alex_23
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domenica 20 febbraio 2011
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ottima pellicola
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Mi sono avvicinato troppo tardi a Clint Eastwood. Beh, non è mai troppo tardi, i film rimangono ai posteri fortunatamente!
Gran bel film, molto reale e commovente soprattutto verso la fine. Mai banale. Il titolo distoglie un po' quello che è in realtà il tema affrontato nel film, ma poco importa. Da vedere!
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massimo49
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venerdì 30 novembre 2012
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quando la vecchiaia è giovinezza.
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Un Clint in gran forma, con lo sguardo duro che nasconde tante amarezze, tante frasi non dette. Un uomo che mostra la sua aggressività come un cavaliere mostrava la propria armatura. In realtà un cuore buono e dolce, pronto al sacrificio estremo pur di far trionfare la giustizia. Si esce dal cinema sereni e consapevoli che questo mondo non è ancora precipitato a Sodoma e Gomorra. C'è ancora speranza e questo barlume di luce viene da un vecchio legionario che non ha mai rimosso la tragedia di aver ucciso un nemico coreano in guerra. Nella sua catarsi, finalmente trova la pace interiore e l'armonia ricercata inutilmente per tutta la vita. Un vero capolavoro, degno del migliore John Ford, un angelo dalla scorza dura.
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borghij
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giovedì 31 ottobre 2013
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anche i più duri hanno un cuore.
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Walt Kowalski (EastWood) è un razzista e prepotente uomo di circa 60 anni che vive solo in una casa in periferia,
quando si stabilisce una famiglia Hmong proprio vicino a casa sua egli si inacidisce e cerca di mantenere il suo
credo di razzista e odio verso i visi gialli poiché ex militare in corea.
Però sarà proprio il ragazzo più giovane (Tardo, come lo chiama lui prepotentemente) a fargli cambiare idea
e a toccargli il cuore.
Walt si impegnerà dunque ad aiutarlo a trovargli un lavoro e a diventare un vero uomo.
Ma il vero problema sono un gruppo di teppisti, cugini del ragazzo, che complicheranno la vicenda e perseguiteranno la famiglia di Tardo.
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Walt Kowalski (EastWood) è un razzista e prepotente uomo di circa 60 anni che vive solo in una casa in periferia,
quando si stabilisce una famiglia Hmong proprio vicino a casa sua egli si inacidisce e cerca di mantenere il suo
credo di razzista e odio verso i visi gialli poiché ex militare in corea.
Però sarà proprio il ragazzo più giovane (Tardo, come lo chiama lui prepotentemente) a fargli cambiare idea
e a toccargli il cuore.
Walt si impegnerà dunque ad aiutarlo a trovargli un lavoro e a diventare un vero uomo.
Ma il vero problema sono un gruppo di teppisti, cugini del ragazzo, che complicheranno la vicenda e perseguiteranno la famiglia di Tardo. Dopo varie lotte e guerre fredde, Walt capisce che la giusta soluzione (anche perché scopre di essere malato terminale) è di suicidarsi, facendosi sparare dai teppisti, mandandoli così in prigione. Bellissimo è il finale, quando il Notaio legge il testamento, e Walt lascierà la gran Torino al
ragazzo invece che alla nipote sciocca e maleducata.
Ci sono eroi anche tra i più duri, e forse è proprio vero che non bisogna mai giudicare dalle apparenze.
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mydearasia
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martedì 17 giugno 2014
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come sempre o più di sempre un capolavoro
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ci vorrebbero molte parole o, forse, ne basterebbero poche per descrivere questo film. la storia ci dice poco, ma l'interpretazione di Clint, le riflessioni e i messaggi sul quale il film ci induce a riflettere, quelle si che sono enormi. Ogni frase, ogni immagine, ogni simbolo ci portano a riflettere, a riflettere sul mai dire mai, sull'immenso piacere che induce il rispetto (anche verso il diverso), sulla meravigliosa cultura orientale, sul sacrificio anche ultimo, per amore del prossimo, sul come si diventa veri uomini senza essere bulli o violenti (anzi rifiutando proprio la violenza) e, infine, su come la guerra crea mostri anche dopo anni di ricerca di normalità. Uccidere è la missione del soldato, ma uccidere non è la missione degli uomini e questo, vuoi o non vuoi, te lo porti dietro per sempre.
