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here after
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mercoledì 12 gennaio 2011
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...l'ho visto!...
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Sono andata a vedere Hereafter!: 1)conferma senza condizioni l'ok su
clint eastwood - altamente professionale anche come regista per la assoluta capacità
di creare situazioni totalmente coinvolgenti per lo spettatore, 2) plot
intrigante per il tema e per il modo 'leggero', ma non superficiale con cui
viene trattato, 3) la storia si snoda senza intoppi nè cadute di tono, 4)
'happy end' MOLTO DELUDENTE...un finale un po' più inatteso sarebbe stato un
altro tassello positivo di cui si sente la mancanza...ma si sa, agli
americani piace troppo, non riescono a farne a meno se desiderano
confezionare film 'di successo'...
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giorgio47
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mercoledì 12 gennaio 2011
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l'enigma della morte in un finale da film d'amore
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Un film bellissimo! Di grande spessore e girato magistralmente! Un argomento ostico e non certo accattivante affrontato con una lucidità intellettuale scientifica e con mano sicura. Parlare dell’aldilà e della morte senza cadere nel banale o nel religioso, anzi avendo la capacità di spazzare il campo dalla religione con due inquadrature da nemmeno un minuto, è solo geniale! La bravura di affrontare e amalgamare con mano ferma ed artistica, un argomento inquietante e complesso come la morte, all’interno di tre storie che confluiscono in un finale degno di un classico film d’amore, è un altro merito del regista. Eastwood continua a stupirmi e a regalarmi pagine di grande cinema, con il più il merito di, anche non essendo un film spettacolare o d’azione, non annoiarmi… tutt’altro! Insomma un film di idee, tolta la scena iniziale dello Tsunami, di cui una volta eravamo maestri.
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Un film bellissimo! Di grande spessore e girato magistralmente! Un argomento ostico e non certo accattivante affrontato con una lucidità intellettuale scientifica e con mano sicura. Parlare dell’aldilà e della morte senza cadere nel banale o nel religioso, anzi avendo la capacità di spazzare il campo dalla religione con due inquadrature da nemmeno un minuto, è solo geniale! La bravura di affrontare e amalgamare con mano ferma ed artistica, un argomento inquietante e complesso come la morte, all’interno di tre storie che confluiscono in un finale degno di un classico film d’amore, è un altro merito del regista. Eastwood continua a stupirmi e a regalarmi pagine di grande cinema, con il più il merito di, anche non essendo un film spettacolare o d’azione, non annoiarmi… tutt’altro! Insomma un film di idee, tolta la scena iniziale dello Tsunami, di cui una volta eravamo maestri. E’ triste vedere che mentre il cinema USA cerca di allargare i propri spazi, noi diventiamo sempre più provinciali e gretti. Bastava vedere le locandine con i film in programmazione nella multisala per avere un senso di scoramento.
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giorgio castelletti
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mercoledì 12 gennaio 2011
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un grand hotel
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Quando si è in un hotel di eccellenza si sa che riceveremo un trattamento ai livelli migliori,è quanto accade a chi assiste a questo film. Ogni tema,e ne vengono introdotti numerosi, è trattato e fornito con essenzialità e perspicacia. La collusione tra presunti fornitori di servizi, in realtà ciarlatani, e chi li cerca è mostrata sottolineando che anche un ragazzo di 12 anni vede l’inconsistenza proposta; la fragilità di ogni progetto relazionale, centrato sulla sostituzione, quando incontra l’imprevedibile, prende forma nella ragazza, determinata ad avere un partner, che scompare quando il partner si mostra capace di fornire la realtà; la propensione a sfruttare qualcuno che dispone di una dote, e vorrebbe riuscire a mantenerla in accordo con se stesso, trova rappresentazione nella ostinazione del fratello di uno dei protagonisti a piegare la sua resistenza verso una attitudine commerciale.
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Quando si è in un hotel di eccellenza si sa che riceveremo un trattamento ai livelli migliori,è quanto accade a chi assiste a questo film. Ogni tema,e ne vengono introdotti numerosi, è trattato e fornito con essenzialità e perspicacia. La collusione tra presunti fornitori di servizi, in realtà ciarlatani, e chi li cerca è mostrata sottolineando che anche un ragazzo di 12 anni vede l’inconsistenza proposta; la fragilità di ogni progetto relazionale, centrato sulla sostituzione, quando incontra l’imprevedibile, prende forma nella ragazza, determinata ad avere un partner, che scompare quando il partner si mostra capace di fornire la realtà; la propensione a sfruttare qualcuno che dispone di una dote, e vorrebbe riuscire a mantenerla in accordo con se stesso, trova rappresentazione nella ostinazione del fratello di uno dei protagonisti a piegare la sua resistenza verso una attitudine commerciale.
