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Il cinema visto dai giovani

I giovani conoscono Luhrmann, ignorano Carné ma applaudono Laurel & Hardy.
di Pino Farinotti

Stranieri a Hollywood
Stan Laurel (Arthur Stanley Jefferson) 16 giugno 1890, Ulverston (Gran Bretagna) - 23 Febbraio 1965, Santa Monica (California - USA).

lunedì 9 febbraio 2009 - Focus

Stranieri a Hollywood
Nell'ambito del corso che tengo sull'estetica del cinema all'Accademia d'arte di Brera, ho avuto modo di 'testare' attitudini, cultura e memoria di una certa fascia giovanile. Si tratta di allievi già in partenza dotati. Spesso si tratta di talenti. Fanno parte di programmi di pittura, scultura, scenografia, videoarte, comunicazione, critica, organizzazione, didattica. Il corso di chiama "Da Weimar a Hollywood" e rileva l'enorme incidenza che ebbe la cultura tedesca sul cinema americano. A partire dagli anni venti fino al 'decisivo' '33 (avvento di Hitler), alcuni dei massimi artisti di lingua tedesca, molti viennesi, figli della cultura espressionista che dettava legge in Europa, varcarono l'Oceano e approdarono a Hollywood. I nomi sono strepitosi. Una selezione: von Stroheim, Lubitsch, Wilder, Wyler, Lang, Siodmak, Zinneman, maestri massimi, inventori di cinema. Com'è loro tradizione, gli americani accolsero curiosi, felici e rispettosi, tanta cultura. Misero quegli autori a proprio agio e cercarono di imparare da loro. L'essenza, la profondità, la verità, anche il rigore dolente soprattutto in chiave estetica, di quella corrente, furono mediati dalla cultura americana, anzi, hollywoodiana, che portava una cifra più spettacolare e una tangibile attitudine all'evasione. Portava storie col lieto fine. Molti autori americani cercarono di assumere quello stile forte e contrastato, luci e ombre che si stagliavano, facce che sembravano dipinti macabri (il Nosferatu di Murnau), insomma un esercizio di eccesso estremo che andava imbrigliato e guidato, col pericolo di ritrovarsi disperatamente nel grottesco e nell'iperbole.

Luci
Un gioco di luci drammatico, un'ombra che si proietta su soffitto e pareti decuplicando la massa della fonte dell'ombra stessa, poteva adattarsi a un'estetica tragica, ma qualche autore di cultura poco salda, sedotto dalla suggestione, applicava quegli eccessi magari a due ragazzi che si dicevano "ti amo" seduti a un fast food. Tuttavia i titoli firmati dai nomi detti sopra, cioè da gente che la mediazione sapeva farla, fanno parte del vertice assoluto del cinema, ne sono una sezione fondamentale della spina dorsale. Titoli, nei decenni, letteralmente sepolti di Oscar, oltre a tutto il resto. Come premessa, e come contrasto, a un discorso tanto serio e – me ne sono reso conto subito - sconosciuto, ho realizzato un montaggio di cinema... conosciuto. Aderendo alla somma di attitudini dei ragazzi ho accorpato una serie di sequenze di certi autori 'estetici' attuali, dediti a vari aspetti del visionario. Non poteva mancare una partenza con due monumenti ormai classici, le saghe di Harry Potter e del Signore degli anelli. A seguire: la fantasia anarchica senza briglie (Big Fish di Burton), invenzioni pittoriche come ricavate da un caleidoscopio (Mirrormask di McKean); un delirio imploso di colori che premono lo stomaco (Il labirinto del fauno di Del Toro); la grafica promiscua fra fumetto di classe e magia b/n (Sin City di Rodriguez); la sperimentazione legata alla velocità da spot (L'arte del sogno di Gondry); la grafica epica con richiami nobili figurativi (300 di Snyder); la frenesia che ferisce l'iride, le frustate musicali e i richiami di musica recente e lontana (Io non sono qui di Haynes e Moulin Rouge di Luhrmann). Tutto nella giurisdizione del computer. Dunque cinema congeniale a futuri creativi. E poi, indietro: la Germania e dintorni. Il primo motore non poteva che essere il Nosferatu di Murnau che ha determinato una scia infinita di ispirazioni. Uno degli studenti ne ha colta una, la più paradossale. Non conosceva Nosferatu ma ricordava una sua emanazione, Igor, il Marty Feldman dagli occhi indipendenti, nel Frankenstein Junior.