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ci vorrebbero molte parole o, forse, ne basterebbero poche per descrivere questo film. la storia ci dice poco, ma l'interpretazione di Clint, le riflessioni e i messaggi sul quale il film ci induce a riflettere, quelle si che sono enormi. Ogni frase, ogni immagine, ogni simbolo ci portano a riflettere, a riflettere sul mai dire mai, sull'immenso piacere che induce il rispetto (anche verso il diverso), sulla meravigliosa cultura orientale, sul sacrificio anche ultimo, per amore del prossimo, sul come si diventa veri uomini senza essere bulli o violenti (anzi rifiutando proprio la violenza) e, infine, su come la guerra crea mostri anche dopo anni di ricerca di normalità. Uccidere è la missione del soldato, ma uccidere non è la missione degli uomini e questo, vuoi o non vuoi, te lo porti dietro per sempre. La bellezza del finale di questo film (per quanto triste) è che Kovalski, negli ultimi momenti della sua vita, è riuscito a provare il piacere e la gioia della condivisione, dell'affetto, del calore umano, della possibilità di far diventare un ragazzino, uomo e, soprattutto, la possibilità del riscatto finale da tutte le atroci cose che è stato costratto a fare in guerra. Davanti a tutto ciò è impossibile non commuoversi fino alle lacrime!!
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(di aristoteles)
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williamd
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sabato 21 marzo 2015
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eastwood è sempre il migliore!
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Esordisco con un titolo piuttosto banale e privo di riferimenti al film, ma ho scritto questo titolo perché sono rimasto per l'ennesima volta entusiasmato ed "elettrizzato dalla violenza" vedendo un'interpretazione di Clint Eastwood. Essere elettrizzati dalla violenza è sicuramente un qualcosa di ineffabile e vergognoso, ma ho detto queste parole solo per cercare di farvi capire quanto in me cresca l'adrenalina vedendo l'espressione di collera e che vuole vendetta di questo rinomato attore geniale.
Dopo questo breve excursus riguardo le mie fanatiche passioni per Eastwood, passiamo al film.
La prima domanda che ci si pone avvicinandosi al film è "che titolo sarà mai Gran Torino?" Ebbene la Gran Torino è un'auto.
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Esordisco con un titolo piuttosto banale e privo di riferimenti al film, ma ho scritto questo titolo perché sono rimasto per l'ennesima volta entusiasmato ed "elettrizzato dalla violenza" vedendo un'interpretazione di Clint Eastwood. Essere elettrizzati dalla violenza è sicuramente un qualcosa di ineffabile e vergognoso, ma ho detto queste parole solo per cercare di farvi capire quanto in me cresca l'adrenalina vedendo l'espressione di collera e che vuole vendetta di questo rinomato attore geniale.
Dopo questo breve excursus riguardo le mie fanatiche passioni per Eastwood, passiamo al film.
La prima domanda che ci si pone avvicinandosi al film è "che titolo sarà mai Gran Torino?" Ebbene la Gran Torino è un'auto. Quest'auto non riveste alcuna funzione importante nel film, ma la possiamo vedere come il simbolo dell'unione di due generazioni, di due mondi diametralmente opposti.
Walt (Clint Eastwood) è un vedovo, vecchio e scorbutico tradizionalista patriota americano. Reduce dalla guerra di Corea porta nella sua anima l'orrore per la guerra e la solitudine di chi ha visto troppo di ciò che non si deve vedere. Walt si dedica al suo cane e alla pulizia della sua casa; i figli non gli sente mai, se non quando loro lo chiamano per fargli gli auguri o lo vanno a visitare con l'intenzione di convincerlo ad andare in una casa di riposo, pretesto per impossessarsi della sua di casa.
Lascia sventolare con orgoglio la bandiera americana fuori dalla sua porta disprezzando i numerosi immigrati afroamericani e asiatici. E' proprio una famiglia asiatica quella della sua porta accanto e Walt sarebbe forse felice di impugnare ancora una volta il suo fucile per uccidere quelli che lui chiama musi gialli.
"Gran Torino", una storia di razzismo. Una storia di cambiamento. La storia dell'incontro di due culture opposte, ma vicinissime, perché, come la vedo io, in un modo o nell'altro siamo tutti uomini. Era stato il giovane Thao a cercare di rubare la Gran Torino di Walt. Quando la sua famiglia scoprì della malefatta del ragazzo lui venne costretto a lavorare alla dipendenze di Walt.
