g. romagna
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sabato 15 gennaio 2011
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hereafter
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Tre vicende scorrono parallele lungo tutto il film: George, operaio americano, riesce a vedere nell'aldilà delle persone con cui entra in contatto. Tale dote, che lo aveva reso ricco, viene da lui abbandonata quando si accorge che stava diventando una condanna, e che vivere a contatto con la morte è una "non vita"; Marie Lelay, brillante giornalista francese, si ritrova coinvolta nello tsunami indonesiano. Tocca con mano la morte, ma si salva. Da lì la sua vita comincerà a perdere pezzi ma a rinfrancarsi per via di nuove convinzioni su ciò che c'è oltre la morte; Markus, dodicenne londinese legatissimo al gemello Jason e costretto a crescere e responsabilizzarsi prima del tempo per via di una madre alcolizzata ed eroinomane, perde in un incidente il proprio fratello, mentre la mamma viene ricoverata in clinica di disintossicazione.
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Tre vicende scorrono parallele lungo tutto il film: George, operaio americano, riesce a vedere nell'aldilà delle persone con cui entra in contatto. Tale dote, che lo aveva reso ricco, viene da lui abbandonata quando si accorge che stava diventando una condanna, e che vivere a contatto con la morte è una "non vita"; Marie Lelay, brillante giornalista francese, si ritrova coinvolta nello tsunami indonesiano. Tocca con mano la morte, ma si salva. Da lì la sua vita comincerà a perdere pezzi ma a rinfrancarsi per via di nuove convinzioni su ciò che c'è oltre la morte; Markus, dodicenne londinese legatissimo al gemello Jason e costretto a crescere e responsabilizzarsi prima del tempo per via di una madre alcolizzata ed eroinomane, perde in un incidente il proprio fratello, mentre la mamma viene ricoverata in clinica di disintossicazione. Il trauma è per il ragazzo insostenibile, e cercherà in ogni modo di rimettersi in contatto con Jason, affidandosi ai più avvilenti ciarlatani. Destino vuole che i tre si incontrino a Londra, e l'esistenza di ognuno conoscerà una svolta... Vero, acuto, profondo e capace di trattare con la dovuta sensibilità un tema in cui ragionevole dubbio, superstizione e ciarlataneria viaggiano a poca distanza l'una dalle altre. L'approccio scientifico e l'aspetto della convinzione intimista procedono di pari passo, in un'abile cesellatura capace di offrire importanti spunti di riflessione anche ai più scettici in materia: illuminante in tal senso è, ad esempio, la questione delle imponenti analogie tra le visioni delle persone in stato comatoso o in apparente condizione terminale, così evidente da spingere anche la comunità scientifica a studi e dibattiti in merito, ancorchè osteggiati dall'ostruzionismo di importanti lobby cristiane. La regia, tecnicamente ineccepibile (che belle le scene dello tsunami!), e la sceneggiatura riflettono un sentimento di forte convinzione nell'esistenza di una realtà ultraterrena, ma non cercano giammai di imporlo con presunzione, ed è questo uno degli elementi che fanno fare al film il salto di qualità, unito all'abilità, straordinaria, nel coniugare con notevole naturalezza quello che naturale non è assolutamente in un tema del genere, ossia l'approccio scientifico e quello emotivo. E poi ci sono quella profondità e quella sensibilità, dettate dalla semplicità, dalle circostanze di vita e dalla forza d'animo, che nessuno come i personaggi di Eastwood sa attualmente avere in ambito cinematografico. Molto difficile è trattare un argomento del genere senza scadere nella banalità, nel buonismo o nella presunzione, ma Eastwood ci è mirabilmente riuscito, dimostrando una volta di più tutta la sua grande caratura registica che lo pone ai vertici della settima arte contemporanea. Teniamocelo stretto questo grande vecchio del cinema, finchè il tempo ce lo consente.
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pacipa
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sabato 15 gennaio 2011
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non un libro sulla morte, ma sulla vita.
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Non era credibile. Tutti parlavano di un film sulla morte e sull'aldilà. L'ho visto e, come d'altra parte mi aspettavo da Clint Eastwood, il film è per me sopratutto una magnifica e profondissima indagine sulla Vita nei suoi aspetti più intimi e profondi, su alcune delle sue innumerevoli sfaccettature.
