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Joaquin Phoenix incontra Ari Aster, era solo questione di tempo

La marcata instabilità emotiva dei suoi personaggi doveva presto o tardi incontrare il cinema di Aster, nuovo maestro del cinema horror contemporaneo. Il risultato è per forza di cose sconvolgente, eccessivo, senza limiti. È un film - Beau ha paura - che somiglia tanto, tantissimo, al suo protagonista. Al cinema.
di Marzia Gandolfi

Joaquin Phoenix (Joaquin Raphael Phoenix) (49 anni) 28 ottobre 1974, San Juan (Portorico - USA) - Scorpione. Interpreta Beau Wassermann nel film di Ari Aster Beau ha paura.
sabato 29 aprile 2023 - Focus

Non è nuovo Joaquin Phoenix ai personaggi borderline. Veterano spezzato dalla guerra del Pacifico in The Master, che l’attore interpreta esattamente come avrebbero fatto Paul Newman o Montgomery Clift negli anni Cinquanta, o imperatore corrotto e megalomane ne Il gladiatore, silhouette melanconica e invaghita della voce di Scarlett Johansson in Her o lupo affamato e armato di martello in A Beautiful Day, e ancora, albatro sul boardwalk di Brighton Beach e tra due donne che gli restituiscono il desiderio del volo in Two Lovers o nemico giurato di Batman dietro il sorriso slabbrato in Joker, è un attore della dismisura. 

La marcata instabilità emotiva dei suoi personaggi doveva presto o tardi incontrare Ari Aster. Nuovo maestro del cinema horror contemporaneo e faro di quel movimento informale che viene definito (im)propriamente elevated horror, ha rivisitato il concetto tradizionale di ‘casa infestata’ (Hereditary - Le radici del male) e rigenerato i codici del folk horror (Midsommar – Il villaggio dei dannati). 

A questo giro non è soltanto questione di orrore ma è ancora una volta questione di madre, di irruzione del male(ssere) all’interno del modello familiare. Beau ha paura di sua madre, spettro che aleggia sulla sua vita fin dalla tenera infanzia, fin dalla sua nascita…

Con Beau ha paura, Ari Aster si sposta percettibilmente dal genere che lo ha reso celebre, o più correttamente lo diffrange in tre ore, o quasi, di odissea edipica delirante. Quattro segmenti incorniciati da due scene memorabili che finiscono per corrispondersi tra dimensione kafkiana e cedimento distopico, quattro atti che coincidono con altrettanti luoghi e una forma spiccatamente teatrale in cui il racconto intimo si schianta contro l’affresco epico. Una ramanzina della mamma come in un film di Xavier Dolan ma con lo stile di David Lean, quello di Lawrence d’Arabia non di Breve incontro


Joaquin Phoenix in una scena del film Beau ha paura di Ari Aster.

Incarnato da Joaquin Phoenix, pienamente investito nel ruolo, Beau debutta in un piano frontale e privo di profondità di campo. Il suo eroe è gravato, piccolo nella composizione e in faccia al medico che lo domina in primo piano. Comprendiamo presto: Beau è un adulto ma è anche un bambino. A quarantacinque anni è ancora vergine ma provvisto di un ‘potere’ eccezionale, lontano dall’essere dettaglio unico e sconcertante del film. ‘Dotato’ e instabile, Beau è afflitto dalle ansie e da una madre che lo paralizza sul lettino dello strizzacervelli. Una lunga serie di circostanze lo condurranno in un viaggio al centro di se stesso, risalendo fino all’origine della sua inquietudine. 

A immagine del film, il suo attore non ripiega davanti a nessun eccesso ‘caricando’ il suo personaggio ma restando curiosamente sobrio. Del resto c’è del Marlon Brando in Phoenix, c’è una forza quieta, un pathos tenace che traspira dal corpo e che sembra condensarsi in quella eclatante cicatrice che risale come una virgola dalle labbra fino al naso. 

Phoenix è ancora una volta un blocco di energia da canalizzare, un corpo spezzato che cerca la via per ricondursi a ‘casa’, spingendo tutti i cursori verso il rosso. Eroe di un grande spettacolo che si gioca tutto nella sua testa, Beau è una fuga in avanti e dentro un pigiama grigio perla. La seduzione cinegenica dell’attore agisce sul film come una malia, che deforma il mondo intorno al suo protagonista mentre apparecchia la sua emancipazione. 


Joaquin Phoenix in una scena del film Beau ha paura di Ari Aster.

Re del trip, Joaquin Phoenix oppone all’afflizione il suo volto segnato da un marchio di fabbrica e trasfigura le angosce esistenziali che ci abitano. Dopo l’allucinato clown del caos, l’attore ripete il colpo e ci stupisce daccapo, rilanciando l’instabilità di un mondo in perpetua mutazione. Un mondo in cui abbiamo il permesso di ridere, il principio del film ha effettivamente l’energia assurda e senza limiti di un cartone animato, prima di venire stremati da una tensione ansiogena. 

Con occhi perennemente spalancati assistiamo a un film che cambia pelle e direzione, volgendo l’agitazione primaria in una rassegnazione malinconica, che assomiglia tanto al suo attore. Un terrificante rompicapo la cui soluzione ci sfugge sempre. Phoenix ‘gioca’ come un bambino, come il sognatore che prova a risvegliarsi, cullando dietro agli occhi una disperazione segreta. 


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