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olgadik
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venerdì 14 gennaio 2011
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un diverso clint
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Argomenti come questi affrontati dal vecchio leone americano nel film sono di quelli che imbarazzano e insieme attraggono. Ci riguardano direttamente, anche se ognuno li affronta secondo la sua esperienza e formazione. Tutti, almeno una volta, ci siamo interrogati sul mistero della morte, sulla relazione tra questa e la vita, sui meccanismi profondi che una perdita induce nelle persone. A maggior ragione è logico che lo faccia un regista che non smette di stupirci alla soglia degli ottantuno anni e che ha già in preparazione un altro film. Direi che la mano del maestro nel manovrare con fluida naturalezza la macchina da presa non ha subito grossi mutamenti; il montaggio è efficace come sempre, tutto si svolge in un continuum fatto di tecnica e scrittura.
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Argomenti come questi affrontati dal vecchio leone americano nel film sono di quelli che imbarazzano e insieme attraggono. Ci riguardano direttamente, anche se ognuno li affronta secondo la sua esperienza e formazione. Tutti, almeno una volta, ci siamo interrogati sul mistero della morte, sulla relazione tra questa e la vita, sui meccanismi profondi che una perdita induce nelle persone. A maggior ragione è logico che lo faccia un regista che non smette di stupirci alla soglia degli ottantuno anni e che ha già in preparazione un altro film. Direi che la mano del maestro nel manovrare con fluida naturalezza la macchina da presa non ha subito grossi mutamenti; il montaggio è efficace come sempre, tutto si svolge in un continuum fatto di tecnica e scrittura. Solo due elementi cambiano rispetto alle opere precedenti: l’uso all’inizio degli effetti speciali per descrivere un rovinoso tsunami e la struttura del racconto che segue tre vite parallele in luoghi lontani e diversi, destinati alla fine ad incontrarsi. Nessuno dei due è nuovo nel cinema americano. Del primo si fa costante abuso in filmacci tutti uguali e assolutamente improponibili anche nel genere fantascienza; del secondo si è fatto uso in opere di vario valore, alcune molto interessanti (cito per tutte Crash, Babel e America oggi). Ma agli effetti speciali Eastwood dà un significato pregnante anche perché il fenomeno naturale di riferimento esiste e si è verificato nella realtà di recente; usando invece la struttura frammentata, i cui pezzi si ricompongono alla fine, ha voluto sottolineare come in luoghi diversi e lontani le reazioni di fronte a certe domande siano molto simili per tutti. Le vite al centro del racconto hanno in comune esperienze estreme rispetto alla morte. La giornalista francese Marie Lelay l’ha vista, il ragazzino inglese Marcus la subisce senza trovare pace dopo la fine accidentale del suo gemello, George, un sensitivo americano che riesce a mettersi in contatto con i morti degli altri, a furia di condivisione ha sentito la sua esistenza invasa dal dolore. Per tale motivo ha smesso di utilizzare quel “dono” - per lui una condanna – e ha scelto di fare una vita normale. Nel corso del racconto i personaggi vengono inquadrati ognuno nella città dove vive, con una fotografia nitida e allusiva nel ritagliare gli spazi più adatti a qualificare il tipo di vita di ciascuno. Sullo sfondo di queste esistenze colpite in vario modo, c’è il rapporto difficile con l’aldilà inteso come presenza o come assenza. Il regista non fa l’errore di offrire soluzioni al riguardo ma presenta il problema da vari punti di vista. C’è chi sostiene che la morte azzera tutto, chi studia e affronta scientificamente i fenomeni paranormali e le mutazioni del cervello umano durante il coma, scrivendo al riguardo su pubblicazioni scientifiche. C’è chi sfrutta i bisogni di interrogare la morte e l’aldilà a livello di puro guadagno, da cinico ciarlatano. C’è infine chi mette al servizio dell’altro una facoltà difficile da vivere nella realtà ma consolatoria per il suo prossimo. Come uscirne? L’unico scioglimento che Eastwood offre a tali domande è di abbandonare il passato, abitato da una perdita o da un evento traumatico come il coma, per un futuro che può avere il sapore dell’amore e di nuovi affetti. Se non possiamo esplorare più di tanto l’aldilà del confine possiamo riappropriarci con energia e tenerezza dell’aldiquà. Gli attori sembrano tutti all’altezza del compito; in particolare lo sono le due protagoniste femminili. Belle e diverse, l’una solare e diretta, l’altra vibratile come un cerbiatto. Commovente anche il risultato del piccolo sensibilissimo Marcus. Tra i limiti del film citerei un eccesso di lacrime e momenti patetici, appannaggio, come spesso avviene, di personaggi non adulti. Anche il finale mi è apparso un po’ meccanico e frettoloso, perché l’approccio tra i due protagonisti adulti, da lontanissimo si fa precipitoso e poco plausibile nel suo immediato volgere in sentimento amoroso. Ma a un regista così qualche smagliatura si può perdonare.
