alex2044
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lunedì 13 gennaio 2014
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un certo modo di pensare genera solo disastri
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Un gran bel film . Teso il giusto . Interpretato bene,su tutti Valeria Bruni Tedeschi troppo spesso sottovalutata. Il gioco degli incastri intrigante . L'ambientazione corretta . L'interesse costante , anzi aumenta verso la fine . Il grande direttore del TFF ha fatto centro . A proposito delle polemiche localistiche non bisogna preoccuparsi . Il grande Pietro Germi sulla sua nuvoletta sorriderà ricordando il suo capolavoro " Signore e signori " così contestato all'epoca .
Piccolo appunto : Il film è meglio, molto meglio della sua presentazione .
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goldenprize
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lunedì 13 gennaio 2014
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il capitale che mal si spiega
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VIrzì mi ha sempre colpito per la sua dimestichezza nel rappresentare, in maniera grottesca e ironica: l'evoluzione della società Italia attraverso le varie epoche.
Ovosodo: film che racconta la corsa impari tra i figli dell'alta borghesia e quella degli squattrinati operai di quartiere, verso la metà degli anni '90.
Caterina va in città: in cui la visione idealista di provincia si scontra con quella cruda e pragmatica della Capitale, attraverso gli occhi innocenti di una teenager durante il secondo governo Berlusconi.
Tutta la vita davanti: lo spettro del precariato e della disoccupazione ambietato tra le fila di un call center e vissuto da una neo laureata in filosofia, che sa molto di riforma della scuola Moratti e di legge sul lavoro Maroni.
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VIrzì mi ha sempre colpito per la sua dimestichezza nel rappresentare, in maniera grottesca e ironica: l'evoluzione della società Italia attraverso le varie epoche.
Ovosodo: film che racconta la corsa impari tra i figli dell'alta borghesia e quella degli squattrinati operai di quartiere, verso la metà degli anni '90.
Caterina va in città: in cui la visione idealista di provincia si scontra con quella cruda e pragmatica della Capitale, attraverso gli occhi innocenti di una teenager durante il secondo governo Berlusconi.
Tutta la vita davanti: lo spettro del precariato e della disoccupazione ambietato tra le fila di un call center e vissuto da una neo laureata in filosofia, che sa molto di riforma della scuola Moratti e di legge sul lavoro Maroni.
Tutti i santi giorni: le neo coppie di 30 enni, che tra un contratto a progetto e un affitto in palazzina, non trovano il tempo per costruirsi una famiglia e sposarsi, condizione naturale di sia nato a cavallo tra il 1980 e il 1990 (la cosidetta generazione Mille euro).
Partendo da un'esperienza lavorativa così intensa: mi aspettavo un film con una maggiore cura dei dettagli, una trama più solida ed una maggiore attinenza ai fenomeni di costume.
La storia semplicemente non c'è ma funge da pretesto per raccontare le inquietudini di alcuni dei protagonisti principali: Dino, Carla e Serena.
Tralasciando il fatto che i personaggi sono sei, sette se contiamo anche il ciclista investito all'inizio del film: non si riesce a capire quale sia il filo conduttore che fa da sfondo ad un titolo così altisonante come "Il capitale Umano".
Solo alla fine, scritto in debole sui titoli di coda, verrà spiegato cos'è il capitale Umano: un valore che viene dato alle compagnie di assicurazione a titolo di rimborso come assicurazione sulla vita.
Il film semplicemente non decolla e l'ambientazione non convince: troppi i cliché che fanno pensare più ad una produzione grossolana di Federico Moccia che non ad un lavoro di stile come quello a cui Virzì mi aveva abituato.
L'impresario ricco, arrivista e senza scrupoli, amico di convenienza dell'immobiliarista goffo e imbranato, desideroso di entrare nella cerchia di quelli che contano: detta così sembra il confronto Gordon Gekko - Bud Fox de "Wall Street". In realtà: tutto si svolge in pochi minuti, un paio di scambio di battute e il lieto fine che farà felici tutti.
