francog
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sabato 7 maggio 2022
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due tesi contrapposte che convivono
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film capolavoro secondo la mia modesta opinione.
Nel film io ho visto due tesi contrapposte che convivono come spesso accade nella realta'.
Nella prima virzi sembra dire che all'interno di classi sociali diverse accadono le stesse dinamiche,tutti ragionano allo stesso modo
E nella seconda dice pero' che quando i facenti parte di una classe entrano in contatto con l'altra accadono disastri, avvalorando la tesi che la divisione in classi sociali e' ancora vigente.
Virzi salva solo i giovani,tutti,non ancora totalmente contaminati. E vittima e carnefice nell'unico evento drammatico fanno parte della classe meno abbiente ancora una volta proprio perche' accidentalmente il giovane meno abbiente viene a trovarsi a contatto con la classe piu' abbiente uscendo sconfitto.
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film capolavoro secondo la mia modesta opinione.
Nel film io ho visto due tesi contrapposte che convivono come spesso accade nella realta'.
Nella prima virzi sembra dire che all'interno di classi sociali diverse accadono le stesse dinamiche,tutti ragionano allo stesso modo
E nella seconda dice pero' che quando i facenti parte di una classe entrano in contatto con l'altra accadono disastri, avvalorando la tesi che la divisione in classi sociali e' ancora vigente.
Virzi salva solo i giovani,tutti,non ancora totalmente contaminati. E vittima e carnefice nell'unico evento drammatico fanno parte della classe meno abbiente ancora una volta proprio perche' accidentalmente il giovane meno abbiente viene a trovarsi a contatto con la classe piu' abbiente uscendo sconfitto.
La ricostruzione a frammenti ricostruisce la storia nei suoi dettagli col doppio obiettivo di mostrare l'umanita' dei personaggi nel loro travaglio e dall'altro ci mostra le stesse scene due volte per dirci che quello che vediamo in apparenza non e' che una parte della realta'.
I miei modesti mezzi culturali non mi consentono di dire di piu'se non che queste cose accadono veramente perche' io le ho viste.
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mydarksidetonight
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lunedì 13 gennaio 2014
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un virzì un pò amaro......
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Tratto dall'omonimo romanzo di Stephen Amidon, "il Capitale umano" di Virzì è un film che un cinefilo non può ,non vedere. L'avidità di Dino ,uno tra i protagonisti,interpretato benissimo da Bentivoglio,incarna un pò l'ambizione di molti che ,oggigiorno non si accontentano di avere un discreto benessere ma vogliono di più, il prestigio ,l'apparenza,l'ostentazione di ciò che hanno .Non si vuole avere più per necessità ma per un bisogno smodato di lusso e di sentirsi accomunati a determinati personaggi.
Un pò come quelli che risparmiano i soldi del proprio stipendio per andare al Billionaire e sentirsi come il Briatore della situazione.
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Tratto dall'omonimo romanzo di Stephen Amidon, "il Capitale umano" di Virzì è un film che un cinefilo non può ,non vedere. L'avidità di Dino ,uno tra i protagonisti,interpretato benissimo da Bentivoglio,incarna un pò l'ambizione di molti che ,oggigiorno non si accontentano di avere un discreto benessere ma vogliono di più, il prestigio ,l'apparenza,l'ostentazione di ciò che hanno .Non si vuole avere più per necessità ma per un bisogno smodato di lusso e di sentirsi accomunati a determinati personaggi.
Un pò come quelli che risparmiano i soldi del proprio stipendio per andare al Billionaire e sentirsi come il Briatore della situazione.E' proprio questo arrivismo il file rouge dei vari episodi che compongono il film. Si vuole di più,si è disposti a mettere in discussione la propria stabilità familiare,i risparmi di una vita ,soldi che non si hanno ,pur di entrare in un giro di persone "giuste". Quindi ci si dimentica di tutto ,degli affetti ,della dignità e persino del valore della vita.
La vita di un cameriere diventa lo strumento nelle mani di persone avide di denaro .L'unica figura degna di stima intellettuale è quella del professore,magistralmente interpretato da Luigi Lo Cascio,sembra vivere in maniera diversa ma con grande onestà e dignità. Come lo stesso Luca ,malvisto da tutti ma effettivamente dotato di più umanità ,rispetto a tanti rispettabili "omuncoli".
