vik
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domenica 22 marzo 2009
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la solitudine in una società che cambia
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x antonella e aldo
Posso capire chee le persone hanno gusti personali e specifici ke nn devono corrispondere per forza con tutti gli altri ,ma dire cose inesistenti e senza fatti vuol dire parlare a vanvera.Si è parlato di Lettere da iwo jima,e nello stesso tempo parli di razzismo?E chi mai ha avuto il coragio di girare un film su una prospettiva "nemica" della guerra in lingua originale cosi splendidamente... e poi per dire in quel film abbiamo visto o no du scene dove si presentano americani.è estremamente ridcolo parlare di razzismo per un regista che nei sui film ha trattato le tematiche più importanti,più attuali della nostra società,con coraggio,sentimento,e professionalità come pochi.
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x antonella e aldo
Posso capire chee le persone hanno gusti personali e specifici ke nn devono corrispondere per forza con tutti gli altri ,ma dire cose inesistenti e senza fatti vuol dire parlare a vanvera.Si è parlato di Lettere da iwo jima,e nello stesso tempo parli di razzismo?E chi mai ha avuto il coragio di girare un film su una prospettiva "nemica" della guerra in lingua originale cosi splendidamente... e poi per dire in quel film abbiamo visto o no du scene dove si presentano americani.è estremamente ridcolo parlare di razzismo per un regista che nei sui film ha trattato le tematiche più importanti,più attuali della nostra società,con coraggio,sentimento,e professionalità come pochi.Questo film magari non è quel film con una grande impatto visivo,o magari quello che molti aspettano,ma qui si scova il bello,con intelligenza ,in un unica pellicola,riesce ad esprimere,raporti famigliari,quella dell'apparente razzismo che poi si traduce e si transforma in una lotta contro il razzismo,contra la criminalità,contro le bande di adolescenti criminali e violenti(che in america ce ne sono molte)con un epilogo che nn poteva essere migliore nel suo messaggio.Dopo changeling (che se nn l'avete visto ve lo consiglio) non pensavo che sarebbe arivato un altro bellissimo film.A 80 anni (considerando che dovrebbe essere l'ultimo film da attore)spero che continui a darci tali emozioni anche in futuro dietro la machina da presa.
Con rispetto
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westgate
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martedì 24 marzo 2009
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non ha bisogno di commenti.
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Semplicemente meraviglioso, un tema duro da affrontare raccontato in maniera "leggera" e allo stesso tempo drammatica, come pochi maestri sanno fare. Easwood, dopo "Lettere da Iwo Jima", riprende la tematica del razzismo ma questa volta ce la porta di fianco a casa rendendola così più reale e tangibile, con il rigore formale che contraddistingue i suoi film da regista: sembra quasi un'ossessione maniacale, nulla è lasciato al caso, tutto è perfettamente bilanciato per regalare emozioni e farci pensare ma senza diventare morboso, senza ricorrere a facili eccessi. <> E' un dispiacere vedere che tante persone hanno espresso giudizi negativi su questo film portando argomentazioni del tutto prive di fondamento: in che modo potrebbe fomentare la violenza e il razzismo? In quale parte si farebbe propaganda alla giustizia personale? Al di là del fatto che il film possa essere piaciuto o meno, penso sia il caso di fermarsi un attimo a riflettere prima di scrivere certe cavolate.
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Semplicemente meraviglioso, un tema duro da affrontare raccontato in maniera "leggera" e allo stesso tempo drammatica, come pochi maestri sanno fare. Easwood, dopo "Lettere da Iwo Jima", riprende la tematica del razzismo ma questa volta ce la porta di fianco a casa rendendola così più reale e tangibile, con il rigore formale che contraddistingue i suoi film da regista: sembra quasi un'ossessione maniacale, nulla è lasciato al caso, tutto è perfettamente bilanciato per regalare emozioni e farci pensare ma senza diventare morboso, senza ricorrere a facili eccessi. <> E' un dispiacere vedere che tante persone hanno espresso giudizi negativi su questo film portando argomentazioni del tutto prive di fondamento: in che modo potrebbe fomentare la violenza e il razzismo? In quale parte si farebbe propaganda alla giustizia personale? Al di là del fatto che il film possa essere piaciuto o meno, penso sia il caso di fermarsi un attimo a riflettere prima di scrivere certe cavolate...
