Titolo originale | The Death and Life of John F. Donovan |
Titolo internazionale | The Death & Life of John F. Donovan |
Anno | 2018 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | USA |
Durata | 123 minuti |
Regia di | Xavier Dolan |
Attori | Kit Harington, Natalie Portman, Jacob Tremblay, Susan Sarandon, Kathy Bates Ben Schnetzer, Emily Hampshire, Jared Keeso, Thandie Newton, Bella Thorne, Sarah Gadon, Michael Gambon, Chris Zylka, Amara Karan, Susan Almgren, Jane Wheeler, Craig Eldridge, Lukas Rolfe, Ari Millen, Gijs Blom, Rob Baker, Ellen David, Pat Kiely, Anne Mroczkowski, James Marchant, Suzanne Virdee, Guenièvre Sandré, Sangita Patel, Hamza Haq, Matthew Raudsepp, Allan Michael Brunet, Michael Dozier, Harvey Diamond, Pierre-Luc Lafontaine, Vincent Messina, Anthony Luigi Aguiar, Cassie Luk, Hannah Morgan Lord, Rebecca Windheim. |
Uscita | giovedì 27 giugno 2019 |
Distribuzione | Lucky Red |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,70 su 31 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 11 luglio 2019
Un decennio dopo la morte di una stella televisiva americana, un giovane attore ricorda la corrispondenza scritta che ha condiviso con lui, nonché l'impatto che queste lettere ebbero sulle loro vite. In Italia al Box Office La mia vita con John F. Donovan ha incassato 318 mila euro .
CONSIGLIATO NÌ
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Rupert Turner ha otto anni e una passione smisurata per John F. Donovan, star della televisione americana e supereroe sul grande schermo. Fan irriducibile, avvia con lui una corrispondenza regolare che nasconde a tutti, anche alla madre, giovane donna in ambasce che prova a ricostruirsi una vita. Il segreto non sfugge però al bullo della scuola, che ruba le lettere di Rupert scatenando la sua ira e la reazione sproporzionata dei media. Ma Rupert è più forte di tutto, perfino del suo idolo di cui segue le tracce diventando un attore altrettanto affermato. Una celebrità che adesso si confessa al microfono di una giornalista scettica a cui racconta la sua vita con John F. Donovan.
Due epoche, due continenti e due storie, La mia vita con John F. Donovan comincia al principio degli anni 2000 in America ma viene raccontato dall'Europa una decina di anni più tardi iniziando dalla fine: la morte del personaggio principale.
Flashback e narrazione all'imperfetto, voce off e modalità tragedia attivata. Lontano da Montréal per la prima volta e alla conquista di un nuovo territorio, Xavier Dolan convoca una rosa di star (Kit Arrington, Natalie Portman, Susan Sarandon) e punta (a) Hollywood. Perché La mia vita con John F. Donovan è un film sulla celebrità e sulla tossicità della gloria. Ma è pure un racconto sulle virtù dell'idolatria, di fatto il co-protagonista è un bambino che ammira istericamente il divo del titolo.
L'ammirazione di Rupert per John F. Donavan evoca quella di Dolan per Leonardo DiCaprio. Bambino-attore negli anni Novanta col poster-boy in cameretta, a soli otto anni scrisse una lettera rimasta senza risposta all'attore americano. Ed è ancora lui a nascondersi dietro a Donovan, star della televisione a disagio con la notorietà e costretto a dissimulare la propria omosessualità per non intaccare la sua immagine pubblica.
L'intero film rimanda incessantemente al suo autore e alla sua filmografia, dalla struttura in flashback di Laurence Anyways alle canzoni pop, dalle discussioni in macchina sotto la pioggia alle fughe, dalla relazione madre-figlio alla violenza che cova nel romanzo familiare, dalla lotta per affermarsi alla ricerca di conforto in una figura ideale. È soprattutto quest'ultimo motivo a scandire La mia vita con John F. Donovan, concentrato sulla suggestione che emanano i modelli, siano questi illusori come gli eroi della televisione o reali come le proprie mamme, e sull'eredità che lasciano dopo la loro dipartita.