La solitudine di George, alle prese con un dono che in realtà è una condanna; la conversione di Marie, donna di successo in un mondo troppo autoreferenziale che non ha tempo e non concede tempo, che cerca disperatamente spazi per le proprie riflessioni esistenziali; la tenerezza di Marcus, disperatamente dipendente dalla forza rassicurante del fratello, che deve trovare la sua strada in un mondo nuovo, irreversibilmente sopraggiunto troppo improvvisamente per lui.
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Non era credibile. Tutti parlavano di un film sulla morte e sull'aldilà. L'ho visto e, come d'altra parte mi aspettavo da Clint Eastwood, il film è per me sopratutto una magnifica e profondissima indagine sulla Vita nei suoi aspetti più intimi e profondi, su alcune delle sue innumerevoli sfaccettature.
La solitudine di George, alle prese con un dono che in realtà è una condanna; la conversione di Marie, donna di successo in un mondo troppo autoreferenziale che non ha tempo e non concede tempo, che cerca disperatamente spazi per le proprie riflessioni esistenziali; la tenerezza di Marcus, disperatamente dipendente dalla forza rassicurante del fratello, che deve trovare la sua strada in un mondo nuovo, irreversibilmente sopraggiunto troppo improvvisamente per lui.
La morte in Hereafter è solo un contesto, uno scenario con cui ciascuno di noi deve fare i conti, ognuno però attraverso la sua strada, combattendo con le proprie debolezze e superando anche le jatture che il Caso frappone, spesso quasi accanendosi.
Semmai la domanda che il film suggerisce è: c'è qualcuno che tira/regola i fili delle nostre vite?
Eastwood ci invita a riflettere e, ancora una volta, non ci ha deluso, anzi.
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laulilla
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sabato 15 gennaio 2011
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la vita qui e ora
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Non ero molto attratta da questo film: molto ne avevo letto e mi ero convinta che non fosse fatto per me. Da tempo, per esperienza ahimé, ero persuasa che elaborare un lutto significasse fondamentalmente riuscire a superare la nostra dipendenza dalla persona defunta. Chi abbia visto morire persone care e abbia provato, a un certo punto sollievo nel liberarsi di oggetti, che, pur sacri alla memoria, erano in grado di bloccare con la loro presenza l'urgenza di tornare a vivere, avrà immediatamente compreso la scena, atroce, ma di grandissima pregnanza metaforica, del piccolo Marcos, sopravvissuto al proprio gemello Jason, che si libera, malvolentieri, del berretto che era appartenuto al fratellino.
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Non ero molto attratta da questo film: molto ne avevo letto e mi ero convinta che non fosse fatto per me. Da tempo, per esperienza ahimé, ero persuasa che elaborare un lutto significasse fondamentalmente riuscire a superare la nostra dipendenza dalla persona defunta. Chi abbia visto morire persone care e abbia provato, a un certo punto sollievo nel liberarsi di oggetti, che, pur sacri alla memoria, erano in grado di bloccare con la loro presenza l'urgenza di tornare a vivere, avrà immediatamente compreso la scena, atroce, ma di grandissima pregnanza metaforica, del piccolo Marcos, sopravvissuto al proprio gemello Jason, che si libera, malvolentieri, del berretto che era appartenuto al fratellino. Forse, non si può chiedere a chi non ha ancora avuto esperienza di queste cose, di comprenderle, ma certo questa scena, a mio avviso, contiene la chiave interpretativa dell'intero film. C'è anche un'altra scena, per me straordinaria e memorabile che ci aiuta a capire il film: gli allievi del corso di cucina possono gustare, solo bendati, gli ingredienti di certi piatti. La benda, l'oscurità che si deve produrre per apprezzare appieno la bontà e il gusto delle cose, non è che un invito a evitare di voler conoscere ciò che ci può rovinare la vita: chi, incautamente, prova a farlo, ne