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everbigod
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venerdì 27 marzo 2009
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un ritratto indelebile
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Walt Kowalski è un anziano vedovo che vive in periferia. E' un veterano della guerra in Corea
ed ha per vicini degli asiatici. Ama il suo cane, la birra e una splendida auto, modello Gran Torino,
curata e accudita quasi fosse una figlia. Odia i suoi vicini e non si fa scrupoli a farglielo capire.
Il giorno in cui il giovane Thao, interpretato da Bee Vang, spinto dalla gang del cugino si introduce
nel suo garage per rubargli l'auto riesce a farlo fuggire, ma ben presto le cose cambiano. Si affeziona al destino del giovane Thao e riceve dalla comunità coreana tutto l'affetto e il rispetto che i suoi figli e nipoti gli negano.
Walt è un vecchio burbero e insofferente ai "topi di fogna"che gli girano intorno ma non ama l'ingiustizia e quando tutto si complica sarà lui a fare giustizia per tutti e a riscattare se stesso.
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Walt Kowalski è un anziano vedovo che vive in periferia. E' un veterano della guerra in Corea
ed ha per vicini degli asiatici. Ama il suo cane, la birra e una splendida auto, modello Gran Torino,
curata e accudita quasi fosse una figlia. Odia i suoi vicini e non si fa scrupoli a farglielo capire.
Il giorno in cui il giovane Thao, interpretato da Bee Vang, spinto dalla gang del cugino si introduce
nel suo garage per rubargli l'auto riesce a farlo fuggire, ma ben presto le cose cambiano. Si affeziona al destino del giovane Thao e riceve dalla comunità coreana tutto l'affetto e il rispetto che i suoi figli e nipoti gli negano.
Walt è un vecchio burbero e insofferente ai "topi di fogna"che gli girano intorno ma non ama l'ingiustizia e quando tutto si complica sarà lui a fare giustizia per tutti e a riscattare se stesso.
A 79 anni Clint Eastwood torna ancora per stupirci, dopo la narrazione della battaglia di Iwo Jima e il dramma di Changeling. Affronta il tema della vita e della morte, della redenzione e del pentimento. E lo fa lavorando da produttore, regista e attore. Inquadrature forti e rigide ci restituiscono un'America
in piena crisi economica e morale dove sembra regnare solo il caos e il disordine sociale.
Eastwood però non fa mai nulla a caso e nelle sue opere non regna il caos. Tutto è pianificato fino all'ultimo più piccolissimo dettaglio.
Infatti anche il nome del suo personaggio non è nato dal caso ma è un chiaro riferimento al protagonista
di "Un tram chiamato desiderio", il dramma narrato da tennessee Williams.
Nel film di Elia Kazan, Stanley Kowalski viene interpretato da un memorabile Marlon Brando ed è un personaggio duro, brutale e violento proprio come il personaggio
interpretato da Eastwood. Ma al contrario di Stanley che mantiene sempre una forte chiusura nei confronti di Blanche, Walt riesce ad aprirsi ai giovani Thao e Sue.
I due giovani hanno degli ideali e dei valori che sono rimasti inalterari anche se sono nati e cresciuti negli Usa. E' per questo che meritano il suo rispetto.
"Avete mai fatto caso che ogni tanto si incontra qualcuno che non va fatto incazzare? ... Quello sono io." A volte comico, a volte profondo o duro Kowalski porta con se tutti
i suoi precendenti personaggi, dal fuorilegge del west all'ispettore callaghan, donandogli però solo alla fine la pace e la redenzione che meritano.
Il Film è stato il grande sconfitto agli Oscar insieme al Curioso caso di Benjamin Button.
Girato in tempi brevi e con un budget limitato è la dimostrazione del fatto che a volte non occorrono tanti soldi ma bastano poche semplici idee per mettere insieme un capolavoro indimenticabile e consegnarci un ritratto indelebile.
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andrea bongiovanni
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giovedì 9 aprile 2009
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la fine del far west
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Una cosa in particolare mi è piaciuta di quest’ultima opera - canto del cigno? - del vecchio Clint: il rifiuto, finalmente, del mito americano dell’individuo che si fa giustizia da sé, del giustiziere solitario, mito forte e radicato nella cultura statunitense, legato strettamente alla legittimità dell’uso - e abuso - privato delle armi.