Uno dei tre protagonisti ha dodici anni, gli altri due sono una donna e un uomo entrambi intorno alla trentina. Hanno avuto esperienze con denominatore comune la morte e tali eventi li hanno favoriti nel tentare di evitare di morire vivendo. Si incontreranno alla fine ed ognuno sarà capace di contribuire a rendere fertile questo appuntamento improbabile. Nel periodo preso in esame dal film, che è di diversi mesi, i due adulti non hanno un rapporto sessuale con chicchessia. Nessuno dei tre possiede un cane. Siamo davvero in un grand hotel.
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max guarracino
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mercoledì 12 gennaio 2011
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stupendo
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reservoir dogs
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mercoledì 12 gennaio 2011
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mostrare e non dimostrare
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Esistenze diverse ma accomunate dalla solitudine che il contatto diretto o indiretto con la morte scatena.
George (Damon) è un operaio che ha rinunciato alla sua vita da sensitivo ma non al suo potere, la cui vita è stata schiacciata in passato da quel dono che può somigliare ad una condanna.
Marie (De France) è un nota giornalista francese che in viaggio alle Hawaii viene travolta dallo tsunami che la uccide per breve tempo.
Marcus (F. McLaren) è un ragazzo che si sente uccidere al telefono il fratello gemello Jamson da un furgone.
C'è chi in un corso di cucina italiana scoprirà un potenziale amore che come ogni altro rapporto è cieco (o bendato) e bruciando bruscamente tutte le tappe di quel rapporto grazie al dono si vede sfuggire l'opportunità di una vita ordinaria ritirandosi in un viaggio con tappa alla casa di Dickens.
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Esistenze diverse ma accomunate dalla solitudine che il contatto diretto o indiretto con la morte scatena.
George (Damon) è un operaio che ha rinunciato alla sua vita da sensitivo ma non al suo potere, la cui vita è stata schiacciata in passato da quel dono che può somigliare ad una condanna.
Marie (De France) è un nota giornalista francese che in viaggio alle Hawaii viene travolta dallo tsunami che la uccide per breve tempo.
Marcus (F. McLaren) è un ragazzo che si sente uccidere al telefono il fratello gemello Jamson da un furgone.
C'è chi in un corso di cucina italiana scoprirà un potenziale amore che come ogni altro rapporto è cieco (o bendato) e bruciando bruscamente tutte le tappe di quel rapporto grazie al dono si vede sfuggire l'opportunità di una vita ordinaria ritirandosi in un viaggio con tappa alla casa di Dickens.
C'è chi invece si documenterà sui contatti con l'aldilà (Hereafter) avendoli vissuti sulla propria pelle, perdendo lavoro e compagno ma trovando qualcosa di più grande come una dottoressa (il cui dialogo suona come universale per il fruitore che sente parlare l'unica volta Marie in una lingua diversa dal francese) la cui ricerca di una vita induce allo scrivere un libro più profondo di quello precedentemente progettato.
Infine c'è chi ricerca la certezza che il fratello perduto sia ancora al proprio fianco a vegliare su di lui in un ultimo contatto dove una bugia detta a fin di bene da la forza per proseguire il cammino da soli, sorridendo.
L'accettazione del Dono e la stretta di mano è il passo successivo per un vita ordinaria con chi ha avuto un esperienza straordinaria.
Come diceva André Bazin. "Mostrare e non dimostrare", l'aldilà non deve essere dimostrato, ci viene mostrato come sconosciuto, come i volti di George e Marcus durante la seduta, divisi perfettamente da luce ed ombra, espressione visiva di incompleta comprensione sullo stadio successivo alla morte; un aldilà fuori-fuoco con delle sagome le cui affermazioni ci possono aiutare o meno "dalla nostra parte".
Un Eastwood sempre più profondo ma non demagogico che nella tematica del contatto con l'aldilà nasconde il suo senso di responsabilità che i genitori adottivi o meno (Gran Torino) hanno nei confronti dei figli; genitori che chiedono, in questo caso, scusa dall'aldilà per gli errori che in vita hanno versato sui figli, genitori che non riescono a comprendere un figlio appena adottato alla ricerca di una risposta sul fratello e sulla vita.
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samwood
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mercoledì 12 gennaio 2011
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noi e l'aldilà..
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forse non il miglior Clint di sempre( visti i suoi standard è difficile migliorare) ma resta pur sempre Eastwood ed è una garanzia... perchè solo lui poteva riuscire ad affrontare un tema del genere tale veridicità,concentrando l'attenzione sul terreno e non ricadendo nel banale. Come tutti i suoi film lascia sempre riflettere a distanza, ripensandoci a freddo si capiscono ancor di più profondità e significati di determinate sequenze. ottimo...
