Un dramma agrodolce e gentile che riflette sulla maternità surrogata. Con il mattatore Fabrice Luchini. Drammatico, Francia2023. Durata 93 Minuti. Consigli per la visione: Ragazzi +13
Un padre in lutto per suo figlio forma un legame improbabile con la futura madre surrogata del suo futuro nipote. Espandi ▽
L'ultrasessantenne Joseph, vedovo restauratore di mobili antichi di Bordeaux, riceve la notizia della morte del figlio Emmanuel, rimasto ucciso in un incidente aereo con il compagno Joaquim. Joseph elabora il dolore dedicandosi anima e corpo a una missione: rintracciare la ragazza che aveva accettato di prestare il proprio utero alla coppia e generare un figlio con lo sperma di Emmanuel. Si chiama Rita, ha 26 anni, è madre di una bambina di nove anni e non ha un soldo. In grembo porta un'altra bambina, la figlia di Emmanuel, che per Joseph diventa la sola ragione di vita: come impedire dunque che Rita la dia in adozione?
Fabrice Luchini è il mattatore di un dramma gentile e pacificato, in cui la questione eticamente spinosa della maternità surrogata viene affrontata dalla prospettiva altrettanto complessa di un uomo in lutto.
Dopo l'incontro con Rita, che avviene verso la metà e sposta l'ambientazione del film da un ambiente borghese a uno proletario, il film segue una via più scontata, inevitabilmente agrodolce, verso una conclusione pacificata, che però, a pensarci bene, è ciò che il tenace Joseph e la rude ma amorevole Rita in fondo meritano. Recensione ❯
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Una scrittrice è in viaggio in Giappone. Cercherà di lasciarsi andare ma il fantasma del defunto marito è sempre presente. Espandi ▽
La casa di Sidonie, scrittrice francese, è vuota da quando il marito è morto tragicamente in un incidente. La donna la lascia quindi temporaneamente, cogliendo l’occasione di un viaggio in Giappone per degli impegni promozionali con l’editore che sta curando una riedizione del suo primo romanzo. All’arrivo, quest’ultimo la attende in prima persona, per accompagnarla in un esplorazione in varie tappe attraverso le meraviglie del paesaggio nipponico. Nella terza regia di Élise Girard c’è una classica associazione tra un viaggio letterale e uno interiore, che mescola dolore e ricordo con lo stupore inconsueto della negoziazione con un luogo che non ci appartiene. Nelle mani della regista c’è una materia narrativa esilissima, perfino ovvia, ma è una carta velina indispensabile per congiungersi al suo tocco lieve, che accarezza malinconia e un sottile filone di surreale brillantezza. È un cinema minimalista, elegante, adulto ma con un cuore leggero. Recensione ❯
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Bertolucci rilegge i prodromi del '68 attraverso un film invaso da arte, cinefilia e liberazione sessuale. Drammatico, Italia, Gran Bretagna, Francia2003. Durata 130 Minuti. Consigli per la visione: Ragazzi +13
Struggente e sensuale ritratto di giovinezza cinefila firmato da Bernardo Bertolucci. Espandi ▽
Parigi 1968. Il giovane Matthew, appassionato di cinema, incontra, durante una manifestazione in difesa del direttore della Cinematheque, un fratello e una sorella gemelli (Theo e Isabelle) che, approfittando dell'assenza dei genitori lo fanno entrare a far parte della loro intimità in cui il cinema gioca un ruolo importante. Bertolucci propone una sua lettura dei prodromi del maggio '68 in cui la cinefilia e la liberazione sessuale invadono lo schermo. Rivedere a distanza di molti anni questo film porta a considerazioni diverse rispetto all'epoca della sua uscita nelle sale. Nel 1974 Gaber questi versi "Nelle case non c'è niente di buono/quando la porta si chiude dietro un uomo" per poi concludere che "C'è solo la strada su cui puoi contare/La strada è l'unica salvezza./C'è solo la voglia e il bisogno di uscire di esporsi nella strada e nella piazza./Perché il giudizio universale/non passa per le case./In casa non si sentono le trombe./In casa ti allontani dalla vita/dalla lotta, dal dolore,dalle bombe". The Dreamers si presenta come la trasposizione cinematografica di questi versi. Solo che i protagonisti, in una sorta di compressione a scatole cinesi, che però loro leggono come segno di assoluta liberazione, di case ne hanno due. Recensione ❯
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La straordinaria storia vera di Trudy Ederle, la prima donna ad aver attraversato a nuoto il canale della Manica. Espandi ▽
New York, 1914. Gertrude detta Trudy Ederle, figlia di immigrati tedeschi, viene colpita dal morbillo e i medici la danno per spacciata. Ma superata la malattia, insieme alla sorella maggiore Meg, sua ispiratrice e poi principale sostenitrice, diventerà un asso del nuoto e, staccando Meg, una campionessa regionale, nazionale e poi olimpica - anche se alle Olimpiadi di Parigi del 1924 vincerà "solo" un bronzo perché il suo allenatore, Jabez Wolffe, non aveva fatto allenare lei e le sue compagne nelle settimane precedenti alle gare per non disturbare gli atleti maschi. Ma la vera sfida arriverà quando Trudy deciderà di attraversare a nuoto il Canale della Manica: un'impresa riuscita solo a un pugno di atleti - e tutti uomini.
