Titolo originale | Shoplifters |
Anno | 2018 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Giappone |
Durata | 121 minuti |
Regia di | Kore'eda Hirokazu |
Attori | Lily Franky, Sakura Andô, Mayu Matsuoka, Kirin Kiki, Jyo Kairi, Miyu Sasaki, Kengo Kora Chizuru Ikewaki, Naoto Ogata, Sôsuke Ikematsu, Yôko Moriguchi, Moemi Katayama, Yuki Yamada, Akira Emoto. |
Uscita | giovedì 13 settembre 2018 |
Tag | Da vedere 2018 |
Distribuzione | Bim Distribuzione |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 4,07 su 22 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 15 aprile 2020
La famiglia, per definizione, non si sceglie. O forse la vera famiglia è proprio quella che si ha la rara facoltà di scegliere. Il film ha ottenuto 1 candidatura a Premi Oscar, Il film è stato premiato al Festival di Cannes, 1 candidatura a Golden Globes, 1 candidatura a BAFTA, ha vinto un premio ai Cesar, 1 candidatura a Critics Choice Award, 1 candidatura a Spirit Awards, In Italia al Box Office Un affare di famiglia ha incassato 1,3 milioni di euro .
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In un umile appartamento vive una piccola comunità di persone, che sembra unita da legami di parentela. Così non è, nonostante la presenza di una "nonna" e di una coppia, formata dall'operaio edile Osamu e da Nobuyo, dipendente di una lavanderia. Quando Osamu trova per strada una bambina che sembra abbandonata dai genitori, decide di accoglierla in casa.
La famiglia, per definizione, non si sceglie. O forse la vera famiglia è proprio quella che si ha la rara facoltà di scegliere. Libero arbitrio parentale: un tema niente affatto nuovo nel cinema di Kore-eda Hirokazu, dallo scambio di figli di Father and Son alla sorellanza estesa di Little Sister.
Ma Un affare di famiglia percorre solo in apparenza binari antichi, nascondendo una differente declinazione della materia, che guarda al sociale come l'autore non faceva dai tempi di Nessuno lo sa. In un'opera brutalmente separata in due atti, che lavora molto sul dialogo con lo spettatore. Il primo segmento sembra esaudire appieno le aspettative di quest'ultimo, introducendolo a un gruppo di ladruncoli che, per interesse prima e per affetto poi, si ritrova a festeggiare un colpo, simulando di avere dei rapporti effettivi di parentela. Tutto sembra procedere nella direzione più attesa, sino alla svolta narrativa che riapre il vaso di Pandora e rimette tutto in discussione. "Buoni", "cattivi", giusto e sbagliato, diventano concetti ribaltati sullo spettatore e sui suoi dubbi, con una padronanza della narrazione - già intravista nel "rashomoniano" The Third Murder - che guarda al relativismo di Kurosawa Akira, ancor più che al consueto termine di paragone di Ozu.
Kore-eda è ormai talmente padrone della propria poetica, elaborata attraverso una lunga e pregevole filmografia, da poterne disporre a piacimento, rivoltandola come un guanto per offrire nuovi punti di vista, nuove ricerche di verità.
Il conflitto tra legge morale e legge sociale trasforma i toni quasi da commedia della rappresentazione della famiglia fittizia in un dramma colorato di nero, che colpisce come una sferzata, dopo aver aperto il cuore al sentimento. Lo scontro tra legge e natura raggiunge il suo apice nell'epilogo di Un affare di famiglia, dimostrando l'invincibilità della prima - che ostruisce la costruzione di un modello alternativo - ma ribadendo con forza le ragioni della seconda.
Un approfondimento sul piano filosofico rispetto al passato dell'autore, che si rispecchia in una maestria formale sempre più stupefacente. Nel primo segmento Kore-eda costruisce una successione di microsequenze mirate ad abbattere ogni resistenza emozionale: il quadro familiare che si ricompone nella plongée dei fuochi d'artificio e poi nell'orizzontalità del bagnasciuga; le simmetrie di lividi e bruciature (le braccia delle donne, le gambe degli uomini), che accomunano paternità o maternità e sembrano segni del destino, esposti di fronte a una giustizia che chiude occhi e orecchie.
Con la grazia che lo contraddistingue nella trattazione delle dinamiche familiari e nelle sfumature di comportamento dei più piccoli, infatti, Kore-eda seziona, con un invisibile bisturi, l'ipocrisia su cui si regge il formalismo nipponico e svela l'abisso che separa le classi sociali. Le professioni umilianti o usuranti che accomunano i membri della "famiglia" costituiscono il nuovo proletariato urbano, assai più eterogeneo e meno leggibile di quello analizzato da Marx. La classe operaia che, anziché sognare il paradiso o una rivoluzione, convive con il "job sharing".
