gianleo67
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giovedì 27 luglio 2023
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eterotopia di un massacro
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Una valigetta con un paio di milioni di dollari sottratta dalla scena di uno scontro tra cartelli in cui si imbatte casualmente nel deserto texano, costringe Llewelyn Moss a sfuggire alle attenzioni di un implacabile sicario psicopatico. Le scelte dell'uomo si ripercuotono su quelle della moglie obbligata a rifugiarsi altrove e dello sceriffo della contea che si avventura in una infruttuosa caccia all'uomo, sempre un passo indietro rispetto all'inafferrabile fantasma cui da la caccia. Il tema del caso e del destino, facce della stessa medaglia di una condizione umana schiava del perverso meccanismo innescato alle proprie passioni, esplorato dai fratelli Coen nel loro precedente trittico (Blood Simple, Raising Arizona e Fargo) incontra qui felicemente la poetica della nuova frontiera di un grande romanziere americano, capace di disclocare la propria visione antropologica sulle grandi forze motrici della storia dell'uomo sullo snodo liminare di un non-luogo di confine e sul volgere di un passaggio generazionale che non fa altro che rinnovare un cupio dissolvi vecchio come il cucco.
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Una valigetta con un paio di milioni di dollari sottratta dalla scena di uno scontro tra cartelli in cui si imbatte casualmente nel deserto texano, costringe Llewelyn Moss a sfuggire alle attenzioni di un implacabile sicario psicopatico. Le scelte dell'uomo si ripercuotono su quelle della moglie obbligata a rifugiarsi altrove e dello sceriffo della contea che si avventura in una infruttuosa caccia all'uomo, sempre un passo indietro rispetto all'inafferrabile fantasma cui da la caccia. Il tema del caso e del destino, facce della stessa medaglia di una condizione umana schiava del perverso meccanismo innescato alle proprie passioni, esplorato dai fratelli Coen nel loro precedente trittico (Blood Simple, Raising Arizona e Fargo) incontra qui felicemente la poetica della nuova frontiera di un grande romanziere americano, capace di disclocare la propria visione antropologica sulle grandi forze motrici della storia dell'uomo sullo snodo liminare di un non-luogo di confine e sul volgere di un passaggio generazionale che non fa altro che rinnovare un cupio dissolvi vecchio come il cucco. Se la lettura a più livelli della novel di McCarthy mette in rilievo in modo preminente una dinamica preda-cacciatore destinata più volte a ribaltarsi e più ancora le tematiche morali che impongono all'attenzione dell'uomo la presenza del male del mondo (qui incarnate dal killer sulfureo impersonato da Bardem e dotato di un codice etico che nella sua apparente insensatezza tenta di dare un ordine al caos o di assecondarne comunque l'arbitrarietà), l'adattamento quasi filologico dei fratelli Coen si rivela tale soprattutto nella scelta di un'ambientazione eterotopica come quella del confine tex-mex, con i suoi orizzonti sconfinati privi di riconoscibili riferimenti cardinali, con i suoi intercambiabili insediamenti urbani la cui ubicazione trova un senso solo nella reciproca disposizione topografica e con la infinita teoria di motel tutti uguali a punteggiare il margine estremo di periferie suburbane che gli infiniti rettilinei di anonime interstatali raccordano tra loro. Un non-luogo si diceva, che come tutte le zone di frizione geografica e culturale rappresentano superfici di faglia dove le tensioni si accumulano fino all'inevitabile punto di rottura, dove il rispetto delle leggi diventa un concetto estremanete fluido e dove persino i mezzi di offesa o di difesa sono eterodossi o anticonvenzionali (pistole ad aria, silenziatori artigianali, fucili accorciati col seghetto) a testimonianza di una vera e propria singolarità topologica, un luogo dove reale ed irreale (iperreale) si mescolano inestricabilmente e dove una serie di personaggi dall'indefinito pedegree professionale (ex reduci, ex militari, scagnozzi del cartello e battitori liberi) attraversano la scena ciascuno diretto al proprio