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lillibeccaria
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venerdì 14 gennaio 2011
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al di là non si sta male
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uk fllm scorre via veloce nelle sue tre storie molto illuminanti di come può svolgersi la vita di chiunque di noi , i personaggi verosimili e commoventi nel loro candore che scalda gli animi , grande bel film di un vecchio americano da cui esci contento di averlo visto e vissuto, bravissimi tutti gli attori donne, uomini e bambini.
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lalli
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venerdì 14 gennaio 2011
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bello, nn tra i migliori
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bel film anche se non tra i migliori di Clint, bravissimo il bambino.
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ulysse
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venerdì 14 gennaio 2011
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great!
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Grande Clint....un film davvero intenso
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salvo
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venerdì 14 gennaio 2011
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angosciante
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Ho visto il film in questione e con una certa timidezza mi accingo a dire che mi ha lasciato perplesso per non dire amareggiato. Dico timidezza perchè temo che qualcuno di opinione opposta mi si scagli contro e poi magari dovrei ricorrere al sostegno di specialisti in materia. Non escludo la bravura del regista, ma qui non è servita ad attutire l'angoscia e la paura della morte e dell'aldilà; anzi lascia accesa una certa tensione perchè risveglia in noi la curiosità di sempre: che c'è dopo la morte? Io credo che il regista si sforzi con questo film a volersi dare una risposta personale, ma poco convincente! SALVO
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(di jennyx)
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mimmonat
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giovedì 13 gennaio 2011
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dai lunghi silenzi con leone ai viaggi nell'anina
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Clint dimostra ancora una volta di poter osare dove possono pochi. Questa volta, però, non "il solito film sopra la media" che ti coivolge ed in sala non ti fa pensare a nient'altro che al film, questa volta con la maestria riservata a pochi, quella macchina da presa, oltre che a muoversi con abilità raffinata, arriva, grazie anche a scelte musicali azzecate, dentro la nostra anima. Altro tocco di classe che credo non sfuggirà allo spettatore e quello che, a differenza del film che viaggia sempre sopra le righe per tutta la durata, penso a film tipo LO SCAFANDRO E LA FARLALLA, Clint riesce a dare dei tocchi che ci riportano in una dimensione di normalità e ci consentono d'uscirne con un ricordo anche "terreno".
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Clint dimostra ancora una volta di poter osare dove possono pochi. Questa volta, però, non "il solito film sopra la media" che ti coivolge ed in sala non ti fa pensare a nient'altro che al film, questa volta con la maestria riservata a pochi, quella macchina da presa, oltre che a muoversi con abilità raffinata, arriva, grazie anche a scelte musicali azzecate, dentro la nostra anima. Altro tocco di classe che credo non sfuggirà allo spettatore e quello che, a differenza del film che viaggia sempre sopra le righe per tutta la durata, penso a film tipo LO SCAFANDRO E LA FARLALLA, Clint riesce a dare dei tocchi che ci riportano in una dimensione di normalità e ci consentono d'uscirne con un ricordo anche "terreno". Lunga vita a Clint, vecchio conservatore americano "illuminato".Adesso dopo anni veniamo a sapere a cosa pensava in lunghi silenzi sui set di Leone in Ciociaria!
