tarenghi
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domenica 15 marzo 2009
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il più "europeo" fra i registi americani
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Mi è piciuto molto. Eastwood affronta alcuni temi visti attraverso gli occhi di un uomo del secolo scorso, apparentemente burbero, solo che si scontra con alcuni problemi sociali e personali quali: la decadenza dei costumi, l'integrazione razziale la propria coscenza posta di fronte al valore assoluto della vita. Il flm è a tratti divertente, struggente ed il finale riserva una sorpresa, qui il regista offre il meglio di sè, quando il protagonista compie un estremo gesto d'amore, a favore proprio di quell'ambiente che pareva respingerlo e verso cui aveva dei conti in sospeso, giungendo così, a riscattare i propri errori del passato. Da vedere assolutamente!
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mauro
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domenica 15 marzo 2009
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il testamento di henry
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Lo dico subito io sono di parte adoro Eastwood da Madison county a per un pugno di dollari passando per Henry la carogna.Questo film mi ha decisamente sorpreso e credo sia la risposta alla curiosità di sapere quale sia il rapporto
vero di Eastwood con i personaggi ghiacciati ed impenetrabili che ha interpretato.In questo film ce lo spiega benissimo con la scena finale che non dico per non rovinare la sorpresa a chi lo vedrà dopo di me.La scelta che compie è un bellissimo messaggio indica che c'è un'alternativa tra subire una violenza o farla e da lui penso nessuno se lo sarebbe mai aspettato.Per il resto ok c'è il discorso sulla diversità razziale in chiave autoironica pure
a dimostrazione che gli americani non esistono ma che sono il prodotto della fusione di tante etnie diverse.
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Lo dico subito io sono di parte adoro Eastwood da Madison county a per un pugno di dollari passando per Henry la carogna.Questo film mi ha decisamente sorpreso e credo sia la risposta alla curiosità di sapere quale sia il rapporto
vero di Eastwood con i personaggi ghiacciati ed impenetrabili che ha interpretato.In questo film ce lo spiega benissimo con la scena finale che non dico per non rovinare la sorpresa a chi lo vedrà dopo di me.La scelta che compie è un bellissimo messaggio indica che c'è un'alternativa tra subire una violenza o farla e da lui penso nessuno se lo sarebbe mai aspettato.Per il resto ok c'è il discorso sulla diversità razziale in chiave autoironica pure
a dimostrazione che gli americani non esistono ma che sono il prodotto della fusione di tante etnie diverse.C'è la spiegazione di cosa voglia dire essere un vero uomo che non è sicuramente la capacità di sottomettere gli altri o di essere particolarmente violento piuttosto di compiere atti di coraggio per migliorare la propria vita e qulla degli altri non ci sono mestieri da donna o da uomini esiste la praticità del lavoro che ti permette di capire chi sei quali sono le tue qualità ed i tuoi difetti ti da dignità oltre a fornirti lo strumento per la tua sopravvivenza.La Gran Torino cos'è?
è la sua giovinezza,l'America che non c'è più soprattutto quest'ultima cosa.Alla fine al protagonista e nemmeno ad Eastwood da fastido più di tanto la presenza di tante etnie diverse piuttosto la distruzione di un modo di comportarsi basato sull'educazione,il rispetto,la sobrietà da non confondere con la goliardia delle frasi falsamente offensive dette tra lui e gli amici che sono espressione d'affetto invece lo spiega bene al giovane Tao questo.Sono concorde con i messaggi lanciati da questo film anche su quelli riguardanti la critica ai sacerdoti nel voler sempre parlare di cose che alla fine non conoscono questo è innegabile.Lui alla fine si confessa ma non con il prete che tra l'altro non capisce nemmeno il suo tormento per non aver amato di più i suoi figli si confessa con Tao.Penso sia veramente il testamento di Eastwood questo ed alla fine si preoccupa che la sua Gran Torino non sia modificata l'ha amata così e vorrebbe vederla correre sempre così la sua Am erica.Il film è tecnicamente una lezione di cinema a chi ha costruito il suo successo sulle facili emozioni strappate a suon d'effetti speciali qui ci sono solo recitazione e fotografia di altissimo livello e guarda un pò questa è la mia Gran Torino è la dimostrazione che si può fare ottimo cinema con pochi ingredienti se sono buoni.Nell'arte conta avere qualcosa da dire non stupire e basta.Certo che Eastwood fa la caricatura a se stesso in questo film è proprio bravo troppo simpatico veramente scusate se sono così di parte ma penso sia l'attore più atipico della storia del cinema una faccia di pietra ma così magnetica!