Anche se apparentemente amaro,il film di Virzì lascia un margine di cambiamento nel finale.
L'amore spesso rappresenta rinascita e risveglio delle coscienze.
Squallido è chi decide che, il risarcimento alle famiglie di una vittima della strada debba essere pagato in termini di prospettive di guadagno. L'uomo ha ancora tanta strada da fare,per dirsi civile.
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enzo70
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domenica 9 febbraio 2014
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virzì fotografa l'italia
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La grande novità è la promozione che ha preceduto l’uscita del film, del tutto inusuale per le pellicole di casa nostra. E così il capitale umano appena arrivato in sala era già un evento. Ma passiamo al film, Virzì conosce bene il pubblico nostrano, film che nelle declinazioni dei dialetti dimostra, purtroppo, i limiti nazionali, e gira un film intelligente che affonda il naso nella asfissia dei valori italiani. Ottime le caratterizzazioni, dal brianzolo ignorante e privo di dignità, nessun sussulto, per carità, alla moglie del finanziere che cerca nella cultura il riscatto di un matrimonio naufragato senza naufragio. Una commedia che assume il tono della tragedia, o una tragedia che viene spesso portata al livello di una commedia di Paese.
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La grande novità è la promozione che ha preceduto l’uscita del film, del tutto inusuale per le pellicole di casa nostra. E così il capitale umano appena arrivato in sala era già un evento. Ma passiamo al film, Virzì conosce bene il pubblico nostrano, film che nelle declinazioni dei dialetti dimostra, purtroppo, i limiti nazionali, e gira un film intelligente che affonda il naso nella asfissia dei valori italiani. Ottime le caratterizzazioni, dal brianzolo ignorante e privo di dignità, nessun sussulto, per carità, alla moglie del finanziere che cerca nella cultura il riscatto di un matrimonio naufragato senza naufragio. Una commedia che assume il tono della tragedia, o una tragedia che viene spesso portata al livello di una commedia di Paese. Le tensioni sociali stanno sullo sfondo di una storia tutta italiana, dove il capitale umano di Virzì è la capacità di fotografare l’incapacità degli italiani di reagire con orgoglio a questa crisi, alla rincorsi di modelli culturali che appartengono ad un passato che ha caratterizzato il presente e pesa sul nostro futuro. E non mi riferisco sono al finanziere che sull’orlo del baratro si salva solo perché ha avuto la lungimiranza di scommettere sul fallimento dell’Italia, ma anche alla manichea cultura del professore di teatro interpretato da Lo Cascio. Dino Ossola, l’agente immobiliare scemo, è la macchietta di chi crede che il sogno sia quello di Briatore & C. Il futuro è nel capitale umano di questo Paese, quello che non è scritto nelle tabelle attuariali delle società assicuratrici.
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laerte
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venerdì 10 gennaio 2014
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fuggire via da te, brianza velenosa...
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Premetto che amo molto Virzì e le mie aspettative per questo film erano molto alte (forte troppo!).
Secondo me siamo di fronte a un film con un solido impianto drammaturgico che tocca temi molto sentiti e di attualità (crisi economica, speculazione finanziarie, bassezze dell'italiano individualista). I personaggi sono costruiti bene, soprattutto Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), e richiamano stereotipi con cui tutti noi abbiamo talvolta a che fare. Tuttavia la mia sensazione è proprio questi personaggi siano fin troppo stereotipati, quasi didascalci (in alcuni passaggi del film mi immaginavo che il broker di borsa si sarebbe comportato così e così accadeva, e lo stesso per il figlio del broker o per la sua ex fidanzata).
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Premetto che amo molto Virzì e le mie aspettative per questo film erano molto alte (forte troppo!).