Con Un affare di famiglia si ride, ci si commuove e si rischia di finire con il cuore in frantumi. Mai così pessimista, ma forse mai così lucido, Kore-eda è ormai un classico vivente.
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In “Shoplifters”, titolo internazionale dell’ultimo film di Koreeda che in italiano vuol dire taccheggiatori, il regista prosegue la sua operazione di scavo nella famiglia contemporanea giapponese. Già autore dello stesso tema in “Ritratto di famiglia con tempesta” del 2016, “Little Sister” del 2015 e “Father & Son” del 2013, in “Un [...] Vai alla recensione »
Non so bene perché, ma questo film di Kore'eda Hirokazu mi ha spinto a interrompere un silenzio che durava ormai da parecchi mesi e che, via via, diventava sempre più difficile superare. "Un affare di famiglia" (traduzione non particolarmente felice del titolo internazionale "Shoplifters") mi è parso un lavoro stimolante e molto ben interpretato che [...] Vai alla recensione »
Senza dubbio un film di grande valore,ambientato in una periferia degradata di una metropoli Giapponese,anche se non viene menzionata si tratta di Tokyo,lo scorrere della vita quotidiana di un gruppo di persone ai margini della vita sociale che con espedienti non proprio onesti cerca di vivere. Questa famiglia,e qui il regista impone allo spettatore la domanda sulla creazione di un nucleo famigliare,si [...] Vai alla recensione »
“Un affare di famiglia” (Manbiki kazoku, 2018) è il diciannovesimo lungometraggio del regista di Tokyo Hirokazu Kore'da. Le essenze dei luoghi, gli incroci tra le persone, il vivere inerme, lo studio di ripresa di un gruppo. La famiglia come indagine di vita o meglio il silenzio tra persone conviventi: una famiglia [...] Vai alla recensione »
“L’unica famiglia è quella naturale: padre, madre e figli. Altre non ne esistono” (un politico) “L’unica famiglia è quella felice” (un bambino) Cos’è una famiglia? Bastano i legami di sangue per definirla? O contano di più quelli affettivi? Decisamente strana è quella formata da Osamu, un goffo e maldestro [...] Vai alla recensione »
Premiato l’anno scorso all’ultimo Festival del Cinema a Cannes, “Un affare di Famiglia” di Kore’da Hirokazu esce finalmente nelle sale cinematografiche italiane presentando ancora una volta, come è consuetudine di questo regista giapponese, una storia strettamente familiare. La famiglia protagonista è composta da un’anziana nonna sulla [...] Vai alla recensione »
La Palma d'Oro è andata a questo film e questo certo ingenera aspettative. Sono uscito perplesso ma dichiaro subito che il film mi è piaciuto. Le perplessità riguardano solo l'andamento un po' lento e certe ripetizioni che si potevano tagliare; insomma, il film è di 2 ore "stiracchiate" ma non arriva ad annoiare.
Un piccolo capolavoro l’ultimo film del regista Koreeda Hirokazu, palma d’Oro al Festival di Cannes del 2018 e ora in dvd., Un film fatto di silenzi, delicato, intenso, che ha come cuore il fulcro familiare, un dramma alla Yausjiro Ozu che abbraccia anche echi del cinema di Kurosawa.. E con Un affare di famiglia (titolo originale Shoplifter), quell'abbraccio è feroce, bello e [...] Vai alla recensione »
In un minuscolo appartamento giapponese vive una piccola comunità di persone legate da rapporti di parentela, che si chiariranno solo alla fine, svelando un passato criminale. Osamu, il padre di famiglia, è operaio edile a cottimo. Anche la sua compagna Nobuyo è operaia e perderà il posto in un drammatico scontro a eliminazione diretta con una collega.
E’ condizione sufficiente che un film sia ben fatto perché sia amato e apprezzato? Dubito. Se non coinvolge, non emoziona, non suscita riflessioni innovative la bravura registica lascia un po’ il tempo che trova. Il film ha ottenuto La Palma d’Oro a Cannes perché i giurati specializzati sanno apprezzano aspetti estetici [...] Vai alla recensione »
Gli affetti famigliari vivono meglio se fuori dalle regole, le convezioni sono gabbie strette. Sembra che tutto sia fatto per non funzonare,la chiesa, la politca, la scienza, la famiglia. La nostra diversità, meglio dire unicità, mal si adatta alle regoe che richiedono come minimo di essere trasgredite, anche se le conseguenze sono drammaticamente ineviabili.
