
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laurence316
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martedì 3 giugno 2014
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non il miglior tarantino
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A quattro anni dal capolavoro, ecco tornare Tarantino con un nuovo, geniale film, suo primo western. E il fatto che lo sia è anche un'ottima possibilità per il marketing, che ha rimarcato su questa cosa. Come al solito da lui scritto e diretto, è un film strano certo, a partire dal protagonista, ma non assolutamente originale e perfetto come lo è stato Inglourious Basterds, non incriticabile, e sicuramente non il suo migliore. Il suo merito primario risiede proprio nell'essere il suo primo film di questo genere, in modo che il regista possa affrontare ancora una volta alla sua maniera, originale e citazionista, anche il western, e in particolare lo spaghetti-western, come lo era il Django del '66, interpretato da Franco Nero, che qui fa un piccolo cameo con un sottile riferimento proprio al film originale.
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A quattro anni dal capolavoro, ecco tornare Tarantino con un nuovo, geniale film, suo primo western. E il fatto che lo sia è anche un'ottima possibilità per il marketing, che ha rimarcato su questa cosa. Come al solito da lui scritto e diretto, è un film strano certo, a partire dal protagonista, ma non assolutamente originale e perfetto come lo è stato Inglourious Basterds, non incriticabile, e sicuramente non il suo migliore. Il suo merito primario risiede proprio nell'essere il suo primo film di questo genere, in modo che il regista possa affrontare ancora una volta alla sua maniera, originale e citazionista, anche il western, e in particolare lo spaghetti-western, come lo era il Django del '66, interpretato da Franco Nero, che qui fa un piccolo cameo con un sottile riferimento proprio al film originale. Alcune scene ricordano il miglior Tarantino, questo è innegabile, come dimostra la più straordinaria e geniale (e comica) sequenza, nel quale il regista si prende gioco in allegria del Klan e anche di uno dei classici del cinema americano: Nascita di una nazione, di D.W.Griffith, più volte accusato di razzismo, con dei capucci che, soprattutto cavalcando, non permettono di vedere molto bene. E nel complesso è un gran bel film, se togliamo l'ultima mezz'ora però. Beffardo, ironico e divertente fin che si vuole, si serve spesso di uno dei piatti forti nella filmografia del regista: la colonna sonora, che esplode in tutta la sua ricchezza, con brani che vanno da Morricone a Luis Bacalov, da RZA ad uno sconosciuto Brother Dege con uno straordinario brano tutta chitarra, Too Old To Die Young. Ma questo non basta a cancellare la delusione dell'ultimo tempo del film, nella quale la finale metamorfosi del protagonista nel solito giustiziere solitario senza paura appare scontata e già vista, oltre che non lontana dall'ottica del superuomo tipica del cinema americano (di Hollywood). Certo, Djagno Unchained rimane un film da vedere, solo per il fatto che è "made by Tarantino", ma non raggiunge la genialità delle precedenti opere, nonostante certe scene riuscite e attori straordinari (su tutti lo Schultz di C.Waltz, che si aggiudica il 2° Oscar al miglior attore non protagonista dopo quello ottenuto per Bastardi senza Gloria, e anche il crudele schiavista Calvin Candie di L.Di Caprio). 5 nominations e 2 Oscar, al già citato Waltz e alla miglior sceneggiatura originale, la seconda volta per Tarantino dopo la statuetta ottenuta per lo script di Pulp Fiction, anche se, candidato agli Oscar 2010 l'avrebbe meritata anche quella dei Bastardi.
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valeria
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martedì 29 gennaio 2013
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imperdibile django...
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Tarantino, con DJANGO UNCHAINED, ha fatto davvero un ottimo lavoro. E' il primo film di questo regista che vedo (ahimè, sono costretta ad ammettere questa mia lacuna),quindi non posso fare raffronti con i lavori precedenti, ma allo stesso tempo posso farmi un'opinione più disicantata e forse più obbiettiva del film. In poche battute la trama: America 1858. Un bizzarro cacciatore di taglie di origini tedesche, il dottor Schultz, assolda, affrancandolo dalla schiavitù, un uomo di colore, Django per l'appunto, perché lo aiuti a trovare tre fuorilegge e a prenderli dead or alive. Questi si nascondono in una piantagione, dove ai danni degli schiavi di colore che li vi lavorano, continuano a perpetrare nefandezze e violenze.