Secondo me siamo di fronte a un film con un solido impianto drammaturgico che tocca temi molto sentiti e di attualità (crisi economica, speculazione finanziarie, bassezze dell'italiano individualista). I personaggi sono costruiti bene, soprattutto Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), e richiamano stereotipi con cui tutti noi abbiamo talvolta a che fare. Tuttavia la mia sensazione è proprio questi personaggi siano fin troppo stereotipati, quasi didascalci (in alcuni passaggi del film mi immaginavo che il broker di borsa si sarebbe comportato così e così accadeva, e lo stesso per il figlio del broker o per la sua ex fidanzata). E' come se fosse stata privilegiata la struttura del film, e non venisse dato il giusto tempo a ogni snodo del film (e sono tanti). C'è suspence, c'è curiosità, ma alcuni passaggi appaiono frettolosi, si vede troppo lo scheletro del romanzo che sta dietro e limitano l'aderenza emotiva dello spettatore.
Infine la recitazione dei giovani (il figlio del broker in particolare) non è eccelsa, e più volte si ha la sensazione che "recitino".
Ripeto: forse le mie aspettative erano troppo alte, ma credo che Virzì possa fare meglio: con un po' più di cura per i dettagli poteva essere un piccolo capolavoro.
PS: I titoli di coda, che svelano anche il perché del titolo "Il capitale umano", lasciano sicuramente l'amaro in bocca e molto da pensare.
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goldenprize
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lunedì 13 gennaio 2014
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il capitale che mal si spiega
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VIrzì mi ha sempre colpito per la sua dimestichezza nel rappresentare, in maniera grottesca e ironica: l'evoluzione della società Italia attraverso le varie epoche.
Ovosodo: film che racconta la corsa impari tra i figli dell'alta borghesia e quella degli squattrinati operai di quartiere, verso la metà degli anni '90.
Caterina va in città: in cui la visione idealista di provincia si scontra con quella cruda e pragmatica della Capitale, attraverso gli occhi innocenti di una teenager durante il secondo governo Berlusconi.
Tutta la vita davanti: lo spettro del precariato e della disoccupazione ambietato tra le fila di un call center e vissuto da una neo laureata in filosofia, che sa molto di riforma della scuola Moratti e di legge sul lavoro Maroni.
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VIrzì mi ha sempre colpito per la sua dimestichezza nel rappresentare, in maniera grottesca e ironica: l'evoluzione della società Italia attraverso le varie epoche.
Ovosodo: film che racconta la corsa impari tra i figli dell'alta borghesia e quella degli squattrinati operai di quartiere, verso la metà degli anni '90.
Caterina va in città: in cui la visione idealista di provincia si scontra con quella cruda e pragmatica della Capitale, attraverso gli occhi innocenti di una teenager durante il secondo governo Berlusconi.
Tutta la vita davanti: lo spettro del precariato e della disoccupazione ambietato tra le fila di un call center e vissuto da una neo laureata in filosofia, che sa molto di riforma della scuola Moratti e di legge sul lavoro Maroni.
Tutti i santi giorni: le neo coppie di 30 enni, che tra un contratto a progetto e un affitto in palazzina, non trovano il tempo per costruirsi una famiglia e sposarsi, condizione naturale di sia nato a cavallo tra il 1980 e il 1990 (la cosidetta generazione Mille euro).
Partendo da un'esperienza lavorativa così intensa: mi aspettavo un film con una maggiore cura dei dettagli, una trama più solida ed una maggiore attinenza ai fenomeni di costume.
La storia semplicemente non c'è ma funge da pretesto per raccontare le inquietudini di alcuni dei protagonisti principali: Dino, Carla e Serena.
Tralasciando il fatto che i personaggi sono sei, sette se contiamo anche il ciclista investito all'inizio del film: non si riesce a capire quale sia il filo conduttore che fa da sfondo ad un titolo così altisonante come "Il capitale Umano".
Solo alla fine, scritto in debole sui titoli di coda, verrà spiegato cos'è il capitale Umano: un valore che viene dato alle compagnie di assicurazione a titolo di rimborso come assicurazione sulla vita.
Il film semplicemente non decolla e l'ambientazione non convince: troppi i cliché che fanno pensare più ad una produzione grossolana di Federico Moccia che non ad un lavoro di stile come quello a cui Virzì mi aveva abituato.