Vorrei partire dal titolo italiano, “un affare di famiglia”, tradimento dell'originale Shoplifters, (taccheggiatori), che racchiude già in sè il dubbio amletico che si insinua durante e dopo il film: siamo di fronte ad un esempio di modello di famiglia alternativa o ad un’associazione a delinquere? Un gruppetto di indigenti economici e affettivi che non hanno legami [...] Vai alla recensione »
Il film è un apologo dolce-amaro costruito sul sogno di una famiglia semplice e umana, libera e trasgressiva, spontaneamente affettuosa e protettiva, con i tempi e i ritmi di un mondo altro. Il contesto più largo è il Giappone, quello più stretto una strana famiglia raccogliticcia che si è formata per aggregazione spontanea, fatta di reietti provenienti da drammi diversi: lui Osamu, lei Nobuyo, [...] Vai alla recensione »
Beh vai a vedere un film quotatissimo, valutato molto, vincitore della Palma d'Oro, non dico ti aspetti un capolavoro ma un bellissimo film si. Direi rimasto abbastanza deluso. La storia è piatta e la società descritta anche. Non ho trovato la cattiveria di un Kim Ki Duk o Miike nè l'eleganza di Kar Wai, tanto per restare nell'estremo oriente o la classe di Kurosawa [...] Vai alla recensione »
Una metropoli giapponese, forse Tokyo, ma non importa tanto non sapremmo riconoscerne una da un'altra. Una piccola casa giapponese, molto diversa dalle nostre, ambienti piccoli, niente tavoli o letti, tutto è precario, mobile, trasformabile. Una famiglia giapponese, anche questa diversa dalle nostre. Prima di tutto c'è una donna anziana, la nonna, che tutti rispettano e omaggiano, [...] Vai alla recensione »
La Palma d’Oro non deve necessariamente essere un capolavoro, idealmente dovrebbe essere “solo” il migliore tra i film in concorso e in questo caso, nell’impossibilità di vedere tutti gli altri titoli candidati, il primato relativo conquistato dal film di Kore-eda mi fa pensare a un’edizione festivaliera senza troppi contendenti temibili.
Un’altra famiglia del sottoproletariato urbano dell’opulento e iperindustrializzato oriente alla Parasite, ma senza la forza e l’ironia del film coreano, al centro di questo lungometraggio giapponese, che è il caso di definire tale per la lunghezza esasperante e la monotonia delle scene sempre uguali, che si succedono, senza trasmettere nessuna emozione, l’una all’altra, [...] Vai alla recensione »
Una certa insistenza del regista (anche sceneggiatore) nel disorentiare lo spettatore alla lunga toglie un po' di emotività e di anima al film che però è costellato di 3-4 sequenze di grande cinema. I quattro attori che interpretano gli "adulti" del nucleo familiare attorno cui ruota la vicenda formano un ensemble attoriale davvero convincente, così come i [...] Vai alla recensione »
In una piccola baracca vive una comunità eterogenea composta da quelli che appaiono essere mebri di una famiglia tradizionale: genitori, figli, nonna. Vivono arrangiandosi come possono, e un giorno trovano in strada una bambina che accolgono nella loro famiglia. Poco a poco si scoprirà che nessuno dei componenti è legato da vincoli sanguigni.
"I bambini ci guardano" e ci giudicano, anche se apparentemente agiamo bene; ma Shota, l'undicenne dallo sguardo intensissimo, mi pare il vero perno di questo film di Kore-Eda che analizza con sguardo anche freddo, quasi da entomologo, una famiglia percorsa da interessi diversi, come accade in ogni nucleo familiare, eppure, al di là dei veri legami di parentela, tenuta insieme [...] Vai alla recensione »
Quell'Osamu Shibata (un frizzante e scettico Lily Frank)... Per pigrizia abbandona di notte accanto al lampione il sacchetto della "differenziata". Come uno di noi. Inutile negarlo, simpatico. Cuor d'oro, affettuoso, bisognoso d'affetto. Estremista quanto e più di Proudhon (La proprietà è un furto!). Le cose - spiega - non appartengono a nessuno fino [...] Vai alla recensione »
Se la famiglia è il posto peggiore dove nascere – che è plausibile e per giunta pare lo abbia detto Sigmund Freud – questa “sfortuna” iniziale può venire emendata: i membri pian piano vanno a comporre una famiglia diversa, non più facendo parte di quella originale, per i motivi più svariati, interesse, affezione che si crea, bisogno di [...] Vai alla recensione »
Con linguaggio asciutto il film non fa riflettere sulle disuguaglianze sociali come una certa critica nostrana d'accatto evidenzia. La storia è tutta basata sull'importanza dei rapporti familiari e con rara maestria e delicatezza analizza come la famiglia è importante se c'è amore e dialogo. Non conta la ricchezza ma la serenità e l'unione che essa ispira.