E' così che nacque tutto, così che il giovane asiatico e il vecchio patriota americano di origini polacche capirono il senso della vita trovando la strada per la redenzione morale.
Gran Torino è un breve ma intenso viaggio nel mondo di oggigiorno, un mondo che stenta a riprendersi e a migliorare, ma un mondo dove c'è speranza.
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alexander 1986
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mercoledì 25 marzo 2015
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eastwood scopre la pietà
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Walt Kowalski (C. Eastwood) è un ex-operaio polacco che ha appena perso la moglie tanto amata. Vive quindi solo, abbandonato da una famiglia pressoché estranea e intento a consumare antichi e nuovi dolori nell'alcool e nell'odio verso il mondo intero. Soprattutto verso gli orientali vicini di casa, i quali non vanno a genio ad un veterano della guerra di Corea. Qualcosa però lo porterà pian piano ad aprirsi e a dimostrare, nel suo piccolo, di poter fare qualcosa in questo mondo.
Una sinossi semplice per un film intenso, complesso, meditato. È senza ombra di dubbio il miglior film di Eastwood. Sta alla sua filmografia come 'Il vecchio e il mare' alla bibliografia di Hemingway: parafrasando la recensione di Faulkner al collega scrittore, si può dire che 'Gran Torino' è l'opera in cui il regista californiano ha deposto il mito dell'uomo fatto da sé e ha scoperto la pietà.
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Walt Kowalski (C. Eastwood) è un ex-operaio polacco che ha appena perso la moglie tanto amata. Vive quindi solo, abbandonato da una famiglia pressoché estranea e intento a consumare antichi e nuovi dolori nell'alcool e nell'odio verso il mondo intero. Soprattutto verso gli orientali vicini di casa, i quali non vanno a genio ad un veterano della guerra di Corea. Qualcosa però lo porterà pian piano ad aprirsi e a dimostrare, nel suo piccolo, di poter fare qualcosa in questo mondo.
Una sinossi semplice per un film intenso, complesso, meditato. È senza ombra di dubbio il miglior film di Eastwood. Sta alla sua filmografia come 'Il vecchio e il mare' alla bibliografia di Hemingway: parafrasando la recensione di Faulkner al collega scrittore, si può dire che 'Gran Torino' è l'opera in cui il regista californiano ha deposto il mito dell'uomo fatto da sé e ha scoperto la pietà. Che siano le praterie di un west di leoniana memoria o le periferie di una cittadina contemporanea, lo straniero Senza Nome continua a vagare su questa Terra alla ricerca della fine di una lunga meditazione. Ora (forse) potrà riposare in pace.
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mik67
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venerdì 13 marzo 2009
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struggente con morale
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Un film dalla trama lineare, che mantiene viva la suspense, finale che prende di contropiede e strappa qualche lacrima. Forse una dichiarazione di non violenza, da un regista-attore che ha spesso interpretato personaggi armati. Un film asciutto, ormai possiamo dire secondo lo stile Eastwood, con accenno di multiculturalità, nostalgico, un po' affannoso il personaggio (e forse anche l'attore Clint), ricorda in alcuni punti "Non è paese per vecchi". Film da vedere.
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(ami)
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domenica 15 marzo 2009
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il lupo solitario incontra il mondo
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L'ultima variante, testamentaria, del lupo solitario targato Eastwood. Walt Kovalsky, un torvo e razzista veterano della guerra di Corea, assiste al funerale della moglie circondato da una famiglia di superficiali verso cui non si premura di nascondere il proprio disprezzo. Il contatto forzato con i vicini di origine asiatica gli offrirà l'opportunità insperata di uscire dall'isolamento nel quale si era volontariamente rinchuso, ma il ritorno alla vita esigerà un caro prezzo.
Walt, vecchio torvo e reazionario, detesta ricambiato la propria famiglia, e dopo la morte della moglie, ammazza il tempo seduto nella veranda della sua villetta con la bandiera a stelle e strisce erta a vessillo contro il sobborgo povero di Detroid abitato da asiatici e neri in cui vive, bofonchiando insulti razzisti e scolandosi una lattina di birra dopo l'altra.