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[+] schabel
(di em.ina)
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melania
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giovedì 13 gennaio 2011
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poco coinvolgente
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Il film è ben fatto,ottimo cast,bella sceneggiatura.Il tema è interessante ma nonostante tutte queste premesse sono rimasta a guardarlo senza particolari emozioni.trovo che sia molto ben recitato ma,per me,poco coinvolgente.Il motivo?non saprei....
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mandatrix
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giovedì 13 gennaio 2011
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grande colonna sonora
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il ritmo scorre "giusto", con un montaggio non troppo veloce.
la colonna sonora è davvero bella. i liked.
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andrea1967
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giovedì 13 gennaio 2011
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film profondo, riflessivo, pienamente eastwoodiano
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Hereafter è un film profondo, riflessivo, pienamente eastwoodiano. Ricordo Eastwood in una vecchia intervista:“fondamentalmente realizzo delle storie per me, compatibili con il fatto che non amo i cinema vuoti”. Alla luce di questa interpretazione autentica non si dovrebbe mai dimenticare che Eastwood è un uomo adulto; poco interessato a solleticare il botteghino esibendo acrobazie Ninja (rivolgersi a Tarantino) o comunità di benestanti annoiati (Allen), o spacciando allucinazioni (Lynch). Come esiste una letteratura per i ventenni (Hemingway) e una per la maturità (Tolstoj), esiste il cinema di Eastwood, che non può essere compreso con strumenti adolescenziali, quando manca il vissuto che ne costituisce la base elaborativa.
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Hereafter è un film profondo, riflessivo, pienamente eastwoodiano. Ricordo Eastwood in una vecchia intervista:“fondamentalmente realizzo delle storie per me, compatibili con il fatto che non amo i cinema vuoti”. Alla luce di questa interpretazione autentica non si dovrebbe mai dimenticare che Eastwood è un uomo adulto; poco interessato a solleticare il botteghino esibendo acrobazie Ninja (rivolgersi a Tarantino) o comunità di benestanti annoiati (Allen), o spacciando allucinazioni (Lynch). Come esiste una letteratura per i ventenni (Hemingway) e una per la maturità (Tolstoj), esiste il cinema di Eastwood, che non può essere compreso con strumenti adolescenziali, quando manca il vissuto che ne costituisce la base elaborativa.
Eastwood è un osservatore tanto "in divenire", quanto disinteressato alle mode prevalenti. Ciò lo rende avversato e poco capito sin dall’ispettore Callahan, personaggio già molto complesso. Peccato, perché egli da 40 anni segue fedelmente un filo conduttore; storie di persone che lottano per costruire se stessi al cospetto del fato e di un mondo pauroso e perciò conformista. Il venditore di scarpe che lascia la città per fondare un “wild west show” (Bronco Billy); la lotta interiore di Will Munny, conteso tra la via del duro lavoro e il baratro della violenza; la determinazione di Maggie (Million dollar baby) che si allena giorno e notte per sfuggire ad un piatto destino. Lei non combatte per denaro, ma per una vita piena, per rendersi utile ai suoi cari, per vivere la grandezza dell’affetto di un cane, per scoprire la traduzione di Mo Cùishle.
Anche George, Marie e Marcus volano alto sopra la banalità. George perché costretto, Marcus per questioni biologiche (specialità dei gemelli), Marie perché il destino le ha aperto una porta su una angoscia immensa, che annichilisce ogni quotidianità. Non sono nati “minoranza”, lo diventano perché ora portano un fardello indivisibile. I quesiti che li attanagliano richiedono cammini solitari, liberi dai conformismi. Come quello del fratello di George, che vorrebbe monetizzarne le facoltà, non per avidità, ma solo per carenza empatica e per strabismo culturale. Quello della TV, che accoglie ciarlatani di ogni confessione, purchè truffino entro “le regole”; ma non tollera la parola “morte”, perchè deprime i consumi. Quello dell’assistenza sociale inglese, che si avvale di protocolli e funzionari inappuntabili, ma incapaci di fermarsi un istante a relazionarsi con Marcus nella sua individualità.