Un altro film di Kore'eda Hirokazu. La storia raccontata ruota sulla fortissima interazione e interdipendenza di diversi personaggi : Osamu Shibata e Nobuyo Shibata, genitori apprendisti, ma non biologici; Nobuyo Shibata, una figlia tenera che ha imparato dai genitori l’accoglienza; Hatsue Shibata, la nonna, la cui funzione di collante per tutta la “famiglia” è formidabile; [...] Vai alla recensione »
Film decisamente brutto con un montaggio dilettantesco e recitazione da parte degli adulti che talvolta sfiora il ridicolo. Una noia mortale. I film italiani giustamente discussi per la loro monotonia e ripetitivitá al confronto sono di una vivacità enorme. Proprio non riesco a capire l'entusiasmo suscitato da quest'opera. Va bene l'analisi della famiglia e della società [...] Vai alla recensione »
Un film piacevole e molto bello che affronta con intelligenza, tatto e senza indulgenze il problema della famiglia. Argomento molto di moda ma trattato sempre con stereotipi o con preconcetti e senza mai andare a fondo dell’argomento e dei problemi che esistono. Il film si svolge in due parti ben distinte la prima dove si da una immagine di una famiglia affiatata e comprensiva, anche se anomala [...] Vai alla recensione »
Elegante, gentile, delicato, soave. Ed altro ancora. Quello di Kore'eda Hirokazu ha tutti i crismi del cinema nipponico. Si è occupato spesso di bambini emarginati, famiglie problematiche, gli ultimi di un paese che ha abbracciato la filosofia occidentale prima degli altri stati asiatici. Incluse le sue contraddizioni sociali.In una zona periferica, dove non arriva neanche il potere dell'Imperatore, [...] Vai alla recensione »
Un piccolo appartamento e una famiglia con dei legami tutti da scoprire. Tra difficoltà economiche e tentativi di sopravvivenza, questa famiglia si ritrova ad accogliere in casa una bambina. Una storia inusuale, raccontata con delicatezza, capace di interrogare sulle categorie di bene e male.
Un bel film che sa raccontare con sincerità e intelligenza i comuni “miserabili” di oggi e la loro indispensabile “arte di arrangiarsi”, ma soprattutto l’immenso bisogno di tenerezza che reagisce all’egoismo e che è tanto più forte quanto più una società isola, rende soli: un bisogno frustrato da presunte regole sociali, che appartiene [...] Vai alla recensione »
Bello...molto bello, ha vinto Cannes ma secondo me è più un film da oscar. Questa mia considerazione non è per niente un complimento. Infatti tutti i precedenti film di Kore'eda sono molto migliori dei classici film da oscar. Un affare di famiglia sembra un passo in avanti del suo cinema (che qui si fa più corale) ma in realtà è [...] Vai alla recensione »
Il primo tempo un po cosi, improbabile, alcune scene di nudo si potevano evitare, il seconto tempo si rivela molto molto bello, nonna a parte, vita temi bugie molto reali ( voto 4,5 )
Se c'è un regista che sembra possedere le doti e il nitore di un maestro contemporaneo, questo è oggi Kore'eda Hirokazu. Non è semplicemente questione di giudizio, ovvero di quanto sia bravo - questione su cui, sebbene vi sia ampio consenso, si può pur sempre discutere. È piuttosto un fatto di atteggiamento, stile, umanità. Kore'eda sembra, tra i registi in attività, l'unico in grado di rappresentare il mondo e le persone con una forma e un racconto universali e semplici, in grado cioè di reinventare il cinema d'autore dell'epoca d'oro (dagli anni Quaranta agli anni Sessanta), quello che insegnava letteralmente a guardare e a pensare liberamente ad intere platee internazionali. Scriviamo questo perché Un affare di famiglia non andrebbe affatto confinato al circuito del cinema d'essai o allo zoccolo duro dei cinefili attrezzati a un film lento e profondo.
Sarebbe anzi lungimirante, da parte di tanti bravi e preparati docenti delle scuole italiane, scegliere il film di Kore'eda per una mattinata in sala con gli studenti, invece che sottoporre loro i soliti titoli buoni solamente per il dibattito in aula. I ragazzi, se messi nelle condizioni di saper aspettare e saper vedere, ne ricaverebbero un insegnamento profondo, tanto più utile e ricco quanto più articolato e spiazzante sembra il messaggio di Un affare di famiglia.