inesorabile destino di sangue da un fato predeterminato da quello che sono stati in tutti i santi giorni che hanno preceduto il momento attuale ("Questa tua idea di ricominciare daccapo [...] Non si ricomincia mai daccapo. Ecco qual'è il problema, Ogni passo che fai è per sempre"). Due antagonisti speculari (uno spietato sicario che uccide sempre quando può ed un cacciatore-saldatore che evita sempre di farlo) e tra i due uno sceriffo con qualche incoffessato senso di colpa ed una conclamata disillusione ridotto al rango di spettatore (non incrocerà mai i due) sono i tre termini in cui si articola un discorso sull'illusorietà delle scelte e l'ineluttabilità di un destino di morte che come si diceva, lungi dal segnare il passo di una biasimata trasformazione generazionale, finisce per riproporre con ciclico nichilismo l'assurdità della condizione umana. Quattro Oscar per migliori film, regia, sceneggiatura (ai fratelli Coen ed al co-produttore Scott Rudin) e miglior attore non protagonista (Bardem, primo attore spagnolo a vincerlo) per un'opera che ha mancato la Palma d'oro a Cannes e che vanta un casting decisamente azzeccato per i ruoli disegnati dai personaggi di McCarthy; tra cui persino un, come al solito, gigione Woody Harrelsons figlio di quel Charles Voyde Harrelson, sicario ed autore dell'assassinio del giudice John Howland Wood la cui menzione trova eco tanto nel film quanto nell'opera letteraria. Quando si dice avere il destino nel sangue.
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giovanni morandi
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giovedì 10 novembre 2022
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non è un film per tutti giovanni morandi
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Come dimenticare l'ardito taglio a scodella del killer-filosofo Anton Chigurh?
Il 9 Novembre 2007, esattamente 15 anni fa, usciva negli Stati Uniti il film-cult “Non è un paese per vecchi”. Narra la leggenda che quando Javier Bardem ha visto il suo nuovo look, abbia esclamato: "Per 2 mesi non avrò relazioni con nessuna ragazza".
Il film di Joel ed Ethan Coen, tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCarthy, si è aggiudicato quattro tra i riconoscimenti più importanti, miglior film, migliore regia, miglior attore non protagonista (Javier Bardem) e migliore sceneggiatura non originale all'80esima edizione degli Oscar.
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Come dimenticare l'ardito taglio a scodella del killer-filosofo Anton Chigurh?
Il 9 Novembre 2007, esattamente 15 anni fa, usciva negli Stati Uniti il film-cult “Non è un paese per vecchi”. Narra la leggenda che quando Javier Bardem ha visto il suo nuovo look, abbia esclamato: "Per 2 mesi non avrò relazioni con nessuna ragazza".
Il film di Joel ed Ethan Coen, tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCarthy, si è aggiudicato quattro tra i riconoscimenti più importanti, miglior film, migliore regia, miglior attore non protagonista (Javier Bardem) e migliore sceneggiatura non originale all'80esima edizione degli Oscar. L’opera è ambientata nel 1980 al confine tra Usa e Messico e riflette su alcuni dei grandi tempi del cinema americano (la frontiera, la violenza cieca, la perdita dei valori) e ha conquistato critica e pubblico e al botteghino ha incassato complessivamente oltre 171 milioni di dollari.
Ecco alcune curiosità sul capolavoro dei fratelli Coen:
Per il ruolo del protagonista, il saldatore texano Llewelyn Moss, i fratelli Coen avevano scelto in un primo momento la star Heath Ledger. Dopo una serie di colloqui, l’attore si dichiarò inizialmente interessato a lavorare con loro ma decise infine di ritirarsi dal progetto per mancanza di tempo. Josh Brolin invece era particolarmente interessato al ruolo: per ottenerlo chiese nel 2006 a Quentin Tarantino, con il quale stava lavorando al film "Grindhouse", di girare il provino da inviare ai fratelli Coen. Il regista non si è fatto pregare e ha filmato il breve video insieme al collega Robert Rodriguez. Brolin racconterà più tardi che l'unica domanda che i fratelli Coen gli hanno fatto dopo aver visionato il provino è stata: "Chi l'ha girato?".