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stefano montecchi
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domenica 15 marzo 2009
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gran torino: la macchina è bene oliata
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Il personaggio del burbero dal cuore d'oro ce lo aveva fatto amare in "Million dollar Baby", ma in questo film Clint Eastwood lo esalta e lo rende mitico.
Un eroe della porta accanto, quello di Eastwood regista, ben lontano da Callaghan o dai western. Del resto, che fantastico eroe era il suo personaggio di Madison County, eroe solo perchè in grado di amare!
L'americando repubblicano che racconta storie democratiche abbandona i sottotesti morali di "Mystic River", l'accusa al potere di "Changeling" e "Flags of our fathers" e si discosta persono dai risvolti crepuscolari di "Lettere da Iwo Jima" e "Gli spietati".
In "Gran Torino" c'è prima di tutto la voglia di raccontare una storia. Non ci sono momenti più "alti" di altri, nel film: del resto è nel modo di lavorare di Eastwood il girare una scena, anche la più banale, con la mentalità che debba sempre essere considerata la scena più importante del film.
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Il personaggio del burbero dal cuore d'oro ce lo aveva fatto amare in "Million dollar Baby", ma in questo film Clint Eastwood lo esalta e lo rende mitico.
Un eroe della porta accanto, quello di Eastwood regista, ben lontano da Callaghan o dai western. Del resto, che fantastico eroe era il suo personaggio di Madison County, eroe solo perchè in grado di amare!
L'americando repubblicano che racconta storie democratiche abbandona i sottotesti morali di "Mystic River", l'accusa al potere di "Changeling" e "Flags of our fathers" e si discosta persono dai risvolti crepuscolari di "Lettere da Iwo Jima" e "Gli spietati".
In "Gran Torino" c'è prima di tutto la voglia di raccontare una storia. Non ci sono momenti più "alti" di altri, nel film: del resto è nel modo di lavorare di Eastwood il girare una scena, anche la più banale, con la mentalità che debba sempre essere considerata la scena più importante del film. E il livello di questo nuovo lavoro è alto, artigianale ma autoriale, semplice e sincero, drammatico ma mai urlato. Lontano da Hollywood, Eastwood fa un altro film d'attori che si beve in un sorso come una buona birra in un pomeriggio estivo. Conta poco, il razzismo, nel film: è un pretesto per parlare della violenza e della ricerca di una cura ad essa. Giocando per sottrazione nella carne che Eastwood mette al fuoco, in "Gran Torino" c'è spazio per un Eastwood attore di indimenticabile spessore. Il suo personaggio è quello di un uomo, probabilmente repubblicano, ex dipendente dell'americanissima Ford, che cura il suo pratino di casa con tanto di bandiera a stelle e strisce in un quartiere di asiatici, messicani e afro-amiricani. Fra le gangs rivali che si formano nel suo quartiere, Eastwood rimane come piccolo baluardo di civiltà (americana) che sorveglia la sua automobile e la sua casa dalle incursioni degli stranieri. La cura alla violenza è un qualcosa di vicino alla paura: il razzismo. In questo modo il protagonista non vive, ma sopravvive come fece da giovane nella guerra di Corea. Triste, chiuso in se stesso, Eastwood diviene suo malgrado tutore di un ragazzo asiatico che, senza la sua guida, probabilmente farebbe una brutta fine per le strade del quartiere.
La conoscenza del "diverso" rende il personaggio di Eastwood più benevolo, più consapevole della vita degli altri e della sua. Fintamente reticente, ormai, il vecchio Eastwood capisce qual'è la cura alla violenza che lo circonda, nel suo microcosmo, ed agisce di conseguenza in una maniera decisamente poco convenzionale: lontano da Callaghan, lontano da Bush e dalle reazione al terrorismo, lontano dalla rabbia.
E' il caso di dire che l'etica minimalista di Eastwood oramai è un punto fermo nel panorama cinematografico. Era dai tempi degli "Spietati" che Eastwood non parlava di violenza in questo modo (ribaltandone addirittura l'epilogo). Un'altra bella storia, quindi, da un grande vecchio che ricorda i valori di una volta e che sa capire il presente perchè gli sta a cuore i futuro.