Essendo impossibile analizzare il film nel dettaglio senza svelare passaggi essenziali e preziosi della trama, ci limiteremo a dire che le svolte narrative, in particolare una, che intervengono a un certo punto, permettono allo spettatore di acquisire una improvvisa coscienza di quanto ha visto fino a quel momento, e a dover integrare le sue emozioni e convinzioni con nuovi schemi di pensiero e nuovi dati di realtà.
Guardare un film di Hirokazu Kore'eda è come ritrovarsi in famiglia. Da qualche anno il suo cinema ritorna sui medesimi temi: la filiazione, i legami intimi che la biologia impone e le relazioni affettive che scegliamo. Da Nobody Knows a Ritratto di famiglia con tempesta, passando per Still Walking, Father and Son e Little Sister fino ad arrivare a Un affare di famiglia, la sua opera è un grande ma minuzioso studio della cellula familiare.
Un affresco di dolori, espedienti, amarezze e abbandoni ma anche di amore, sovente imperfetto e qualche volta vibrante di calore come questo ritratto di gruppo in un interno e nell'angolo cieco della società.
In occasione dell'uscita di Un affare di famiglia abbiamo incontrato il suo autore.
Nobody Knows, I Wish, Father and Son e Un affare di famiglia sono girati ad altezza di bambino, il vostro cinema come quello di François Truffaut accorda un'importanza centrale all'infanzia. Cosa vi spinge a ritornare sempre all'infanzia?
Attraverso lo sguardo dei bambini posso introdurre punti di vista critici sull'esistenza degli adulti..
Secondo lei i bambini possono diventare la lente attraverso cui misuriamo le capacità degli adulti?
Sì penso che sia esattamente così.
I film di Hirokazu Kore'eda hanno sempre accordato all'infanzia un'importanza centrale: in qualità di soggetto, bambini abbandonati alla loro sorte (Nessuno lo sa) o separati da un divorzio (I Wish), ma anche in quella di oggetto della discordia, pedine mobili di un gioco di riorganizzazione familiare e di scambi che non si preoccupano della loro individualità (Father and Son). Il suo cinema empatico filma l'infanzia come nessuno. Ogni film fornisce allo spettatore una nuova prova catturando di quella stagione l'innocenza e la scintilla, l'intimità e le sue crepe. Al cuore del suo lavoro ci sono bambini lasciati a se stessi, confusi e confrontati con realtà troppo grandi per spalle troppo piccole. Ci sono adulti che ricollocano in ginecei improvvisati (Little Sister) o in famiglie alternative (Un affare di famiglia) la saggezza acquisita con i torti subiti all'alba della vita.
All'ombra dei ciliegi in fiore o di disastri familiari, la (loro) cognizione del dolore si veste di dignità, guadagnando la forza necessaria per superare il male che l'ha determinata. I suoi bambini grandi reagiscono creando un valore morale assoluto, al di là dei propri interessi e assumendosi la responsabilità di essere loro la "famiglia" per una sorella ritrovata o una bimba 'battuta'.
Tra i film dell'autore, Little Sister e Un affare di famiglia costituiscono una sorta di dipoi del suo cinema dell'infanzia, la sua fase post-traumatica, dove un funerale diventa un battesimo e un sequestro una liberazione. Artista ossessionato dall'idea di una riconciliazione dei mondi domestici, i suoi film sondano i misteri dei legami familiari alla ricerca di una riparazione, risalendo la ferita ancestrale. Come? Vivendo, semplicemente. Prendendosi cura l'uno dell'altro. E il miracolo di questi film è la loro disposizione alla felicità a dispetto delle vicissitudini della vita. È lo sguardo di Kore'eda che filma i corpi fino a penetrare il pensiero di individui a cui hanno rubato l'infanzia. Donne e uomini, bambine e bambini le cui vite scorrono adesso quiete nella casa delle sorelle di Little Sister come nell'appartamento affollato di Un affare di famiglia. Almeno fino a quando la trama non rivela il suo rovescio di confusione, disordine e amarezza. Perché nel cinema di Kore'eda, la tenerezza che domina volge sovente in afflizione, il sorriso in malinconia.
Alle spalle ha un albero genealogico complesso, dominato dal cinema. Davanti a sé un futuro ricco di opportunità, vista la reputazione di cui gode a 32 anni Sakura Ando. Recente protagonista di Un affare di famiglia - il film che ha vinto la Palma d'oro a Cannes, che uscirà in Italia il 13 settembre - la Ando è uno dei volti simbolo del cinema d'autore nipponico degli ultimi anni, grazie alla sua innata versatilità. Un'attrice che può essere indifferentemente sexy e nerd, sgraziata oppure stilosa. Ma che di certo non può suscitare indifferenza. L'antica definizione che perseguitò per tutta la carriera Katharine Hepburn ("la più brutta delle belle, la più bella delle brutte") potrebbe rendere l'idea, ma risultare oltremodo limitante: Sakura Ando è infatti il volto della duttilità e del trasformismo che un presente complesso e di difficile lettura richiede. La ragazza tenera e indifesa, capace di estrarre le unghie per colpire, o la lottatrice indomita, disposta a tutto per raggiungere il proprio scopo, convivono nel medesimo corpo. Con il volto ribelle di chi non scende a compromessi, né si finge differente dalla propria natura.
