fafia61
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sabato 25 gennaio 2014
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il ciclista dimenticato
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'Il capitale umano' è un film che parla di speculazione finanziaria, di corruzione, di volgarità morale, di prepotenza economica, di drammi sociali e familiari, di avidità, di facili arricchimenti, di subdoli ricatti, di degrado culturale,ecc.
In sostanza parla dell'Italia attuale, con tutti i suoi difetti, il suo malcostume, i suoi vizi cronici.
Fin qui sembra una storia logora, risaputa, arcinota, pallosissima.
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'Il capitale umano' è un film che parla di speculazione finanziaria, di corruzione, di volgarità morale, di prepotenza economica, di drammi sociali e familiari, di avidità, di facili arricchimenti, di subdoli ricatti, di degrado culturale,ecc.
In sostanza parla dell'Italia attuale, con tutti i suoi difetti, il suo malcostume, i suoi vizi cronici.
Fin qui sembra una storia logora, risaputa, arcinota, pallosissima.
Una di quelle storie che senti ogni giorno nelle strade, nei telegiornali, nei bar, in ogni angolo della tua vita; che ti disgusta e ti schifa così tanto da non poterla vedere neppure in un film!
E invece no, al cinema si vede, e si vede volentieri!
Perchè Virzì (voto 7) trasforma questa materia così trita, ovvia e nauseante in un giallo appassionante; sì, lui che ha sempre fatto commedie (La bella vita, Ovosodo, Caterina va in città, La prima cosa bella, ecc.) ti sfodera uno splendido thriller, brusco, crudo, diretto, avvincente, regalando così ritmo e vivacità ad una vicenda altrimenti lenta e usurata.
Ottima, quindi, la regia, abile, sicura, frizzante.
Ottima la sceneggiatura che, spezzettando la trama in quattro capitoli principali, narra gli avvenimenti da tre punti di vista diversi (Bentivoglio, Bruni Tedeschi, Gioli))per arrivare poi,nel quarto capitolo, alla spiegazione del titolo del film.
Ottimi gli attori: Fabrizio Gifuni (voto 7), sprezzante ed altezzoso squalo della finanza; Valeria Bruni Tedeschi (voto 7), sua moglie, svampita, insicura, rassegnata, a volte banale e stramba nelle sue scelte; Fabrizio Bentivoglio (voto 6,5), goffo arrampicatore sociale, capace, dietro l'apparenza sciocca e insignificante, di azioni scellerate e devastanti; Valeria Golino (voto 6,5), moglie dolce e tranquilla, totalmente ignara delle nefandezze del marito.
Ma la vera stella del film è un'esordiente, tale Matilde Gioli (voto 7,5), all'esordio nel mondo del cinema, che di Angelina Jolie ha, non solo il cognome simile,ma anche affine somiglianza e uguale bravura.
Una rivelazione, insomma, catapultata sul set quasi per caso, dopo che la madre ha ritrovato per strada un volantino per partecipare al casting di Virzì.
Pochi e veniali i punti deboli della pellicola: qualche 'stereotipismo' di troppo, qualche personaggio poco caratterizzato, qualche scena un po' surreale e grottesca(il sesso tra la Bruni e Lo Cascio con una pellicola di Carmelo Bene sullo sfondo, la riunione assurda per decidere del destino di un teatro, il finale un po' grossolano).
Infine il giallo, che apre la storia e conferisce suspense provvidenziale alla vicenda: un ciclista, alla vigilia di Natale, su una strada della Brianza, viene investito da un Suv.
Chi l'ha investito? Chi è il responsabile? Perchè non si è fermato a soccorrerlo?
A Virzì non interessa chi sia il ciclista, non ci si sofferma più di tanto; quel cameriere che, dopo aver lavorato, torna a casa in bicicletta e viene travolto da un auto non merita, secondo il regista, altre note, altra attenzione.
Lui è solo il pretesto, l'espediente per unire e vivacizzare le varie storie.
Ed invece quel povero lavoratore investito da un fuoristrada poteva spalancare mille possibilità, mille significati, mille metafore.
Perchè ne 'Il capitale umano' sono tutti colpevoli, tutti fanno finta di non vedere la corruzione e la sporcizia, tutti si girano dall'altra parte o ne traggono vantaggio.
Persino i più giovani, peraltro vittime degli adulti e per questo meno colpevoli degli altri, finiscono talvolta per perdere la loro innocenza, perchè avvelenati e distorti dal lusso e dal potere.