Un mito che affonda nella storia dei pionieri, del far west, di uno Stato giovane che cresce e si espande, e conquista, e stermina, più per iniziativa privata, della “società civile”, che per pianificazione pubblica, fin dai padri pellegrini del Mayflower.
Un mito che Eastwood ha sempre sposato, che io ricordi, anche nel recente e pur bellissimo “Mystic river”, dove il ristabilimento dell’ordine, anche se in modo tragicamente sbagliato, è affidato alla vendetta personale.
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Una cosa in particolare mi è piaciuta di quest’ultima opera - canto del cigno? - del vecchio Clint: il rifiuto, finalmente, del mito americano dell’individuo che si fa giustizia da sé, del giustiziere solitario, mito forte e radicato nella cultura statunitense, legato strettamente alla legittimità dell’uso - e abuso - privato delle armi.
Un mito che affonda nella storia dei pionieri, del far west, di uno Stato giovane che cresce e si espande, e conquista, e stermina, più per iniziativa privata, della “società civile”, che per pianificazione pubblica, fin dai padri pellegrini del Mayflower.
Un mito che Eastwood ha sempre sposato, che io ricordi, anche nel recente e pur bellissimo “Mystic river”, dove il ristabilimento dell’ordine, anche se in modo tragicamente sbagliato, è affidato alla vendetta personale.
Non in Gran Torino.
Clint depone le armi, il far west è finito anche per lui.
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(di sergente hartman)
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(di ugobagna)
[ - ] mah...
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(di sergente hartman)
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(di sergente hartman)
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martedì 14 aprile 2009
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il capolavoro quando meno te l'aspetti
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Se un buon film (americano) si giudicasse solamente dal numero di oscar portati a casa, Gran Torino sarebbe un film minore nella carriera di Eastwood. Diciamo subito che non è così: Gran Torino è un Gran Film. Walt Kowalski, scorbutico settantenne, ultimo superstite di un’America ormai estinta (paese anche per vecchi), è la summa di ciò che Eastwood ha rappresentato nell’immaginario iconografico statunitense: un po’ ispettore Callaghan, diviso tra buoni propositi e cattive maniere, un po’ cowboy, sempre pronto ad ingaggiare duelli nel nuovo west, quello delle periferie cittadine infestate dalle gang. Rimasto ormai l’unico americano del quartire (in realtà anche lui di origine polacche) passa le giornate nel suo microcosmo fatto di birre e giardinaggio, presidiando la sua casa come un fortino minacciato dai vicini asiatici, gli stessi che combattè quarant’anni prima nella guerra di Korea.
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Se un buon film (americano) si giudicasse solamente dal numero di oscar portati a casa, Gran Torino sarebbe un film minore nella carriera di Eastwood. Diciamo subito che non è così: Gran Torino è un Gran Film. Walt Kowalski, scorbutico settantenne, ultimo superstite di un’America ormai estinta (paese anche per vecchi), è la summa di ciò che Eastwood ha rappresentato nell’immaginario iconografico statunitense: un po’ ispettore Callaghan, diviso tra buoni propositi e cattive maniere, un po’ cowboy, sempre pronto ad ingaggiare duelli nel nuovo west, quello delle periferie cittadine infestate dalle gang. Rimasto ormai l’unico americano del quartire (in realtà anche lui di origine polacche) passa le giornate nel suo microcosmo fatto di birre e giardinaggio, presidiando la sua casa come un fortino minacciato dai vicini asiatici, gli stessi che combattè quarant’anni prima nella guerra di Korea. Durante una combutta che avviene sul suo appezzamento di terra, Walt salva il timido Tao da una gang di teppisti, diventando suo malgrado un eroe nella comunità Hmong del quartiere. Inizia così la scoperta di una comunità in cui ritrovare quei valori ormai scomparsi nella società americana e con cui riscattare il fallimento compiuto con la propria famiglia: il figlio vende auto giapponesi nonostante il padre abbia lavorato in Ford; la nipote priva di rispetto ostenta piercing ai funerali.
Una riflessione sulla responsabilità dei padri, veri o putativi che siano, che conferma Eastwood tra i pochi narratori rimasti a raccontare l’America che fu, con quella semplicità propria solo dei grandi cineasti.