Per queste ragioni tutti amano Sakura Ando, registi e spettatori. E per questo nessuno ha nulla da obiettare - cosa succederebbe in Italia? Si parlerebbe di nepotismo? - su un albero genealogico ricco di ascendenti cinematografici.
Dal padre regista, Eiji Okuda, alla madre scrittrice e sceneggiatrice Kazu Ando; su su fino a Takeru Inukai, influente politico e padre illegittimo di Okuda, e giù giù fino alla sorella Momoko, anch'essa regista (è suo 0.5mm, con Sakura protagonista).
In dieci anni di carriera Ando ha già regalato almeno tre interpretazioni straordinarie. La più recente è quella di Nobuyo, moglie uxoricida di un marito violento, che si dà al taccheggio e alla formazione di una famiglia clandestina insieme a Osamu/Lily Franky. Un concentrato di violenza repressa e affetto materno mancato, ancora una volta un ruolo ricco di sfaccettature. Anche per lo spettatore fin qui ignaro, che scoprisse grazie a Un affare di famiglia Sakura Ando, sarebbe sufficiente il ruolo di Nobuyo per capire la statura dell'attrice in questione. In una sola rapida sequenza di seduzione, Ando cambia radicalmente aspetto e gestualità, in pochi secondi e senza stacchi, davanti alla macchina da presa. Bastano un cambio di luci e di condizione meteorologica - l'umidità diviene temporale - per regalare una scena di inedita sensualità, in apparente contrasto con l'atmosfera generale di Un affare di famiglia.
Il Festival di Cannes ha attribuito la Palma d'Oro 2018 a Un affare di famiglia, del giapponese Kore'eda Hirokazu. Un riconoscimento così importante, anzi, il più importante sul piano del cinema inteso come cultura, è legittimo che aprisse un orizzonte infinito di letture, di discussione, persino di Storia. Il film non è facile, l'autore non concede niente, il suo stile non fa prigionieri, l'unica concessione è a se stesso e alle indicazioni che intende portare. Che non hanno confini, appunto. "Gruppo di famiglia in un interno" ma è un interno stipato, angusto, persino sordido, dove alcuni adulti e un bambino vivono nella sporcizia, coi materassi a terra, negli odori della cucina, un micromondo sporco. Per la sopravvivenza si fanno furti nei supermercati. Poi c'è la "nonna", il perno di tutto. L'uomo di casa è Osamu, che una notte raccoglie una bambina abbandonata, Aki, che entra a far parte del gruppo.
Il regista racconta dunque di una famiglia che famiglia non sarebbe, nessuno è legato all'altro dal sangue. Quel quotidiano strappato ora per ora, finisce comunque per creare un legame dalla forza misteriosa, che sorpassa tutto, crimini interni compresi.
Questa visione fa parte della tradizione giapponese, che nelle epoche ha fatto irruzione nel cinema portando contenuti sconosciuti, avvenne nei primi anni cinquanta, quando l'occidente si accorse che molto lontano viveva una cultura cinematografica diversa ma avanzata. Fu quando a Venezia arrivò Kurosawa col suo Rashomon che incantò tutti e vinse il Leone d'Oro, e pochi mesi dopo anche l'Oscar. È solo un indizio perché poi i giapponesi hanno reinventato e dominato l'animazione, e rivisitato e imposto agli inventori occidentali la violenza estrema.
"Che cosa ci unisce? I soldi?". Questa domanda, espressa da uno dei componenti della "famiglia" al centro del film di Hirokazu Kore'eda che ha conquistato la Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes, è centrale a tutto lo svolgimento di una storia che affronta - in forma meravigliosamente narrativa - il modo in cui il denaro - o la sua assenza - condizionino i rapporti fra gli esseri umani, soprattutto in una società rigidamente divisa in caste come quella contemporanea giapponese.
I protagonisti di Un affare di famiglia convivono ammassati in uno spazio piccolissimo.