La moglie ricca ed annoiata, incapace di prendere decisioni, anteposta alla psicologa vicina ai problemi dei giovani tossicodipendenti: una storia che sa di già visto e che non porta grossi colpi di scena ma solo qualche sbaglio.
Il triangolo d'amore tra il ricco rampollo destinato a prendere il posto del padre, la figliastra orfana incapace di trovare l'amore vero e l'amico emo che saprà aprirle il cuore: il finale è dei più banali in assoluto, ritagliato tanto per fare felice lo spettatore.
E dire che di materia il film aveva da offrirne: l'arrivismo, il sogno di potere e facili guadagni, la crisi dei mutui e delle compagnia immobiliari, la caduta dei piccoli Imprenditori del Nord e la disperazione delle nuove generazioni costrette a vivere in un mondo sempre più distante.
L'errore più grave, a mio avviso, è stato quello di concedere spazio a tutti finendo per non darlo a nessuno in particolare: la storia non è completa e al telespettatore non resta che tappare i buchi usando la sua immaginazione.
Un film scialbo, debole e ambiguo: un lavoro di adattamento che non è riuscito.
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[+] lei non ha capito il film
(di alessandro vanin)
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pepito1948
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lunedì 13 gennaio 2014
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un salto ardito dalla commedia al dramma
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Non c’è stilisticamente granchè di Virzì in questo ultimo Virzì che, dopo le recenti non esaltanti prove, vira verso il dramma di denuncia in salsa poliziesca di una società ricca e spregiudicata (che realisticamente non può essere che quella nordica, a dispetto delle polemiche di questi giorni, pur rivestendo una valenza simbolica che trascende la geografia italica), dove i birilli coinvolti si muovono instabilmente in tutte le direzioni; i più fortificati (cioè privi di remore morali) cadono e, come quasi sempre, trovano il modo di rialzarsi, altri si illudono di volare senza ali e rimediano alla caduta grazie a deprecabili espedienti come il ricatto, altri ancora galleggiano come bocce di vetro in balia dei marosi rifiutando di scegliere con fermezza la via del riscatto personale, uno che non c’entra nulla cade davvero in un fosso per non rialzarsi più.
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Non c’è stilisticamente granchè di Virzì in questo ultimo Virzì che, dopo le recenti non esaltanti prove, vira verso il dramma di denuncia in salsa poliziesca di una società ricca e spregiudicata (che realisticamente non può essere che quella nordica, a dispetto delle polemiche di questi giorni, pur rivestendo una valenza simbolica che trascende la geografia italica), dove i birilli coinvolti si muovono instabilmente in tutte le direzioni; i più fortificati (cioè privi di remore morali) cadono e, come quasi sempre, trovano il modo di rialzarsi, altri si illudono di volare senza ali e rimediano alla caduta grazie a deprecabili espedienti come il ricatto, altri ancora galleggiano come bocce di vetro in balia dei marosi rifiutando di scegliere con fermezza la via del riscatto personale, uno che non c’entra nulla cade davvero in un fosso per non rialzarsi più. Quanto vale la vita di un poveraccio estraneo a quel miscuglio di cinismo, illegalità, insensibilità, viltà, scaltrezza, bricconeria, aridità, ecc. ecc.? Poco, forse un risarcimento assicurativo di duecentomila euro, niente rispetto alle masse di denaro che serpeggiano, fuggono, ritornano, si gonfiano e si afflosciano, si trasformano in ville di lusso o feste o in simboli di potere come un SUV, passano sotto il naso di chi vorrebbe acchiapparli tramite le “giuste” conoscenze e magari alla fine ci riesce barattando una chiave con un bacio (più qualche altra cosa). La società di assicurazioni non può far altro che appellarsi al concetto economico di capitale umano per quantificare l’entità –la misura dell’esistenza, numericamente variabile e fredda- di un poveraccio colpevole solo di girare in bicicletta di notte. Concetto i cui parametri di valutazione portano ad esiti esigui, perché lui non è mai entrato negli ambienti vorticosi dell’elite vacuamente luccicosa dominata non dal dio denaro, definizione ormai demodè che però aveva almeno un che di palpabile concretezza, ma dalla dea finanza, rappresentabile come un diagramma da terremoto, fredda, instabile, imprevedibile, invisibile e perennemente soggetta a singulti e sbalzi termici (in termini umani).