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paolorol
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mercoledì 15 aprile 2009
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questa è l'america,brutta,sporca & cattiva!
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Consiglio a chiunque si sia fatto convincere che l'America è la terra promessa di dare uno sguardo a questo realistico film. Il 95% della gente vive in catapecchie squallide e fatiscenti (da noi le chiamiamo "baracche",quelle casupole in legno che si incendiano in continuazione e sono spazzate via dal primo tornado). Le armi si comprano al supermercato senza ricetta medica. Gli abitanti sono brutti e obesi. La cultura è quella dei reality tv. E il personaggio così ben descritto e interpretato da Eastwood è ben calato in questo universo povero e fragile, dove diventare fascisti,razzisti o nazisti è un gioco da ragazzi, basta entrare in contatto con la marginalità e sentirsi soli e abbandonati dalle istituzioni.
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Consiglio a chiunque si sia fatto convincere che l'America è la terra promessa di dare uno sguardo a questo realistico film. Il 95% della gente vive in catapecchie squallide e fatiscenti (da noi le chiamiamo "baracche",quelle casupole in legno che si incendiano in continuazione e sono spazzate via dal primo tornado). Le armi si comprano al supermercato senza ricetta medica. Gli abitanti sono brutti e obesi. La cultura è quella dei reality tv. E il personaggio così ben descritto e interpretato da Eastwood è ben calato in questo universo povero e fragile, dove diventare fascisti,razzisti o nazisti è un gioco da ragazzi, basta entrare in contatto con la marginalità e sentirsi soli e abbandonati dalle istituzioni. La peggior sanità del globo, e anche la peggiore polizia, aggresiva e strafottente soprattutto coi deboli. Atmosfere tristi e decadenti, fotografia in quasi bianconero per un ritratto impietoso del più grande bluff dell'universo. Chi accusa Eastwood di essere fascista forse ha ragione ma non si rende conto del fatto che ne ha ben donde, ben di più di quanti in italia diventano leghisti e forcaioli davanti a quattro poveri extracomunitari tutto sommato inoffensivi. Che vadano a schiarirsi un pò le idee, che si facciano un viaggetto in Amerika (con Eastwood lo possono fare quasi "aggratis")
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[+] ottima analisi
(di mauro)
[ - ] ottima analisi
[+] ho qualche dubbio sul realistico
(di micetto)
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tommynini
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mercoledì 15 aprile 2009
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gran torino,grande clint
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Straordinario film del vecchio Clint,bellissima la sceneggiatura basata su di una storia semplice densa di aspetti psicologici,inutile raccontare la trama,si tratta della vecchiaia con tutte le implicazioni che essa comporta,solitudine ,abbandono,speranza di una vita serena negata.Poi improvvisamente due fratelli riaccendono la gioia di vivere e di morire per una causa.Interpreti eccezzionali giovanissimi,tante volte si dimentica quanto siano difficili le parti dei cattivi,ecco qui troviamo dei ragazzi imbattibili come recitazione,è un film sul razzismo e sui nefasti preconcetti che lo accompagna ,insomma un film memorabile.Nel film CLint ritorna per un attimo nelle vesti dell'ispettore Callaghan,un piccolo cammeo delizioso che strizza l'occhio alla spettatore.
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Straordinario film del vecchio Clint,bellissima la sceneggiatura basata su di una storia semplice densa di aspetti psicologici,inutile raccontare la trama,si tratta della vecchiaia con tutte le implicazioni che essa comporta,solitudine ,abbandono,speranza di una vita serena negata.Poi improvvisamente due fratelli riaccendono la gioia di vivere e di morire per una causa.Interpreti eccezzionali giovanissimi,tante volte si dimentica quanto siano difficili le parti dei cattivi,ecco qui troviamo dei ragazzi imbattibili come recitazione,è un film sul razzismo e sui nefasti preconcetti che lo accompagna ,insomma un film memorabile.Nel film CLint ritorna per un attimo nelle vesti dell'ispettore Callaghan,un piccolo cammeo delizioso che strizza l'occhio alla spettatore.Adatto solo alle anime sensibili che amano i film di introspezione,negato a chi ama Bruce Willis nella sua versione catastrofista.Bravissimi anche gli attori che interpretano i figli e le nuore,insomma un film bellissimo con un protagonista d'eccezzione!!!!