Altre culture
Non potevano mancare digressioni in altre culture, ispirate a quel movimento. Il cinema francese del Fronte Popolare rappresentato dal Porto delle nebbie. Contenuto ed estetica fondamentale, uno dei momenti più alti non solo del cinema, ma dell'arte generale del '900. Il porto di Brest nell'ombra, la nebbia che sale e scende, una taverna frequentata da avventizi che parlano come poeti. Magia della ditta Carné-Prévert. La Gran Bretagna secondo il genio di Laurence Olivier nell'Amleto: mediazione altissima, fra chiari e scuri estremi, fra cinema e teatro. L'opera delle opere, diretta dal massimo attore shakespeariano di sempre, premiata contemporaneamente, nel '48, con Oscar e Leone d'oro. E naturalmente Hitchcock: l'autore capace di creare codici perfetti come sfere, che decretano precedenti dai quali non si potrà prescindere. La sequenza è quella di Robert Donat che fugge sulle colline nei 39 scalini. Il nord col danese Dreyer che con La passione di Giovanna d'Arco riesce a rappresentare un processo, dunque 'parole', senza le parole – siamo nel '28, c'è ancora il muto -, semplicemente ricorrendo alla famosa 'espressione', di scene e di facce. In Russia comanda Ejzenstejn, e ne ha tutto il diritto. Il 'Potemkin', al di là delle note ironie, è un manifesto perfetto, con energia esclusiva, dei principi iniziali e ideali, poi disattesi, della rivoluzione: anche lì, contenuti ed 'espressione'. Per l'Italia la proposta è Ossessione di Visconti. La sua prima firma il regista la poneva su un capolavoro del cinema non solo italiano. Unisce tre culture, italiana, francese e americana. Visconti veniva dalla collaborazione col grande Jean Renoir e trasponeva un romanzo di James Cain che faceva testo, con un'estetica che a sua volta faceva testo: il road italiano, il Po, le piazze e la gente.

New Deal
L'indicazione americana è tutta di giganti. Welles, con Quarto potere, che assume la cultura espressionista secondo la sua anarchia, riuscendo a trasformare errori –luci, ombre e inquadrature 'impossibili'- in regole che faranno testo. John Ford, con Ombre rosse attribuisce nobiltà di contenuto e di forma a un genere minore, il western. E poi il cinema del New Deal, la proposta positiva indotta dal presidente Roosevelt nel momento di massima difficoltà, non solo economica, degli Usa negli anni trenta. L'eroe è Frank Capra il titolo è La vita è meravigliosa, la sequenza è quella di James Stewart che viene salvato dalla gente della sua città che gli porta i propri risparmi. Walt Disney con Biancaneve e i 7 nani porta un esempio indimenticabile: i nani trovano diamanti, (già tagliati) grossi come mele, in sostanza sono i più ricchi e vivono come i più poveri. La differenza fra avere ed essere, e la speranza che i tempi difficili finiranno, perché l'America e la sua gente, e il Presidente, li faranno finire. William Wyler affrontava un altro tema decisivo col suo I migliori anni della nostra vita: i reduci. Alcuni milioni di giovani erano stati lontani quattro anni e tornavano, e reintegrarsi non era facile. La sequenza propone Fredric March che ritrova moglie e figli nel più bel ritorno raccontato dal cinema. De Mille (Gli invincibili) è il trionfo della finzione, tutto fasullo, tutto in studio. Costumi troppo stirati, modelli troppo belli, cielo troppo azzurro e foreste troppo verdi. È comunque grande cinema.
Procedendo nella visione e nella spiegazione mi rendevo conto di come tutti questi maestri cadessero nel vuoto. Qualcuno aveva sentito nominare Welles, quasi tutti naturalmente conoscevano Disney, ma quello recente, della Sirenetta e di Aladdin. Tuttavia quei momenti di cinema, esemplari e decisivi, pochi purtroppo e certamente selezionati con arbitrio, una volta illustrati e messi nei contesti stavano lasciando il segno. Cominciavano a venire intesi come tesori nascosti. E gli allievi prendevano appunti, trascrivevano i titoli. Credo che cercheranno quei film, e altri di quella natura, e li vedranno. E certamente ne avranno benefici. L'ultima sequenza era di Laurel&Hardy ne Gli allegri Scozzesi, dove i due, in kilt, al ritmo di una marcetta, raccolgono, ballando, la spazzatura in un cassonetto. Uno con quelle gambone, l'altro con quelle gambette. I ragazzi ridevano alle lacrime. E alla fine è esploso l'applauso. Certo erano incappati in Stanlio e Ollio nel piccolo schermo, cambiando immediatamente canale. Ma non li conoscevano, non sapevano che loro sono il cinema, ne incarnano la prima opzione, che è, appunto, l'evasione. Fatta di nulla, di due corpi ridicoli, di due facce ridicole, ma di una chimica e di una grazia incomprensibili: ti divertono come allora, 1935. Il cinema non comincia con Pulp Fiction. La letteratura non è solo Saviano, Giordano, Foster Wallace o Carver. Hanno scritto anche... l'Odissea.

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