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Tarantino, con DJANGO UNCHAINED, ha fatto davvero un ottimo lavoro. E' il primo film di questo regista che vedo (ahimè, sono costretta ad ammettere questa mia lacuna),quindi non posso fare raffronti con i lavori precedenti, ma allo stesso tempo posso farmi un'opinione più disicantata e forse più obbiettiva del film. In poche battute la trama: America 1858. Un bizzarro cacciatore di taglie di origini tedesche, il dottor Schultz, assolda, affrancandolo dalla schiavitù, un uomo di colore, Django per l'appunto, perché lo aiuti a trovare tre fuorilegge e a prenderli dead or alive. Questi si nascondono in una piantagione, dove ai danni degli schiavi di colore che li vi lavorano, continuano a perpetrare nefandezze e violenze. Vengono subito acciuffati e uccisi da Shultz e Django, ora suo valletto. A questo punto, i due dovrebbero separarsi, così come pattuito al momento del loro incontro,invece,decidono di continuare insieme a dare la caccia ai peggiori criminali andando a riscuotere tutte le taglie poste sulle loro teste.Anzi,il dott.Shultz, offre a Django il suo aiuto al fine di trovare e liberare la bella moglie di lui,Broomhilda,ormai diventata schiava di Calvin Candie,uno dei più ricchi e sadici latifondisti del Mississippi.Da questo momento in poi prendono il via tutte le rocambolesche avventure dei protagonisti.La pellicola è ispirata a Django di Corbucci del 1966 con F.Nero protagonista, ora presente nel film di T. con un piccolo cameo,in un imperdibile duetto con J.Foxx.E dei nostri spaghetti western, prende forme,movenze e peculiarità,sfociando in un vero e proprio omaggio al cinema italiano.Sono presenti,nel film,tutti i clichè e stereotipi dei cowboy di quei film.Ma lo stile,così mi dicono,è quello di T. E non ho motivo per dubitarne.La schiavitù,che è il tema del film,ad esempio,viene trattata in maniera originale e irriverente.E con ironia,soprattutto. Senza edulcorare e annacquare gli avvenimenti.Il momento storico viene inquadrato perfettamente e raccontato da una prospettiva forse diversa,ma non per questo meno profonda.Non mancano infatti,spunti di riflessione.E non mancano scene crude, macabre e violente.Spargimenti di sangue e sparatorie a volontà.In piena tradizione pulp.E mai termine fu più appropriato.Le eccellenti interpretazioni di tutti gli attori,proprio a cominciare da C.Waltz, supportano egregiamente la storia, che almeno nella parte iniziale scorre veloce tra frizzi e lazzi, andandosi poi ad allungare inutilmente e un po' noiosamente nel finale. Il film dura in tutto 165 minuti e poteva essere ridotto tranquillamente di mezz'ora almeno. Ma questo è l'unico difetto che sento di attribuire al film.La sceneggiatura, semplice ma non banale, non fa una piega. I dialoghi sono serrati e inframmezzati da gag davvero esilaranti. La colonna sonora invece, merita una menzione particolare. E' di per se un capolavoro.T. ha voluto, coerente con il proprio omaggio al genere, E.Morricone, che per l'occasione ha scritto una canzone, Ancora qui, cantata dalla nostra Elisa. Vengono inoltre, ripresi i temi musicali del primo DJANGO composti allora da L.Bacalov. E poi c'è di tutto, di più: colonne sonore tratte da altri film, gospel, black music e funk soul in una commistione perfetta e godibile. L'omaggio al nostro cinema in particolare e al cinema in generale,culmina in una serie di citazioni di altri film riprendendone scene cult,addirittura errori e anacronismi.Avete trovato un buon motivo per non andare a vedere DJANGO UNCHAINED?
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marco michielis
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domenica 20 gennaio 2013
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tarantino, il suo passato e il western
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Il Quentin Tarantino che affronta il western è il Quentin Tarantino che fa i conti con se stesso, con la propria opera, la propria adolescenza, la propria cinefilia, insomma con gran parte della sua esistenza. E “Django unchained” non poteva non risultare un omaggio all'incursione italiana nel genere, lo spaghetti-western, ai grandi maestri del ragazzone di Knoxville, i due Sergio, Leone e Corbucci, quest'ultimo regista, per l'appunto, dello storico “Django” del '66 con Franco Nero (che qui fa un cameo gustosissimo). Com'è naturale, però, Tarantino ci mette del suo, e parecchio del suo, anche.