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L'ultima variante, testamentaria, del lupo solitario targato Eastwood. Walt Kovalsky, un torvo e razzista veterano della guerra di Corea, assiste al funerale della moglie circondato da una famiglia di superficiali verso cui non si premura di nascondere il proprio disprezzo. Il contatto forzato con i vicini di origine asiatica gli offrirà l'opportunità insperata di uscire dall'isolamento nel quale si era volontariamente rinchuso, ma il ritorno alla vita esigerà un caro prezzo.
Walt, vecchio torvo e reazionario, detesta ricambiato la propria famiglia, e dopo la morte della moglie, ammazza il tempo seduto nella veranda della sua villetta con la bandiera a stelle e strisce erta a vessillo contro il sobborgo povero di Detroid abitato da asiatici e neri in cui vive, bofonchiando insulti razzisti e scolandosi una lattina di birra dopo l'altra. Uniche evasioni da quest'assedio autoimposto sono la cura maniacale del giardino e della sua auto d'epoca, una Ford Gran Torino 1972, cimelio e vessillo di un passato idealizzato.
Sarà proprio la difesa, fucile alla mano, delle due amate proprietà dagli assalti di una gang di ragazzi asiatici e la protezione della giovane vicina di casa (convincente interpretazione di Ahney Her), da un gruppo di teppisti di colore, a dare una svolta alla triste esistenza del pensionato rendendolo l'eroe del vicinato. Comincia così il progressivo avvicinamento dell'americano di origine polacca, alla famiglia di immigrati Hmong (gruppo etnico originario di un territorio compreso nei confini di Cina, Laos, Vietnam e Tailandia). Diventerà in particolare una figura di riferimento per il giovane Thao (Bee Vang), che privo di riferimenti, rischiava di lasciarsi coinvolgere nella band di teppisti in cui milita suo cugino che gli ha imposto il furto della Gran Torino come rito d'iniziazione. Già a metà del film, Walt, unico bianco incastrato nella festa dei suoi vicini, dopo essere incappato in una serie esilarante di fraintendimenti culturali, comincia a prenderci gusto per giungere ad ammettere a se stesso, fra la sorpresa e lo sconcerto: "Dio... ho più cose in comune con questi cinesi che con la mia marcia famiglia". Così proprio quando con il recupero di Thao e la ritrovata gioia di vivere del protagonista, il film sembra dirigersi pacamente verso un fiducioso assestamento, una svolta tragica imporrà all'ex razzista di mettersi in gioco fino alle estreme conseguenze per difendere la sua nuova famiglia.
La lunga carriera del regista, oggi nella sua piena maturità (78 anni), ha descritto una parabola in costante crescita, tanto che una delle più autorevoli riviste internazionali di critica cinematografica si è recentemente chiesta se sia proprio lui, oggi, il più importante regista americano vivente (Sight & Sound, Sept. 08). Lasciamo da parte le classifiche insidiose. Quello che è certo a questo punto, è che Clint Eastwood, regista e attore, è una sicurezza. Non indugiando in spettacolari arditezze formali, sicuri di un rapporto rispettoso ma non servile con la grande tradizione americana, i suoi film diventano sempre più classici cioè essenziali e ambigui (leggi aperti). Così questa piccola storia, che si sviluppa senza fretta e sensa enfasi, prendendosi tutto il tempo nello spazio ristretto di un paio di isolati, ci parla in filigrana di cose grandi e urgenti.
Detroid, il luogo cui Walt, ex operio Ford e unico bianco in un vicinato di immigrati, è attacato ostinatamente, non è certo una location qualsiasi. Siamo nella città fantasma, (metà della popolazione degli anni 50), il simbolo stesso della contrazione dell'industria dell'auto, il monumento funebre al modello fordiano di capitalismo di cui gli Usa erano il faro ed il motore. Un luogo termometro di cambiamenti epocali.
Kowalsky poi, non è semplicmente un eccentrico reazionario in pensione. La sua faccia, le rughe e lo sguardo di Clint Eastwood, non sono che l'ennesima occorrenza del modello del lupo solitario a più riprese portato in scena in cinquant'anni di carriera. Nel volto arcigno del protagonista, nel suo fronteggiare, fucile alla mano e sguardo glaciale, una banda di adolescenti sbandati per difendere il proprio prato e una famiglia asiatica, non si può non scorgere l'epilogo dell'uomo senza nome dei film di Leone, dell'ispetore Callaghan, del William Munny de Gli Spietati, dell'anziano allenatore di boxe di Million Dollar baby.