Alla fine i fratelli Coen scelsero per il ruolo del protagonista proprio Josh Brolin che però si ruppe la spalla destra cadendo dalla motocicletta due giorni dopo aver firmato il contratto. Per non perdere la grande occasione, Brolin non disse nulla ai registi e riuscì a tenere nascosto l'infortunio. Presto però arrivò il colpo di fortuna: il personaggio che interpreta viene ferito all'inizio del film da un proiettile alla spalla e così Brolin non ebbe più problemi a nascondere il suo infortunio.
Sebbene Javier Bardem fosse entusiasta all'idea di lavorare con i fratelli Coen, non era convinto di essere adatto a interpretare Anton Chigurh. Bardem ha raccontato di aver detto al tempo ai registi: "Ascoltate, sono l'attore sbagliato. Io non guido, parlo male l'inglese e odio la violenza". I Coen hanno risposto con una risata e hanno tagliato corto:" Forse è per questo che ti abbiamo chiamato".
Sebbene si rincorrano per tutto il film, i tre personaggi principali, il saldatore texano Llewelyn Moss, lo sceriffo Ed Tom Bell e il killer Anton Chigurh non compaiono mai nella stessa scena.
I fratelli Coen sono la seconda coppia a vincere il premio Oscar per la regia. Era già successo nel 1961 e la statuetta era stata assegnata a Jerome Robbins e Robert Wise, autori di "West Side Story".
Ma c'è da dire che i Coen, con questa pellicola, a dir poco, originale, non tanto per la sceneggiatura, ripresa dal romanzo, vincitore di un Pulitzer, di McCarthy, ma per la capacità di farci assistere ad uno spettacolo di "caccia all'uomo" da una specie di "mostro", inarrestabile ed invincibile, nell'interpretazione straordinaria di Barden, che sembra andare oltre ogni aspettativa.
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tunaboy
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lunedì 28 giugno 2021
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la nascita di un genere: il neo-western
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"You can’t help but compare yourself against the old timers."
Il cinema western è probabilmente uno dei generi più esemplificativi ed emblematici della storia del cinema statunitense, caratterizzando buona parte della produzione del secolo scorso ed influenzando fior fiore di registi. Negli ultimi decenni, però, il cinema western è andato sempre più scomparendo, lasciando spazio ad altri generi e divenendo un ricordo del passato, relegato nei musei o nelle soffitte.
Con il loro “No Country For Old Men”, però, i fratelli Coen sono riusciti a creare un’ultima perla di questo genere morente, revitalizzando molti dei ridondanti cliché dei western.
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"You can’t help but compare yourself against the old timers."
Il cinema western è probabilmente uno dei generi più esemplificativi ed emblematici della storia del cinema statunitense, caratterizzando buona parte della produzione del secolo scorso ed influenzando fior fiore di registi. Negli ultimi decenni, però, il cinema western è andato sempre più scomparendo, lasciando spazio ad altri generi e divenendo un ricordo del passato, relegato nei musei o nelle soffitte.
Con il loro “No Country For Old Men”, però, i fratelli Coen sono riusciti a creare un’ultima perla di questo genere morente, revitalizzando molti dei ridondanti cliché dei western.