porterà le amare conseguenze, perché, in questo caso, si tratta di un sapere regressivo e subalterno. Certo, la visione che complessivamente emerge dal film non è ottimistica, né consolante: la vita, che è soggetta a rischi inimmaginabili e del tutto casuali, va vissuta e goduta sapendo che si tratta di una brevissima esperienza irripetibile al termine della quale non sappiamo né se esisterà qualche cosa, né se quelle che sono universalmente considerate visioni pre- morte possano in qualche misura promettere alcunché di plausibile o di reale. Non sappiamo nulla, questo è il vero problema, e perciò dobbiamo trovare il coraggio di assaggiare al buio le esperienze dolci, amare, sapide, insipide che la vita ci presenterà; il resto è malattia e morbosa curiosità: il "dono" del giovane George, che potrebbe essere una miniera di guadagno per lui, nasce da una malattia, provocata da un intervento umano, che avrebbe dovuto riportare il giovane in salute e anche questo, secondo me ha un significato evidentemente metaforico. Che poi i protagonisti del film confluiscano tutti insieme a Londra, alla presentazione del libro di Marie, e che quindi si trovino lì spinti, con motivazioni diverse, da un interesse comune, non credo costituisca un importante oggetto di indagine e di riflessione: è certo che, se i tre vorranno continuare a vivere dovranno pensare al loro futuro qui e ora, non "dopo", perché il dopo, comunque si presenterà, non ha nulla davvero da comunicare ai vivi. I sensitivi non sono buoni o cattivi, sono per lo più avidi sfruttatori del bisogno di consolazione di chi non ha il coraggio di vivere; George non lo farà, perché sa che dal dolore altrui non può nascere il gusto della vita; Marcos neppure, perché ha capito e alla fine ha ritrovato la madre; si spera che anche Marie rinunci alle sue indagini, per riuscire anche lei, finalmente a vivere serenamente la sua esistenza. Il film è bello, benissimo raccontato, pulito e classico nelle immagini, sufficientemente teso per mantenere viva l'attenzione e anche la commozione degli spettatori. Gli attori sono tutti molto bravi e diretti con mano fermissima (ma occorre dirlo?) da un Eastwood, più giovane che mai.
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(di laulilla)
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marezia
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venerdì 14 gennaio 2011
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olgadik, benvenuta.
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Vorrei cogliere la Sua recensione per gettare un po' di luce sul finale che anche a me all'inizio ha dato l'idea di una chiusura romantica forse fuori luogo (anche perché io non lo sono per niente) ma che poi a ben riflettere mi è sembrata PIU' RAZIONALE CHE MAI invece perché è come se il bacio tra George e Marie fosse la premonizione di una nuova vita. E' come se il primo contatto gli avesse rivelato una persona COME LUI e quindi l'avesse riimmerso nella vita. Che ne dice?
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olgadik
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venerdì 14 gennaio 2011
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un diverso clint
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Argomenti come questi affrontati dal vecchio leone americano nel film sono di quelli che imbarazzano e insieme attraggono. Ci riguardano direttamente, anche se ognuno li affronta secondo la sua esperienza e formazione. Tutti, almeno una volta, ci siamo interrogati sul mistero della morte, sulla relazione tra questa e la vita, sui meccanismi profondi che una perdita induce nelle persone. A maggior ragione è logico che lo faccia un regista che non smette di stupirci alla soglia degli ottantuno anni e che ha già in preparazione un altro film. Direi che la mano del maestro nel manovrare con fluida naturalezza la macchina da presa non ha subito grossi mutamenti; il montaggio è efficace come sempre, tutto si svolge in un continuum fatto di tecnica e scrittura.