La ragazza del mare è basato sulla vera storia di Trudy Eberle, ma è strutturato secondo le regole della drammaturgia classica, e con l'obiettivo di dimostrare che le donne possono compiere imprese considerate (soprattutto a loro) inaccessibili.
Il film è un lavoro di squadra fra eccellenze artistiche; è il racconto di un'impresa sportiva e di un'affermazione femminile di ispirazione, strutturalmente convenzionale ma compatto, coerente e dotato di un coinvolgente crescendo emotivo, che ha al centro i temi della solidarietà (anche attraverso i generi) e della fiducia reciproca. Recensione ❯
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La serie evento RAI in quattro puntate tratta da uno dei romanzi senza tempo e più popolari di sempre della letteratura francese, diretta dal visionario regista danese Bille August. Espandi ▽
Marsiglia, 1815. Bonaparte è confinato all'Elba e gli anti-monarchici sono ricercati come spie e traditori. Edmond Dantès è un giovane marinaio della nave Pharaon quando, durante una tempesta, il capitano morente gli affida il comando dell'imbarcazione e una lettera confidenziale da consegnare a Parigi. Grazie alla sua guida coraggiosa, il Pharaon giunge sano e salvo a Marsiglia. Al suo arrivo, Dantès riceve la gratitudine dell'armatore Morrel per l'impresa e ritrova i suoi affetti più cari: l'amata Mercédès e il vecchio padre. Tuttavia, il suo successo suscita le invidie di Danglars, che ambiva alla promozione da scrivano di bordo a capitano, e di Fernand, innamorato di Mercédès.
I due complottano per sbarazzarsi di Dantès, che viene accusato ingiustamente e imprigionato nelle segrete del Castello d'If, al largo di Marsiglia. L'incontro con l'abate Faria, suo vicino di cella, cambierà il destino di Dantès, permettendogli di evadere e di diventare il misterioso conte di Montecristo. Con ogni mezzo a sua disposizione, metterà in atto la vendetta ambita e pianificata nei suoi quindici anni di prigionia.
