La morte si può trattare in tanti modi (del tipo: "quando la morte verrà......." "...urlerò e scalcerò come un mulo" : by Enrico La Talpa – Lupo Alberto) e questo, del sempre grande Clint, è uno dei tanti, ma non dei migliori.
Ridicolizzare santoni improvvisati per rimarcare la grandezza di uno di loro, altrettanto patetico, ma meno divertente, non risolve misteri né stimola emozioni. Marcus, il ragazzo, è personaggio autenticamente terribile nella sua sofferenza - pur con alcune cadute più patetiche che di vero pathos - perché legittimato nel non voler accettare che una parte di sé (più importante dell’ intero sé) il fratello gemello, si perda in quel nulla che è la morte, epilogo ineluttabile del viaggio di un’ anima-coscienza di sé nella materia della vita.
Fin qui considerazioni soggettive, di mero apprezzamento personale. C’ è però di più; il cinema è arte, che parla - individualmente - alla società, e contribuisce a formarla; come ben sanno i pubblicitari che di essa (arte) utilizzano ampiamente, a scopo di plagio, le tecniche, tanto quelle materiali (sceneggiatura, diaframmi, colonna sonora, saturazione dei colori…) quanto quelle immateriali (psicologia, atmosfera, pulsioni, fantasia…).
Ed allora: incoraggiare la messa in secondo ordine della realtà (la sola su cui individui e società possono intervenire, magari per rendere più sopportabile la perdita del proprio fratello-guida) rispetto alla irrealtà, l’ inconoscibile, - artatamente reso visitabile -, rappresenta un potentissimo alibi per la fuga dalle proprie responsabilità di soggetti, sociali cioè politici. Non intendo assolutamente dire che questo film sia una istigazione al qualunquismo, ma che, tanto più in tempi, come gli attuali, di rassegnazione diffusa nei confronti dei problemi - non più risolvibili gratuitamente - delle società, dell’ uomo, e del pianeta che lo ospita, non incoraggi a rivoluzionare una realtà che, rispetto al grande tema della morte viene fatta sentire come “picciol cosa” questo si; e non mi piace. Perché di tutto c’ è oggi bisogno, fuorché di autoassolversi perdendosi nella sfera mitica del sé.
Sul piano più filosofico, anche questo film, come gran parte delle religioni, si arroga il diritto di affermare l’ esistenza di un’ anima (e fino a qui ci si può stare, magari intendendola come “coscienza del sé individuale”) che continua a esistere oltre la morte (e anche questo passi) ma, soprattutto, che essa nell’ aldilà sia ancora qui (here) abbia rapporti con il qui, lo possa condizionare (cappellino nel metro), ne abbia memoria. Molto meglio, e filosoficamente più corretto, credere nella reincarnazione: chi può negarla ? tanto la morte, in mancanza di un gruppo di continuità resetta la memoria, e nessun lombrico, nessuna Laura, nessun gatto, nessuna betulla si ricorderà di essere stata/o me.
Avrete capito che etimologicamente parlando, aldilà mi pare significante assai più onesto di hereafter.
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