Una vicenda che si apre con un incidente stradale senza un immediato colpevole e si chiude con la soluzione del caso, che, dopo aver attraversato le vite dei vari soggetti coinvolti, lascia sul campo vittime, trionfatori incalliti dal potere dei soldi, rimontatori per il rotto della cuffia, perdenti per propria incapacità (o volontà) di orientarsi e di opporre rifiuti salvifici, portatori insani di parvenze sentimentali. Assenti ingiustificati onestà, senso etico, merito, coraggio. Almeno nel mondo degli adulti.
Poi ci sono i birilletti, i giovani che si smarcano dalle più o meno squallide vicende dei padri o delle madri o degli zii, e che rialzano senza compensarle le basse quotazioni del gruppo, mostrando maggior vivacità emotiva e una partecipazione più sana alla vita. Dal rampollo dell’algido magnate, smidollato ma vittima di due genitori assenti o incapaci di gestire un ruolo di guida e quindi meritevole di indulgenza, alla figlia dell’affarista-opportunista, alla quale è affidata la parte più dinamica ed edificante, al ragazzo sfigato e con la fama di pecora nera, che è l’unico a pagare (ed accettare con dignità di farlo) per le proprie colpe.
Virzì compone un mosaico amaro e, va detto, molto sfumato come suggerisce la realtà di un ambiente (leggi di una società) ormai fuori controllo (etico) ed avviato alla progressiva deriva, le cui speranze di riscatto sono addossate unicamente alle nuove generazioni. Lo fa ricorrendo ad espedienti narrativi efficaci, come l’adozione dei punti di vista dei diversi personaggi tramite la suddivisione in capitoli personali che poi confluiscono in un finale corale ed il conseguente sfalsamento dei tempi del racconto. Tutto funziona nella perfetta costruzione della storia ma si avverte una certa freddezza, un forse calcolato distacco che, se da una parte induce alla pacata riflessione, dall’altra osta ad una reazione emotiva forte, all’indignazione, alla impulsiva condanna senza appello verso un cancro sociale che riscontriamo sempre più nel nostro vissuto quotidiano e a cui rischiamo di prestare abitudine a scapito di un sano quanto combattivo rifiuto. Buono il cast, con menzione particolare per Gifuni e la Bruni Tedeschi ma anche per la giovane Matilde Gioli, mentre lascia perplessi il personaggio un po’ macchiettistico di Bentivoglio, che sembra confezionato apposta per rappresentare la cialtroneria dell’italiano medio tante volte vista nella migliore commedia dei Risi, Monicelli, Scola ed altri. Ma Virzì non è uno di loro e Bentivoglio non è Alberto Sordi o Vittorio Gassman.
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gabriele marolda
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lunedì 13 gennaio 2014
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quanto vale un uomo
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Dino Ossola è il titolare di un’agenzia immobiliare operante nell’entroterra milanese che comincia ad avvertire le prime scosse della crisi che travaglia il paese.
Grazie all’amicizia della figlia con il figlio di un ricco faccendiere brianzolo, nell’ansia di salire la scala sociale, accetta improvvidamente la proposta di investire una rilevante (per lui) somma di denaro che prende a prestito da una banca offrendo in garanzia la propria casa.
Ad uno ad uno sfilano gli altri personaggi della vicenda.
Il disinvolto imprenditore che col danaro proveniente dai giochi nella finanza e dalla fiducia di tanti investitori e risparmiatori si è fatta una posizione invidiabile.
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Dino Ossola è il titolare di un’agenzia immobiliare operante nell’entroterra milanese che comincia ad avvertire le prime scosse della crisi che travaglia il paese.
Grazie all’amicizia della figlia con il figlio di un ricco faccendiere brianzolo, nell’ansia di salire la scala sociale, accetta improvvidamente la proposta di investire una rilevante (per lui) somma di denaro che prende a prestito da una banca offrendo in garanzia la propria casa.