La serie si distingue per un proprio stile e una propria identità narrativa, con scelte che non sempre aderiscono fedelmente al romanzo, suscitando alcune critiche da parte del pubblico, che tuttavia ha premiato l’adattamento con un grande seguito. La regia attenta di Bille August conferisce alla narrazione un ritmo lento e cadenzato, senza però mai far calare l’interesse dello spettatore. Recensione ❯
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Una coppia di poveri taglialegna e un dono prezioso. Una neonata sfuggita all'olocausto. Espandi ▽
Il Povero Taglialegna e la Povera Taglialegna avevano perso un figlio e non potevano più averne. Fino al giorno in cui la donna, pregando il Dio del treno che passava attraverso i campi, trovò nella neve una neonata avvolta in un telo intessuto anche con fili d’oro. Era la più preziosa delle merci di quel convoglio: gettata fuori dal padre affinché si salvasse. Il film di Hazanavicius (nato in una famiglia ebraica ashkenazita di origini polacche e lituane) grazie a una grafica molto delicata, su cui volutamente contrastano le figure degli esseri umani tutte contornate con evidenza, viene proposto al Festival di Cannes in un momento estremamente delicato della storia del popolo d’Israele ma proprio per questo assume più valore. Ci ricorda cioè come ognuno possa finire con l’essere assalito dal tarlo del razzismo e come nessuno possa pensarsene totalmente esente. Recensione ❯
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In un mondo inospitale, una ginecologa pratica in maniera inflessibile il suo lavoro, facendo nascere bambini o praticamente aborti illegali. Espandi ▽
Ostetrica e ginecologa in un ospedale della Georgia, la cinquantenne Nina viene messa sotto inchiesta dopo la morte di un neonato subito dopo il parto di una giovane donna. In attesa dell’esito dell’inchiesta, Nina non interrompe la sua missione ma aiuta una povera donna sordomuta forse violentata, consapevole del pericolo non solo professionale che corre. April non è un film facile, nemmeno vuole esserlo: le inquadrature di Dea Kulumbegashvili sono spoglie e fisse; il ritmo del montaggio è piano e dilatato; i dialoghi sono artificiosamente laconici ed estenuanti; le azioni sono mostrate nella loro nettezza ed evidenza. Se la messinscena di Kulumbegashvili rimanda in modo fin troppo evidente al cinema d’autore europeo, la sua rappresentazione del rapporto fra femminilità e mondo è unica e potentissima. Recensione ❯
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La prima serie incentrata sull'enigmatico e visionario stilista Karl Lagerfeld. Espandi ▽
Durante gli anni '70 a Parigi, il leggendario stilista tedesco Karl Lagerfeld attraversa un percorso che lo porta da designer freelance a icona, tra le complessità del mondo della moda e le dinamiche personali con Jacques de Bascher e Yves Saint Laurent. La serie si focalizza sulla rivalità tra Lagerfeld e quest'ultimo, intrecciata con il rapporto casto e tumultuoso con de Bascher, offrendo uno sguardo intimo alle ambizioni, alle passioni e ai conflitti che hanno plasmato la sua carriera e la sua vita personale.
Becoming Karl Lagerfeld accende i riflettori su uno dei giganti più enigmatici della moda del ventesimo secolo. La vera stella di questa narrazione è Jacques de Bascher, appunto, un socialité che con la sua magnetica presenza e il suo spirito autodistruttivo cattura l'attenzione tanto quanto, se non più di Lagerfeld stesso. Ottima la dinamica tra i due e perfetta l'interpretazione di Daniel Brühl.
La serie riesce a catturare proprio questa essenza, sia del personaggio che di un'epoca di eccessi e rivoluzione. Se Lagerfeld è il controllore metodico, de Bascher rappresenta l'impulso caotico e libero di quel decennio, una dicotomia che riflette la natura stessa della moda, a metà strada tra mercato e arte, tra individualismo e conformismo. Recensione ❯
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Tutta la leggerezza e la stravaganza di Dupieux per una commedia drammatica con quattro attori che fanno miracoli. Commedia, Francia2024. Durata 76 Minuti.
Quattro attori si trovano a riflettere sul loro mestiere e i problemi che affliggono oggi il cinema. Espandi ▽
Quentin Dupieux con Le deuxième acte trasforma il processo del ‘film nel film’ in una commedia drammatica per quattro attori che ‘suonano’ adagio, andante e allegro. Un film loquace, una serie di conversazioni che si compiacciono del loro tour de force: la lunghezza dei binari del dolly che accompagna l’avanzare dei personaggi su strade che sembrano più piste di decollo. L’interminabile carrellata che chiude il film parla da sola dell’ossessione dell’autore: privilegiare la singolarità poetica al discorso morale. Léa Seydoux, Vincent Lindon e Louis Garrel, diretti per la prima volta, prendono il potere, volgendo un materiale reazionario in un irresistibile gioiello comico. Le deuxième acte si tuffa a capofitto nell’espressione di un malessere, tra la pressione della cancel culture, del #MeToo e dell’IA. Quentin Dupieux affonda il colpo in quello che rimane il mistero più seducente e più essenziale del processo cinematografico: il modo in cui una storia diventa corpo, per davvero o per finta. Recensione ❯
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Un film-saggio che si interroga sulle radici del conflitto israelo-palestinese e che aiuta a leggere il presente. Documentario, Israele, Francia, Svizzera, Italia2024. Durata 90 Minuti.