Infatti, il cinema western era stato abbandonato, a mio parere, a causa degli onnipresenti cliché che ormai lo dominavano: oltre all’ambientazione, che per ovvi motivi non può essere stravolta, trovavamo sempre la stessa contrapposizione tra buoni e cattivi, trame prevedibili e personaggi piatti. Nel film dei Coen buona parte di questi aspetti rimane presente, ma in una forma così innovativa da risultare irriconoscibile: il protagonista, un personaggio che, nonostante debba rappresentare i “buoni”, risulta essere estremamente idiosincratico, compie azioni molto simili a quelle dell’antagonista, cancellando e rendendo labili i confini tra il bene e il male. Inoltre, alcuni degli snodi narrativi tipici del genere sono o assenti o stravolti; prendiamo ad esempio il proverbiale “duello finale” tra bene e male: questo è sì presente, ma viene escluso dalla narrazione, svolgendosi “a camere spente” e lasciando allo spettatore il solo spettacolo delle conseguenze di questo duello, dove, in modo totalmente inaspettato, il male vince sul bene.
A questo punto sorge spontanea una domanda: perché stravolgere a questi livelli un genere?
Per rispondere dovremo ricorrere ad un po’ di filosofia moderna: l’esistenzialismo è una corrente filosofica sviluppatasi a metà del ‘900, in un’Europa ferita dal trauma della Seconda Guerra Mondiale. Secondo gli esistenzialisti, l’uomo si trova in una continua ed incessante lotta contro il caos e contro l’imperscrutabilità della realtà, troppo complessa per avere un senso. Tornando al nostro film, credo che i Coen abbiano sfruttato il genere western, proverbialmente caratterizzato da questa battaglia infinita tra bene e male, per mettere in scena lo spettacolare scontro tra uomo e caos, creando così quello che potremmo chiamare un “neo-western”.
Sarà, però, questo “neo-western” foriero di un nuovo filone cinematografico simile al cinema “neo-noir”? Non potendo prevedere il futuro, non posso dare una risposta, ma indubbiamente “No Country For Old Men” sarebbe un buon inizio.
Voto: 5/5
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tom cine
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giovedì 18 marzo 2021
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avidità, soldi e follia
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Molto tempo dopo aver realizzato quel capolavoro che è “Fargo”, i fratelli Coen tornarono ad affrontare il thriller con questo “Non è un paese per vecchi”: rispetto al film precedente, che era tratto da una sceneggiatura originale che rielaborava vari fatti di cronaca, questo è tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, ma è un film altrettanto memorabile e solido. In entrambi i film l’avidità di ricchezza (e di potere, perché il denaro lo fa guadagnare: qui, addirittura, vengono affidate le sorti di alcuni personaggi al lancio di una moneta) muove le fila della vicenda, ma la diversa ambientazione e, soprattutto, la diversa origine delle due storie ne rende differenti i toni.
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Molto tempo dopo aver realizzato quel capolavoro che è “Fargo”, i fratelli Coen tornarono ad affrontare il thriller con questo “Non è un paese per vecchi”: rispetto al film precedente, che era tratto da una sceneggiatura originale che rielaborava vari fatti di cronaca, questo è tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, ma è un film altrettanto memorabile e solido. In entrambi i film l’avidità di ricchezza (e di potere, perché il denaro lo fa guadagnare: qui, addirittura, vengono affidate le sorti di alcuni personaggi al lancio di una moneta) muove le fila della vicenda, ma la diversa ambientazione e, soprattutto, la diversa origine delle due storie ne rende differenti i toni. In “Fargo”, ambientato in un nevoso North Dakota, l’umorismo nero prevale sugli aspetti più crudi ed il parziale pessimismo era moderato dal personaggio principale, una poliziotta incinta e di sani principi contrapposta ad un trio di balordi criminali. In “Non è un paese per vecchi”, dove l’azione si svolge in una assolata e arida zona di frontiera al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, il pessimismo del testo di partenza prevale sugli aspetti umoristici (pur presenti e sempre tinti di nero) e nessuno dei personaggi coinvolti è esente da zone d’ombra.
Tutto parte dal ritrovamento di una valigetta piena di dollari da parte di Llewelyn Moss, un ex-saldatore, reduce del Vietnam, che finisce col trovarsi, durante una battuta di caccia, nel mezzo di quello che resta di una sparatoria tra narcotrafficanti. L’uomo, accecato dall’avidità, pensa bene di trafugare la valigetta e fuggire negli Stati Uniti per darsi alla “bella vita” insieme alla giovanissima compagna. Finirà in un sanguinoso incubo: sulle sue tracce si metteranno un sicario molto più che spietato ed uno sceriffo che (sia pur riluttante a farsi coinvolgere) tenterà comunque di salvare Moss e di fermare la scia di sangue.