Esemplare a questo riguardo la distribuzione delle parti, Dolan affida due ruoli centrali a Kit Harington (Il Trono di spade) e a Thandie Newton (Westworld), star di HBO e idoli dei millennials. A Susan Sarandon, Natalie Portman e Kathy Bates, tre dive del cinema nineties, assegna personaggi materni. 'Figura genitoriale' che nel cinema di Dolan è sempre ambivalente, ordinaria e sublime. Madri da prendere o lasciare senza mezze misure, mamme a cui cantare il proprio amore in un karaoke (Mommy) o dentro una sala da bagno (La mia vita con John F. Donovan), dove Kit Harington e Jared Keeso (suo fratello nel film) intonano "Hanging by a Moment" dei Lifehouse.
Prima produzione americana piantata tra un film che parla un'altra lingua (È solo la fine del mondo) e uno che ritorna a parlare québécoise (Matthias & Maxime), La mia vita con John F. Donovan è forse il film più intimo di Dolan dai tempi di J'ai tué ma mère. Malgrado l'armatura hollywoodiana, è un'opera fragile, eccessiva e sbilanciata, sempre dalla parte del cuore. Un'opera che vacilla a ogni scena, offrendo momenti intensi e istanti sconnessi, procedendo tra un'andata e un ritorno, tra New York e la periferia londinese.
Il film debutta con la morte del divo e prosegue con un'inchiesta sul senso di quella morte. Al centro due personaggi che tutto sembra separare ma che si rivelano uniti dalla loro sensibilità e dalle rispettive esperienze: l'assenza del padre, il rapporto conflittuale con la madre, la scoperta burrascosa della loro omosessualità, la fascinazione che volge in autodistruzione. Se la star interpretata da Kit Harington coi suoi photoshoot, la discoteca di notte, la perdita di controllo sul set, la doppia vita, la ricerca della gloria e i suoi effetti collaterali non va al di là dell'archetipo, i personaggi di Susan Sarandon, Natalie Portman e Jacob Tremblay lo fuggono perché Dolan lascia loro più spazio per esistere e vincere in nuance.
Lirismo e grana grossa convivono in un best of improntato a un classicismo ereditato dal cinema americano e caro al giovane autore, che conferma i suoi manierismi, il suo grande senso del romanzesco, la sua capacità di mescolare passato e presente, di reinventare brani della sua vita, rendendoli ogni volta più appassionanti.
I difetti di stile si scontrano e si annullano davanti alla sua sincerità, al suo entusiasmo e alla sua fede incrollabile nella vita e nelle cose della vita. Certo, alla fine del film è lecito domandarsi se non sia tempo per Xavier Dolan di evolvere, di trovare nuove direzioni cinematografiche, di fare rotta verso nuovi orizzonti narrativi, verso nuove emozioni e nuovi colori. La risposta arriva nel film successivo. Il desiderio narcisistico di regressione, pienamente assunto nel cambiamento di scala hollywoodiano, vacilla un anno dopo in una commedia sentimentale che ritrova il carattere artigianale del suo cinema. Sorpreso nell'ora in cui è necessario scegliere se andare o restare, Xavier Dolan ritorna a casa e alle origini. Il risultato è Matthias & Maxime, un film personale che fa un piccolo passo fuori dalla sua camera di regista-adolescente, a cui auguriamo di lasciarsi alle spalle la mommy tossica e di innamorarsi dall'altra parte del mondo.
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Quando un regista vuol passare ai raggi X l'animo dei suoi personaggi si avvale di uno strumento che noi inavvertitamente usiamo nei confronti di un nostro interlocutore tutte le volte che desideriamo sapere se ci ha detto la verità e se c'è qualcosa di più quanto ci ha detto : restringiamo il campo visivo.
Un'opera piena di riflessi, indubbiamente non manca il cuore del regista, che firma un lavoro sentito, nonostante diverse evidenti ingenuità. La regia finisce spesso sopra le righe, così come la recitazione degli attori, mentre il copione sbanda nella seconda parte, dopo una prima parte più elegante e perfino solida dal punto di vista drammaturgico.
