Un affare di famiglia

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Un film di Kore'eda Hirokazu. Con Lily Franky, Sakura Andô, Mayu Matsuoka, Kirin Kiki, Jyo Kairi.
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Titolo originale Shoplifters. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 121 min. - Giappone 2018. - Bim Distribuzione uscita giovedì 13 settembre 2018. MYMONETRO Un affare di famiglia * * * * - valutazione media: 4,14 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

l'unica famiglia è quella felice Valutazione 5 stelle su cinque

di sergiodalmaso


Feedback: 8142 | altri commenti e recensioni di sergiodalmaso
martedì 27 novembre 2018

“L’unica famiglia è quella naturale: padre, madre e figli. Altre non ne esistono”  (un politico)
“L’unica famiglia è quella felice”  (un bambino)
 
Cos’è una famiglia? Bastano i legami di sangue per definirla? O contano di più quelli affettivi?
Decisamente strana è quella formata da Osamu, un goffo e maldestro operaio precario, ladruncolo per necessità, e la compagna Nobuko, stiratrice a chiamata. Vivono nell’umile appartamento dell’anziana nonna Hatsue assieme alla nipote Aki, studentessa che arrotonda in un locale a luci rosse, e Shota, un ragazzino in difficoltà “adottato” dalla famiglia allargata e anch’esso iniziato al furto. 
Vivono nell’anonimato, socialmente isolati come la fatiscente casetta immersa nel lussuoso quartiere residenziale. Un microcosmo famigliare fragile e instabile, che per proteggersi ha reciso tutti i legami sociali affidandosi solo a quelli affettivi. Malgrado l’indigenza e la povertà materiale, malgrado si siano “scelti” inizialmente solo per necessità, c’è tra i componenti della famiglia Shibata un affetto profondo, un’umanità e un calore domestico del tutto sinceri. Per Osamu e Nobuko sarà assolutamente naturale aiutare la piccola Juri lasciata dai genitori per punizione al gelo nel terrazzo,e poi accoglierla nella famiglia dopo aver visto i lividi che ha sulle braccia. Non si fanno domande, seguono quello che gli dice il cuore, anche se sanno che socialmente è sbagliato, che giuridicamente potrebbero essere accusati di rapimento di un minore.   
Con questo ennesimo capolavoro il maestro giapponese Kore-Eda continua la sua ricerca sulle tematiche che caratterizzano il suo cinema come i legami famigliari e il senso della genitorialità. Un affare di famiglia sembra chiudere la tetralogia iniziata con Father and Son e proseguita con Little Sister e Ritratto di famiglia con tempesta. Come sempre è un cinema poetico, misurato, che non ha bisogno di pathos sensazionalistico né di enfatizzare gli aspetti drammatici. Bastano i dettagli, gli sguardi, i sorrisi malinconici. Non serve ostentare i maltrattamenti subiti da Yuri, basta mostrare con pudore i segni delle bruciature sulle braccia.
I dialoghi sono sobri ed essenziali, perché per Kore-Eda conta più il linguaggio del corpo, la gestualità del non detto, la verità che emerge dai dettagli.
Splendidi per la grazia e la delicatezza sono gli episodi di vita famigliare, come la serata con i fuochi d’artificio o la giornata passata al mare in cui la nonna commossa, in una delle scene più belle, riesce solo a sussurrare “grazie”. La notevole bravura del registra giapponese si rivela anche nel dirigere i bambini e gli adolescenti con una naturalezza e una espressività mai fuori misura, sempre credibili. Molto efficaci le sequenze girate dentro le caotiche e anguste stanze della casetta, riprese dal basso e con una fotografia calda e luminosa, opposta a quella fredda e grigia degli esterni.
Nell’ultima parte, dopo che l’incantesimo si sarà spezzato e l’isolamento sociale degli Shibata avrà termine, il film cambia rapidamente registro. L’entrata in scena delle figure istituzionali preposte - assistenti sociali, magistrati, psicologi – disvela, con freddi e asettici interrogatori, le bugie e l’oscuro passato dei vari componenti della famiglia. I legami sociali ufficiali potranno così essere ripristinati.
Un affare di famiglianon ha alcun intento pedagogico, tantomeno moralista, non c’è nessun buonismo ad effetto. Kore-Eda si limita a sollevare delle domande, senza forzare delle risposte che, su temi così sensibili, ognuno deve cercare da solo. Magari ce le fa suggerire dallo sguardo triste di Yuri che sale sullo sgabello e guarda dal balcone per vedere se sono tornati quei personaggi strani che gli avevano dato affetto e serenità.
O Shota che sull’autobus riesce alla fine a sussurrare a se stesso quella parola che non aveva avuto la forza di dire a Osamu. La loro vita cambierà, ma resteranno vivi i ricordi dei momenti felici, dell’affetto dato e ricevuto. Già, perché come dice Kore-Eda “è il sangue o il tempo che passi assieme che forma una famiglia?

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