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lunetta
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giovedì 30 aprile 2009
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clint è una certezza...
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...la certezza di vedere sempre un ottimo film. Non è un film da oscar, come million dollar baby, ma è così pulito, asciutto (come un cowboy?) nella narrazione; non ci sono parole di troppo, non ci sono sconti. I deboli in america pagano: non si può essere ragazzi adolescenti e badare più ai fiori che non a farsi una reputazione da bullo. Clint è un razzista, misantropo, ma è anche un cavaliere senza paura, neanche quella di morire di tumore, con qualche macchia (quella del soldato che in corea ha ucciso per ordini superiori), ma, come tutti i cavalieri, schierato dalla parte dei deboli e degli oppressi.
Un pò triste il rapporto con i figli e nipoti: troppo arido. Ma forse lui sa bene che loro, i ragazzi americani ricchi e annoiati, non hanno alcun bisogno di un cavaliere povero in canna.
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lisbeth
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domenica 30 agosto 2009
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ancora su gran torino
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Clint riempie la scena per tutta la durata del film, personaggio e interprete gigantesco, rinnova i fasti di un genere
epico/tragico in cui l’eroe, solitario, attraversa lo spazio scenico dominandolo e plasmandolo a sua misura. Walt
Kowalski (citazione da Brando del Tram che si chiama Desiderio) prende le distanze da tutti (“non chiamarmi Walt, io
sono il signor Kowalski”), vive da vecchio misantropo reduce dagli incubi della guerra in Corea, di cui conserva cimeli e
angosce non rimosse, dove “ti danno una medaglia per aver ucciso un uomo” e la cosa peggiore che fai “non è quella
che ti hanno ordinato di fare”. Emblematico quel gesto, ripetuto, di sparare solo con la mano. Walt guarda con odio i
vicini vietnamiti (“musi gialli”), membri di un’etnia Hmong trascinata lì dalla guerra del Vietnam in cui erano stati alleati
degli americani, osserva con malcelato fastidio i nipoti deficienti con piercing, i figli, grossi e ottusi borghesi, il pretino
infervorato che vorrebbe ricondurlo all’ovile e che sopporta solo per il ricordo dell’adorata Dorothy (il suo funerale apre
il film sommessamente).
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Clint riempie la scena per tutta la durata del film, personaggio e interprete gigantesco, rinnova i fasti di un genere
epico/tragico in cui l’eroe, solitario, attraversa lo spazio scenico dominandolo e plasmandolo a sua misura. Walt
Kowalski (citazione da Brando del Tram che si chiama Desiderio) prende le distanze da tutti (“non chiamarmi Walt, io
sono il signor Kowalski”), vive da vecchio misantropo reduce dagli incubi della guerra in Corea, di cui conserva cimeli e
angosce non rimosse, dove “ti danno una medaglia per aver ucciso un uomo” e la cosa peggiore che fai “non è quella
che ti hanno ordinato di fare”. Emblematico quel gesto, ripetuto, di sparare solo con la mano. Walt guarda con odio i
vicini vietnamiti (“musi gialli”), membri di un’etnia Hmong trascinata lì dalla guerra del Vietnam in cui erano stati alleati
degli americani, osserva con malcelato fastidio i nipoti deficienti con piercing, i figli, grossi e ottusi borghesi, il pretino
infervorato che vorrebbe ricondurlo all’ovile e che sopporta solo per il ricordo dell’adorata Dorothy (il suo funerale apre
il film sommessamente). Fuma una sigaretta dopo l’altra, sputa sangue, beve birra e ama solo due cose: la vecchia
cagna e la sua Gran Torino del ‘72, lucida come appena uscita dal concessionario, unici affetti buoni a scalfire con un
ricordo di sorriso quella faccia rugosa, dura come una pietra. Eppure siamo tutti subito dalla sua parte, le battutacce al
vetriolo vorremmo essere capaci di dirle noi e sorridiamo, tifiamo per lui e alla fine scopriamo perché. Walt è un uomo
a tutto tondo, un uomo che ha vissuto ed è arrivato al capolinea del suo lungo viaggio al termine della notte. Qui
troverà ancora ad aspettarlo quella necessità che costringe ogni uomo vero a misurarsi con sé stesso. Ammetterà,
brontolando, di somigliare più ai vicini asiatici che ai suoi figli, la piccola Hmong continuerà a chiamarlo allegramente
Wally e a fargli cuocere bistecche sul suo barbecue (“bistecche di cane!” ringhia Walt e gli occhi gli brillano), e Thao, il
timido e irresoluto, sarà preso sotto la sua ala protettrice di vecchio cane ringhioso. Contro il mondo, là, per le strade
di una specie di Bronx, dove rischi la pelle ogni volta che passi. Il senso di tutta la sua vita convergerà nella scena
finale, di un lirismo estremo, per sciogliersi poi nella visione di una distesa d’acqua (un lago, il mare?) inaspettata,
dopo tanto claustrofobico sviluppo in brevi spazi interni o esterni fortemente chiaroscurati. Poca luce nei film di Clint,
ma quando arriva fa chiudere gli occhi dallo splendore. E mentre scorrono i titoli di coda sulle note di una magnifica
canzone, passano rare automobili su quel lungolago/mare che la macchina riprende dall’alto, e magari prima o poi
passerà anche la Gran Torino sempre fiammante, guidata da Thao.