In un bar di Praga, Audrey (Thandye Newton), una giornalista che scrive su una rivista, deve intervistare un giovane di nome Rupert Turner (Ben Schnetzer), che ha scritto un libro autobiografico di successo, “Lettere ad un giovane attore”. Audrey non comprende perché il direttore della rivista vuole da lei quella intervista; la giornalista parla perfettamente in ceco ma proviene [...] Vai alla recensione »
Le buone intenzioni non mancano,l'esito finale è nebuloso. John è una persona tormentata,così tanto che lo spettatore assiste impotente ad una sofferenza universale;al di là dei gusti sessuali,il protagonista si fa portatore di una grande croce che più somiglia al male di vivere. E anche la visione dell'opera diventa una sofferenza in cui ci si perde.
Un dramma di livello, con musiche eccezionalmente intense che vanno da Adele ai Verve. La storia viene molto ben esposta: il principio è di grande impatto, il termine della prima parte sembra impantanarsi un po' ma durante la seconda il pathos rientra in scena. Le parti riguardanti il divo sono improntate in modo particolare ad un'accentuata interiorità che Kit Harington trasmette [...] Vai alla recensione »
Il nuovo film di Xavier Dolan è tra le sue opere più barocche, ricco di livelli che si sovrappongono. Parla di madri e figli, ovviamente, parla di omosessualità dolorosamente nascosta, di tossicodipendenza e della natura e responsabilità dell'artista. Parla anche, in chiave autobiografica per il regista (famosa la sua lettera d'infanzia indirizzata a Leonardo DiCaprio), di bambini ossessionati dalle celebrità.
Nel disegnare la sua celebrità idealizzata, contrappunto epistolare del piccolo Rupert di Jacob Tremblay, Dolan ha scelto Kit Harington, attore inglese con i capelli da divo, lo sguardo intenso e una popolarità incandescente.
Appena un mese prima dell'uscita italiana di La mia vita con John F. Donovan si sono concluse le otto stagioni di Game of Thrones, successo televisivo globale come pochi altri, nonché un'epopea che ha consegnato ad Harington un percorso attoriale bizzarro. Il blockbuster fantasy di HBO è stato per anni il punto di riferimento per quanto riguarda la coralità seriale, con un gruppo di attori e caratteristi che potevano tutti dirsi protagonisti, aiutati dal costante ricambio e ri-assestamento che veniva dalle morti di alto profilo che caratterizzano la storia.
Parte di un gruppo di giovani attori che avevano all'incirca vent'anni all'inizio delle riprese, Harington è cresciuto sullo schermo, avendo il lusso di forgiare Jon Snow nell'ombra, passo dopo passo, nella sicurezza di un gruppo che lo proteggeva. Al tempo stesso sapeva che, nel corso degli anni, il suo ruolo avrebbe assunto i crismi del più tradizionale degli eroi, favoriti dal destino e spinti verso il centro del palco. Organica ma inesorabile, già nota sulla carta eppure violenta nel manifestarsi, la sua ascesa ha avuto dei riflessi interessanti tanto per il personaggio quanto per l'attore, il quale a più riprese ha dichiarato di sentirsi inadeguato al compito, chiedendosi se non fosse l'anello debole della catena.
È noto che interpretare l'eroe richieda un'arte tutta particolare, specialmente per gli archetipi del genere "kalòs kagathòs", quelli buoni, belli, e nobili. Farlo in Game of Thrones, una serie la cui intera poetica è basata sulla sovversione dei ruoli dell'epica tradizionale, espone ancora di più al rischio del ridicolo. Rischio a cui Harington è andato incontro a testa alta, come il suo Jon di fronte alla cavalleria nemica, accettando di farsi bollare come noioso e monotono per dare ancor più risalto a quei colleghi che sguazzavano in istrionica malizia.