E pure il finale, nel quale rimangono tutti contenti (persino chi è finito in galera!), non è altro che un ristabilimento dello status quo, del mangia-mangia, del tutti colpevoli-nessun colpevole, insomma della solita società disonesta e degenerata.
Un finale -" Hanno scommesso sulla rovina di questo paese ed hanno vinto" - pessimistico e catastrofistico, che ci riconsegna, dopo incidenti, intrecci, intrallazzi, drammi e omicidi, nient'altro che la solita, immancabile, imperturbabile, schifosissima, Italia.
Ecco, quindi, perchè poteva servire la figura, usata per un attimo e poi rapidamente dimenticata, del ciclista investito!?
Per costruire, su quell'unico, incolpevole, sfortunato, innocente soggetto, un'ipotesi di rinascita, di ricostruzione, di purificazione, di redenzione dell'Italia.
Ma, in quel caso, non sarebbe più stato un thriller, ma un film di fantascienza!!
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[+] la ns. realtà
(di gabry)
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ralphscott
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sabato 25 gennaio 2014
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al cinema come leggere una saga
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La struttura stessa del film é forse la sua migliore qualità. Diviso in capitoli perfettamente combacianti,i personaggi vengono accarezzati e sondati in un continuo saliscendi temporale che infine risulta anche ludico. Trovo più interessanti gli adulti,tratteggiati con impietosa schiettezza,sebbene i ragazzi si accollino buona parte della componente drammatica della vicenda. Bello ed intenso il personaggio interpretato da V.B.Tedeschi,moglie e madre bistrattata. Bentivoglio in un ruolo impegnativo cui aderisce con sorprendente efficacia. Non mancano le scene comiche,su tutte quella che raduna al tavolo il critico pessimista ed il politico della Lega.
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eugenio
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sabato 25 gennaio 2014
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la mitica eldorado speculativa
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C’è una Brianza ricca, agiata, fatta di borghesi impomatati,arrivisti e imbroglioni. C’è ne è un'altra di eterni illusi, quelli che credono ancora nella stangata, nella rivalsa sociale attraverso investimenti azzardati alla ricerca dell’agiatezza morale ed economica a lungo bramata. C’e una Brianza in cui non filtra la luce che rimane imprigionata, intrappolata sotto una patina di ipocrisia e sornione quieto vivere, dove ogni cosa (compresa l’anima) ha un prezzo, un capitale, stravolta da una girandola di speculazioni ove tutti sono vittime volontarie o inconsapevoli.
Virzì sceglie di abbandonare con coraggio il placido panorama toscano per immergersi nella fosca Lombardia, il paradiso degli squali e degli sciacalli oltre che di altre lugubre bestioline estranee al suo pensiero da commediografo di adolescenze perdute.
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C’è una Brianza ricca, agiata, fatta di borghesi impomatati,arrivisti e imbroglioni. C’è ne è un'altra di eterni illusi, quelli che credono ancora nella stangata, nella rivalsa sociale attraverso investimenti azzardati alla ricerca dell’agiatezza morale ed economica a lungo bramata. C’e una Brianza in cui non filtra la luce che rimane imprigionata, intrappolata sotto una patina di ipocrisia e sornione quieto vivere, dove ogni cosa (compresa l’anima) ha un prezzo, un capitale, stravolta da una girandola di speculazioni ove tutti sono vittime volontarie o inconsapevoli.
Virzì sceglie di abbandonare con coraggio il placido panorama toscano per immergersi nella fosca Lombardia, il paradiso degli squali e degli sciacalli oltre che di altre lugubre bestioline estranee al suo pensiero da commediografo di adolescenze perdute. Il regista parla di apologo, di metafora (la città Ornate nulla ha di reale) della nostra società industrializzata ridotta a una Zattera della medusa, delineandoil ritratto di un paese in crisi totalmente allo sbando che pare aver perduto tutti i suoi valori alla base dei quali alberga solo il denaro e la speculazione edilizia, motivi fondanti della società capitalistica.
Il soggetto robusto retto da Piccolo e Bruni ci mostra due complementary opposites, due famiglie che nulla avrebbero da spartire ma accomunate da un tragico evento presentato all’inizio del film: una notte, quella della vigilia di Natale, sulla provinciale di Ornate un cameriere al rientro dal lavoro in bici viene investito da un Suv. Questo il pretesto utilizzato da Virzì per descrivere con l’uso di astuti flash-back e capitoli incentrati sui personaggi principali delle due famiglie il punto di vista dei protagonisti dinanzi al delitto.