Gran film, gran automobile, Gran Torino.
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ciccio capozzi
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lunedì 16 marzo 2009
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clint & dostoevskij
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L’uscita dell’ultimo, bellissimo, film di Clint Eastwood, “Gran Torino” (Usa, 08), “impone” una qualche puntualizzazione di tipo complessivo e di metodologia interpretativa (ermeneutica), su questo grande vecchio, ma così giovane, del cinema. Nato nel 1930, è stato Premio Oscar per “Gli Spietati” e per “Million dollar baby”. Sappiamo tutti che, dopo un’oscura carriera tra cinema e tv americana, fu scoperto dal nostro Sergio Leone, che ne fece, con i western fatti in Italia, una star, che, professionalmente, umanamente, culturalmente, ecc., via via è cresciuto, fino a diventare un regista cui spetta lo statuto di autore. Non voglio entrare nel merito di suoi singoli film, quanto suggerire delle note sulle tematiche che lo caratterizzano.
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L’uscita dell’ultimo, bellissimo, film di Clint Eastwood, “Gran Torino” (Usa, 08), “impone” una qualche puntualizzazione di tipo complessivo e di metodologia interpretativa (ermeneutica), su questo grande vecchio, ma così giovane, del cinema. Nato nel 1930, è stato Premio Oscar per “Gli Spietati” e per “Million dollar baby”. Sappiamo tutti che, dopo un’oscura carriera tra cinema e tv americana, fu scoperto dal nostro Sergio Leone, che ne fece, con i western fatti in Italia, una star, che, professionalmente, umanamente, culturalmente, ecc., via via è cresciuto, fino a diventare un regista cui spetta lo statuto di autore. Non voglio entrare nel merito di suoi singoli film, quanto suggerire delle note sulle tematiche che lo caratterizzano. Esse sono numerose. O meglio: riflettono con una grande ricchezza di sfumature e di approfondimenti, su numerosi aspetti di una sola: il posto dell’individuo, con tutte le sue componenti e i suoi valori, nella società attuale, ma anche nella storia americana. Può sembrare un’ovvietà. Ma bisogna partire da alcuni punti. Il primo: Eastwood non è un Liberal: politicamente è un Red, cioè, al contrario del colore che da noi caratterizza i progressisti, un Conservatore. Non è uno di quei registi, intellettuali che si pongono con chiarezza intenti di “critica” alla società, sulla base di ricette politiche, più o meno sentite: posizioni che, sostanzialmente, già si pre-vedono, ancor prima di vedere il film, solo ascoltando le loro dichiarazioni. Premetto che ho simpatia per loro: ma spesso mettono in scena delle orge di déja vu. Secondo: sulla base di quanto detto, Eastw è proprio il masto del “politically incorrect”. Cioè, lui narra ed esprime suoi contenuti personali su coordinate e stili narrativi e tecnici molto tradizionali; ma non se frega nulla delle appartenenze. Discorre e affronta la realtà con una larghezza, un’autonomia di visioni, uno spirito spesso (molto spesso) controcorrente che, specie al “politicizzato” spettatore europeo, ma italiano in particolare, lasciano francamente interdetti. Noi siamo, crocio-togliattianamente, spinti a “catalogare” gli interventi in base alle appartenenze “gridate” prima; facciamo molta fatica a capire delle posizioni culturali che di distaccano dai recinti stabiliti; e che anzi sono nella sostanza molto più progressive, aperte e sperimentali di molte che vi stanno dentro. Dicevo prima di approccio crocio-togliattiano: intendo riferirmi alle valutazioni estetiche che si fondano quasi esclusivamente sulla nozione di “pura bellezza” alla base della filosofia, imperante nelle nostra cultura per molti decenni, di B.Croce. Poi imbellettate e riciclate in una visione politicamente ideologizzata e più mirata al confronto con la realtà, la storia, le problematiche sociali, da P.Togliatti, che oltre ad essere uno dei fondatori del PCI, era un intellettuale raffinato e coltissimo, e dal suo non trascurabile entourage (Alicata, Scoccimarra, Marchesi ecc.), grazie alla mediazione filosofica dell’allievo di Croce, G.Della Volpe. Questa estetica è stata alla base della cultura sedicente marxista in Italia dagli anni70, in maniera più o meno consapevole. Da qui nascono le ridicolmente rigide divisioni in cultura di serie a, quella che “non fa ridere” e/o d’élite, e quella serie b-z, “tutto il resto”. Non si concepisce che un autore come Eastwood, che appartiene al mainstream hollywoodiano, cioè che fa film che incassano, sia un Maestro.Ma quali sono i valori di Clint?(segue)