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Il Quentin Tarantino che affronta il western è il Quentin Tarantino che fa i conti con se stesso, con la propria opera, la propria adolescenza, la propria cinefilia, insomma con gran parte della sua esistenza. E “Django unchained” non poteva non risultare un omaggio all'incursione italiana nel genere, lo spaghetti-western, ai grandi maestri del ragazzone di Knoxville, i due Sergio, Leone e Corbucci, quest'ultimo regista, per l'appunto, dello storico “Django” del '66 con Franco Nero (che qui fa un cameo gustosissimo). Com'è naturale, però, Tarantino ci mette del suo, e parecchio del suo, anche. Molti hanno parlato di rivisitazione del genere fatta dal regista del Tennessee; io, personalmente, sono solo in parte d'accordo con quest'affermazione. Forse è preferibile parlare, più che di una vera e propria rivisitazione, di una lettura squisitamente personale e originale del western da parte di Tarantino (è innegabile, del resto, l'impronta del suo stile fatto di dialoghi surreali e violenza esplicita e inaspettata): il termine “rivisitazione”, infatti, sembrerebbe implicare una precisa volontà di rifondare il genere preso in esame, volontà che in Tarantino è del tutto assente. Inutile girarci attorno, il western, ahimè, è morto, e lo sappiamo bene. Allora ecco che il regista di “Pulp fiction” non si smentisce e non delude i suoi milioni di fan, infarcendo la pellicola con la solita moltitudine di citazioni, musiche coinvolgenti (alcun brani di ultima generazione hanno un effetto veramente straniante e arricchiscono la scena di adrenalina pura) e personaggi assolutamente fuori dal comune e politicamente scorretti. E battute talmente surreali e geniali, che sembrano fermare il tempo della narrazione per accedere a quello della risata e dell'incredulità dello spettatore. Può darsi che alla lunga, se la sua carriera da cineasta dovesse proseguire (me lo auguro di cuore), Tarantino e i suoi marchi di fabbrica stuferanno chiunque. Reinventarsi ad ogni pellicola non tradendo se stessi, si sa, non è mai facile. Ma per il momento non è così, e quasi tre ore di “Django unchained” ce le godiamo dal primo all'ultimo minuto, auspicando in maniera vana che non passino mai. Menzione obbligatoria per il cast, in particolar modo per Christoph Waltz, attore che pare essere nato apposta per recitare nei film tarantiniani, che fornisce una prova di assoluto spessore e originale gestualità. Ah, e come dimenticare la citazione finale da “Il buono, il brutto e il cattivo”: da paura!
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xxseldonxx
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martedì 22 gennaio 2013
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tarantino western
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Una fila di schiavi neri cammina in un deserto roccioso, accompagnati da due guardiani armati e dalle note di "Django" di L. E. Bacalov, mentre sullo schermo scorrono, enormi e in un rosso leoniano, i titoli di testa. Così comincia "Django Unchiained": Clint Eastwood, in "Per un pugno di dollari", entrava in scena in groppa ad un mulo, togliendo all'eroe (spaghetti) western quell'aura di sacralità creatasi con i film di John Ford; Franco Nero in "Django" arrivava a piedi, trascinandosi dietro una bara e la sella di chissà quale cavallo; qui il protagonista si presenta in catene e destinato ad una vita di schiavitù, ma verrà presto liberato da un bizzarro cacciatore di taglie che, nell'antebellico sud razzista, lo guiderà a liberare la moglie, anch'essa schiava, dalle grinfie del perfido "monsieur" Calvin Candie.
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Una fila di schiavi neri cammina in un deserto roccioso, accompagnati da due guardiani armati e dalle note di "Django" di L. E. Bacalov, mentre sullo schermo scorrono, enormi e in un rosso leoniano, i titoli di testa. Così comincia "Django Unchiained": Clint Eastwood, in "Per un pugno di dollari", entrava in scena in groppa ad un mulo, togliendo all'eroe (spaghetti) western quell'aura di sacralità creatasi con i film di John Ford; Franco Nero in "Django" arrivava a piedi, trascinandosi dietro una bara e la sella di chissà quale cavallo; qui il protagonista si presenta in catene e destinato ad una vita di schiavitù, ma verrà presto liberato da un bizzarro cacciatore di taglie che, nell'antebellico sud razzista, lo guiderà a liberare la moglie, anch'essa schiava, dalle grinfie del perfido "monsieur" Calvin Candie.
L'ultima fatica - o forse dovremmo dire "l'ultimo divertimento" - del regista di Pulp Fiction giunge sui nostri schermi dopo una fase di riprese decisamente dilatata (Tarantino si divertiva troppo per far finire le riprese in un tempo ragionevole) e una post produzione piuttosto difficile a causa della morte di Sally Menke, montatrice di tutti i film del regista e affettuosamente salutata da tutta la troupe con un "Hi Sally" prima di ogni ciak, durante le riprese; il prodotto finale è un film di due ore e tre quarti, il più lungo tra quelli del regista del Tennessee, che comunque conserva ancora circa mezzora di scene inedite e che sta valutando la possibilità di una versione estesa.
