Hereafter |
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Un film di Clint Eastwood.
Con Matt Damon, Cécile De France, Joy Mohr, Bryce Dallas Howard, George McLaren, Frankie McLaren, Thierry Neuvic.
continua»
Drammatico,
durata 129 min.
- USA 2010.
- Warner Bros Italia
uscita mercoledì 5 gennaio 2011.
MYMONETRO
Hereafter
valutazione media:
4,09
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un cowboy sotto le stelledi Monica MontanariFeedback: 100 | altri commenti e recensioni di Monica Montanari |
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giovedì 7 luglio 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il vecchio cowboy vuol dirci qualcosa e lo fa senza chiederci quella regressione all'infanzia che esige da noi uno Shyamalan facendo ampio ricorso alla "magia della rappresentazione". Eastwood mette in scena tre racconti incentrati allo spasimo - com'è d'uso in Eastwood - sui personaggi e facendoli convergere in un incontro finale, risolutore. In prima fila, un ragazzino inglese, Marcus (personaggio ritagliato sulla falsa riga de il Sesto senso di Shyamalan, di Elliot (Loach) e della saga di Potter (Rowling), interpretato da un tnero ma poco plastico George McLaren. Marcus è alla ricerca di un "contatto" con il fratello gemello morto in un incidente di strada. Abbimo poi George operaio e sensitivo interpretato da un Matt Damon, invecchiato e in fuga da Jason Bourne, bravissimo. George vive la condanna di riuscire a entrare in comunicazione con i defunti delle persone che incontra. Infine abbiamo Cecile De France che interpreta con credibilità e scarsa simpatia i panni di Marie, giornalista rampante e sconvolta da un'esperienza di premorte cui cerca di dare spiegazione. Intrecciando questo materiale, il vecchio cowboy con un piede nella fossa, ci manda a dire "Ehi, ragazzi, non crederete che sia finita qui". Parla ai suoi concittadini ma anche agli europei, adottando la cifra stilistica dei rispettivi linguaggi cinematografici. Di qui la costruzione degli episodi che può risultare farraginosa. Ma a Clint serve far parlare un francese, un inglese e un americano, come nelle barzellette. Per questo costruisce meticolosamente episodi tanto lontani e complessi. Ecco i gemelli "loachiani" delle council house londinesi, ecco il melieu radicale francese elitario e ultraborghese in pieno stereotipo del cinema d'oltralpe, ecco Charing Cross che in pendant con la King Cross di Harry Potter, condurrà anche Marcus a trovare il suo binario "otto e trequarti" sotto la forma di un cappellino che miracolosamente gli salva la vita. Ecco la cartolina dell'italoamericano che sa fare il sugo di pomodoro e degusta barbaresco - che ci piaccia o no, resta questo di noi nell'immaginario globale - . Eastwood ci tiene proprio a farci sentire coinvolti, a farci capire che parla di noi e per noi e che per riuscirci è disposto ad affrontare la solitudine intellettuale che circonda tutti coloro che si inoltrano nel recintro sacro - dell'escatologia, della morte, dell'ultraterreno - riservato per antico patto alle religioni. La coscienza non va dispersa, partecipa solidalmente alla realtà in divenire, continua a operare nel qui ed ora intorno a noi e influenza la realtà "dei vivi", argomenta Eastwood. Una lezione consolatoria e un acuto "j'accuse" verso una scienza che si ideologizza e diviene scientismo, tautologicamente, lasciando fuori di sè le questioni fondamentali dell'esistenza. Lo rivela la battuta chiave del giornalista radicale Didier (Thierry Neuvic): "Se ci fosse qualcosa oltre la morte, la scienza lo avrebbe già scoperto". Che cosa si può immaginare di più puramente antiscientifico di questa chiusura verso potenziali nuove scoperte? Una notazione stilistica: nel dar celluloide alle visioni di George - Matt Damon, il rischio di scivolare nel "ehi, sono la nonna e ti raccomando di mettere la maglia di lana" era assai alto. La maestria di Eastwood nel non rinunciare all'immagine ma nel saper usare il cinema per dipingere senza fotografare è realmente notevole. I morti avvistati da George - Matt Damon sono luce e flash dal passato.
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