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ciccio capozzi
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lunedì 16 marzo 2009
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clint & dostoevskij 2
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(segue) Ma quali sono i valori di Clint? Parrebbe quelli tradizionali, soprattutto Patria e Famiglia. Ma sulla Patria ha fatto ben due film sulla Guerra ai Musi Gialli, in cui si è interrogato sulla retorica della vittoria (“Flags of Our Fathers”, 06), e di come questa possa essere usata in una forma manipolatrice; e con “Lettere da Jwo Jima” (06) ha addirittura posto al sua attenzione ai perdenti, con una comprensione della loro umanità. Addirittura i due film erano stati concepiti in un unico dittico. Sulla famiglia riflette che le vere aggregazioni si formano sulla base delle scelte e sull’amore costruito insieme: “Million dollar Baby” (04),nonché questo “Gran Torino” (08). Nel film Oscar dello 04 affronta, sempre in termini di grande compassione umana il tema spinosissimo dell’eutanasia; e nell’ultimo, il tema del sacrificio.
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(segue) Ma quali sono i valori di Clint? Parrebbe quelli tradizionali, soprattutto Patria e Famiglia. Ma sulla Patria ha fatto ben due film sulla Guerra ai Musi Gialli, in cui si è interrogato sulla retorica della vittoria (“Flags of Our Fathers”, 06), e di come questa possa essere usata in una forma manipolatrice; e con “Lettere da Jwo Jima” (06) ha addirittura posto al sua attenzione ai perdenti, con una comprensione della loro umanità. Addirittura i due film erano stati concepiti in un unico dittico. Sulla famiglia riflette che le vere aggregazioni si formano sulla base delle scelte e sull’amore costruito insieme: “Million dollar Baby” (04),nonché questo “Gran Torino” (08). Nel film Oscar dello 04 affronta, sempre in termini di grande compassione umana il tema spinosissimo dell’eutanasia; e nell’ultimo, il tema del sacrificio. C’è una grande polifonicità di temi e di approcci: ma la compassione sembra essere una cifra che lo coinvolge profondamente, intensamente. Tutto ciò mi fa pensare al sommo scrittore russo Fedor M. Dostoevskij (1821-1881). Anch’egli era considerato un destro, perché si era riavvicinato alla religione ortodossa, anche se in modi assolutamente liberi: si pensi solo al paradosso del “Grande Inquisitore”, per cui se Cristo ridiscendesse in terra, sarebbe boicottato dalle stesse autorità ecclesiastiche; e si era allontanato da quelle visioni anarchiche della sua gioventù, anche senza mai ripudiarle. Anzi, aveva affinato le tecniche della lettura sociale riportandole strettamente a quella individuale senza inutili, roboanti dichiarazioni ideologiche o di principio. Ma la caratteristica fondamentale del suo possente stile, di una linearità ottocentesca, non sperimentale, era quella di scandagliare con un’acutezza senza eguali nel profondo dell’abisso delle motivazioni individuali, le più complesse e anche le più spregevoli. Ma aveva un cuore pulsante la sua scrittura: la compassione. Essa vibrava con un’intensità che fa ancora oggi fa ammutolire il lettore contemporaneo. Per cui, all’interno della capacità di leggere ben oltre la banalità delle motivazioni addotte, quelle esteriori, che socialmente distinguono le classi di appartenenza, i ruoli coperti, il plauso che ne viene dall’accettazione sociale, essa ci svelava le anime, il loro complesso mistero. Ed è questo il miracolo del cinema del grande vecchio Clint , che si rinnova ogni volta in modi sempre, per lo spettatore, lietamente diversi.