Perché di omicidio colposo e omissione di soccorso ben si tratta e da questo spunto che potrebbe aprire le porte al thriller il regista livornese evita intelligentemente i clichè da noir ponendo l’accento sugli scheletri nell’armadio delle due “famiglie tipo”. Sfilano quindi dinanzi ai nostri occhi di spettatori il grande girotondo di cinismo, motore e filo comune di un’umanità di umiliati e offesi, di gente comune che - chissà quante ce ne sono - albergano nascoste e sopite nella piccola provincia. C’è l’ingenuo (almeno inizialmente) Dino Ossola, titolare di un’agenzia immobiliare che mette tutti i suoi averi sulla bilancia per guadagnare soldi facili attraverso la partecipazione al fondo di investimento del milionario Carlo Bernaschi il cui figlioccio inquieto intrattiene una liason “non propriamente corrisposta” con la figlia di Dino; ci sono le rispettive consorti, Carla e Roberta, la prima remissiva,incapace di vivere nella realtà immersa nel suo sogno di rinverdire l’anima del teatro (il Politeama di Como) con partecipazioni a un fondo per il recupero del teatro cittadino, la seconda, Roberta, psicologa, in cinta di due gemelli presa dal suo sogno di maternità e dalla sua missione, incapace di valutare con lucida fermezza le mosse azzardate del marito di cui è complice inconsapevole.
Intorno a loro ruotano come satelliti i figli di Dino e Carlo, non più bambini ma ancora dipendenti malgrado le apparenze dai genitori, esecutori materiali del cinico vivere delle due famiglie: l’opulenza sfarzosa di Bernaschi prototipo dell’arrivista senza scrupoli e proprietario di un impero economico frutto di imbrogli e speculazioni edilizie alla medio-borghesia di Ossola che non si fa scrupolo di vendere i sentimenti della figlia per ascendere prima socialmente e poi scemare moralmente con la bieca arte del ricatto…
I soldi, profumo della vita (sic) e più in generale prestigio sociale, divengono paradisi perduti di miltoniana memoria e poco importa se la strada è lastricata di imbrogli, bassezze morali o bieche manipolazioni sulla morte di disgraziati innocenti: occorre apparire anche a costo di avere un’anima nera,scura e tenebrosa come la vendetta. Una vendetta che non risparmierà nessuno e che avrà conseguenze indelebili sullo status quo dei Bernaschi e degli Ossola minando pesantemente la loro oramai perduta dignità intellettuale.
Tradurre un romanzo americano ambientato in Connecticut in uno più propriamente “nostrano” è stata soltanto la scintilla che ha dato origine allo “scoppio” di un riuscito meccanismo di incastri in cui Virzì pur con qualche caduta di stile nella parte dedicata alla storia di Serena, figlia di Ossola, si muove abilmente dimostrando di conoscere con chiarezza e senza enfasi moralistica l’ambiente sociale quotidiano della nuova borghesia lombarda condendo i dialoghi con un umorismo sottile e amaro che sfiora a tratti il grottesco.
Grazie all’interpretazione di un cast ben affiatato che ha come punte di diamante Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni, le due antitesi per eccellenza, lo sprovveduto e l’arpia, Il capitale umano vanta anche il cameo di Luigi Lo Cascio, professore di lettere amante del teatro di Carmelo Bene (e più prosaicamente della moglie di Bernaschi) simbolo di una letteratura oramai in crisi che ha preferito assoggettarsi ai privilegi dei ricchi perdendo la propria indipendenza e libertà, come la vita in generale che questo film mercifica a ente materiale.
Quanto vale questo capitale umano, quest’ultimo scampolo di concessione umanitaria deprezzata dei sentimenti e delle aspirazioni? Poco più di duecentomila euro. Ma i parametri cambiano sulla base dell’età ,dello stile di vita,delle aspirazioni, dei titoli di studio.
Un numero per rappresentare la vita. Il prosaico,materiale pezzo di carta che ne sancisce il valore, sintetico e irrevocabile. Il capitale umano.
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[+] bella
(di michela siccardi)
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michela siccardi
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venerdì 24 gennaio 2014
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la miseria è sempre benvestita
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La pellicola ci mostra con nitore l’homo oeconomicus contemporaneo: un uomo mosso da impulsi economici, guidato dalla ratio del profitto, moralmente desertificato. Avidità, finanza ed economia dettano le leggi del suo comportamento, i sentimenti, la scelta delle amicizie e del consorte.