Il regista parte da un dialogo tra Einstein e Freud per indagare il senso della guerra. Espandi ▽
Nel 1931 la Società delle Nazioni, fondata all'indomani della Prima guerra mondiale per scongiurare lo scoppio di nuovi conflitti, chiese ad alcuni intellettuali di corrispondere con altri colleghi. Albert Einstein scelse Sigmund Freud e gli pose la domanda delle domande: "esiste un modo per liberare gli uomini dalla minaccia della guerra?".
Nel quesito era ovviamente già insita la consapevolezza del fatto che nella Storia un ristretto numero di individui, dietro la spinta dei propri interessi personali, riesce inevitabilmente e ciclicamente a trascinare le masse verso la distruzione. Con conseguenze nefaste, che compromettono ogni futuro di pace. Nella risposta, la conoscenza degli istinti irreprimibili umani, già esplorata in "Il disagio della civiltà". Di un'incapacità di rinunciare alle pulsioni.
Amos Gitai, architetto di Haifa e prolifico documentarista autodidatta che dai primi anni Ottanta si interroga coi suoi film sulle radici del conflitto israelo-palestinese, riparte da quel testo ("Perché la guerra?", pubblicato all'inizio degli anni Trenta, da noi da Bollati Boringhieri) per rimetterlo in scena e rilanciare il senso di quel confronto tra eccelse menti del Novecento. Se l'effetto di accumulazione degli spunti è palese e grava sulla bontà dell'intento, resta la preziosa riscoperta di un testo che interroga e aiuta a leggere con esattezza il contemporaneo. Recensione ❯
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Una grande avventura cinematografica tra l'autoritratto biografico e il saggio sociologico. Una meditazione incandescente. Drammatico, Francia2024. Durata 88 Minuti.
Regista francese maggiore, cinefilo erudito, grande autore a cavallo tra il XX e il XXI secolo, Arnaud Desplechin celebra già dal titolo una qualità che rivendica come indiscutibile e fondamentale: quella di essere uno spettatore. Come Truffaut si permette il lusso di mostrare il suo “io” sullo schermo e dicendo “chi sono” ci fa capire meglio “chi siamo”. Con Spectateurs! Desplechin ritorna alle origini della sua ispirazione, ci innamora e ci incolla alla poltrona di velluto rosso attraverso un percorso cinefilo e un torrente di immagini. Posseduto, dotto, generoso, disegna un film personale e lineare da qualche parte tra l’autoritratto biografico e il saggio sociologico. Ma Spectateurs! è tante altre cose e tutte convergono verso una sola: la dichiarazione d’amore. Il cinema per vivere meglio e re-incantare il mondo. La piccola storia di uno spettatore e la grande Storia del cinema sedute accanto, in quel luogo singolare, definito dall’esperienza condivisa della sala, del grande schermo, della comunità precipitata nel buio e illuminata soltanto da un raggio di luce. Recensione ❯
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La pandemia è agli inizi. Una coppia di fratelli, Etienne e Paul, si rifugia nella casa di campagna dei genitori per isolarsi assieme alle rispettive compagne. Espandi ▽
Nell'aprile 2020, la pandemia è ancora agli inizi e la Francia è in lockdown. Una coppia di fratelli, Etienne e Paul, si rifugia nella casa di campagna dei genitori per isolarsi assieme alle rispettive compagne, Carole e Morgane. Insieme cucinano, fanno lunghe passeggiate e bisticciano sui protocolli di sicurezza e sullo shopping online. Soprattutto Paul, regista di cinema, vive con grande intensità il rapporto con la casa e con il ricordo dell'infanzia, in un ambiente che è sospeso nel tempo come all'epoca di quando era ragazzo.
Il film è una piacevole commedia autobiografica che da un lato cattura bene tutti i riti collettivi e le paure di quei primi mesi di pandemia. Dall'altro, rimanendo pur sempre il parto di una mente raffinata come Assayas, il film sembra ossessionato dalla permanenza visiva dei luoghi, dalla pittura figurativa e la sua capacità di imprimersi su un paesaggio meglio ancora di quanto possa fare il cinema.