Questo film dei fratelli Coen non è soltanto una semplice e riuscita trasposizione di un romanzo comunque interessante : è un film pessimista, ma anche eccellente e dove la tensione viene mantenuta così alta, per tutta la sua lunga durata (poco più di due ore),da toccare perfino punte di disagio. Ed è anche un film visivamente molto forte dove la violenza, che permea anche le scene apparentemente più tranquille del film, raggiunge dei picchi di inusitata brutalità in parecchi punti (la sequenza in cui Llewelyn si aggira in mezzo ai cadaveri, tutti i momenti che mostrano in azione il sicario) e dove gli spogli e assolati paesaggi, che sembrano alludere all’aridità morale di Moss e della sua nemesi, ne amplificano l’impatto. I paesaggi hanno un ruolo fondamentale anche e soprattutto nell’impatto della tensione, suggerendo (benissimo) la sensazione che non esistono, in questo film, posti in cui ci si possa nascondere. Anche le scenografie degli interni non sono da meno: basti pensare all’angusta roulotte del protagonista, oppure alle altrettanto anguste stanze del motel nel quale si svolgono alcune scene importanti. Non è da sottovalutare nemmeno, nella riuscita di questa atmosfera angosciante, l’apporto sonoro. E qui bisogna sfatare una leggenda: la colonna sonora non è inesistente nel film, c’è (la firmò Carter Burwell), ma è minimalista e non invasiva, non ha mai la prevalenza sulle immagini e rimane volutamente sottotono. Viene dato, invece, un grande spazio ai silenzi ed il risultato di questa scelta è uno degli espedienti più riusciti, soprattutto quando è in scena il terribile killer pazzo interpretato da un memorabile Javier Bardem: le sue pause (e i suoi sguardi) durante i suoi deliranti dialoghi fanno aggrovigliare le viscere dello stomaco. A parte Bardem, bravissimo nel donare movenze davvero minacciose al personaggio del sicario, accentuandone gli aspetti brutali e imprevedibili che lo fanno addirittura giganteggiare sugli altri personaggi ,trasformandolo in una minaccia implacabile e spesso letale (nel cinema, oltre ai volti, contano anche i corpi), anche il resto del cast è altrettanto eccellente, cominciando (soprattutto) da Tommy Lee Jones che, con il suo volto scavato, riesce a suggerire l’amarezza e la disillusione dello sceriffo (un uomo invecchiato e messo davanti ad un mondo che non riesce più a comprendere e nemmeno ad accettare) e finendo con Josh Brolin alle prese con il personaggio di Llewelyn Moss, di cui riesce a mettere bene in risalto l’irresponsabile immaturità, il cinismo e la profonda debolezza di carattere. Gli interpreti sono ben aiutati da una splendida sceneggiatura che riesce anche a tratteggiare un sottile parallelismo fra la psicologia di Moss e quella della sua nemesi riuscendo a far trapelare, senza mai essere pedante, il monito della storia: fra la cieca bramosia di denaro e la follia più sadica e brutale non c’è che un passo.
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tom cine
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giovedì 18 marzo 2021
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avidità, soldi e follia
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Molto tempo dopo aver realizzato quel capolavoro che è “Fargo”, i fratelli Cohen tornarono ad affrontare il thriller con questo “Non è un paese per vecchi”: rispetto al film precedente, che era tratto da una sceneggiatura originale che rielaborava vari fatti di cronaca, questo è tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, ma è un film altrettanto memorabile e solido. In entrambi i film l’avidità di ricchezza (e di potere, perché il denaro lo fa guadagnare: qui, addirittura, vengono affidate le sorti di alcuni personaggi al lancio di una moneta) muove le fila della vicenda, ma la diversa ambientazione e, soprattutto, la diversa origine delle due storie ne rende differenti i toni.