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La pellicola ci mostra con nitore l’homo oeconomicus contemporaneo: un uomo mosso da impulsi economici, guidato dalla ratio del profitto, moralmente desertificato. Avidità, finanza ed economia dettano le leggi del suo comportamento, i sentimenti, la scelta delle amicizie e del consorte. Ci troviamo di fronte alla granitica rappresentazione di personaggi de-formati, fuori da una qualsivoglia forma umana, finanche immemori di un’era lontana in cui, forse, erano ancora persone. L’innocenza non è contemplata, siamo tutti colpevoli; colpevoli soprattutto gli innocenti, che per questo verranno puniti. Possediamo, ma soprattutto siamo posseduti. Lo squallore dell’apparenza non ha lasciato oasi inviolate, la miseria è pervasiva, la decadenza dilagante. La mediocrità si muove con eleganza, delinque raffinatamente; la bassezza si giova di una efficiente servitù. Le belle case sono dimora della degenerazione più bieca, le auto di lusso trasportano animi depravati e corrotti. L’opulenza camuffa, più o meno efficacemente, la deficienza dell’essere. Gli uomini rappresentati agiscono con la caratteristica autonomia degli automi, infelici attori di un teatro malato, ognuno col proprio ruolo, ognuno con la propria parte di bugie da raccontare al mondo. Nessuna maschera: il mostro mostra fiero il volto, convinto che il trucco sia tutto quello che si vede. La miseria è sempre benvestita, il fallito è un uomo di successo. Il luogo di ambientazione potrebbe essere ovunque, è un non-luogo; l’uomo-mostro potrebbe essere chiunque, è il non-uomo riflesso nel nostro specchio. Poche storie fantasiose, poca immaginazione, il film fornisce il dipinto tragicamente neorealista dell’uomo di oggi, il fermo-immagine di una collettiva depersonalizzazione. L’inclemente effigie (di più) di una generazione. Un vero e proprio horror ontologico. E, sardonico ludibrio, gli attori del dramma sono quelli al di là della pellicola, siamo noi, gli esseri monetizzati.
Nessun disgusto, nessuna condanna morale, solo un fedele ritratto dell’uomo-moneta, una impietosa raffigurazione del capitale umano.
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nino pell.
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giovedì 23 gennaio 2014
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il valore del capitale umano ai giorni nostri
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Film di ottimo livello girato con maestria ed esperienza da parte del regista Paolo Virzì. Di lui naturalmente ricordo una delle sue precedenti pellicole, "La prima cosa bella", la quale era riuscita a commuovermi in modo particolare sia per il valore narrativo della storia e sia per lo spessore interpretativo degli attori. Con questo attuale film, il regista ci proietta nella realtà sociale di due nuclei familiari che vivono in un paesino della Brianza (e sottolineo di due famiglie e non di tutte le persone della Brianza come ingiustamente in molti avrebbero obiettato e criticato). Una realtà, dicevo, caratterizzata da un lato dal potere economico della famiglia dei Bernaschi e, dall'altro, da quella degli Ossola, il cui capofamiglia tenta di scalare la via del successo, investendo sprovvedutamente il proprio capitale in un imponente fondo fiduciario senza timori reverenziali del proprio limite finanziario ed anzi rischiando di portare se stesso e la sua famiglia verso un baratro dalle dimensioni gigantesche.