Con questa pellicola Tarantino si misura direttamente con il da lui tanto saccheggiato genere Western; eppure se a prima vista potrebbe sembrare un'operazione quasi banale per un uomo che in ogni suo film ha messo un pizzico dei tanto idolatrati film alla Leone e Corbucci, dopo un'analisi più approfondita ci si accorge che (almeno sulla carta, intendiamoci) il Mr. Brown di "Le Iene", nel West, non gioca per niente in casa. Innanzitutto il periodo storico va a suo sfavore: siamo in un mondo che ancora non ha conosciuto i fumetti, la musica pop, il cinema ed è privo di quella cultura popolare che riempiva tutti i più celebri dialoghi tarantiniani; se questo era già accaduto in parte con "Bastardi Senza Gloria", dove però quel divoratore di cinema che è Tarantino aveva dato prova di conoscere a menadito perfino il cinema del Terzo Reich, in "Django Unchained" non c'è niente da fare: il metacinema è del tutto assente. Inoltre il Western trascina Tarantino dove non era mai stato per così tanto tempo: all'aperto. Dopo sette film ambientati principalmente al chiuso, il regista qui si confronta per la prima volta con lunghe e obbligatorie sequenze all'esterno. Come se non bastasse, ciò che muove il protagonista, oltre all'onnipresente Vendetta, è l'Amore coniugale, sentimento mai affrontato da QT. Le premesse non fanno sperare nienre di buono...
E invece quel geniaccio di sangue italiano, irlandese e cherokee riesce a sorprendere ancora, adattando il proprio stile alla situazione, senza tuttavia perdere quel tocco che lo distingue da qualunque altro cineasta contemporaneo.
Il prodotto finale è un film diviso in due parti: nella prima ora prevalgono le sequenze all'aperto e quello che ci si mostra è un Tarantino inedito, dove l'azione prende il sopravvento sulle parole e soprattutto non si attua il classico schema del dialogo che crea tensione e poi esplode in una carneficina totale. In ogni caso anche in questo primo pezzo, Tarantino riesce ad emozionare grazie ad alcune scene davvero azzeccate, agli splendidi paesaggi che spaziano da gelide foreste a montagne innevate, da verdi praterie a cittadine e piantagioni del sud degli Stati Uniti, e all'ineguagliabile capacità del regista di accostare immagini e musica: si veda a tal proposito la cavalcata dei cavalieri del Ku Klux Klan sulle note del Dies Irae di Verdi (in puro stile Griffithiano), sequenza che vanta inoltre una perfetta direzione degli almeno trenta stuntman a cavallo. Con l'entrata in scena di Di Caprio invece, il film si rintana tra le mura del Cleopatra Club prima e di Candieland poi: e allora ritorna il Tarantino che tutti conoscono, fatto di dialoghi geniali, di suspance e di una mattanza qui davvero scatenata.
Ritorna dunque il Western, e di nuovo alza l'asticella della violenza: così come quando uscì "Per un pugno di dollari" nel 1964 fece scalpore per il tasso di brutalità, all'epoca considerato eccessivo, anche in "Django Unchained" la violenza appare molto cruda e feroce, grazie ad alcune scene di grande impatto e di raccapricciante fisicità (una su tutte: il combattimento tra i due mandingo), e ad un sonoro che spesso evidenzia, oltre alla potenza degli spari, anche l'impatto de proiettile con carne ed ossa. Ma l'ottavo film di Quentin Tarantino, oltre che uno Spaghetti Western, è anche un film di denuncia alla schiaitù e al razzismo: intorno a questo delicatissimo tema ruota tutta la storia e tutta la psicologia, a volte malata, a volte fortemente umana, di ogni personaggio della pellicola.
Django, interpretato da uno specialissimo Jamie Foxx (che ha dovuto utilizzare al meglio le sue doti da cavaliere), è una mina vagante nel Mississippi schiavista: è uno "negro" (termine che negli USA ha un'accezione decisamente più offensiva che da noi) libero, sposato e cacciatore di taglie; egli incarna tutta la rabbia della gente nera e la sfoga contro gli schiavisti e contro chiunque accetti la schiavitù, senza mai tuttavia farsi intenerire dalla situazione degli altri schiavi (ad eccezione di sua moglie) e dimostrando così un animo crudele ed egoista, degno del migliore eroe spaghetti western; vuole sentirsi libero e vuole sentirsi unico, diverso da qualunque altro nero o bianco. Così come la Shosanna di "Bastardi senza gloria", persegue la vendetta personale e contemporaneamente rappresenta il riscatto della sua "razza" a discapito dei suoi oppressori storici. E' un eroe senza paura, un Sigfried americano che intraprende un lungo viaggio per liberare la sua Broomhilda, ma nel suo mondo "ti devi sporcare" e lui è ben lontano dalla purezza di cuore degli eroi degli antichi miti nordici.
Christoph Waltz, con la sua gestualità teatrale e con una "barba eccezionale", interpreta il dottor King Schultz, un gentiluomo dalla parlata forbita e dalla forte vena comica. E' forse il più umano dei personaggi del film, l'unico che si impressioni di fronte alla violenza dello schiavismo: nonostante anche lui abbia la sua dubbia morale ("Uccido persone e vendo i loro corpi in cambio di denaro"), si rivelerà l'unico veramente schierato contro gli orrori del razzismo. Il suo rapporto con Django è simile a quello che si instaura tra Virgilio e Dante nel capolavoro del Poeta: dapprima egli funge da guida e maestro ad un poeta/schiavo disorientato in quell'inferno che era il sud schiavista, ma poi l'allievo si pone allo stesso livello del maestro fin'anche a superarlo: "io te sovra te corono e mitrio" (Purgatorio XXVII).