E così, più Game of Thrones lo spingeva sotto i riflettori, più il suo personaggio ne risentiva. E dato che la carriera di Harington non ha avuto spazio finora per molto altro che il colosso HBO (fu scritturato, poco più che studente, sulla base del successo teatrale di War Horse), prendere le distanze da Jon è stata impresa ardua. Si tratta di un ruolo che gli ha fatto incontrare una moglie (la co-star Rose Leslie), un ruolo al termine del quale è andato in rehab, e da cui staccarsi è stato come essere "scuoiato vivo", per sua stessa ammissione.
"We could have had it all", canta la voce di Adele nella prima sequenza di La mia vita con John F. Donovan. Il verso, che appartiene al brano "Rolling in the deep", carica l'incipit del film di energia travolgente e vuota superficialità, quella dei photoshoot e di un abito dopo l'altro da indossare, catturando a pieno la parte più glamour dell'ascesa dell'attore interpretato da Kit Harington, e alludendo con una certa ironia alle pene che tiene in serbo per il futuro (Kathy Bates, agente dell'attore nonché una delle tante incarnazioni della maternità presenti nel film, rievocherà l'espressione in un monologo cruciale nel terzo atto).
Adele, per la quale Dolan ha anche girato il videoclip della hit "Hello", è il simbolo delle scelte musicali del regista canadese, il cui marchio di fabbrica è il pop sfrontato da molti considerato troppo ovvio, e che invece sfrutta il proprio valore letterale per svuotarsi e riempirsi di nuovo, stavolta dell'emotività dei personaggi.
Un'emotività anche superficiale, con scelte che Dolan ha sempre difeso in quanto riferimenti musicali dei personaggi dei suoi film, ma che ha bisogno di spazi in cui rifugiarsi. Spesso si tratta dello spazio domestico, in compagnia dei familiari; altre volte è un mondo lontano - pochi metri o un paio di isolati che potrebbero essere una galassia intera. Lontano da qui, ovunque sia. Sono, cioè, strumenti di negoziazione tra la fantasia e il desiderio da una parte, e le privazioni e le costrizioni che spesso tengono legati gli alter-ego dolaniani dall'altra.
Alla seconda categoria appartiene la scena della pittura in J'ai tué ma mère, in cui il sedicenne Hubert si apre all'esplorazione sessuale in compagnia di Antonin sulle note di "Vive la Fête" dei Noir Désir. Il primo film di Dolan era esplicito fin dal titolo nell'annunciare una poetica fondata sul conflitto con la presenza materna. Un tasto centrale, ripetuto, e sempre abrasivo, tanto da definire il momento proprio attraverso l'assenza della madre di Hubert. I due ragazzi si recano a dipingere le pareti di un appartamento e si abbandonano all'estasi tra macchie di colore, corpi che si incontrano e muri immacolati, mentre i Noir Désir cantano "Non riesco a calmarmi".
Sempre fondata sul bisogno di allontanamento è la sequenza musicale del tango in Tom à la ferme, che usa il ballo più apertamente provocatorio per mettere in scena un duello in cui il sospetto sfida la fragilità. La stalla in penombra è uno spazio di prossimità alla fattoria del titolo, che però è il regno della madre di un amante deceduto, e il regno della negazione di un amore omosessuale. Nell'oscurità sia Tom che Francis, il fratello del ragazzo scomparso, sono dei "doppi" la cui identità fatica a venir fuori. Tanto liberatoria era "Vive la Fête" quanto pericoloso è questo tango sperimentale, non a caso interrotto dalla figura materna che infrange la copertura musicale per ri-affermare il controllo sui due giovani.
C'è un bel film nascosto dentro la prima produzione americana dell'enfant prodige canadese Xavier Dolan, 30 anni e già 8 titoli al suo attivo (l'ultimo, "Matthias et Maxime", molto applaudito a Cannes, uscirà nella prossima stagione). Il problema è che questo bel film bisogna un po' andarlo a cercare sbalzando via dal soggetto i molti strati di confezione che avvolgono "La mia vita con John F.