L'impresario ricco, arrivista e senza scrupoli, amico di convenienza dell'immobiliarista goffo e imbranato, desideroso di entrare nella cerchia di quelli che contano: detta così sembra il confronto Gordon Gekko - Bud Fox de "Wall Street". In realtà: tutto si svolge in pochi minuti, un paio di scambio di battute e il lieto fine che farà felici tutti.
La moglie ricca ed annoiata, incapace di prendere decisioni, anteposta alla psicologa vicina ai problemi dei giovani tossicodipendenti: una storia che sa di già visto e che non porta grossi colpi di scena ma solo qualche sbaglio.
Il triangolo d'amore tra il ricco rampollo destinato a prendere il posto del padre, la figliastra orfana incapace di trovare l'amore vero e l'amico emo che saprà aprirle il cuore: il finale è dei più banali in assoluto, ritagliato tanto per fare felice lo spettatore.
E dire che di materia il film aveva da offrirne: l'arrivismo, il sogno di potere e facili guadagni, la crisi dei mutui e delle compagnia immobiliari, la caduta dei piccoli Imprenditori del Nord e la disperazione delle nuove generazioni costrette a vivere in un mondo sempre più distante.
L'errore più grave, a mio avviso, è stato quello di concedere spazio a tutti finendo per non darlo a nessuno in particolare: la storia non è completa e al telespettatore non resta che tappare i buchi usando la sua immaginazione.
Un film scialbo, debole e ambiguo: un lavoro di adattamento che non è riuscito.
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[+] lei non ha capito il film
(di alessandro vanin)
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massiccio90
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giovedì 16 gennaio 2014
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un tentativo non proprio riuscito.
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Nelle prime battute, il film sembra non deludere le aspettative che vi si erano formate tutt'attorno. A farla da padrone, un'interessante dialettica tra i due Fabrizi: Bentivoglio nei panni di Dino e Gifuni in quelli di Giovanni, la cui disparità dei caratteri e, la maggiore coscienza di sé del primo rispetto al secondo, ci fanno apprezzare non soltanto le performance dei due attori, ma anche il particolare rapporto che intercorre tra i loro personaggi. In un secondo momento, anche il personaggio di Carla interpretato dalla Tedeschi – seppure descritto ai limiti dello stereotipo – tiene dignitosamente assieme una potenzialmente interessante sequela di eventi.
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Nelle prime battute, il film sembra non deludere le aspettative che vi si erano formate tutt'attorno. A farla da padrone, un'interessante dialettica tra i due Fabrizi: Bentivoglio nei panni di Dino e Gifuni in quelli di Giovanni, la cui disparità dei caratteri e, la maggiore coscienza di sé del primo rispetto al secondo, ci fanno apprezzare non soltanto le performance dei due attori, ma anche il particolare rapporto che intercorre tra i loro personaggi. In un secondo momento, anche il personaggio di Carla interpretato dalla Tedeschi – seppure descritto ai limiti dello stereotipo – tiene dignitosamente assieme una potenzialmente interessante sequela di eventi. Da questo punto in poi, la tematica vira da tutt'altra parte per spostarsi sul cast giovane; inizialmente tramite il personaggio di Carla e, successivamente, tramite quello di Serena. Da questo “secondo terzo” del film, la storia sembra diventare la copia di un teen drama dipinto di giallo male architettato, infarcito di stereotipi ormai trascorsi sulla generazione post-adolescente, inadeguatamente interpretato, con dialoghi che se pochi minuti prima già andavano scemando, ormai hanno perso originalità e veridicità. Esclusi Bentivoglio e Gifuni, il cast appare debole, poco incisivo, probabilmente non all'altezza né delle aspettative in sala, né dell'attuale panorama italiano; una debolezza rimarcata da dialoghi scialbi e immaturi, rispetto almeno a quei a cui Virzì può averci abituati. La struttura narrativa che “incastra” i vari punti di vista dei personaggi, è un ottimo punto di partenza, che però vede uno sviluppo il cui peggior difetto è quello di lasciare per terra troppe questioni, che vedono soluzioni affrettate, o non ne vedono affatto. Molto spesso, le caratterizzazioni dei personaggi non giustificano alcuni loro atteggiamenti, il ché, impedisce di empatizzare con essi, permettendoci soltanto di attendere la narrazione – la quale perde troppo presto l'attrattiva – scivolare fino alla conclusione, che rifila un'amara sorpresa, definibile “un tocco da dilettante”. Nessuna particolare nota nella regia, a parte quelche piano claustrobico, che però più di tanto non disturba. Le musiche di Carlo Virzì non deludono, seppure non sempre si collochino alla perfezione nella scena.