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el tronco
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lunedì 8 marzo 2010
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old cowboy, young heart
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Il vecchio Clint si conferma, dopo averci regalato pellicole del calibro di “Mystic River” e “Million Dollar Baby”, tanto per citarne alcune, uno dei più grandi registi (e interpreti) viventi.“Gran Torino”, segna il proseguimento della sua cine-meditazione sociologica/filosofica/metafisica sulla civiltà odierna. Una meditazione che oggi, con questa sua nuova uscita, si è fatta sociologica in primis, dato che il film comincia a strutturarsi trattando della diffidenza e del pregiudizio verso ciò che (apparentemente) non fa parte di noi, incarnato qua nel vicino dagli occhi a mandorla. Ma dire che il regista si è fermato a questo punto, sarebbe riduttivo, e non possiamo ignorare i continui riferimenti alla solitudine senile e allo scetticismo religioso, per non parlare della psicologia da reduce di guerra, che offrono interessanti spunti dell' Eastwood-pensiero.
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Il vecchio Clint si conferma, dopo averci regalato pellicole del calibro di “Mystic River” e “Million Dollar Baby”, tanto per citarne alcune, uno dei più grandi registi (e interpreti) viventi.“Gran Torino”, segna il proseguimento della sua cine-meditazione sociologica/filosofica/metafisica sulla civiltà odierna. Una meditazione che oggi, con questa sua nuova uscita, si è fatta sociologica in primis, dato che il film comincia a strutturarsi trattando della diffidenza e del pregiudizio verso ciò che (apparentemente) non fa parte di noi, incarnato qua nel vicino dagli occhi a mandorla. Ma dire che il regista si è fermato a questo punto, sarebbe riduttivo, e non possiamo ignorare i continui riferimenti alla solitudine senile e allo scetticismo religioso, per non parlare della psicologia da reduce di guerra, che offrono interessanti spunti dell' Eastwood-pensiero. Temi “pesanti”, temi che il protagonista affronta inizialmente con un atteggiamento chiuso,ombroso, ma che, come in un romanzo di formazione in versione terza età, progressivamente ha modo di comprender meglio, per così giungere a una posizione agli antipodi da quella di partenza. Senza tediar troppo lo spettatore, grazie a parentesi ironiche sparse qua e là (Eastwood pare faccia il verso a numerosi personaggi che ha interpretato quando fa il gesto della pistola con la mano), ma non riuscendo a evitare di scivolare in qualche grossolana forzatura, vedi i figli di Kowalsky: così cinici e occasionasti, ai limiti delle caricature familiari de “I Simpson”. Da buon cowboy, Eastwood sa bene come aggiungere pepe alla sceneggiatura, e lo si avverte bene nell'ultima, cavalcante, mezz'ora, e il disattendere una conclusione alla “Gli Spietati”, nella forma ma non nella morale, gli rende onore. Forse è un film più “facile” di altri che ha fatto, ma il messaggio di speranza che ci lascia quando scorrono i titoli di coda è fortissimo, come poche altre volte nella sua filmografia .
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