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Film di ottimo livello girato con maestria ed esperienza da parte del regista Paolo Virzì. Di lui naturalmente ricordo una delle sue precedenti pellicole, "La prima cosa bella", la quale era riuscita a commuovermi in modo particolare sia per il valore narrativo della storia e sia per lo spessore interpretativo degli attori. Con questo attuale film, il regista ci proietta nella realtà sociale di due nuclei familiari che vivono in un paesino della Brianza (e sottolineo di due famiglie e non di tutte le persone della Brianza come ingiustamente in molti avrebbero obiettato e criticato). Una realtà, dicevo, caratterizzata da un lato dal potere economico della famiglia dei Bernaschi e, dall'altro, da quella degli Ossola, il cui capofamiglia tenta di scalare la via del successo, investendo sprovvedutamente il proprio capitale in un imponente fondo fiduciario senza timori reverenziali del proprio limite finanziario ed anzi rischiando di portare se stesso e la sua famiglia verso un baratro dalle dimensioni gigantesche. Il regista Virzì ci descrive un mondo perfetto ma ovattato, nel quale la vita dei protagonisti sembra scorrere in maniera metodica, calcolata ed ogni personaggio sembra più interessato a perseguire il proprio interesse o le proprie ambizioni, anziché dare valore e risalto ai rapporti affettivi e morali, che qui fungono giusto da formale corollario secondario nei riguardi dell'esistenza di ognuno. Quando poi sopraggiungerà un incidente stradale in cui perderà la vita un uomo e della cui causa ne sono coinvolti alcuni membri delle due famiglie, anche in questo caso l'interesse egoistico e protettivo sembra prevalere sul valore umano, ossia in pratica sul cosiddetto capitale umano. E pertanto, una volta che la situazione sembra destinata a normalizzarsi in futuro, tra qualche irrisoria condanna da un lato e azioni sottobanco per coprire qualche accusato scomodo per un altro verso, i personaggi della vicenda sembrano riacquistare nuovamente la propria normalità artefatta, caratterizzata da rapporti fatti di convenienza e di futili convenzioni sociali. Un film quindi che lo si potrebbe senza dubbio definire un piccolo capolavoro attuale del nostro Cinema italiano grazie alla sua imponente vena sarcastica e neorealistica. Grande Virzì.
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elena ci
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giovedì 23 gennaio 2014
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...o la povertà umana?!
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Effettivamente ci voleva un (altro) film a ricordarci della povertà umana, a sbatterci (ancora) la verità in faccia e farci uscire dal cinema con il solito messaggio dentro.
Grazie. Non ci basta il telegiornale, le interviste ai politi…o agli allenatori… il 10 del mese… le file in Posta…giustamente anche il cinema ora deve partecipare, o farsi partecipe, o farci partecipe, dei piccoli-grande drammi che quotidianamente riguardano noi…quegli attori senza contratto che tutti i giorni si ritrovano a combattere con un regista nascosto, invisibile, inguardabile, ingiusto… inesistente (??!)
Allora alla sera cerchi 2 ore per staccare da tutto, per immergerti in un sogno, in un’altra vita, per avere un messaggio di speranza (…non disperato!) in un mondo che non esiste… Poi capita a volte di sbagliare film, di sbagliare serata, di sbagliare periodo e ritrovarti a guardare un film che ti ricorda quanto questa vita sia semplice, piccola, POVERA…per tutti.
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Effettivamente ci voleva un (altro) film a ricordarci della povertà umana, a sbatterci (ancora) la verità in faccia e farci uscire dal cinema con il solito messaggio dentro.
Grazie. Non ci basta il telegiornale, le interviste ai politi…o agli allenatori… il 10 del mese… le file in Posta…giustamente anche il cinema ora deve partecipare, o farsi partecipe, o farci partecipe, dei piccoli-grande drammi che quotidianamente riguardano noi…quegli attori senza contratto che tutti i giorni si ritrovano a combattere con un regista nascosto, invisibile, inguardabile, ingiusto… inesistente (??!)
Allora alla sera cerchi 2 ore per staccare da tutto, per immergerti in un sogno, in un’altra vita, per avere un messaggio di speranza (…non disperato!) in un mondo che non esiste… Poi capita a volte di sbagliare film, di sbagliare serata, di sbagliare periodo e ritrovarti a guardare un film che ti ricorda quanto questa vita sia semplice, piccola, POVERA…per tutti. Un film che sottolinea quanto la vita, la NOSTRA vita, sia bassa, frivola, vuota…difficile. Non è già abbastanza umiliante la realtà che dobbiamo anche subirla in un film?! Ogni giorno ci alziamo e dobbiamo combattere con quelle domande a cui nessun regista sa rispondere, a combattere con quelle ingiustizie che la vita ci riserva… Ogni giorno la solita storia…c’è chi ha di più…che poi alla fine…ha sempre e cmq meno.
E allora grazie, Virzì, per averci ricordato quanto la vita (a volte!) faccia proprio cagare… grazie per aver sottolineato che ormai tutto è concesso, giustificato e giustificabile, comprato e comprabile, misero e miserabile…grazie per averci fatto sentire PICCOLI e POVERI…anche dentro ad un cinema. Ma sei proprio sicuro che sia solo questo il Capitale Umano?!