Ad uno ad uno sfilano gli altri personaggi della vicenda.
Il disinvolto imprenditore che col danaro proveniente dai giochi nella finanza e dalla fiducia di tanti investitori e risparmiatori si è fatta una posizione invidiabile. Vive in una ricca villa oggetto di incontri mondani e feste in cui si creano altre occasioni di investimenti.
La moglie, un po’ svanita e depressa, che cerca di dare un significato alla propria vita attraverso l’interessamento al recupero di un teatro di cui tenta la riapertura con l’aiuto delle conoscenze nel mondo della finanza in cui abilmente nuota il marito e la professionalità di un intellettuale attirato più dall’avvenenza della signora che dall’evento culturale.
La moglie dell’Ossola, donna modesta ma decisa, psicologa tutta presa dalla prossima maternità.
Il figlio del finanziere, uso all’alcol e alla droga, orgoglioso possessore di un mastodontico Suv, da cui avrà origine una tragedia della strada.
La figlia di Ossola, molto graziosa non proprio innamorata del ragazzo di cui non gradisce le intemperanze, tanto da lasciarsi facilmente attrarre da un altro giovane, spiantato ma sognatore.
Una notte gelida, una curva cieca, un incidente in cui viene travolto un povero ciclista che torna dal lavoro di cameriere precario in una ditta di catering, e la vita dei nostri personaggi subisce una svolta drammatica.
La reazione di alcuni leghisti, che hanno contestato il film che a loro dire darebbe un’idea falsa e incattivita del mondo brianzolo fa pensare a chi in passato lamentava il mancato rispetto della Sicilia nei tanti lavori artistici in cui fa da sfondo il fenomeno mafioso.
Il film di Virzì trova posto nella migliore cinematografia che affronta temi di grande attualità con vivida introspezione psicologica dei personaggi che vi sono rappresentati.
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mydarksidetonight
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lunedì 13 gennaio 2014
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un virzì amaro con margini di speranza
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Tratto dall’omonimo romanzo di Stephen Amidon,il capitale umano di Virzì è un film che un cinefilo deve vedere. L’avidità di Dino,uno dei protagonisti di uno degli episodi che compongono il film,interpretato benissimo da Bentivoglio,è il sintomo di un qualcosa di fortemente radicato nella nostra società,il desiderio di rivalsa. Si desidera sempre di più, più del necessario. Per ottenerlo si è disposti ad indebitarsi, a investire i risparmi di una vita in maniera sconsiderata ,il tutto per appartenere ad un gruppo di “vincenti”.
Sentirsi riconosciuti ,sentirsi parte di un qualcosa. Perdere il contatto con la realtà e con ciò che vale.
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Tratto dall’omonimo romanzo di Stephen Amidon,il capitale umano di Virzì è un film che un cinefilo deve vedere. L’avidità di Dino,uno dei protagonisti di uno degli episodi che compongono il film,interpretato benissimo da Bentivoglio,è il sintomo di un qualcosa di fortemente radicato nella nostra società,il desiderio di rivalsa. Si desidera sempre di più, più del necessario. Per ottenerlo si è disposti ad indebitarsi, a investire i risparmi di una vita in maniera sconsiderata ,il tutto per appartenere ad un gruppo di “vincenti”.
Sentirsi riconosciuti ,sentirsi parte di un qualcosa. Perdere il contatto con la realtà e con ciò che vale. In un contesto così degradante anche la vita umana,il capitale umano,rischia di diventare veramente una merce di scambio. Il paese che ci descrive Virzì è quello che decide che,il risarcimento per la vita di un uomo debba essere pagato in termini di prospettive di guadagno,ha ancora molta strada da fare ,prima di potersi definire civile.
Sono pochi i personaggi che in questo film, volutamente per volere del regista,non hanno dignità . Degno di nota il professore, interpretato da un ottimo Luigi Lo Cascio, uno tra i pochi capace di ribellarsi allo squallore generale .Visto come un outsider ,un “fallito” rispetto a tanti vincenti che poi di vincente hanno ben poco.