La nonna riceve soldi da un ex marito che le ha preferito un'altra famiglia, l'uomo accetta ingaggi a giornata da un cantiere edile e quando si fa male (sul luogo di lavoro) non ha diritto ad alcun sostegno economico, la donna fa la stiratrice in una lavanderia il cui capo pretende dalle dipendenti uno di quei contratti di solidarietà "con cui si diventa tutti un po' più poveri", la ragazza si esibisce in un peep shop, e il bambino rubacchia qua e là, come gli hanno insegnato gli adulti di casa. Tutti campano di espedienti, nella più totale clandestinità, riuscendo a malapena a sopravvivere.
La Palma d'oro vinta da «Un affare di famiglia» permetterà al pubblico più aperto ed attento di approfondire la conoscenza del riverito autore nipponico Kore-eda. Piuttosto che operare la solita parafrasi della trama - il mistero aleggiante su un'apparente famiglia di emarginati stipati in una fatiscente casa di Tokyo a poco a poco smascherato da una serie imprevedibile di eventi -si raccomanda l'abilità [...] Vai alla recensione »
Se abbiamo fatto pace (temporanea e sempre revocabile) con il cinema giapponese, il merito va al regista, per il film "Father and Son". La classica favola del figlio scambiato, capace di reggere il dramma di Luigi Pirandello e le gag di Ficarra e Picone nel film "Il 7 e l'8" (erano le culle dei neonati che ora vivono ognuno la vita dell'altro, finchè rivelazione non li farà litigare).
Un adulto che insegna a un bambino a rubare nei negozi. Una ragazzina che si spoglia nei peep show. Una nonna che gioca alle slot machine. Raccontata così, sembrerebbe una famiglia sociopatica e disfunzionale. In realtà, è una famiglia sui generis (anche biologicamente), ma per certi versi, autentica, ideale, quella che poco a poco ci viene svelata da Hirokazu Kore-eda nel suo ultimo film.
Padre e figlio sono allenati. Basta un cenno e la merce del supermercato finisce nelle loro tasche. Senza rimorsi. «In fondo le cose in vendita non sono di nessuno», perché farsi scrupoli? Così una sera tornando a casa, una casa povera ma piena di gente e di affetto, si portano via qualcosa che forse è davvero di qualcun altro anche se non se la merita.
Su un balcone, la piccola Yuri (Miyu Sasaki) ha di nuovo gli occhi disorientati che le abbiamo visto all'inizio di Un affare di famiglia (Manbiki kazoku, Giappone, 2018, 121'). La madre le ha detto qualcosa che ancora la impaurisce, e lei vorrebbe andarsene dal suo amore egoista e ipocrita, tornare da Osamu Shibata (Lily Franky) e da Nobuyo (Sakura Andò), Aki (Maya Matsuoka), Shota (Jyo Kairi), che [...] Vai alla recensione »
Lasciare sullo sfondo l'efficienza giapponese, il capitalismo sfrenato, la convulsione tecnologica di Tokyo. Dalle vette dei grattacieli abbassare lo sguardo fino ai seminterrati nascosti per scoprirne il sovraffollamento in un disordine che profuma (ancora) di umanità. È li che ci porta il nuovo film di Kore-e-da Hirokazu, acclamato vincitore della Palma d'oro al 71°Festival di Cannes.
Quando l'obiettivo della macchina da presa, piazzata a venti centimetri da terra, riprende la scena in perfetta linea orizzontale e inquadra soltanto il pavimento e le gambe dei protagonisti, allora capisci che lo spirito giapponese di Ozu Yasujirò è dentro Kore'eda Hirokazu, erede non solo suo ma anche del Kurosawa Akira di Dodes'ka-den e della sua intera poetica.
Nel nome dei padri, dei figli e delle madri. La famiglia giapponese come motore mobile e immobile del cinema di Hirokazu- Kore-eda, come esplosione e implosione di conflitti tra la morale e la legge, tra la sopravvivenza quotidiana e l'ipocrisia del formalismo di una società che non ha mai abbandonato una rigida strutturazione in classi. È in questo terreno di scontri che il significato profondo di [...] Vai alla recensione »
I figli devono crescere con le madri» dice l'assistente sociale a Nobuyo, fermata dalla polizia per sequestro di minore e forse anche per omicidio. «È proprio quello che vogliono far credere le mamme» risponde lei. In questo amaro scambio di battute è sintetizzato il rivoluzionario punto di vista del regista giapponese Hirozaku Kore-eda su cosa sia veramente la famiglia.
Palma d'oro a Cannes Shoplifiers (Un affare di famiglia), ultima prova di Hirokazu Kore'eda, è arrivato nelle nostre sale e si appresta ad essere uno dei film più intensi della stagione. Un uomo (Lily Franky) e un ragazzo (Kairi Jyo) rubano in un esercizio commerciale. Tra loro gioco di sguardi, tempistica perfetta e gesti consolidati dall'abitudine.