Chi invece si considera superiore a chiunque altro è Calvin Candie, portato sullo schermo da un Di Caprio inedito e dal sorriso ingiallito, qui davvero straordinario nei panni del suo primo antagonista; Candie è il proprietario di una grande piantagione, che, annoiato dalla vita, si diletta in vari e terrificanti passatempi, tra cui la lotta tra mandingo e la frenologia. Non è altro che un bambino viziato, che vuole sembrare un colto ed educato adulto, che compie delitti solo perché può farlo, circondato da servitori e schiavi: sotto questo punto di vista Candie può essere visto come la critica di Tarantino all'intera storia americana, a quella di ieri e di oggi.
Questo Re Sole del Sud è invece paradossalmente succube di Stephen (un magnifico Samuel L. Jackson), il nero che gestisce la casa e che in pubblico si mostra colloquiale ma servile col suo capo, ma quando i due si trovano in privato, il rapporto servo-padrone si ribalta e appare evidente che è lo schiavo a comandare. Questo vecchio governante è forse la figura più viscida e negativa del film: accetta la condizione di schiavitù in cui versa il suo popolo perché gli consente una posizione di saldo controllo sul mondo che conosce; per questo non può tollerare il cambiamento rappresentato da quel "negro sul ronzino" che un giorno vede arrivare alla piantagione.
I personaggi, come in tutti i film di Tarantino, sono dunque estremamente caratterizzati, ognuno unico nel suo modo di pensare e di rapportarsi con la violenza, e questi sono senz'altro tra i migliori personaggi creati dal regista di capolavori come "Kill Bill".
I dialoghi invece, come al solito geniali, sono meno intrisi di riferimenti pop e di conseguenza meno memorabili e comici, meno "cult", ma più seri (e a volte eticamente raccapriccianti) e adatti al delicato tema della schiavitù.
Sotto il punto di vista tecnico il film è ineccepibile: Tarantino riesce anche stavolta ad ottenere il meglio dai suoi attori e dai suoi collaboratori. La fotografia di Robert Richardson e i movimenti di camera sono perfetti, con quelle zoomate in stile kung-fu movie largamente utilizzate; la scenografia include perfino le stesse ambientazioni di film come "Mezzogiorno di fuoco" e "Sentieri selvaggi". Le musiche, da sempre uno dei punti forti dei film di Tarantino, includono per la prima volta brani composti appositamente per il film da artisti del calibro di Morricone ed Elisa (Ancora qui), Rick Ross (100 black coffins) e Anthony Hamilton (Freedom); come al solito, l'anacronistica colonna sonora spazia dalle musiche di film western al rap, dal blues al country e accompagna alla perfezione ogni tipo di scena.
Con questo film, intriso di citazioni che vanno da "Il buono, il brutto, il cattivo" al "Django" di Sergio Corbucci, Tarantino finalmente omaggia esplicitamente il genere a cui è più legato: questa epopea western è ovviamente un melting pot cinematografico e al contempo si rivela essere il meno "tarantiniano" dei film del regista e probabilmente il più significativo e tecnicamente maturo. Aspettando (e sperando) la versione estesa...
P.S.: Nota di demerito per la traduzione in italiano: parole come "boy" e "fuck" rese con "giovine" e "cazzarola" stonano completamente con lo stile del film; il doppiaggio di Don Johnson inoltre gli assegna una voce molto più stridula e ridicola dell'originale.
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fedson
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giovedì 28 febbraio 2013
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tarantino scatenato!
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Una storia western, un po' all'antica e un po' moderna, che scorre come un fiume in piena, travolgendo a più non posso tutti gli spettatori presenti in sala grazie alla sua vena violenta, spietata, drammatica e un po' ironica dal persuasivo potere di lasciarci col fiato sospeso! "Django Unchained" si rivela veramente IL WESTERN tarantiniano per eccellenza, il film che Tarantino ha ambito a realizzare, mettendo da parte questa epica sceneggiatura per anni ed anni, finché, proprio come Django, si è liberato dalle catene che lo tenevano buono e tranquillo, dando libero sfogo alla sua cruenta creatività, realizzando nuovi personaggi, nuovi dialoghi e nuove situazioni destinate ad occupare uno dei primi posti nell'intera filmografia del regista! La trama: Django (Foxx), schiavo di colore, viene liberato da un misterioso dentista, il Dr.