Un Virzì amaro,con margini di speranza ,uno tra tutti l’amore che appare ancora tra i pochi strumenti in grado di risvegliare e illuminare le coscienze .
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mydarksidetonight
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lunedì 13 gennaio 2014
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un virzì un pò amaro......
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Tratto dall'omonimo romanzo di Stephen Amidon, "il Capitale umano" di Virzì è un film che un cinefilo non può ,non vedere. L'avidità di Dino ,uno tra i protagonisti,interpretato benissimo da Bentivoglio,incarna un pò l'ambizione di molti che ,oggigiorno non si accontentano di avere un discreto benessere ma vogliono di più, il prestigio ,l'apparenza,l'ostentazione di ciò che hanno .Non si vuole avere più per necessità ma per un bisogno smodato di lusso e di sentirsi accomunati a determinati personaggi.
Un pò come quelli che risparmiano i soldi del proprio stipendio per andare al Billionaire e sentirsi come il Briatore della situazione.
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Tratto dall'omonimo romanzo di Stephen Amidon, "il Capitale umano" di Virzì è un film che un cinefilo non può ,non vedere. L'avidità di Dino ,uno tra i protagonisti,interpretato benissimo da Bentivoglio,incarna un pò l'ambizione di molti che ,oggigiorno non si accontentano di avere un discreto benessere ma vogliono di più, il prestigio ,l'apparenza,l'ostentazione di ciò che hanno .Non si vuole avere più per necessità ma per un bisogno smodato di lusso e di sentirsi accomunati a determinati personaggi.
Un pò come quelli che risparmiano i soldi del proprio stipendio per andare al Billionaire e sentirsi come il Briatore della situazione.E' proprio questo arrivismo il file rouge dei vari episodi che compongono il film. Si vuole di più,si è disposti a mettere in discussione la propria stabilità familiare,i risparmi di una vita ,soldi che non si hanno ,pur di entrare in un giro di persone "giuste". Quindi ci si dimentica di tutto ,degli affetti ,della dignità e persino del valore della vita.
La vita di un cameriere diventa lo strumento nelle mani di persone avide di denaro .L'unica figura degna di stima intellettuale è quella del professore,magistralmente interpretato da Luigi Lo Cascio,sembra vivere in maniera diversa ma con grande onestà e dignità. Come lo stesso Luca ,malvisto da tutti ma effettivamente dotato di più umanità ,rispetto a tanti rispettabili "omuncoli".
Anche se apparentemente amaro,il film di Virzì lascia un margine di cambiamento nel finale.
L'amore spesso rappresenta rinascita e risveglio delle coscienze.
Squallido è chi decide che, il risarcimento alle famiglie di una vittima della strada debba essere pagato in termini di prospettive di guadagno. L'uomo ha ancora tanta strada da fare,per dirsi civile.
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mattopolis
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lunedì 13 gennaio 2014
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virzì non delude mai
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Cinico intrigante critico e attuale senza cadere nel patetico come molti film italiani contemporanei
.merita!
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romifran
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lunedì 13 gennaio 2014
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un imperdibile prova d'autore.
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E' solo una forma di incontenibile pudore a trattenere il pubblico dall'applauso, quando lo splendido film di Paolo Virzì si conclude con le tre parole che gli danno il titolo "Il capitale umano". E' il valore che le compagnie assicurative attribuiscono al risarcimento da destinare ai congiunti del defunto, in base alle sue potenzialità lavorative, alla sua età anagrafica e al suo stato di salute, agli affetti che lascia in questa vita. E' dunque ben misero il compenso di poco più di 218.000 euro per la vita di un uomo semplice, un cameriere a chiamata, che lavorava sodo, che aveva figli piccoli (come si intuisce dalle affermazioni della futura vedova, durante l'agonia in ospedale); che, come unico mezzo di locomozioone disponeva di una bicicletta che sarà la sua condanna.