Ritratto di famiglia con tempesta (Umi yori mo Mada Fukaku): un titolo del 2016 per definire la poetica di Hirokazu Kore'eda, regista giapponese dell'anima e delle crisi tra padri e figli. Tra le mura domestiche bisogna difendersi dal mondo esterno, dai continui attacchi della follia contemporanea. Il passato avvelena i rapporti, il presente è un luogo oscuro da cui nascondersi.
Con il film vincitore della Palma d'oro a Cannes, Kore-ed a è tornato nel territorio dei drammi familiari per cui è più conosciuto e amato. In Un affare di famiglia il suo sguardo è feroce, ma anche amorevole come può esserlo quello di una madre che vuole scacciare tutte le paure del figlio. Questo magnifico film è una specie di summa di tutte le migliori qualità di Kore-eda, ripulito dal sentimentalismo [...] Vai alla recensione »
Osamu, la moglie Nobuyo, il figlioletto e l'anziana nonna, rubano nei supermercati per sfamarsi. Nonostante la scarsezza di mezzi a disposizione, accolgono in casa anche una bimba affamata e trascurata dalla madre. Sebbene povera e dedita al furto, la strampalata famigliola vive serena e unita finché un incidente rivela la verità sui legami che uniscono adulti e bambini.
Taccheggiatori per necessità nel ricchissimo Giappone. Un padre insegna l'«arte» ai figli che la mettono da parte, oltre che in pratica. Fare la spesa non sembra più un problema finché... Il colpo di scena finale sorprende lo spettatore rivelando i retroscena di una famiglia, a dir poco, sui generis. Intrighi e malefatte condiscono un film da Palma d'oro - ha vinto con merito a Cannes - che conferma [...] Vai alla recensione »
Un affare di famiglia - il titolo italiano per Shoplifters - Palma d'oro allo scorso Festival di Cannes - dove il regista giapponese è stato in concorso diverse volte - inizia come una commedia. Perfettamente coreografati in quella che sembra un'operazione di routine quotidiana, un uomo di mezza età (Lily Franky, abituale collaboratore dell'autore) e un ragazzino (Kairi Jyo) si servono gratuitamente [...] Vai alla recensione »
Un ragazzino entra in un supermercato. Un uomo lo supera, accenna a un gesto d'intesa e insieme a lui si avvia verso gli scaffali. I due si muovono coordinati e accorti, l'uomo fa schermo alle operazioni del ragazzo che, con molta discrezione, fa cadere nello zainetto cibo d'ogni tipo. Al termine delle operazioni, l'inquadratura rim-ne vuota e compare il titolo, in originale Shoplifters, taccheggiatori. [...] Vai alla recensione »
Ritratto di un insolito gruppo in un interno, Un affare di famiglia di Hirokazu Kore-eda, Palma d'oro 2018, può apparire a prima vista un dramma sodale alla Ken Loach su un sottoproletariato urbano costretto a campare di espedienti. Vedi l'iniziale sequenza di furto in un supermercato, perpetrato in complicità da un uomo e un ragazzino malvestiti: padre e figlio? Sulla via del ritorno, Osamu (Lily [...] Vai alla recensione »
È una famiglia numerosa quella di Osamu (Frank Lily) e della sua giovane compagna Noboyu (Sakura Ando) che si aggiudica la Palma d'oro al festival di Cannes. Una famiglia allargata, non necessariamente legata a chiari vincoli di sangue. È una piccola comunità che mangia continuamente e, per sbarcare il lunario, commette piccoli crimini, ma è anche molto solidale.
La Cina si è comprata mezza Hollywood, Giappone e Corea sfornano film a getto continuo con la medesima qualità dei loro prodotti elettronici. Essendosi ristretti gli spazi con il cinema hollywoodiano, che non guarda più alla Croisette con l'interesse di un tempo - con conseguente forte calo di presenze statunitensi - il Festival rafforza il legame con l'Oriente.
Il padre insegna al figlio piccolo a rubare, il figlio piccolo fa altrettanto con la sorellina. La sorella maggiore lavora in un peep show e si innamora di un giovane cliente: «Proprio come è successo con tuo padre» le dice contenta la mamma. La nonna ricatta economicamente con il senso di colpa i figli dell'ex marito avuti con la donna per cui venne abbandonata.
Il regista giapponese Hiro-zaku Kore-Eda torna per la settima volta e per la quarta in competizione al Festival di Cannes, con il suo nuovo film «Manbiki Kazo-ku» (Un affare di famiglia), presentato, appunto, in concorso. Gli spettatori più attenti ricorderanno i suoi precedenti titoli trai quali «Ritratto di famiglia con tempesta», «Little Sister» o, ancora «Father and Son».