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selly
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martedì 7 gennaio 2014
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drammatico e pungente, american hustle sa convince
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“Ognuno vede ciò che vuole”. Questo pare essere il leitmotiv di American Hustle, pellicola che inaugura il 2014 italiano. Il film è incentrato su eventi reali e racconta l'operazione Abscam, creata dall'F.B.I. verso la fine degli anni '70 per indagare sulla corruzione dilagante nel Congresso degli USA e altre organizzazioni . È raccontata la storia del truffatore Irving Rosenfeld (Christian Bale) e della sua amante e complice Sydney Prosser (Amy Adams) che operano nel mondo della finanza. I due saranno costretti a collaborare con l’agente dell’FBI Ritchie DiMaso (Bradley Cooper) che li costringerà a partecipare ad una gigantesca operazione sotto copertura, per portare alla luce una serie di clamorosi scandali.
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“Ognuno vede ciò che vuole”. Questo pare essere il leitmotiv di American Hustle, pellicola che inaugura il 2014 italiano. Il film è incentrato su eventi reali e racconta l'operazione Abscam, creata dall'F.B.I. verso la fine degli anni '70 per indagare sulla corruzione dilagante nel Congresso degli USA e altre organizzazioni . È raccontata la storia del truffatore Irving Rosenfeld (Christian Bale) e della sua amante e complice Sydney Prosser (Amy Adams) che operano nel mondo della finanza. I due saranno costretti a collaborare con l’agente dell’FBI Ritchie DiMaso (Bradley Cooper) che li costringerà a partecipare ad una gigantesca operazione sotto copertura, per portare alla luce una serie di clamorosi scandali. L’obiettivo della pellicola sembra, però, essere incentrato più sulla tragicità della condizione dei personaggi, piuttosto che sui fatti in cui sono coinvolti. American Hustle è una storia di corruzione, di imbrogli, ma soprattutto di uomini con immagini distorte della realtà. Nel film c’è spazio per la moglie depressa, sola e un po’ frivola (Jennifer Lawrence), per l’amante che vive tutto il dramma della sua condizione, fino ad arrivare all’agente frustrato, con uno strano delirio di onnipotenza e un perverso senso di giustizia (Cooper). Alla regia il newyorkese David O. Russle ha voluto ancora puntare sulla coppia vincente Lawrence-Cooper di nuovo insieme sul grande schermo, dopo il successo de “ Il lato positivo”. L’ amatissima Jennifer ancora una volta non delude nella parte della moglie-madre, che poteva rilevarsi poco convincente e forse non in linea con la sua immagine di eroina delle teenagers. Buona è anche l’interpretazione di Christian Bale nella parte del tormentato truffatore, questa volta l’atletico “cavaliere scuro” si traveste da uomo decisamente fuori forma e con un “difficile riporto”. Interessante è anche la colonna sonora, curata da Danny Elfmann, che aveva giò musicata il lato positivo. Il film è ambientato tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80 quindi la colonna sonora include hit dell’epoca con brani di Elton John, Bee Gees, Donna Summer, Wings e Tom Jones. La pellicola conta anche i nomi di Robert De Niro, nella piccola parte di boss mafioso, e Jeremy Renner nella parte di Carmine Polito, sindaco della piccola Camden. Forse proprio quest’ultimo è il più interessante poiché è forse l’unico personaggio “positivo”, che, pur con i suoi piccoli imbrogli pare voler perseguire un ideale superiore, ovvero quello di pensare al bene dei suoi cittadini. La conclusione è sicuramente risolutiva e “sbroglia” l’imbroglio con un ultimo e definitivo inganno. Molte sono le nomination ai Golden Globes per Amercan Hustle, pellicola amara, realistica e non poco ironica, in ogni caso sicuramente fruibile e decisamente meritevole,
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(di vapor)
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pepito1948
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lunedì 13 gennaio 2014
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un salto ardito dalla commedia al dramma
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Non c’è stilisticamente granchè di Virzì in questo ultimo Virzì che, dopo le recenti non esaltanti prove, vira verso il dramma di denuncia in salsa poliziesca di una società ricca e spregiudicata (che realisticamente non può essere che quella nordica, a dispetto delle polemiche di questi giorni, pur rivestendo una valenza simbolica che trascende la geografia italica), dove i birilli coinvolti si muovono instabilmente in tutte le direzioni; i più fortificati (cioè privi di remore morali) cadono e, come quasi sempre, trovano il modo di rialzarsi, altri si illudono di volare senza ali e rimediano alla caduta grazie a deprecabili espedienti come il ricatto, altri ancora galleggiano come bocce di vetro in balia dei marosi rifiutando di scegliere con fermezza la via del riscatto personale, uno che non c’entra nulla cade davvero in un fosso per non rialzarsi più.