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E' solo una forma di incontenibile pudore a trattenere il pubblico dall'applauso, quando lo splendido film di Paolo Virzì si conclude con le tre parole che gli danno il titolo "Il capitale umano". E' il valore che le compagnie assicurative attribuiscono al risarcimento da destinare ai congiunti del defunto, in base alle sue potenzialità lavorative, alla sua età anagrafica e al suo stato di salute, agli affetti che lascia in questa vita. E' dunque ben misero il compenso di poco più di 218.000 euro per la vita di un uomo semplice, un cameriere a chiamata, che lavorava sodo, che aveva figli piccoli (come si intuisce dalle affermazioni della futura vedova, durante l'agonia in ospedale); che, come unico mezzo di locomozioone disponeva di una bicicletta che sarà la sua condanna. Sparisce, quest'uomo semplice e onesto che ha appena finito di servire ai tavoli del ricco banchetto della premiazione della snobissima scuola privata frequentata dai rampolli dell'alta borghesia brianzola. Non è nessuno. E vale niente. E niente valgono il "frocio" e la "negra" che competono con il figlio di papà, il viziatissimo e "blasé" Massimiliano Bernaschi, che non vince il premio e mal accetta la sconfitta. Massimiliano ha un padre ingombrante e disonesto - che odia - una madre distratta e isterica - che detesta -, che inducono il ragazzo (che ha tutto, ma che, in realtà, non ha nulla) a illudersi di poter vantare la sua pur modesta rivincita tramite un premio che non gli viene assegnato. Se Massimo Troisi fosse stato vivo, avrebbe di sicuro affermato che i Bernaschi avrebbero fatto meglio a chiamarlo Ugo! In un gioco sapiente di chiaroscuri, Paolo Virzì conduce l'intricata vicenda attraverso i punti di vista di Dino Ossola, ambizioso operatore immobiliare che rischia il tutto per tutto per tentare il colpo grosso della sua vita e che mercanteggia il suo denaro con la vita di un ragazzo - che dalla vita non ha avuto nulla; di Carla Bernaschi che non sa come spendere i suoi soldi, che non riesce ad instaurare un dialogo con suo figlio e che scende al compromesso più abbietto: comprare una vita umana; di Serena, una ragazza normale, nonostante il padre "mostruoso" che l'ha generata, che non si lascia incantare dal lusso e dalle comodità, ma guarda, con naturale lucidità, ai valori veri della vita: la forza dell'amore, il peso del dolore, la gioia degli affetti autentici, la possibilità di riscatto che va garantita ad ogni essere umano. Bravissimi, tutti. Un cast straordinario che non ha un solo attimo di cedimento. I brianzoli fanno una severa levata di scudi contro il ritratto spregevole che vien fuori, attraverso tutto il film, di una società operosa, ma incapace di provare sentimenti e di dimostrare rispetto. Sarebbe dispiaciuto anche a me. Tuttavia, proverei a dimenticare l'etichetta "regionalistica" (ognuno di noi ha i suoi scheletri nell'armadio!) e guarderei alla possibilità che analoghe situazioni si possano verificare anche altrove (non dimentichiamo che il soggetto è tratto da un romanzo americanno, ambientato in Connecticut). Virzì è ligure, è un uomo del nord e non credo volesse offendere nessuno. Mi sembra, invece, che restituisca alla bellissima Brianza lo splendore dei suoi paesaggi mozzafiato e quel concetto di operosità e di capacità imprenditoriale che l'hanno fatta ricca. Purtroppo, nella luce abbagliante di questi scenari da cartolina si consuma il "male" e in una stanza semibuia, disordinata e sporca, fiorisce l'amore di due ragazzi che non hanno nulla in comune, se non la loro sana voglia di vivere e l'urgenza di sperimentare l'incontro di due anime assetate di consolazione e di rispetto. Un film ineccepibile!
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frontedelcinema
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domenica 12 gennaio 2014
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sublime.
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Sublime. Per sgombrare subito il campo dagli equivoci, non si tratta di “apparenze” come in “American Hustle”. Siamo decisamente fuori pista. Qui tutti i personaggi sono convinti di quello che fanno, eccetto le finzioni di cortesia, cui neanche noi alle volte possiamo sottrarci per non far del male a qualcuno.