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Molto tempo dopo aver realizzato quel capolavoro che è “Fargo”, i fratelli Cohen tornarono ad affrontare il thriller con questo “Non è un paese per vecchi”: rispetto al film precedente, che era tratto da una sceneggiatura originale che rielaborava vari fatti di cronaca, questo è tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, ma è un film altrettanto memorabile e solido. In entrambi i film l’avidità di ricchezza (e di potere, perché il denaro lo fa guadagnare: qui, addirittura, vengono affidate le sorti di alcuni personaggi al lancio di una moneta) muove le fila della vicenda, ma la diversa ambientazione e, soprattutto, la diversa origine delle due storie ne rende differenti i toni. In “Fargo”, ambientato in un nevoso North Dakota, l’umorismo nero prevale sugli aspetti più crudi ed il parziale pessimismo era moderato dal personaggio principale, una poliziotta incinta e di sani principi contrapposta ad un trio di balordi criminali. In “Non è un paese per vecchi”, dove l’azione si svolge in una assolata e arida zona di frontiera al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, il pessimismo del testo di partenza prevale sugli aspetti umoristici (pur presenti e sempre tinti di nero) e nessuno dei personaggi coinvolti è esente da zone d’ombra.
Tutto parte dal ritrovamento di una valigetta piena di dollari da parte di Llewelyn Moss, un ex-saldatore, reduce del Vietnam, che finisce col trovarsi, durante una battuta di caccia, nel mezzo di quello che resta di una sparatoria tra narcotrafficanti. L’uomo, accecato dall’avidità, pensa bene di trafugare la valigetta e fuggire negli Stati Uniti per darsi alla “bella vita” insieme alla giovanissima compagna. Finirà in un sanguinoso incubo: sulle sue tracce si metteranno un sicario molto più che spietato ed uno sceriffo che (sia pur riluttante a farsi coinvolgere) tenterà comunque di salvare Moss e di fermare la scia di sangue.
Questo film dei fratelli Cohen non è soltanto una semplice e riuscita trasposizione di un romanzo comunque interessante : è un film pessimista, ma anche eccellente e dove la tensione viene mantenuta così alta, per tutta la sua lunga durata (poco più di due ore),da toccare perfino punte di disagio. Ed è anche un film visivamente molto forte dove la violenza, che permea anche le scene apparentemente più tranquille del film, raggiunge dei picchi di inusitata brutalità in parecchi punti (la sequenza in cui Llewelyn si aggira in mezzo ai cadaveri, tutti i momenti che mostrano in azione il sicario) e dove gli spogli e assolati paesaggi, che sembrano alludere all’aridità morale di Moss e della sua nemesi, ne amplificano l’impatto. I paesaggi hanno un ruolo fondamentale anche e soprattutto nell’impatto della tensione, suggerendo (benissimo) la sensazione che non esistono, in questo film, posti in cui ci si possa nascondere. Anche le scenografie degli interni non sono da meno: basti pensare all’angusta roulotte del protagonista, oppure alle altrettanto anguste stanze del motel nel quale si svolgono alcune scene importanti. Non è da sottovalutare nemmeno, nella riuscita di questa atmosfera angosciante, l’apporto sonoro. E qui bisogna sfatare una leggenda: la colonna sonora non è inesistente nel film, c’è (la firmò Carter Burwell), ma è minimalista e non invasiva, non ha mai la prevalenza sulle immagini e rimane volutamente sottotono. Viene dato, invece, un grande spazio ai silenzi ed il risultato di questa scelta è uno degli espedienti più riusciti, soprattutto quando è in scena il terribile killer pazzo interpretato da un memorabile Javier Bardem: le sue pause (e i suoi sguardi) durante i suoi deliranti dialoghi fanno aggrovigliare le viscere dello stomaco. A parte Bardem, bravissimo nel donare movenze davvero minacciose al personaggio del sicario, accentuandone gli aspetti brutali e imprevedibili che lo fanno addirittura giganteggiare sugli altri personaggi ,trasformandolo in una minaccia implacabile e spesso letale (nel cinema, oltre ai volti, contano anche i corpi), anche il resto del cast è altrettanto eccellente, cominciando (soprattutto) da Tommy Lee Jones che, con il suo volto scavato, riesce a suggerire l’amarezza e la disillusione dello sceriffo (un uomo invecchiato e messo davanti ad un mondo che non riesce più a comprendere e nemmeno ad accettare) e finendo con Josh Brolin alle prese con il personaggio di Llewelyn Moss, di cui riesce a mettere bene in risalto l’irresponsabile immaturità, il cinismo e la profonda debolezza di carattere. Gli interpreti sono ben aiutati da una splendida sceneggiatura che riesce anche a tratteggiare un sottile parallelismo fra la psicologia di Moss e quella della sua nemesi riuscendo a far trapelare, senza mai essere pedante, il monito della storia: fra la cieca bramosia di denaro e la follia più sadica e brutale non c’è che un passo.