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g.amoruso
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giovedì 23 gennaio 2014
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virzì è il nostro cinico e spietato capitale.
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Con il termine capitale umano, secondo il portale Wikipedia, si intende l'insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi. Questo punto etico è la partenza di tutti i diversi o contrapposti spunti che emergono dalla visione di questo quasi capolavoro ideato dall'emblema odierno della commedia amara all'italiana, il nostro amato-odiato Paolo Virzì. Il regista toscano, con la sua solita prospettiva sincera e mai buonista, cerca di estrapolare da ogni singolo personaggio, la pura realtà senza cadere in facili interpretazioni personali, scindendo a pieno cio che è con cio che dovrebbe o, meglio, vorrebbe essere.
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Con il termine capitale umano, secondo il portale Wikipedia, si intende l'insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi. Questo punto etico è la partenza di tutti i diversi o contrapposti spunti che emergono dalla visione di questo quasi capolavoro ideato dall'emblema odierno della commedia amara all'italiana, il nostro amato-odiato Paolo Virzì. Il regista toscano, con la sua solita prospettiva sincera e mai buonista, cerca di estrapolare da ogni singolo personaggio, la pura realtà senza cadere in facili interpretazioni personali, scindendo a pieno cio che è con cio che dovrebbe o, meglio, vorrebbe essere. La rappresentazione, di per sè abbastanza complessa nella comprensione, corre incontro allo spettatore, messo in difficoltà dall'infinità di interpretazioni personali, e viene suddivisa in capitoli, appunto, per analizzare attentamente ogni singolo caso. L'analisi dei personaggi è precisa e schietta e non lascia spazio a diverse soluzioni di osservazione, senza cadere nell'ovvietà degli stereotipi. Virzi, giocando con il timeline della storia, riuscendo a non fallire, cadendo in errori anacronistici, racconta non una storia, ma le persone che siamo diventati. Ogni personaggio è un messaggio, dai protagonisti alle comparse, ogni parola, ogni azione è parte di un plot deciso a descrivere evitando di aggiungere fasi di soggettivismo facile e atteso. Straordinario l'apporto di un cast eccellente, Gifuni e Bentivoglio su tutti, capace di rappresentare umilmente e sinceramente personaggio scomodi e imbarazzanti ma più che mai veri. Virzì, in questo difficilissimo lavoro è stato geniale, la sua attenzione dei dettagli è stata cosi minuziosa da riscoprire la pellicola anche come una forma di Documentario dei giorni nostri, dove tutti vengono messi sotto la lente di ingrandimento senza timore di essere soggetti ad un giudizio universale. Personalmente, considero il film di pregevole fattura ed evitando etichette convenzionali, quali commedia amara o thriller psicologico, preferirei definirlo come un film vero da vedere, da "mangiare" e digerire, in quanto parla di noi e di cosa siamo stati costretti a diventare.
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annix
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giovedì 23 gennaio 2014
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le verita' nascoste
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Nel film si intrecciano con un incastro stilistico sapiente i diversi punti di vista dei protagonisti, la cui vita sarà sconvolta da un evento traumatico, dando spunto per un'analisi molto realistica, amara della società odierna e dei suoi valori ma soprattutto delle sue ipocrisie. Il piccolo imprenditore meschino e strozzato dalla crisi che cerca di fare il grande salto verso l'ascesa economica e sociale si contrappone al bieco magnate milionario privo di scrupoli del progredito e ricco Nord Italia, entrambi hanno due figli adolescenti per cui non costituiscono un punto di riferimento, anzi non faranno che acuire il loro senso di smarrimento nell'affrontare il dramma in cui verranno fortuitamente coinvolti.
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Nel film si intrecciano con un incastro stilistico sapiente i diversi punti di vista dei protagonisti, la cui vita sarà sconvolta da un evento traumatico, dando spunto per un'analisi molto realistica, amara della società odierna e dei suoi valori ma soprattutto delle sue ipocrisie. Il piccolo imprenditore meschino e strozzato dalla crisi che cerca di fare il grande salto verso l'ascesa economica e sociale si contrappone al bieco magnate milionario privo di scrupoli del progredito e ricco Nord Italia, entrambi hanno due figli adolescenti per cui non costituiscono un punto di riferimento, anzi non faranno che acuire il loro senso di smarrimento nell'affrontare il dramma in cui verranno fortuitamente coinvolti. Ottima l'interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi, mi ha ricordato qualche personaggio alla Sandrelli in certi suoi modi naif, ingenui, svampiti ed ho apprezzato la sua evoluzione e la presa di coscienza sul finale. E' questo il genere di film italiani che adoro, finalmente regia, sceneggiatura, fotografia vanno di pari passo con la credibilità della storia ed il regista affronta temi importanti quali: la spregiudicatezza economica, l'avidità, la menzogna, il lavoro, l'amore in modo intelligente e coinvolgente per lo spettatore. Super consigliato!