L’accento verosimilmente è stato posto in maniera divina sull’incapacità di un’intera classe dirigente. Non si salva nessuno: dai genitori agli imprenditori, dalla polizia alla stampa. E’ questo lo spaccato di una società mal gestita: una fotografia cruda e potente di chi dovrebbe essere in grado di gestire i rapporti sociali, ma non sa neanche cosa siano.
Osserviamo una classe dirigente che genera continuamente errori su errori, al punto da farci scappare un morto.
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Sublime. Per sgombrare subito il campo dagli equivoci, non si tratta di “apparenze” come in “American Hustle”. Siamo decisamente fuori pista. Qui tutti i personaggi sono convinti di quello che fanno, eccetto le finzioni di cortesia, cui neanche noi alle volte possiamo sottrarci per non far del male a qualcuno.
L’accento verosimilmente è stato posto in maniera divina sull’incapacità di un’intera classe dirigente. Non si salva nessuno: dai genitori agli imprenditori, dalla polizia alla stampa. E’ questo lo spaccato di una società mal gestita: una fotografia cruda e potente di chi dovrebbe essere in grado di gestire i rapporti sociali, ma non sa neanche cosa siano.
Osserviamo una classe dirigente che genera continuamente errori su errori, al punto da farci scappare un morto. Chi osa sostenere che il morto è dipeso da un errore di gioventù, gli dico di vedere bene nei dettagli il film, perché, a parte l’assenza delle figure genitoriali nella cura del proprio figlio, se la madre fosse intervenuta in tempo, il morto non ci sarebbe scappato.
Analizzando tutti i dettagli del film, si ha la conferma dell’esistenza di un’intera generazione che fa ricadere i suoi errori più clamorosi sui figli. Ma forse questa è la vita, nella quale gli adulti creano inconsapevolmente il destino dei loro figli con i suoi difetti, ma anche con i suoi pregi, perché un vero amore è sbocciato, autentico e contro ogni logica, contro i genitori che non sanno fare i genitori, contro una polizia incapace di fare indagini, contro una stampa già pronta a condannare, contro ogni prigione, ogni sbarra.
Grandi gli attori nei loro ruoli: non sembrano recitare, sembrano i protagonisti di quell’ultimo filone di documentari che si fanno sulla strada. Per un attimo ho avuto la sensazione di assistere ad un documentario. Troppo vero, troppo bello.
Maurizio Torelli
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evildevin87
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domenica 12 gennaio 2014
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bella roba virzì!
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Tutti i personaggi sono in qualche modo vittime ma tutt'altro che innocenti, e la suddivisione del film in capitoli al fine di farci vedere la storia da tutti punti di vista dei comprimari si mostra incalzante e gestita splendidamente. Questa pellicola trabocca marcio e vergogna da tutti i pori e alla fine lascia un'angoscia e uno strascico allucinanti, ti fa quasi vergognare di esistere. In senso buono eh, intendiamoci, perchè questo film è tutt'altro che brutto o faticoso da seguire. Paolo Virzì con questo confeziona uno dei suoi migliori capitoli, coadiuvato da una regia davvero ispirata e senza una calo che sia uno, senza nulla togliere alla sceneggiatura e alle ottime prove attoriali.
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Tutti i personaggi sono in qualche modo vittime ma tutt'altro che innocenti, e la suddivisione del film in capitoli al fine di farci vedere la storia da tutti punti di vista dei comprimari si mostra incalzante e gestita splendidamente. Questa pellicola trabocca marcio e vergogna da tutti i pori e alla fine lascia un'angoscia e uno strascico allucinanti, ti fa quasi vergognare di esistere. In senso buono eh, intendiamoci, perchè questo film è tutt'altro che brutto o faticoso da seguire. Paolo Virzì con questo confeziona uno dei suoi migliori capitoli, coadiuvato da una regia davvero ispirata e senza una calo che sia uno, senza nulla togliere alla sceneggiatura e alle ottime prove attoriali. Film ipnotico, angosciante, attualissimo e fottutamente reale. Complimenti davvero signor Virzì!
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