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elena flauto
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lunedì 16 marzo 2009
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eastwood fa centro con semplicità narrativa
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Eastwood è tornato alla semplicità narrativa di Million Dollar Baby e fa centro. Dopo la complessità narrativa di Changeling, l'unico film di Clint che non ho amato,qui,in una unità di tempo e di luogo immediata,torna a colpire al cuore. Walt Kovalski è un uomo che confessa di non sapere come si fa il padre e che non comunica con figli e nipoti, ma entra in sintonia con un mondo fino a poco prima detestato.
Eastwood racconta il tutto con preziosa semplicità rendendo indimenticabile il suo personaggio che da chiuso e fortemente razzista si apre a sprazzi di sorrisi e golosità, quando si immerge in una cultura, quella della famiglia asiatica di etnia Hmong, tenuta in vita con grande rispetto delle proprie tradizioni.
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Eastwood è tornato alla semplicità narrativa di Million Dollar Baby e fa centro. Dopo la complessità narrativa di Changeling, l'unico film di Clint che non ho amato,qui,in una unità di tempo e di luogo immediata,torna a colpire al cuore. Walt Kovalski è un uomo che confessa di non sapere come si fa il padre e che non comunica con figli e nipoti, ma entra in sintonia con un mondo fino a poco prima detestato.
Eastwood racconta il tutto con preziosa semplicità rendendo indimenticabile il suo personaggio che da chiuso e fortemente razzista si apre a sprazzi di sorrisi e golosità, quando si immerge in una cultura, quella della famiglia asiatica di etnia Hmong, tenuta in vita con grande rispetto delle proprie tradizioni.
Kovalski con quel segno di pollice e indice a indicare la pistola come nei giochi dei bambini, con quel ringhiare come un cane quando viene irritato dall'invasione e prepotenza altrui,con quel rapportarsi con ironia da vero uomo con il suo barbiere,con la sua dipendenza dalle lattine di birra tenute al fresco e bevute in compagnia del suo golden retriver,con il suo bisogno di decoro ed ordine, con la sua idiosincrasia per la chiesa, con il ricordo della sua defunta ed amata moglie, la migliore donna al mondo, con il suo confessare solo 2 peccati in tutta una vita: un bacio ad un'altra donna da sposato e non avere pagato le tasse sulla vendita di un auto, è un uomo che conosce la vita e ha guardato in faccia la morte durante la guerra di Corea. Ed è un personaggio tra i più riusciti tra quelli diretti ed interpretati dal grande Clint Eastwood.
Walt è'un razzista, ma è anche un uomo giusto e combattivo e difende Sue, la figlia dei vicini musi gialli,da una gang di afroamericani. La giovane gli fa varcare la soglia di un mondo, quello di casa sua, dove lui è capito e riesce a capire più che tra i suoi...diventa mentore del fratello di lei,Thao, un ragazzo senza coraggio e vessato dalla gang del cugino, e in un crescendo di empatia con questa nuova famiglia, per difendere Thao,in realtà Kovalski porta lo scontro con i giovani teppisti gialli ad un punto di non ritorno. Thao intanto ha imparato il coraggio di un uomo e vorrebbe vendicarsi dell'aggressione subita dalla dolce Sue, ma Walt che ha appena scoperto di avere una grave malattia, si sacrifica per lui che diventa l'erede di ciò che Kovalski amava di più: il suo cane e la sua auto Gran Torino.
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mikele
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mercoledì 18 marzo 2009
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il resoconto di un uomo saggio
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tutto il film , o meglio tutta la storia stà in quell'ultima sequenza in cui , walt si trova senza armi.
eastwood si confessa , e da vecchio saggio consiglia ai più giovani.
lungi dall'essere paternalista , o peggio moralista , il vecchio cow boy , depone le armi , forse una resa ?
lucida e scevra da artifici è la regia , grazie alla quale emerge la coscienza amara di eastwood e della sua vecchiaia implacabile.coscienza corporale prima che intellettuale.
Eastwood sa fare il suo mestiere(regista ed attore ) , ma in questo film non è cià che conta.
non so se sia l'ultimo film di eastwood , sta di fatto che è forse quello più intimo.
riflessione sociale e privata si alternano nel corso del film , i destini di una società e quelli di un uomo , sono magistralmente legati.
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tutto il film , o meglio tutta la storia stà in quell'ultima sequenza in cui , walt si trova senza armi.
eastwood si confessa , e da vecchio saggio consiglia ai più giovani.
lungi dall'essere paternalista , o peggio moralista , il vecchio cow boy , depone le armi , forse una resa ?
lucida e scevra da artifici è la regia , grazie alla quale emerge la coscienza amara di eastwood e della sua vecchiaia implacabile.coscienza corporale prima che intellettuale.
