3 dicembre 1966. Per dodici ore, a porte chiuse nel salotto dell'appartamento in cui vive all'ultimo piano nel leggendario Chelsea Hotel di New York, l'attore di cabaret afroamericano Jason Holliday si racconta alla macchina da presa, descrivendo, in modo istrionico ed esuberante, la sua incredibile vita. A pungolarlo, per spingerlo a confessare i numerosi peccati di cui è stato colpevole, in un gioco di domanda e risposta dal sapore spesso sadico e provocatorio, la regista Shirley Clarke e il suo compagno Carl Lee: ne emerge il ritratto di un personaggio sui generis, che si trova a vivere quotidianamente sulla propria pelle le problematiche di chi è nero e gay nell'America, puritana e razzista, del secondo dopoguerra.