Come succede a giovani spinti al primo colpo sul podio del prodigio artistico, con Dolan si incomincia a fare i conti dopo 8 film tra i 20 (Je tué ma mere) e i 30 anni (Matthias e Maxime, a Cannes 2019), passando per Mommy (premiato a Cannes 2014) e È solo la fine del mondo (altro premio a Cannes 2016). Questo è forse il punto meno convincente, manieristico, della sua frenetica e aggressiva fiducia [...] Vai alla recensione »
Nel 2006, l'undicenne Rupert Turner (Jacob Tremblay) stringe un'amicizia epistolare segreta con il suo attore preferito, il divo del cinema e della televisione John F. Donovan (Kit Harington), il quale, in un momento di crisi, trova conforto in questa particolare corrispondenza e apre al giovane fan anche le porte del cuore, svelandogli perfino i turbamenti di un segreto celato agli occhi di tutti. [...] Vai alla recensione »
Che cosa è successo a Xavier Dolan? È quello che si legge in varie recensioni critiche sul suo ultimo film in sala: La mia vita con John F. Donovan. Dolan è uno di quei cineasti che si attende, e dopo l'ultimo Festival di Cannes, attendevamo il suo Matthias & Maxime. Invece, arriva in sala un film dal percorso travagliato. Una pellicola in lingua inglese, in lavorazione già dal 2016 - mentre Xavier [...] Vai alla recensione »
Protagonista dell'ottavo lungometraggio di Xavier Dolan è una star dei serial televisivi americani, John Donovan, che viene trovato morto, poco più che trentenne, nel 2006. Nel 2017 sono pubblicate le lettere che lo stesso spediva a Rupert Turner, un suo fan di soli 11 anni. Di qui l'altalena temporale tra le due date, volta a ricostruire in parallelo l'infanzia precoce di Rupert, che diverrà a sua [...] Vai alla recensione »
Sembrava non dovesse uscire più dopo anni di tagli e ripensamenti: il settimo film di Xavier Dolan, "La mia vita con John F. Donovan", è il meno riuscito tra quelli del regista canadese, sebbene, nelle pieghe di un gigantismo narrativo un po' seriale, si annidi una riflessione sincera sulla celebrità. Il John del titolo è un divo della tv costretto a nascondere la propria omosessualità.
In «La mia vita con John F. Donovan» una star della tv americana intraprende un'intensa corrispondenza con un precoce aspirante attore che vive con la madre in Inghilterra. Scoperta dai media, la relazione genera pesanti sospetti di abuso da parte dell'adulto, la cui carriera finisce prima col risentirne e poi con l'esserne distrutta: dieci anni più tardi l'ex fan imberbe tornerà a ricostruire a modo [...] Vai alla recensione »
Qualcuno deve avere deciso che gli spettatori italiani non comprano biglietti per i film con la parola "morte" nel titolo. Quindi oplà, sparisce e resta solo la vita. Sorte peggiore - ma per volere dell'ex ragazzo prodigio, qui al suo primo lavoro in lingua inglese, e dire che avevamo quasi fatto l'orecchio al francese del Canadà - è toccata a Jessica Chastain.
Audrey (Thandie Newton) non vorrebbe intervistare Rupert (Ben Schnetzer), ma il direttore del suo giornale ce la costringe. Audrey è abituata a ben altri reportage. Nata nell'Africa nera, ama scrivere dell'Africa nera. Rupert è un giovane attore bianco e ricco. Non stupisce che non sia interessata al libro che sta per pubblicare, Lettere a un giovane attore.
Classe 1989, il regista canadese Xavier Dolan aveva solo vent'anni quando, nel 2009, girava il suo primo film che si intitolava «J'ai tué ma mère»: attore già da bambino, regista, drammaturgo, produttore, spesso montatore dei suoi film, a Xavier Dolan è bastato poco per essere immediatamente catalogato come «enfant prodige» del cinema canadese. I successivi «Les amours imaginaires», «Lawrence Anyways», [...] Vai alla recensione »
«Non l'amore, non i soldi, non la fama, datemi la verità», parola del poeta e filosofo americano Henry Thomas Thoreau. Si apre con questa citazione l'ultimo lavoro di Xavier Dolan - "La mia vita con John F. Donovan" -, talento purissimo del cinema mondiale, fresco trentenne, cresciuto a pane, Titanic ed Harry Potter, amato, odiato, eppure già arrivato ad otto pellicole.