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Non c’è stilisticamente granchè di Virzì in questo ultimo Virzì che, dopo le recenti non esaltanti prove, vira verso il dramma di denuncia in salsa poliziesca di una società ricca e spregiudicata (che realisticamente non può essere che quella nordica, a dispetto delle polemiche di questi giorni, pur rivestendo una valenza simbolica che trascende la geografia italica), dove i birilli coinvolti si muovono instabilmente in tutte le direzioni; i più fortificati (cioè privi di remore morali) cadono e, come quasi sempre, trovano il modo di rialzarsi, altri si illudono di volare senza ali e rimediano alla caduta grazie a deprecabili espedienti come il ricatto, altri ancora galleggiano come bocce di vetro in balia dei marosi rifiutando di scegliere con fermezza la via del riscatto personale, uno che non c’entra nulla cade davvero in un fosso per non rialzarsi più. Quanto vale la vita di un poveraccio estraneo a quel miscuglio di cinismo, illegalità, insensibilità, viltà, scaltrezza, bricconeria, aridità, ecc. ecc.? Poco, forse un risarcimento assicurativo di duecentomila euro, niente rispetto alle masse di denaro che serpeggiano, fuggono, ritornano, si gonfiano e si afflosciano, si trasformano in ville di lusso o feste o in simboli di potere come un SUV, passano sotto il naso di chi vorrebbe acchiapparli tramite le “giuste” conoscenze e magari alla fine ci riesce barattando una chiave con un bacio (più qualche altra cosa). La società di assicurazioni non può far altro che appellarsi al concetto economico di capitale umano per quantificare l’entità –la misura dell’esistenza, numericamente variabile e fredda- di un poveraccio colpevole solo di girare in bicicletta di notte. Concetto i cui parametri di valutazione portano ad esiti esigui, perché lui non è mai entrato negli ambienti vorticosi dell’elite vacuamente luccicosa dominata non dal dio denaro, definizione ormai demodè che però aveva almeno un che di palpabile concretezza, ma dalla dea finanza, rappresentabile come un diagramma da terremoto, fredda, instabile, imprevedibile, invisibile e perennemente soggetta a singulti e sbalzi termici (in termini umani).
Una vicenda che si apre con un incidente stradale senza un immediato colpevole e si chiude con la soluzione del caso, che, dopo aver attraversato le vite dei vari soggetti coinvolti, lascia sul campo vittime, trionfatori incalliti dal potere dei soldi, rimontatori per il rotto della cuffia, perdenti per propria incapacità (o volontà) di orientarsi e di opporre rifiuti salvifici, portatori insani di parvenze sentimentali. Assenti ingiustificati onestà, senso etico, merito, coraggio. Almeno nel mondo degli adulti.