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toro sgualcito
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mercoledì 12 gennaio 2011
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la rete di hereafter
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Il soggetto del film è ad alto rischio di banalizzazioni e inoltre commercialmente è un tema forte perché il mistero com’è noto attira molte persone e questo aggiunge ulteriori pericoli di ritrovarsi in una rete per ampie platee. Bene, cosa è successo allora? E’ successo che dal suo Hereafter il capitano Eastwood ha calato una rete bella grossa segno evidente che l’obbiettivo della pesca non erano le perle. Il film tratta il tema dell’Aldilà, cioè quello che potrebbe esserci dopo la morte e per parlarci di questo Hereafter ci mostra tre personaggi che vivono in tre nazioni differenti, le cui vite giungeranno ad incrociarsi a Londra. Una è la vita di George (Matt Damon) che è un sensitivo e che vorrebbe smettere di farlo.
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Il soggetto del film è ad alto rischio di banalizzazioni e inoltre commercialmente è un tema forte perché il mistero com’è noto attira molte persone e questo aggiunge ulteriori pericoli di ritrovarsi in una rete per ampie platee. Bene, cosa è successo allora? E’ successo che dal suo Hereafter il capitano Eastwood ha calato una rete bella grossa segno evidente che l’obbiettivo della pesca non erano le perle. Il film tratta il tema dell’Aldilà, cioè quello che potrebbe esserci dopo la morte e per parlarci di questo Hereafter ci mostra tre personaggi che vivono in tre nazioni differenti, le cui vite giungeranno ad incrociarsi a Londra. Una è la vita di George (Matt Damon) che è un sensitivo e che vorrebbe smettere di farlo. Un’altra è quella di Marie (Cécile De France), una giornalista che vuole scrivere un libro sulle esperienze di persone che hanno “vissuto” momenti di morte e l’ultima è quella di Marcus (George McLaren) un bambino ferito presto dalla vita e reso ostinato da un suo bisogno molto importante. La storia purtroppo rimane molto “meccanica” e schiacciata da parecchi cliché ma il girato è sempre di buon livello: adeguati gli attori, buona la fotografia, musica non originale ma dignitosa e puntuale. Tutto piuttosto giusto e anche troppo. Il buon Eastwood poi, a modo suo, non rinuncia alla predilezione per il sociale. Infatti due dei tre personaggi principali appartengono alla lower class: George sceglie di fare l’operaio e Marcus è figlio di una tossicodipendente. Il film sfiora anche il tema dei licenziamenti per la crisi economica e ci dà un’immagine positiva dei servizi sociali londinesi. Però questo non basta e Hereafter rimane un film piuttosto piatto. Ci sono anche momenti emozionanti ma sono più il frutto di maneggiare bene il grande mestiere del cinema che di profondi coinvolgimenti negli eventi. Matt Damon poi m’è parso avere un range espressivo un po’ stretto, ma credo sia uno stile: quella sorta di mezzo broncio permanente alla Di Caprio. Un apparizione breve ma in qualche modo intensa è quella di Melanie (Bryce Dallas Howard). Insomma se capita di vederlo sconsiglio grandi aspettative. Eastwood sa fare film migliori.
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paulettebouledefeu
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mercoledì 12 gennaio 2011
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l'oppio dei popoli
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Eastwood sta invecchiando, è innegabile. E comincia ad aver paura della morte, così tanto da doverla esorcizzare rifugiandosi nella speranza di un aldilà paradisiaco. Be', è banale. Lo era già quando Marx disse che "la religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli." Insomma, bisogna aggrapparsi a qualcosa per poter affrontare la morte. A parte questo, molte scene risultano forzate, molte altre superflue. Il modo in cui si incontrano i tre protagonisti è ridicolo. E vogliamo parlare della scena in cui Matt Demon sogna a occhi aperti di baciare Cécile De France senza averla mai conosciuta? Cos'ha
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Eastwood sta invecchiando, è innegabile. E comincia ad aver paura della morte, così tanto da doverla esorcizzare rifugiandosi nella speranza di un aldilà paradisiaco. Be', è banale. Lo era già quando Marx disse che "la religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli." Insomma, bisogna aggrapparsi a qualcosa per poter affrontare la morte. A parte questo, molte scene risultano forzate, molte altre superflue. Il modo in cui si incontrano i tre protagonisti è ridicolo. E vogliamo parlare della scena in cui Matt Demon sogna a occhi aperti di baciare Cécile De France senza averla mai conosciuta? Cos'ha a che vedere questo film con altri come Million Dollar Baby, Changeling o Gran Torino?