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Una storia western, un po' all'antica e un po' moderna, che scorre come un fiume in piena, travolgendo a più non posso tutti gli spettatori presenti in sala grazie alla sua vena violenta, spietata, drammatica e un po' ironica dal persuasivo potere di lasciarci col fiato sospeso! "Django Unchained" si rivela veramente IL WESTERN tarantiniano per eccellenza, il film che Tarantino ha ambito a realizzare, mettendo da parte questa epica sceneggiatura per anni ed anni, finché, proprio come Django, si è liberato dalle catene che lo tenevano buono e tranquillo, dando libero sfogo alla sua cruenta creatività, realizzando nuovi personaggi, nuovi dialoghi e nuove situazioni destinate ad occupare uno dei primi posti nell'intera filmografia del regista! La trama: Django (Foxx), schiavo di colore, viene liberato da un misterioso dentista, il Dr. King Schultz (Waltz), che si rivelerà un cacciatore di taglie dall'indole cinica quanto sensibile. I due entrano in affari, stringendo un solido soldazio commerciale e amichevole. Le stagioni passano e Django, ormai cacciatore di taglie, chiede a Schultz di aiutarlo a liberare sua moglie, schiava dell'immenso territorio di Candyland governato da un arrogante schiavista, Calvin Candie (DiCaprio). I due cacciatori di taglie metteranno su un piano per introdursi nell'enorme dimora per cercare di liberare la moglie dell'ex-schiavo. La storia che il genio di Tarantino ha partorito fa parte di una sceneggiatura che mischia completamente caratteri del vecchio western cinematografico con quelli di un western moderno. Una sceneggiatura che riesce ad ipnotizzare ed incuriosire qualsiasi tipo di pubblico con il quale si ha a che fare; tutto questo per lo meno nella prima parte del film. Sì, perché è proprio la parte iniziale del film a comandare, concentrandosi sugli aspetti più piccoli e sottili della storia e presentando i personaggi in modo diretto quanto efficace. Il tutto viene retto da un ritmo veramente incalzante, mai banale o stancante e per niente scontato; alche vengono alternati magistralmente momenti di pura crudeltà a spezzoni comici che riescono inspiegabilmente ad andare d'accordo perfettamente. Il prodotto "crudo-comico" scaturisce in primis da personaggi dotati di un profondissimo e curatissimo studio psicologico impressionante, specie il character del Dr. Schultz, ufficiale mattatore del film che riesce a rubare la scena perfino ai villain di turno ogni minuto della sua presenza. In secundis, l'effetto così satirico del film proviene anche da personaggi secondari (anche semplici comparse) che riescono a donare quell'impercettibile ironia in più al film (si prenda in considerazione la gag dei primi Ku klux klan storici, capitanati, nel film, da Big Daddy, personaggio secondario ma composto di una vena simpatica impossibile da non notare). Tutto questo però avviene solamente nella prima parte della pellicola. Nella seconda parte (subito dopo l'ingresso a Candyland) comincia a mancare qualcosa, subendo un leggero senso di pesantezza percepibile da alcuni dialoghi forzati (come quello di Calvin nella scena in cui tira fuori il suo amico scheletrico "Ben"), sparatorie insensate ed un'improvviso (obbligato) allungamento della vicenda. Nonostante questo, in tutto il film non mancano elementi e sperimentazioni tecniche-multimediali che Tarantino mette a punto per il suo genere preferito: immense scene a rallenty che bucano lo schermo, uno studio storico ben curato, un classico montaggio tarantiniano mai guasto ed una fotografia del calibro di nientepopodimeno che Robert Richardson (già vincitore di ben tre Oscar). Altro cavallo da battaglia di questo western sono le sublimi interpretazioni aventi come caposquadra un grande Christoph Waltz, dove qui lo troviamo nelle vesti di un personaggio completo in tutta la sua umanità e in tutti i suoi aspetti (premiato con un secondo Oscar, un BAFTA e un Golden Globe meritatissimi), un Jamie Foxx in un accettabile Django "Freeman" (notare il gioco di parole "uomo-libero" che lo stesso Tarantino ha pensato bene di inserire apposta per il suo protagonista in catene), Leonardo DiCaprio nel suo primo ruolo di villain in un film, dove interpreta il malefico, viziato ed autoritario Calvin Candie (portandosi a casa una nomination al Golden Globe meritevole), una leggera e sensibile figura femminile interpretata da Kerry Washington nel ruolo di Broomhilda, e a chiudere la fila uno spregievole e bastardo Samuel L. Jackson nel personaggio più meschino di tutta la sua carriera (e, a mio parere, vero villain del film): un servo che ha tradito la propria gente, la propria patria e il proprio colore della pelle. Tanti i personaggi, tante le battute e gli emblematici dialoghi per tante musiche proveniente da un repertorio wester veramente di altissimo livello e stile: da Ennio Morricone a Jerry Goldsmith! Opera che scava a fondo il delicato tema della schiavitù e dei suoi principi, andando ad evidenziarne gli aspetti più crudeli ed ingiustificati per mezzo di una realtà tarantiniana fine a se stessa e pronta per essere liberata dalle proprie catene! Non alla pari dei Bastardi, ma senza dubbio GRANDE E SPIETATO è il western di Quentin Tarantino!