E per una volta, nella roulette del caso, la disperata difesa dei protagonisti viene premiata. Non trovano le risposte, ma ognuno trova un lembo di terraferma: dei rapporti umani nuovi sui quali costruire un futuro in questo mondo. Hereafter è un nuovo, delicatissimo posarsi della farfalla Eastwood nella cristalleria della filosofia morale. I suoi protagonisti non hanno patria né sesso, sono solo adulti veri: dirty Harry sorride carico di tenerezza (dura un fotogramma) verso un collega onesto; Robert Kincaid non mangia carne, perché sa quanta sofferenza essa nasconde. Il folk singer di Honkytonk man sacrifica la sua vita solo per non essere vissuto invano. In Herafter c’è tutto, perfino lo spettatore entrato in sala per vedere un videoclip di bellocci con laurea in astrofisica e superpoteri. E’ la ragazza del corso di cucina. Piena di formicolio new age insiste perché George la osservi nel profondo; ma nel profondo ci si annega. Quanto poi alle perentorie certezze sulla morte che il film non da, si dice che “l'intelligente sa poco e l'imbecille sa tutto”. E su Clint, lo conferma la modestia che mostra nelle interviste, ci sono ben pochi dubbi.
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camillone
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giovedì 13 gennaio 2011
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superficiale ??????
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Mi è piaciuto moltissimo il precedente (Gran Torino) per cui sono andato immediatamente a vedere queso nuovo film del rtegista americano. Ho sentimenti contrastanti, perchè il film è ben fatto e ben recitato, però mi ha lasciato come un senso di attesa per qualcosa che sembra arrivi ma invece non arriva mai. E' il colpo d'ala, lo scatto del super ? Ad esempio, la lettera che l'operaio scrive alla giornalista, si immagina non parli soltanto d'amore, ma più che altro delle esperienze comuni, appunto le visioni post-mortem. E allora, perchè non rendere anche gli spettatori partecipi delle loro emozioni ? perchè non farci sentire con la voce di lui, cosa gli scrive ? E poi, dopo l'incontro fra i due, di cosa parlano, come affrontano un tema così spinoso, ma comune ad entrambi, come le visioni, le aspettative dell'aldilà ? Ripeto, si esce dal cinema con un senso di insoddisfazione, come di una cosa bella ma non terminata, appunto, una "incompiuta".
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Mi è piaciuto moltissimo il precedente (Gran Torino) per cui sono andato immediatamente a vedere queso nuovo film del rtegista americano. Ho sentimenti contrastanti, perchè il film è ben fatto e ben recitato, però mi ha lasciato come un senso di attesa per qualcosa che sembra arrivi ma invece non arriva mai. E' il colpo d'ala, lo scatto del super ? Ad esempio, la lettera che l'operaio scrive alla giornalista, si immagina non parli soltanto d'amore, ma più che altro delle esperienze comuni, appunto le visioni post-mortem. E allora, perchè non rendere anche gli spettatori partecipi delle loro emozioni ? perchè non farci sentire con la voce di lui, cosa gli scrive ? E poi, dopo l'incontro fra i due, di cosa parlano, come affrontano un tema così spinoso, ma comune ad entrambi, come le visioni, le aspettative dell'aldilà ? Ripeto, si esce dal cinema con un senso di insoddisfazione, come di una cosa bella ma non terminata, appunto, una "incompiuta". Peccato, perchè le basi per un discorso più profondo c'erano tutte, anche per la ricerca del non voler trattare l'aldilà come vuole la religione, ma soltanto come una sensazione magica. Ripeto, peccato, ma il nostro Clint resta comunque ottimo.
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