Attraverso il suo percorso di redenzione, ridiscutiamo l'idea stessa dell'uomo forte e del suo modo di reagire alle offese. Insieme a Eastwood traiamo un bilancio, in un momento di rivolgimenti geo politici e socio economici, su un modo di essere americani, occidentali, su un modo di rapportarsi alle proprie tradizioni e alla proprie radici culturali.
Scoprire, che dal suo volontario e rancoroso esilio, quest'archetipo del cinema del XX secolo, trovi all'alba del XXI, un'ennesima, definitiva volta, la forza di fare la cosa giusta e scoprire che la cosa giusta per lui consiste oggi nel varcare la soglia del proprio cortile, non per reagire dente per dente, ma per attirare cristologicamente la violenza su di se, a difesa di un giovane diverso, eletto erede in spregio alla propria famiglia corrotta e al proprio solido tradizionalismo, è un fatto emozionante, e vagamente rassicurante.
Il punto è che nonostante descriva il superamento dei pregiudizi di un personaggio emblema di un certo modo, reazionario, fascistoide e violento, di essere Usa, il film non sfocia nel relativismo superficiale e buonistico alla Crash (Paul Haggis 2004), nei modelli cioè in cui chi fa del male è sempre una povera vittima. Nell'universo di Eastwood c'è spazio per le scelte; quando Walt Kowalsky scavalca i propri pregiudizi, non lo fa per sposare un ambiguo agnosticismo, lo fa al contrario per esprimere giudizi. Gran Torino fa del mantenere la capacità critica, una necessità così forte da mettere da parte persino il senso delle radici e della propria identità.
Nel rifiuto e nel disprezzo per la cultura dell'usa e getta, per l'opportunismo della vita facile (I familiari di Walt gli regalano prima di proporgli l'ospizio, un assurdo attrezzo afferratutto e un telefono con i tasti enormi), c'è l'orgoglio di rivendicare, fuori da velleità di colonialismo culturale (vedi il dittico Flags from our fathers - Letters from Iwo Jima), l'aspirazione a mettersi in gioco per migliorare il mondo.
L'effetto Obama ha avuto forse un ruolo, fatto sta che alla fine non conta più molto la differenza fra americani veri e mangiacani facce di pesce, rimane però, e si rinforza quella fra lupi solitari e cani sciolti.
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masmassy
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giovedì 2 aprile 2009
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il sorriso di eastwood? un effetto speciale
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Clint Eastwood è magnetico, più che mai. Il suo sguardo duro e impassibile da vecchio bisbetico ha qualcosa che si lascia comunque amare e la storia, nella sua oggettiva semplicità priva di scontatezza, affascina dall'inizio. Inaspettatamente, un sorriso umile da quello stesso volto lascia stupiti più di qualsiasi effetto speciale e vale l'intero film, di cui Eastwood è protagonista, regista, e ultimo ma non ultimo, interprete della soundtrack. C'è una cosa che più di tutte mi ha segnato: un interminabile conversazione tra Sue e "Wally", come lo chiama lei, in cui vengono elencati, separati, sottolineati e volutamente disprezzati tutta una serie di popoli in una raffica così insensata e così amaramente buffa che fa sembrare il razzismo qualcosa di assurdo come la telepatia.
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Clint Eastwood è magnetico, più che mai. Il suo sguardo duro e impassibile da vecchio bisbetico ha qualcosa che si lascia comunque amare e la storia, nella sua oggettiva semplicità priva di scontatezza, affascina dall'inizio. Inaspettatamente, un sorriso umile da quello stesso volto lascia stupiti più di qualsiasi effetto speciale e vale l'intero film, di cui Eastwood è protagonista, regista, e ultimo ma non ultimo, interprete della soundtrack. C'è una cosa che più di tutte mi ha segnato: un interminabile conversazione tra Sue e "Wally", come lo chiama lei, in cui vengono elencati, separati, sottolineati e volutamente disprezzati tutta una serie di popoli in una raffica così insensata e così amaramente buffa che fa sembrare il razzismo qualcosa di assurdo come la telepatia. Hmong, Coreani, Vietnamiti, Giapponesi, Cinesi ma pure Irlandesi, Italiani, Polacchi, Neri... Nomi e nient'altro che nomi dietro cui la discriminazione si ripara, goffamente. Un film che rivedrò volentieri.