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ladygodiva
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sabato 19 gennaio 2013
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un western spaghetti come non lo avete mai visto
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Una sceneggiatura perfetta, come quelle che solo Tarantino sa scrivere, è la solida base di questo western tutto costruito su dei personaggi pensati ed interpretati meravigliosamente.Una pellicola che vuole riaprire il dibattito sullo schiavismo e sul razzismo nei confronti degli afro-americani attraverso un percorso mai visto prima , tutto proprio di Tarantino. Se avete visto ed amato “Bastardi senza gloria”, “Django Unchained” vi farà impazzire in quanto ne riprende molti aspetti.
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Una sceneggiatura perfetta, come quelle che solo Tarantino sa scrivere, è la solida base di questo western tutto costruito su dei personaggi pensati ed interpretati meravigliosamente.Una pellicola che vuole riaprire il dibattito sullo schiavismo e sul razzismo nei confronti degli afro-americani attraverso un percorso mai visto prima , tutto proprio di Tarantino. Se avete visto ed amato “Bastardi senza gloria”, “Django Unchained” vi farà impazzire in quanto ne riprende molti aspetti. Anche in questo caso il regista porta in scena una storia di vendetta e di rivalsa dei deboli e delle vittime; anche in questo caso per farlo utilizza la tagliente arma dell’ironia.
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blackdragon89
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domenica 27 gennaio 2013
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un tributo al western rivisitato da tarantino
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Il cacciatore di taglie Dr. King Schultz scova e libera lo schiavo nero Django, in quanto vecchia conoscenza dei fratelli Brittle che il tedesco sta cercando per incassarne la taglia. Tra i due così nasce e si consolida un rapporto di amicizia professionale, e quando Schultz scopre che la moglie di Django è tenuta serva di uno dei maggiori proprietari terrieri del Mississipi, decide di accompagnarlo nella ricerca, spinto da uno strambo ed innaturale senso di attaccamento e responsabilità.
Fan dichiarato del patrimonio storico di Sergio Leone, Tarantino offre al pubblico un omaggio alla sacra scuola western italiana, con tanto di riferimenti al celebre "Trinità", alla "Trilogia del Dollaro" e allo stesso "Django" di Sergio Corbucci.
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Il cacciatore di taglie Dr. King Schultz scova e libera lo schiavo nero Django, in quanto vecchia conoscenza dei fratelli Brittle che il tedesco sta cercando per incassarne la taglia. Tra i due così nasce e si consolida un rapporto di amicizia professionale, e quando Schultz scopre che la moglie di Django è tenuta serva di uno dei maggiori proprietari terrieri del Mississipi, decide di accompagnarlo nella ricerca, spinto da uno strambo ed innaturale senso di attaccamento e responsabilità.
Fan dichiarato del patrimonio storico di Sergio Leone, Tarantino offre al pubblico un omaggio alla sacra scuola western italiana, con tanto di riferimenti al celebre "Trinità", alla "Trilogia del Dollaro" e allo stesso "Django" di Sergio Corbucci. Si tratta in ogni caso di puri fanservice, che si limitano il più delle volte a colonne sonore, citazioni verbali e frequenti zoom-in tipici delle rappresentazioni anni '60; rispetto alle vecchie opere il lavoro di Tarantino presenta nuove tematiche, un nuovo soggetto e persino nuovi ritmi. Diciamocelo pure, di western l'opera ha ben poco, forse solo il background. A partire dalla struttura, il tutto si basa su un principio di forte sperimentazione che ha sempre caratterizzato il regista statunitense; il film sembra dividersi in tre filoni narrativi, giustificati dall'estesa durata e da andamenti per lo più altalenanti, e da picchi di climax che per la prima volta trovano luogo in più punti della stessa trama. Se per un amante del sano Action questa può dimostrarsi una valida intuizione, è anche vero che per chi conosce e ama Tarantino le meccaniche paiono fin troppo strane ed insolite, ed è altrettanto vero che, tolte le firme tipiche del suo stile (salti temporali, umorismo stilistico e sangue a fiotti), potrebbe anche svanire l'impressione di trovarsi davanti al discendente di "Reservoir Dogs", "Pulp Fiction" e "Kill Bill", marchi lontani dal progetto odierno per spontaneità, autenticità e freschezza.