Preparato per il festival di Cannes del 2018 ma poi proposto a Toronto qualche mese più tardi, La mia vita con John F. Donovan ha faticosamente trovato la via delle sale solo dopo una lunga revisione del montaggio. Il regista ha evidentemente dovuto estirpare dal suo film del materiale in eccesso e nella versione finale è completamente scomparsa Jessica Chastain, che era uno dei nomi principali in [...] Vai alla recensione »
Nel primo film sbagliato dell'«enfant prodige» Xavier Dolan, penalizzato da una lavorazione travagliata e distrutto dalla critica internazionale, Susan Sarandon è Grace, la madre problematica della star tv John F. Donovan (Kit Harington). Spiegare le ragioni che rendono carismatico un attore è sempre impresa difficile, ma basta osservare Sarandon, all'opera nella Mia vita con John F.
Da bambino Rupert Turner, oggi giovane attore, iniziò una singolare corrispondenza epistolare, inizialmente segreta, con il divo della tv John F. Donovan, morto probabilmente suicida all'età di 30 anni, prima che i due potessero anche conoscersi di persona, segnale di un'ossessione che lo perseguiterà non solo durante l'infanzia. Ora, a dieci anni dalla scomparsa della star, Rupert racconta quella [...] Vai alla recensione »
Il trent'enne ragazzo prodigio del cinema Xavier Dolan si lancia nel suo film d'esordio in lingua inglese, La mia vita con John F. Donovan (2018); la lingua potrebbe essere cambiata, ma le ossessioni ricorrenti e le questioni semi-autobiografiche sono ancora una volta la linfa del dramma, questa volta alzando la posta in gioco per raccontare parallelamente di due giovani sensibili bloccati in una guerra [...] Vai alla recensione »
Xavier Dolan è un monello borioso sprezzante e provocatorio. Xavier Dolan è un prodotto su misura per cinefili e adoratori estremisti. Xavier Dolan parla a una nicchia ego-riferita che guarda solo al suo ombelico. Xavier Dolan è un bluff, un esaltato, un mitomane, un enfant terrible, un genio ribelle. Si può dire tutto e il contrario di tutto di Xavier Dolan, tranne che non sia dotato.
L'esperimento americano di Xavier Dolan è forse il suo film più sfacciato: come spesso accade a chi cerca di restituire il proprio stile tra le maglie dell'industria hollywoodiana, il risultato è una sorta di versione sintetizzata del dolanismo, quasi una serie di dichiarazioni programmatiche. Visto così, La mia vita con John F. Donovan svela forse definitivamente la vera anima del suo autore, e rilancia [...] Vai alla recensione »
Un ragazzino vuol far l'attore ed è bullizzato un divo è attratto dagli uomini, ma non può renderlo pubblico una giornalista stronzetta dovrà vincere i suoi pregiudizi. Tre storie in parallelo, mentre il ragazzo scrive lettere, ricambiate, al divo. Dolan firma il suo film meno riuscito, a partire dalle frettolose inquadrature. Sceneggiatura che sembra scritta con il copia e incolla, perdendosi in [...] Vai alla recensione »
Assente a Cannes e male accolto, mesi dopo, al festival di Toronto, il nuovo film di Xavier Dolan si presenta con tutte le caratteristiche del passo falso. Eppure, per chi non ama particolarmente il mondo del giovane regista quebecoise, La mia vita con John F. Donovan è più interessante e simpatico di altri suoi lavori. Dolan è infatti, dopo il trionfo di Mommy , uno degli idoli della cinefilia francofona [...] Vai alla recensione »
Sono spesso state le confessioni lo spunto alla base del cinema di Xavier Dolan. Il suo esordio J'ai tué ma mère si apriva con il protagonista Hubert (alter ego del regista, interpretato dallo stesso Dolan) che rivelava allo spettatore i segreti più intimi del rapporto con la madre, confidati a una videocamera con cui lui stesso amava riprendersi. E che dire di quei ragazzi all'inizio di Les amours [...] Vai alla recensione »