Eastwood sa fare il suo mestiere(regista ed attore ) , ma in questo film non è cià che conta.
non so se sia l'ultimo film di eastwood , sta di fatto che è forse quello più intimo.
riflessione sociale e privata si alternano nel corso del film , i destini di una società e quelli di un uomo , sono magistralmente legati.
ha maggiore potenza però il discorso privato , il vecchio che si racconta , ci racconta .
oltre ai pregi immanenti del film , è la reale confessione di un uomo , Clint Eastwood , ciò per cui vale la pena vedere l'opera.
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ciccio capozzi
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mercoledì 18 marzo 2009
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riconoscere le differenze tra le minoranze
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“GRAN TORINO” di CLINT EASTWOOD; USA, 08. Walt è un operaio pensionato della Ford, restato vedovo, ha poca voglia di adattarsi agli altri, alla famiglia e ai suoi vicini “musi gialli”, contro cui ha combattuto in Corea negli anni 50. Ma prenderà sotto la sua ruvida protezione i ragazzi della famiglia asiatica. Clint “giovane” di 78 anni, ci regala un altro capolavoro. La figura del pensionato è un po’ la foto ironica di se stesso? Non è da escludere; anche se la creatività mostrata non è da cervello “a riposo”. Anzi ha una lucidità ancora più tersa: che, coll’esperienza, è in grado di andare più al sodo. La storia, come al solito, è robusta, diretta, non si perde in alcun meandro. Le relazioni familiari e personali sono dipinte con chiarezza estrema; e anche quelle con quei musi gialli hanno un percorso lineare: dall’indistinzione, saranno meglio individuati non solo come persone, ma come appartenenti all’etnia Hmong.
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“GRAN TORINO” di CLINT EASTWOOD; USA, 08. Walt è un operaio pensionato della Ford, restato vedovo, ha poca voglia di adattarsi agli altri, alla famiglia e ai suoi vicini “musi gialli”, contro cui ha combattuto in Corea negli anni 50. Ma prenderà sotto la sua ruvida protezione i ragazzi della famiglia asiatica. Clint “giovane” di 78 anni, ci regala un altro capolavoro. La figura del pensionato è un po’ la foto ironica di se stesso? Non è da escludere; anche se la creatività mostrata non è da cervello “a riposo”. Anzi ha una lucidità ancora più tersa: che, coll’esperienza, è in grado di andare più al sodo. La storia, come al solito, è robusta, diretta, non si perde in alcun meandro. Le relazioni familiari e personali sono dipinte con chiarezza estrema; e anche quelle con quei musi gialli hanno un percorso lineare: dall’indistinzione, saranno meglio individuati non solo come persone, ma come appartenenti all’etnia Hmong. Che si schierò con gli americani durante la guerra in Vietnam: la sconfitta del 75 fu anche per loro la data dell’inizio della diaspora in Usa: è un elemento drammatico in più, che il regista dosa con parsimonia, senza imporci alcuna lezione di antropologia. Tuttavia è un altro luogo narrativo su cui riflettere. I Hmong sono una minoranza nella minoranza: eppure vivono un’esistenza che è parte integrante della storia americana, perché hanno combattuto con loro. Come al solito, il vecchio Clint c’invita riflettere, a osservare con attenzione lo scenario che ci circonda e che noi manco guardiamo: riconoscere le differenze tra le minoranze serve a dare individualità alle singole persone che vi appartengono. Ma ciò è detto senza la minima traccia del predicozzo morale: è intriso di accettazione reciproca il cuore della vicenda. Essa è costruita nei pochi asciutti dialoghi tra la ragazza, che è la persona più sveglia, da sola con lui e quando fa da interprete col resto della famiglia. Il rapporto con loro diventa di una famiglia allargata, e tra loro è la solidarietà che diventa il collante. Su questo elemento strutturale è costruito il film. Egli si lega ai ragazzi come a dei propri figli. Arriva a provare un sentimento nuovo per lui: la compassione. Non è solo relativo a quei giovani, ma ad un insieme di cose, come l’uscire fuori della banale rete di rapporti, al porsi di fronte al suo destino personale, alla sofferta memoria, sempre viva, di uomo che ha ucciso in guerra altri uomini. Su questi sentimenti così maturati costruisce il punto più alto di tensione drammatica del film, e anche l’ironico autosmitizzante sottofinale del testamento. Lo stile è compattamente classico: nessuna velocità di montaggio; ma un narrare lento e maestoso, eppure così fortemente, segretamente catturante.