In generale comunque, se estraniato dal contesto Tarantiniano, si tratta di un film superbo in quasi tutti gli aspetti: gli effetti scenici, il montaggio grafico e sonoro ed un sano umorismo d'autore trasportano il pubblico all'interno di un'avventura fuori dal comune, accompagnati da un cast eccelso e spettacolare, che non perde nemmeno in fase di doppiaggio. Certo è che mancano all'appello quei vecchi personaggi che ai tempi avevano fatto innamorare, quei Vincent Vega, Mr. Pink, Mr. Wolf, Beatrix Kiddo, persino Hans Landa e Aldo Raine, quei personaggi di cui è difficile dimenticarsi perchè esilaranti ed unici nel loro genere. Del resto si tratta pur sempre di un tributo al sacro western, e come tale non mancano i vecchi canoni, seppur rivisitati: un cacciatore di taglie, un protagonista spavaldo ed infallibile ed un proprietario terriero infimo e noncurante. Sotto queste premesse è comprensibile quanto arduo sia trovare un picco di originalità nella creazione delle figure, originalità che tuttavia era logico aspettarsi dal Re del Pulp.
In definitiva, la valutazione di "Django Unchained" si bipartisce in due strade differenti; da un lato il lavoro eccezionale, superbo e al passo con i tempi di un Action-Western sopra ogni aspettativa, che riesce come sempre a toccare temi delicati senza mai cadere nel drammatico; dall'altro l'eccessiva lontananza per struttura e sperimentazione dai capolavori passati, forse per la ricerca di nuovi spunti, o forse semplicemente per un crudo, misantropico e "vile" fan-market.
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matteo trovato
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venerdì 18 gennaio 2013
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l'estasi di django
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Il western che volevamo sì, ma anche molto, molto di più. Non manca davvero niente a Django Unchained!
Quello che si scopre in sala è un incredibile intreccio di stili e realtà, all'apparenza distanti, ma coniugati ed amalgamati alla perfezione, nell'ultima fatica di Tarantino.
Realtà e stili lontani, ad un primo sguardo, come lo sono senz'altro quelli dei due protagonisti: il "bounty killer" tanto pacato e sorridente, quanto letale, Dr. King Schultz, e lo scatenato Django del fantastico Jamie Foxx, scatenato in tutti i possibili sigificati del termine! È proprio in compagnia di questo duo strepitoso, che lo spettatore intraprende un viaggio senza precedenti, guidato dalle note di maestri come Morricone e Johnny Cash, con omaggi al genere dietro ogni angolo e cespuglio, alla scoperta dell'America del sud pre-guerra civile.
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Il western che volevamo sì, ma anche molto, molto di più. Non manca davvero niente a Django Unchained!
Quello che si scopre in sala è un incredibile intreccio di stili e realtà, all'apparenza distanti, ma coniugati ed amalgamati alla perfezione, nell'ultima fatica di Tarantino.
Realtà e stili lontani, ad un primo sguardo, come lo sono senz'altro quelli dei due protagonisti: il "bounty killer" tanto pacato e sorridente, quanto letale, Dr. King Schultz, e lo scatenato Django del fantastico Jamie Foxx, scatenato in tutti i possibili sigificati del termine! È proprio in compagnia di questo duo strepitoso, che lo spettatore intraprende un viaggio senza precedenti, guidato dalle note di maestri come Morricone e Johnny Cash, con omaggi al genere dietro ogni angolo e cespuglio, alla scoperta dell'America del sud pre-guerra civile. Si capisce sin dai primissimi minuti, grazie, per esempio, al carro alquanto bizzarro su cui si presenta Schultz, che l'intero film è destinato a restare, per tutta la sua durata, in bilico tra comicità e drammaticità, e Django Unchained si dimostra un "funambolo provetto". Le scene divertenti e dense di humor, che vedono per lo più protagonista il nostro Crhistoph Waltz, bilanciano infatti alla perfezione, quello che è il racconto nudo e crudo dell'epoca oscena e vergognosa dello schiavismo. Ad impersonare tutta la crudeltà possibile ed immaginabile, e ad indosare i panni del cattivo, è un insolito Leonardo Di Caprio, il quale ancora una volta non può che lasciarci a bocca aperta per la sua magnifica interpretazione da brividi.
Ma la missione intrapresa da Django per liberare la sua amata Broomhilda (la favolosa Kerry Washington), nasconde in realtà quella che si scopre essere la più classica delle battaglie, quella tra bene e male, combattuta dal nostro cavaliere "Sigfrido", contro quel "drago sputafuoco" che è il pregiudizio razziale.
La battaglia ovviamente, in perfetto stile tarantiniano, è senza la minima esclusione di colpi (..tutt'altro!), e la violenza non poteva che padroneggiare.
In fondo però, davanti ad una così grandiosa opera di Cinema, possiamo decisamente perdonare al regista qualche schizzo di sangue in più, anche perchè credo (e chi ha visto il film lo sa...!) che Quentin Tarantino abbia già pensato da solo a "punirsi" sufficientemente!
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