C'è sempre la Mamma nei film di Xavier Dolan, amica, compagna, confidente, nemica, creatura siderale che avviluppa il figlio (maschio) in un amore a spirale: dolcissimo e avvelenato, selvaggia mistura di controllo e di seduzione che scruta ogni suo respiro, desiderio, piaceri, fantasie segrete. La mamma che è lì, che odi e che non puoi lasciare, la mamma da cui farsi cullare nella vasca da bagno cantando [...] Vai alla recensione »
I temi cari al regista Xavier Dolan (l'omosessualità, l'identità, il rapporto con la madre) ma senza il tocco lieve e stravagante che l'ha reso famoso. Un bambino di 8 anni manda una lettera al suo idolo John F. Donovan, che gli risponde. Si scrivono per 5 anni, si specchiano l'uno nell'altro. Opera eccessiva e sbilanciata, ma sincera. Cast stellare un po' sprecato. Da Tu Style, 25 giugno 2019
Il primo lungometraggio in lingua inglese dell'"enfant prodige" Xavier Dolan è una riflessione appassionata sul peso della celebrità contrapposto alla solitudine del singolo individuo, spesso dimenticato quando costantemente esposto alla luce dei riflettori. La storia dell'amicizia epistolare tra la star del piccolo schermo che regala il titolo al film (Kit Harington) e il giovanissimo Rupert (Jacob [...] Vai alla recensione »
Quando comincia la corrispondenza epistolare con un giovane interprete in ascesa (Harington), l'attore bambino Rupert Turner (Tremblay) ha cinque anni. Intorno a quell'età, Xavier Dolan inviava missive all'adorato DiCaprio. Quando muore per overdose, il giovane interprete ormai in declino ne ha 29. Come Dolan nel periodo in cui termina il suo film più travagliato: concepito nel 2014, girato nel 2016, [...] Vai alla recensione »
Xavier Dolan è un monello borioso sprezzante e provocatorio. Xavier Dolan è un prodotto su misura per cinefili e adoratori estremisti. Xavier Dolan parla a una nicchia ego-riferita che guarda solo al suo ombelico. Xavier Dolan è un bluff, un esaltato, un mitomane, un enfant terrible, un genio ribelle. Si può dire tutto e il contrario di tutto di Xavier Dolan, tranne che non sia dotato.
La mia vita con John F. Donovan è il settimo lungometraggio nel corso dei dieci anni di una sequenza difficilmente ripetibile; iniziata da un canadese diciottenne canadese su una sceneggiatura scritta quando di anni ne aveva sedici. Un regista dal quale, apparentemente, saremo sempre in attesa d'imprecisate ma comunque esaltanti rivelazioni. Sarà questa la fuga in avanti, a volte disagevole, che il [...] Vai alla recensione »
Hidden among more than 250 movies screening at this year's Toronto Film Festival, there's one - well-written, relatable, and wonderfully of-the-moment - in which a mom, fed up at last with her child's unremitting narcissism, snaps, "Not everything's about you," adding that it's OK to be selfish in your 20s, but it stops being cute when you turn 30. Xavier Dolan's "The Death and Life of John F.
Even when skirting near autobiographical territory, there's an important balancing act a writer must pull off between sharing their story with honesty and understanding what's of interest outside of a very biased personal sphere. In Xavier Dolan's wildly misfiring new film The Death and Life of John F. Donovan, his first English language feature, he revisits issues important to him and his work but [...] Vai alla recensione »
In the newspaper interview that awkwardly frames Xavier Dolan's latest, a grumpy journalist questions whether the sad life of John F. Donovan is not a case of First World problems. Actor Rupert Turner, who has published his childhood correspondence with the late TV star, charmingly convinces her the story is universal. But this journalist is not buying it.
The boy wonder of Quebecois cinema, Xavier Dolan has recruited an impressively stellar cast for his debut English-language feature, The Death and Life of John F. Donovan. The eponymous protagonist is played by Game of Thrones hunk Kit Harington with solid support from Natalie Portman, Susan Sarandon, Thandie Newton, Kathy Bates, breakout Room star Jacob Tremblay, and more.