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dario carta
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sabato 21 marzo 2009
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"gran torino":la summa dei lavori di eastwood
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"Gran Torino" segna il ritorno di Eastwood in veste di regista ed attore,dopo "Million Dollar Baby",Oscar come miglior film nel 2005.
L'artista rientra in grande stile,nella parte di un uomo che si trova a dover affrontare la realtà di un mondo che egli disconosce e che muta in continuazione,sotto i suoi occhi di persona burbera ed ancorata a pregiudizi e situazioni esistenziali,che lo imprigionano in una dimensione dalla quale egli stesso rifiuta di liberarsi.
Lo spunto per raccontare la storia di una redenzione,o intima revisione e mettere a fuoco i lineamenti di un personaggio che si trova a fare i conti con sè stesso,nelle ultime pagine di una lunga vita di duro lavoro,viene all'esordiente sceneggiatore Nick Schenk,dalla sua attenzione rivolta alle famiglie Hmong,una razza asiatica originaria del Laos,intervenuta nel conflitto in Vietnam a supporto degli Stati Uniti e trovatasi in una situazione di migrazione ed insediamento nel Paese.
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"Gran Torino" segna il ritorno di Eastwood in veste di regista ed attore,dopo "Million Dollar Baby",Oscar come miglior film nel 2005.
L'artista rientra in grande stile,nella parte di un uomo che si trova a dover affrontare la realtà di un mondo che egli disconosce e che muta in continuazione,sotto i suoi occhi di persona burbera ed ancorata a pregiudizi e situazioni esistenziali,che lo imprigionano in una dimensione dalla quale egli stesso rifiuta di liberarsi.
Lo spunto per raccontare la storia di una redenzione,o intima revisione e mettere a fuoco i lineamenti di un personaggio che si trova a fare i conti con sè stesso,nelle ultime pagine di una lunga vita di duro lavoro,viene all'esordiente sceneggiatore Nick Schenk,dalla sua attenzione rivolta alle famiglie Hmong,una razza asiatica originaria del Laos,intervenuta nel conflitto in Vietnam a supporto degli Stati Uniti e trovatasi in una situazione di migrazione ed insediamento nel Paese.
Walt Kowalsky non nutre alcuna simpatia per questa gente,con la quale condivide una condizione di vicinato e manifesta apertamente e senza mezzi termini il suo razzismo e la sua ostilità.
L'ossessione per gli orrori vissuti in Corea,Walt li riversa sui suoi vicini,mostrando di non fare distinzioni in seno alla razza asiatica,che egli vede uniforme e senza particolarità distintive.
Ciononostante,una lenta trasformazione matura nel suo intimo,quasi a livello subliminale ed inconscio,che lo porta ad avvicinarsi ed ad assimilare una cultura così diversa dalla sua e dalla quale,peraltro,si sente attratto.
Il suo processo d'introspezione forma la base del film ed è il tema centrale,sviluppato con una buona dose di autoironia e sul quale si intrecciano le vicende che vedono l'uomo riflettere sulla sua vita trascorsa e cercare di dare un significato a quella in corso.
Eastwood è sempre stato molto attento agli sviluppi dei rapporti interraziali,fra religioni e fra le diverse fasce sociali,filtrandole attraverso una prospettiva ove il pregiudizio e l'idea preconcetta giocano un ruolo primario ("The Changeling","Lettere da Iwo Jima","Fino a prova contraria","Mystic River","Gli spietati").
Spesso il regista affronta il tema della diversità e della discriminazione,con argomenti che mettono a nudo la realtà,quando questa viene inquinata dall'equivoco,scoprendo situazioni scomode e denunciandole in modo schietto ed onesto.
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ivano
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domenica 22 marzo 2009
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e se non avessimo capito nulla?