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cizeta
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giovedì 23 gennaio 2014
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una fotografia tragicamente attuale!
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Voto personale - 8
Una fotografia di ciò che succede in Italia in questi anni. Un film mai banale che fa dei piccoli episodi una storia assolutamente interessante, ben recitata e strutturata.
Le vicende che coinvolgono due famiglie "lontane" negli standard sociali legati da un apparente legame sul quale si costruiscono più tragedie.
Consiglio a tutti di andare a vederlo; è un segno di come il cinema italiano, quando ci sono delle buone idee, produca film di ottimo livello.
Complimenti anche ai giovani attori Matilde Gioli (bravissima...e stupenda), Anzaldo e Pinelli... piccoli bravi attori crescono.
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nexus
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giovedì 23 gennaio 2014
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un'italia ricca ma vuota
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Straordinario affresco di una società cinica e disillusa ove il denaro ha pervaso tutto e contaminato le coscienze della maggior parte dei protagonisti.
I ragazzi sono, in parte, vittime inconsapevoli del degrado morale e dell’aridità relazionale che avvolge tutti.
Ognuno persegue più o meno cinicamente i propri obiettivi, perso nei propri pensieri, noncurante delle vite che gli passano accanto e con cui si relaziona ma soltanto per strappare brandelli di utilità e vantaggio.
E’ una solitudine esistenziale anestetizzata dalla ricchezza, dall’ostentazione, dall’apparenza, dal potere, dalla finta cultura usata come status symbol.
Il film delinea uno spaccato veritiero di questo Paese.
I personaggi agiscono, corrono, annaspano, fanno ed accettano compromessi ributtanti ma….
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Straordinario affresco di una società cinica e disillusa ove il denaro ha pervaso tutto e contaminato le coscienze della maggior parte dei protagonisti.
I ragazzi sono, in parte, vittime inconsapevoli del degrado morale e dell’aridità relazionale che avvolge tutti.
Ognuno persegue più o meno cinicamente i propri obiettivi, perso nei propri pensieri, noncurante delle vite che gli passano accanto e con cui si relaziona ma soltanto per strappare brandelli di utilità e vantaggio.
E’ una solitudine esistenziale anestetizzata dalla ricchezza, dall’ostentazione, dall’apparenza, dal potere, dalla finta cultura usata come status symbol.
Il film delinea uno spaccato veritiero di questo Paese.
I personaggi agiscono, corrono, annaspano, fanno ed accettano compromessi ributtanti ma…. alla fine trovano sempre una soluzione che apparentemente “accontenta tutti” e “zittisce tutti i malumori” e sopisce le coscienze.
Perché alla fine si deve SEMPRE trovare una quadratura che eviti sconquassi ben peggiori.
Il teatro in rovina è una metafora di un’Italia un tempo fastosa ed ormai decadente, in disarmo.
Perché non ci sono più i soldi, sono altrove… spariscono sempre altrove.
Ma nonostante che intorno tutto cada a pezzi ( il teatro ) si trova sempre un accordo, un compromesso.
La chiavetta usb in cambio dei soldi per ripianare il buco finanziario e di un bacio.
Si “risolvono” così tutti i problemi …… ma in realtà i problemi veri sono rimasti tutti al loro posto.
E’ stato monetizzato anche il valore di una vita spezzata, ma la vita non tornerà più.
Ci siamo dentro tutti, fino al collo, in questa realtà dove il denaro, la sete di potere, il successo, il desiderio di apparire hanno, in gran parte, falcidiato i valori, gli ideali, l’anelito ad una vita vera, degna di essere vissuta accanto ai propri cari e ad una cultura colma di bellezza che alimenti lo spirito.
Dovremmo rallentare, rivedere la nostra scala di valori, riappropriarci del nostro tempo perché ne abbiamo sempre meno.
Con semplicità avere il coraggio di seguire gli insegnamenti di Pepe Mujica fatti nel celebre discorso all’ONU.
Ce la faremo? Forse.
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