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bobodiablos
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mercoledì 12 gennaio 2011
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clint "è l'ora della pensione"
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Dopo un ora sarei scappato a gambe levate dal cinema ma ero in copagnia dei miei amici e sono rimasto seduto sbadigliando e guardando l'orologio in continuazione. Io vado al cinenema regolarmente 1-2 volte a settimana e visto il voto generale assolutamente si forse non dovrei andare più al cinema e smettere di guardare film. A questo punto posso dire che io non capisco niente di cinema perchè per me questo film è povero di dialogi, di spunti , di emozioni e soprattutto il ritmo è lento lento lento lento lento lento leto leto lento. Forse io non capirò niente ma per me é ASSOLUTAMENTE NO
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alberto gabrielli
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martedì 11 gennaio 2011
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aldilà o hereafter ?
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La morte si può trattare in tanti modi (del tipo: "quando la morte verrà......." "...urlerò e scalcerò come un mulo" : by Enrico La Talpa – Lupo Alberto) e questo, del sempre grande Clint, è uno dei tanti, ma non dei migliori.
Ridicolizzare santoni improvvisati per rimarcare la grandezza di uno di loro, altrettanto patetico, ma meno divertente, non risolve misteri né stimola emozioni. Marcus, il ragazzo, è personaggio autenticamente terribile nella sua sofferenza - pur con alcune cadute più patetiche che di vero pathos - perché legittimato nel non voler accettare che una parte di sé (più importante dell’ intero sé) il fratello gemello, si perda in quel nulla che è la morte, epilogo ineluttabile del viaggio di un’ anima-coscienza di sé nella materia della vita.
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La morte si può trattare in tanti modi (del tipo: "quando la morte verrà......." "...urlerò e scalcerò come un mulo" : by Enrico La Talpa – Lupo Alberto) e questo, del sempre grande Clint, è uno dei tanti, ma non dei migliori.
Ridicolizzare santoni improvvisati per rimarcare la grandezza di uno di loro, altrettanto patetico, ma meno divertente, non risolve misteri né stimola emozioni. Marcus, il ragazzo, è personaggio autenticamente terribile nella sua sofferenza - pur con alcune cadute più patetiche che di vero pathos - perché legittimato nel non voler accettare che una parte di sé (più importante dell’ intero sé) il fratello gemello, si perda in quel nulla che è la morte, epilogo ineluttabile del viaggio di un’ anima-coscienza di sé nella materia della vita.
Fin qui considerazioni soggettive, di mero apprezzamento personale. C’ è però di più; il cinema è arte, che parla - individualmente - alla società, e contribuisce a formarla; come ben sanno i pubblicitari che di essa (arte) utilizzano ampiamente, a scopo di plagio, le tecniche, tanto quelle materiali (sceneggiatura, diaframmi, colonna sonora, saturazione dei colori…) quanto quelle immateriali (psicologia, atmosfera, pulsioni, fantasia…).
Ed allora: incoraggiare la messa in secondo ordine della realtà (la sola su cui individui e società possono intervenire, magari per rendere più sopportabile la perdita del proprio fratello-guida) rispetto alla irrealtà, l’ inconoscibile, - artatamente reso visitabile -, rappresenta un potentissimo alibi per la fuga dalle proprie responsabilità di soggetti, sociali cioè politici. Non intendo assolutamente dire che questo film sia una istigazione al qualunquismo, ma che, tanto più in tempi, come gli attuali, di rassegnazione diffusa nei confronti dei problemi - non più risolvibili gratuitamente - delle società, dell’ uomo, e del pianeta che lo ospita, non incoraggi a rivoluzionare una realtà che, rispetto al grande tema della morte viene fatta sentire come “picciol cosa” questo si; e non mi piace. Perché di tutto c’ è oggi bisogno, fuorché di autoassolversi perdendosi nella sfera mitica del sé.
Sul piano più filosofico, anche questo film, come gran parte delle religioni, si arroga il diritto di affermare l’ esistenza di un’ anima (e fino a qui ci si può stare, magari intendendola come “coscienza del sé individuale”) che continua a esistere oltre la morte (e anche questo passi) ma, soprattutto, che essa nell’ aldilà sia ancora qui (here) abbia rapporti con il qui, lo possa condizionare (cappellino nel metro), ne abbia memoria. Molto meglio, e filosoficamente più corretto, credere nella reincarnazione: chi può negarla ? tanto la morte, in mancanza di un gruppo di continuità resetta la memoria, e nessun lombrico, nessuna Laura, nessun gatto, nessuna betulla si ricorderà di essere stata/o me.
Avrete capito che etimologicamente parlando, aldilà mi pare significante assai più onesto di hereafter.
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