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Il film ti entra dentro. Ti entra dentro Walt. Ti entra dentro ogni espressione, ogni sospiro di rabbia e rammarico. Ti entra dentro, svuotandoti le viscere, la fine attesa/inattesa, contraria alle aspettative delle emozioni che si scatenano intorno al volto della giovane vittima della violenza "familiare", coperta dalle ferite e dal sangue che scorre a rigagnolo da dentro le gambe. Attesa, perchè alla giustizia e alla fiducia che si ripone in essa qualcuno sacrifica la vita, inattesa, per lo stesso motivo, quando ciò avviene senza più seguire il copione del duro che perisce sconfiggendo il male l'ennesima volta. Anche lì, rigagnolo di sangue non essicato che scorre da dentro e fuoriesce dai polsi sulle mani.
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Il film ti entra dentro. Ti entra dentro Walt. Ti entra dentro ogni espressione, ogni sospiro di rabbia e rammarico. Ti entra dentro, svuotandoti le viscere, la fine attesa/inattesa, contraria alle aspettative delle emozioni che si scatenano intorno al volto della giovane vittima della violenza "familiare", coperta dalle ferite e dal sangue che scorre a rigagnolo da dentro le gambe. Attesa, perchè alla giustizia e alla fiducia che si ripone in essa qualcuno sacrifica la vita, inattesa, per lo stesso motivo, quando ciò avviene senza più seguire il copione del duro che perisce sconfiggendo il male l'ennesima volta. Anche lì, rigagnolo di sangue non essicato che scorre da dentro e fuoriesce dai polsi sulle mani. E come se fosse un grido, l'urlo potente della civiltà che si ridesta e rifonda le sue colonne instabili sul rispetto di quella legge da cui viene garantita. Ma un dubbio, mentre le scene continuano a girarmi in testa, un dubbio si insinua da subito, quando ancora sono dentro al cinema. E se non stessi capendo? E se non stessimo capendo? Leggo. Studio. Penso, non ne posso fare a meno, il film mi è entrato dentro e chiede udienza continua alla mia ragione e ai miei sentimenti. Scorro le recensioni, cerco ogni notizia ma... nulla. Allora scrivo, cerco di fabbricarmi ciò che non riesco a trovare, la recensione che vorrei leggere, il pensiero che devo far partorire, che voglio possa essere di tutti. Walt è fondamentalmente un operaio. Un vecchio operaio americano in pensione. Non un militare. Anzi, nulla lo accomuna o lo rende simile ad un soldato, inteso come quelli moderni che combattono le guerre "moderne". Primo dato che sconvolge e sconcerta. Un film americano che parla della vita vissuta, e che a noi viene fatta solo intuire dalle smorfie della vecchiaia, di un operaio della Ford. Un operaio che sulla sua Gran Torino custodita in garage montava i volanti. Un operaio che parla il linguaggio della sua storia e della sua classe. Un operaio che ha per pseudo-amico un barbiere di origine italiana,come lui altrettanto scurrile e macchiettistico, e che, esclusi i fligli "depravati" e ingordi - i figli dell'america - non parla mai con gli americani "veri". Un operaio che pensa le cose che la media degli americani della sua età pensava e pensa. Un uomo che vive all'ombra della bandiera del suo paese, che sventola sulla grande ford,e che sotto il suo portico scola lattine di birra con di fianco l'immancabile cane. Uno che aggiusta le cose, scarichi intasati o lavatrici che siano. Un vecchio che introduce un giovane nel mondo del lavoro, quello vero, quello dove sudi e ti sporchi, quello dove hai bisogno di attrezzi. Quello dell'edilizia, del costruire case, incominciando facendo il manovale. Quel mondo dove senza la cultura del lavoro resta solo la violenza delle bande, che come tale si preoccupa di distruggere proprio quegli atrezzi che ti servono per lavorare. Ma c'è di più, c'è il resto. Un uomo che nella parte centrale del film risulta grottesco, banale, a tratti scontato. No, assolutamente no, non un uomo che ha fatto dell'odio verso gli altri la ragione di una vita, non il razzista di circostanza, quello che poi alla fine è buono perchè di sani valori. Ma piuttosto un uomo che è rimasto vittima, come tanti, come tutti noi, del suo tempo, del suo ruolo, del suo inizio, della sua storia. Uno che ha fatto la guerra di corea e che ha sparato non solo perchè gli veniva ordinato. Uno che recita la parodia di se stesso.
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(di martina bada(yuna))
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