Poi ci sono i birilletti, i giovani che si smarcano dalle più o meno squallide vicende dei padri o delle madri o degli zii, e che rialzano senza compensarle le basse quotazioni del gruppo, mostrando maggior vivacità emotiva e una partecipazione più sana alla vita. Dal rampollo dell’algido magnate, smidollato ma vittima di due genitori assenti o incapaci di gestire un ruolo di guida e quindi meritevole di indulgenza, alla figlia dell’affarista-opportunista, alla quale è affidata la parte più dinamica ed edificante, al ragazzo sfigato e con la fama di pecora nera, che è l’unico a pagare (ed accettare con dignità di farlo) per le proprie colpe.
Virzì compone un mosaico amaro e, va detto, molto sfumato come suggerisce la realtà di un ambiente (leggi di una società) ormai fuori controllo (etico) ed avviato alla progressiva deriva, le cui speranze di riscatto sono addossate unicamente alle nuove generazioni. Lo fa ricorrendo ad espedienti narrativi efficaci, come l’adozione dei punti di vista dei diversi personaggi tramite la suddivisione in capitoli personali che poi confluiscono in un finale corale ed il conseguente sfalsamento dei tempi del racconto. Tutto funziona nella perfetta costruzione della storia ma si avverte una certa freddezza, un forse calcolato distacco che, se da una parte induce alla pacata riflessione, dall’altra osta ad una reazione emotiva forte, all’indignazione, alla impulsiva condanna senza appello verso un cancro sociale che riscontriamo sempre più nel nostro vissuto quotidiano e a cui rischiamo di prestare abitudine a scapito di un sano quanto combattivo rifiuto. Buono il cast, con menzione particolare per Gifuni e la Bruni Tedeschi ma anche per la giovane Matilde Gioli, mentre lascia perplessi il personaggio un po’ macchiettistico di Bentivoglio, che sembra confezionato apposta per rappresentare la cialtroneria dell’italiano medio tante volte vista nella migliore commedia dei Risi, Monicelli, Scola ed altri. Ma Virzì non è uno di loro e Bentivoglio non è Alberto Sordi o Vittorio Gassman.
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massiccio90
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giovedì 16 gennaio 2014
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devo aver frainteso...
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Titolo: Il Capitale Umano; Anno: 2014; Regia: Paolo Virzì; Interpreti: Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli, Giovanni Anzaldo.
Trama: Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) è un modesto imprenditore immobiliare, che desideroso di elevare la sua posizione finanziaria, chiede a Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni) di poter partecipare ad un fondo di investimeti da lui gestito. A tale scopo, a dispetto di ogni avvisaglia, Dino chiede un prestito alla banca, all'insaputa della compagna Roberta (Veleria Golino) – la quale sta per avere due gemelli da Dino - e della figlia Serena (Matilde Gioli).
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Titolo: Il Capitale Umano; Anno: 2014; Regia: Paolo Virzì; Interpreti: Fabrizio Bentivoglio, Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Valeria Golino, Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli, Giovanni Anzaldo.
Trama: Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio) è un modesto imprenditore immobiliare, che desideroso di elevare la sua posizione finanziaria, chiede a Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni) di poter partecipare ad un fondo di investimeti da lui gestito. A tale scopo, a dispetto di ogni avvisaglia, Dino chiede un prestito alla banca, all'insaputa della compagna Roberta (Veleria Golino) – la quale sta per avere due gemelli da Dino - e della figlia Serena (Matilde Gioli). Quest'ultima, sembra avere una relazione con Massimiliano Bernaschi (Guglielmo Pinelli), il quale vive un rapporto conflittuale con il padre Giovanni e la madre Carla (Valeria Bruni Tedeschi), che tenta da una parte di avvicinarsi al figlio, mentre dall'altra vorrebbe allontanarsi dal marito. Serena e Massimiliano, sembrano essere coinvolti in un incidente stradale, che vede vittima un cameriere del loro istituto superiore di prestigio e, attorno al quale si annidano, le storie in particolare di Dino, Carla e Serena.
