Anno | 2024 |
Genere | Documentario |
Produzione | Germania, Brasile, Francia, Qatar |
Durata | 78 minuti |
Regia di | Kamal Aljafari |
Tag | Da vedere 2024 |
MYmonetro | Valutazione: 4,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento martedì 18 giugno 2024
Documentario e tecniche sperimentali si fondono per raccontare l'invasione di Beirut nell'estate del 1982 quando il Palestinian Research Centre è stato reso al suolo.
ASSOLUTAMENTE SÌ
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A seguito dell'invasione del Libano nel 1982, l'esercito israeliano sequestra dei documenti dagli uffici del Palestine Research Center a Beirut, rendendo inaccessibili delle importanti testimonianze - testi e immagini - sulla vita nei territori palestinesi dei cinquant'anni precedenti. Attraverso il recupero di materiali d'archivio, Kamal Aljafari organizza cronologicamente frammenti storici presentando una visione della Palestina e dei suoi abitanti che altrimenti resterebbe nascosta.
Non è facile per un film "di montaggio" essere attivamente militante e sovversivo, ma il regista palestinese Kamal Aljafari riesce nell'impresa assemblando un puzzle visivamente eterogeneo, che tocca registri del documentario ma anche di cinema sperimentale. Il tutto dando un importante segnale dell'esistenza storica e radicata della sua patria.
Un segnale che non è significativo solo per ciò che rivela - angherie, soprusi, così come momenti rubati e clandestini, più sereni, in cui Aljafari cerca individui in secondo piano per dar loro il risalto che il filmato negava - ma anche per l'orgoglio insito nell'atto del disvelamento. La sua firma più stridente è un tratto rosso vivo che va ad annotare le immagini, a rimuovere titoli e didascalie, o a coprire volti di attori in produzioni israeliane di finzione. Resistenza che si fa grido di dolore, fino a riempire di questo inserto sanguinoso le fibre stesse della pellicola. Se la resistenza all'occupazione israeliana passa anche dalla frontiera delle immagini, Aljafari di certo fa la sua parte, avendo già firmato opere dallo spirito simile come Recollection e Paradiso XXXI, 108: la parola d'ordine è riappropriarsi di ciò che è già filmato, cambiare il senso di un'immagine ri-contestualizzandola.
È facile trovarsi disorientati tra i vari frammenti, con l'ineluttabilità storica a fare da guida (si va dal periodo del mandato britannico alla Nakba e poi alla guerra che si fa tristemente recente, dalla curiosità antropologica all'orrore più diretto), ma al tempo stesso è inquietante la ciclicità e la familiarità di testimonianze video che sembrano uscite dalla memoria del contemporaneo. Un insieme struggente e prevedibile, che chiama lo spettatore a farsi parte di un'attività di scansione attiva dell'immagine; andando a cercare, come fa Aljafari, cosa si cela ai margini dell'inquadratura.
A seguito dell’invasione del Libano nel 1982, l’esercito israeliano sequestra dei documenti dagli uffici del Palestine Research Center a Beirut, rendendo inaccessibili delle importanti testimonianze – testi e immagini – sulla vita nei territori palestinesi dei cinquant’anni precedenti. Attraverso il recupero di materiali d’archivio, Kamal Aljafari organizza cronologicamente frammenti storici presentando una visione della Palestina e dei suoi abitanti che altrimenti resterebbe nascosta.
Non è facile per un film “di montaggio” essere attivamente militante e sovversivo, ma il regista palestinese Kamal Aljafari riesce nell’impresa assemblando un puzzle visivamente eterogeneo, che tocca registri del documentario ma anche di cinema sperimentale. Il tutto dando un importante segnale dell’esistenza storica e radicata della sua patria. Un segnale che non è significativo solo per ciò che rivela ma anche per l’orgoglio insito nell’atto del disvelamento. La sua firma più stridente è un tratto rosso vivo che va ad annotare le immagini, a rimuovere titoli e didascalie, o a coprire volti di attori in produzioni israeliane di finzione. Resistenza che si fa grido di dolore, fino a riempire di questo inserto sanguinoso le fibre stesse della pellicola.