Hors du temps è anche una rivisitazione di L'heure d'été, una delle sue opere più riuscite. Stavolta il canale aperto col suo trascorso personale è più limpido e anche più pacato, perfino inconsistente, in un film-curiosità che sarà imprescindibile per i fan del regista ma forse fuori tempo per tutti gli altri. E, senza dubbio, Assayas di questo sarà contento. Recensione ❯
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Loznitsa crea un mosaico di situazioni che, una volta messe a fuoco complessivamente, ci offrono un ritratto inedito della situazione in Ucraina. Documentario, Ucraina, Paesi Bassi, Francia, USA2024. Durata 145 Minuti.
Due anni di guerra in Ucraina raccontati attraverso le vite di uomini, donne e bambini. Espandi ▽
A partire dai funerali di alcuni soldati morti nella guerra di resistenza contro la Russia si snoda una serie di episodi che vanno da un matrimonio a battesimi di adulti nell’acqua ghiacciata fino a una lezione in una scuola elementare con l’incubo dell’allarme bombardamenti.
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Con l’impegno produttivo di piccole troupe che, nel corso di due anni a partire dal febbraio 2022, si sono recate in diversi luoghi del territorio ucraino, il regista ha assemblato tessere di durata abbastanza simile l’una con l’altra perché alla fine ci venisse offerto un mosaico originale di un popolo in guerra. Ciò che emerge (ma ce lo aveva detto già con Maidan è la realtà di uomini e donne ben lontani dall’etichetta di ‘nazisti’ che il Cremlino di Putin cerca di applicare loro. Recensione ❯
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La vita di una giovane dalla profonda fede viene sconvolta da un incontro casuale. Espandi ▽
In una città del nord della Normandia, l’orfana Joy vive fin da bambina nella chiesa locale. Joy è molto devota quando però nella chiesa entra Andriy, un giovane malmenato dalla polizia, qualcosa in Joy cambia.
Un racconto di formazione atipico, ambientato negli spazi asettici di una città popolata da individui soli e disperati, in cui lo scontro tra la protagonista e il mondo assume una valenza astratta e spirituale.Un film sulla grazia, sulla duplice attrazione verso il bene e verso il male, in cui l’assenza di una risposta di fronte all’invocazione della preghiera sfocia in un desiderio di carnalità e soprattutto di perdizione. Selon Joy, cioè il “Vangelo secondo Joy”, non nasconde le sue ambizioni spirituali anche a costo di sfociare, consapevolmente o meno, nel kitsch. Recensione ❯
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I materiali d'archivio si trasformano in resistenza militante in quest'opera sulla storia della Palestina. Documentario, Germania, Brasile, Francia, Qatar2024. Durata 78 Minuti.
Documentario e tecniche sperimentali si fondono per raccontare l'invasione di Beirut nell'estate del 1982 quando il Palestinian Research Centre è stato reso al suolo. Espandi ▽
A seguito dell’invasione del Libano nel 1982, l’esercito israeliano sequestra dei documenti dagli uffici del Palestine Research Center a Beirut, rendendo inaccessibili delle importanti testimonianze – testi e immagini – sulla vita nei territori palestinesi dei cinquant’anni precedenti. Attraverso il recupero di materiali d’archivio, Kamal Aljafari organizza cronologicamente frammenti storici presentando una visione della Palestina e dei suoi abitanti che altrimenti resterebbe nascosta. Non è facile per un film “di montaggio” essere attivamente militante e sovversivo, ma il regista palestinese Kamal Aljafari riesce nell’impresa assemblando un puzzle visivamente eterogeneo, che tocca registri del documentario ma anche di cinema sperimentale. Il tutto dando un importante segnale dell’esistenza storica e radicata della sua patria. Un segnale che non è significativo solo per ciò che rivela ma anche per l’orgoglio insito nell’atto del disvelamento. La sua firma più stridente è un tratto rosso vivo che va ad annotare le immagini, a rimuovere titoli e didascalie, o a coprire volti di attori in produzioni israeliane di finzione. Resistenza che si fa grido di dolore, fino a riempire di questo inserto sanguinoso le fibre stesse della pellicola. Recensione ❯
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