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marco petrucci
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mercoledì 10 giugno 2009
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l'ennesima grande prova di eastwood
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Originale sin dal titolo il nuovo e ultimo (a detta dello stesso) film da regista/attore di Eastwood. Una grande prova da attore inserita all'interno di una storia toccante ed incisiva sul tema della tolleranza.
Walt Kowalsky (cognome che ci riporta al Brando di Un tram chiamato desiderio) è un reduce della guerra di Corea , operaio fino alla pensione presso la Ford , a cui muore la moglie. La pellicola si apre , infatti , proprio durante il funerale. Walt è un tipo duro , chiuso in se stesso che le difficili esperienze hanno contribuito a rendere ancora più scorbutico e critico. Vive in un quartiere nel quale è ormai quasi l'unico "americano" , dove il resto della popolazione è un misto di portoricani , irlandesi , italiani e soprattutto asiatici di etnia Hmong.
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Originale sin dal titolo il nuovo e ultimo (a detta dello stesso) film da regista/attore di Eastwood. Una grande prova da attore inserita all'interno di una storia toccante ed incisiva sul tema della tolleranza.
Walt Kowalsky (cognome che ci riporta al Brando di Un tram chiamato desiderio) è un reduce della guerra di Corea , operaio fino alla pensione presso la Ford , a cui muore la moglie. La pellicola si apre , infatti , proprio durante il funerale. Walt è un tipo duro , chiuso in se stesso che le difficili esperienze hanno contribuito a rendere ancora più scorbutico e critico. Vive in un quartiere nel quale è ormai quasi l'unico "americano" , dove il resto della popolazione è un misto di portoricani , irlandesi , italiani e soprattutto asiatici di etnia Hmong. Il protagionista si sente quasi assediato e si rifugia nella cura maniacale del giardino e della sua auto , appunto una vecchia ford modello Gran Torino. Assiste alla vita del quartiere dalla veranda tracannando lattine di birra , quasi come un vecchio pistolero seduto fuori al saloon. Rifiuta il rapporto con i propri figli e nipoti (effettivamente superficiali) vedendoli sempre più lontani dai valori a lui cari. La situazione cambia quando si trova , suo malgrado , costretto ad avvicinarsi alla famiglia di Thao e Sue. Lentamente scoprirà che il suo razzismo è soltanto frutto della non conoscenza e ritroverà nei due giovani proprio quei valori che pensava perduti ed esclusiva del popolo americano. In questo gli sarà anche di grande aiuto la figura del caparbio sacerdote che lo costringerà a difficili riflessioni e ad una dura analisi di se stesso. Imbraccerà di nuovo , questa volta idealmente , il fucile per sacrificarsi in nome della giustizia.
E' pieno di rimandi ad altri film questa pellicola di Eastwood. Sembra quasi una summa di tutti i suoi personaggi. Dal pistolero di "Per un pugno di dollari" all'ispettore Callaghan. Indimenticabili le scene nelle quali imbraccia il fucile o minaccia la gang asiatica con il semplice gesto della pistola fatto con le dita. Una maschera dunque , dietro la quale però questa volta il vecchio Clint costruisce un personaggio consumato dai suoi fantasmi e non gelido e immortale.
Al contrario , Walt è inesorabilmente malato dentro e fuori. Riesce però a riemergere confrontandosi proprio con quello che fino ad allora a sdegnosamente rifiutato persino di vedere. Forse l'unico appunto che si può fare al film sta in questo disgelo un pochino troppo repentino. Per il resto tutto è perfetto. Un ritratto a tutto tondo dove il resto della campagnia è veramente un contorno , una spalla per questo grande attore. Contano gli sguardi , le smorfie di un viso magnificamente espressivo ,il linguaggio del corpo tutto proteso nel dialogo silenzioso col pubblico.
L'età purtroppo avanza ma quest'uomo ha sempre qualcosa da dire e speriamo lo faccia ancora.
La banalità non abita quì. Nei film di Eastwood c'è la voglia di scavare , criticare e far riflettere su tante incongruenze i propri concittadini , dimostrando proprio in questo modo l'amore per il proprio paese. Da vedere assolutamente.
Come sempre .......buon cinema a tutti !
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