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Argomenti come questi affrontati dal vecchio leone americano nel film sono di quelli che imbarazzano e insieme attraggono. Ci riguardano direttamente, anche se ognuno li affronta secondo la sua esperienza e formazione. Tutti, almeno una volta, ci siamo interrogati sul mistero della morte, sulla relazione tra questa e la vita, sui meccanismi profondi che una perdita induce nelle persone. A maggior ragione è logico che lo faccia un regista che non smette di stupirci alla soglia degli ottantuno anni e che ha già in preparazione un altro film. Direi che la mano del maestro nel manovrare con fluida naturalezza la macchina da presa non ha subito grossi mutamenti; il montaggio è efficace come sempre, tutto si svolge in un continuum fatto di tecnica e scrittura. Solo due elementi cambiano rispetto alle opere precedenti: l’uso all’inizio degli effetti speciali per descrivere un rovinoso tsunami e la struttura del racconto che segue tre vite parallele in luoghi lontani e diversi, destinati alla fine ad incontrarsi. Nessuno dei due è nuovo nel cinema americano. Del primo si fa costante abuso in filmacci tutti uguali e assolutamente improponibili anche nel genere fantascienza; del secondo si è fatto uso in opere di vario valore, alcune molto interessanti (cito per tutte Crash, Babel e America oggi). Ma agli effetti speciali Eastwood dà un significato pregnante anche perché il fenomeno naturale di riferimento esiste e si è verificato nella realtà di recente; usando invece la struttura frammentata, i cui pezzi si ricompongono alla fine, ha voluto sottolineare come in luoghi diversi e lontani le reazioni di fronte a certe domande siano molto simili per tutti. Le vite al centro del racconto hanno in comune esperienze estreme rispetto alla morte. La giornalista francese Marie Lelay l’ha vista, il ragazzino inglese Marcus la subisce senza trovare pace dopo la fine accidentale del suo gemello, George, un sensitivo americano che riesce a mettersi in contatto con i morti degli altri, a furia di condivisione ha sentito la sua esistenza invasa dal dolore. Per tale motivo ha smesso di utilizzare quel “dono” - per lui una condanna – e ha scelto di fare una vita normale. Nel corso del racconto i personaggi vengono inquadrati ognuno nella città dove vive, con una fotografia nitida e allusiva nel ritagliare gli spazi più adatti a qualificare il tipo di vita di ciascuno. Sullo sfondo di queste esistenze colpite in vario modo, c’è il rapporto difficile con l’aldilà inteso come presenza o come assenza. Il regista non fa l’errore di offrire soluzioni al riguardo ma presenta il problema da vari punti di vista. C’è chi sostiene che la morte azzera tutto, chi studia e affronta scientificamente i fenomeni paranormali e le mutazioni del cervello umano durante il coma, scrivendo al riguardo su pubblicazioni scientifiche. C’è chi sfrutta i bisogni di interrogare la morte e l’aldilà a livello di puro guadagno, da cinico ciarlatano. C’è infine chi mette al servizio dell’altro una facoltà difficile da vivere nella realtà ma consolatoria per il suo prossimo. Come uscirne? L’unico scioglimento che Eastwood offre a tali domande è di abbandonare il passato, abitato da una perdita o da un evento traumatico come il coma, per un futuro che può avere il sapore dell’amore e di nuovi affetti. Se non possiamo esplorare più di tanto l’aldilà del confine possiamo riappropriarci con energia e tenerezza dell’aldiquà. Gli attori sembrano tutti all’altezza del compito; in particolare lo sono le due protagoniste femminili. Belle e diverse, l’una solare e diretta, l’altra vibratile come un cerbiatto. Commovente anche il risultato del piccolo sensibilissimo Marcus. Tra i limiti del film citerei un eccesso di lacrime e momenti patetici, appannaggio, come spesso avviene, di personaggi non adulti. Anche il finale mi è apparso un po’ meccanico e frettoloso, perché l’approccio tra i due protagonisti adulti, da lontanissimo si fa precipitoso e poco plausibile nel suo immediato volgere in sentimento amoroso. Ma a un regista così qualche smagliatura si può perdonare.
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lillibeccaria
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venerdì 14 gennaio 2011
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al di là non si sta male
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uk fllm scorre via veloce nelle sue tre storie molto illuminanti di come può svolgersi la vita di chiunque di noi , i personaggi verosimili e commoventi nel loro candore che scalda gli animi , grande bel film di un vecchio americano da cui esci contento di averlo visto e vissuto, bravissimi tutti gli attori donne, uomini e bambini.
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lalli
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venerdì 14 gennaio 2011
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bello, nn tra i migliori
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bel film anche se non tra i migliori di Clint, bravissimo il bambino.
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ulysse
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venerdì 14 gennaio 2011
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great!
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Grande Clint....un film davvero intenso
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