Nelle prime battute, il film sembra non deludere le aspettative che vi si erano formate tutt'attorno. A farla da padrone, un'interessante dialettica tra i due Fabrizi: Bentivoglio nei panni di Dino e Gifuni in quelli di Giovanni, la cui disparità dei caratteri e, la maggiore coscienza di sé del primo rispetto al secondo, ci fanno apprezzare non soltanto le performance dei due attori, ma anche il particolare rapporto che intercorre tra i loro personaggi. In un secondo momento, anche il personaggio di Carla interpretato dalla Tedeschi – seppure descritto ai limiti dello stereotipo – tiene dignitosamente assieme una potenzialmente interessante sequela di eventi. Da questo punto in poi, la tematica vira da tutt'altra parte per spostarsi sul cast giovane; inizialmente tramite il personaggio di Carla e, successivamente, tramite quello di Serena. Da questo “secondo terzo” del film, la storia sembra diventare la copia di un teen drama dipinto di giallo male architettato, infarcito di stereotipi ormai trascorsi sulla generazione post-adolescente, inadeguatamente interpretato, con dialoghi che se pochi minuti prima già andavano scemando, ormai hanno perso originalità e veridicità. Esclusi Bentivoglio e Gifuni, il cast appare debole, poco incisivo, probabilmente non all'altezza né delle aspettative in sala, né dell'attuale panorama italiano; una debolezza rimarcata da dialoghi scialbi e immaturi, rispetto almeno a quei a cui Virzì può averci abituati. La struttura narrativa che “incastra” i vari punti di vista dei personaggi, è un ottimo punto di partenza, che però vede uno sviluppo il cui peggior difetto è quello di lasciare per terra troppe questioni, che vedono soluzioni affrettate, o non ne vedono affatto. Molto spesso, le caratterizzazioni dei personaggi non giustificano alcuni loro atteggiamenti, il ché, impedisce di empatizzare con essi, permettendoci soltanto di attendere la narrazione – la quale perde troppo presto l'attrattiva – scivolare fino alla conclusione, che rifila un'amara sorpresa, definibile “un tocco da dilettante”. Nessuna particolare nota nella regia, a parte quelche piano claustrobico, che però più di tanto non disturba. Le musiche di Carlo Virzì non deludono, seppure non sempre si collochino alla perfezione nella scena.
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joker 91
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giovedì 20 febbraio 2014
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un film sociologico potentissimo
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Paolo virzi forse più di Sorrentino rappresenta la nostra società in modo limpido,vero e senza sbavature. Un film di forte denuncia nel quale il regista ci fa immedesimare con la sua divisione in capitoli in tutti i suoi tragici personaggi che somigliano a noi tutti in modo spaventoso ricollegandoli alla tragica italia berlusconiana,il cinema deve raccontare la realtà e Virzi dimostra di saperlo fare in modo eccellente. Una critica feroce ed indiretta al berlusconismo che ha distrutto la nostra società portandoci a una pochezza di valori indescrivibile. Un cast azzeccatissimo sul quale svetta Bentivoglio con un personaggio medio spaventosamente reale e figlio degli ultimi disgraziato 30 anni di società,Gifuni magnetico e la Bruni Tedeschi ci regala una interpretazione da fare invidia alle migliori attrici di hollywood portando sullo schermo la donna macchietta perfetta della nostra ultima disgraziata Italia,i giovani attori sono tutti bravissimi con una forte nota di merito a Matilde Gioli.
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Paolo virzi forse più di Sorrentino rappresenta la nostra società in modo limpido,vero e senza sbavature. Un film di forte denuncia nel quale il regista ci fa immedesimare con la sua divisione in capitoli in tutti i suoi tragici personaggi che somigliano a noi tutti in modo spaventoso ricollegandoli alla tragica italia berlusconiana,il cinema deve raccontare la realtà e Virzi dimostra di saperlo fare in modo eccellente. Una critica feroce ed indiretta al berlusconismo che ha distrutto la nostra società portandoci a una pochezza di valori indescrivibile. Un cast azzeccatissimo sul quale svetta Bentivoglio con un personaggio medio spaventosamente reale e figlio degli ultimi disgraziato 30 anni di società,Gifuni magnetico e la Bruni Tedeschi ci regala una interpretazione da fare invidia alle migliori attrici di hollywood portando sullo schermo la donna macchietta perfetta della nostra ultima disgraziata Italia,i giovani attori sono tutti bravissimi con una forte nota di merito a Matilde Gioli. Bel film
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