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theallessioo
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sabato 28 novembre 2020
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...occorre la giust chiave di lettura per capire..
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... se si presta bene attenzione, si può scorgere un unica trama di fondo che lega i film di questi registi; questa non è sempre in risalto, spesso la si può intendere nascosta dietro l'ironia (Grande Lebowsky...), la comicità (Lady K...), il thriller (Burn After...), altre volte proprio più in primo piano (A Serious...). Quello che accadde a me, è di intenderla, dopo averla intravista nel più conosciuto "Il Grande Lebowsky" ed erroneamente famoso per la sua ironia, in questo nodo del tessuto significatico: "Non è un paese per vecchi".
Ad occhi di persone che avranno sicuramente avuto una vita "beata", tutto sembrerà scorrere senza particolari significati, una storia di violenza come ce ne sono tante.
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... se si presta bene attenzione, si può scorgere un unica trama di fondo che lega i film di questi registi; questa non è sempre in risalto, spesso la si può intendere nascosta dietro l'ironia (Grande Lebowsky...), la comicità (Lady K...), il thriller (Burn After...), altre volte proprio più in primo piano (A Serious...). Quello che accadde a me, è di intenderla, dopo averla intravista nel più conosciuto "Il Grande Lebowsky" ed erroneamente famoso per la sua ironia, in questo nodo del tessuto significatico: "Non è un paese per vecchi".
Ad occhi di persone che avranno sicuramente avuto una vita "beata", tutto sembrerà scorrere senza particolari significati, una storia di violenza come ce ne sono tante... ma sin dalle prime inquadrature, dalla colonna sonora e dal simbolismo, si pùò sospettare che ci sia dell'altro che questo film voglia comunicare.
Perchè allora così criptico?... perchè il messaggio è una sorta di messaggio incomunicabile esplicitamente, che perderebbe significato se non fosse trasmesso attraverso l'unico strumento giusto: il cinema. Il messaggio che con incredulità ho scorto unendo i nodi della trama di fondo, è, in sintesi, un monito per quello che è la vita realmente: un intrigo di azioni compiute da persone, mosse da malriposte considerazioni e pregiudizi sulle altrui intenzioni, razionalizzazioni che approssimano male la realtà, tutte con l'idea di avere il controllo sulle cose, quando in realtà l'unica legge che governa è l'aleatorietà di ogni cosa: la casualità.
Per quanto il primo falso-protagonista Llewelyn, cerchi di prestare attenzione ad ogni dettaglio, gli sfugge sempre qualcosa, il destino sembra remargli contro da quando ha trovato quella maledetta borsa piena di soldi. Meglio forse dire valigetta... Dall'altra parte, il "nemico" e secondo falso-protagonista Chigurh, pondera bene ogni azione, valutando ad ogni passo di non sporcarsi mai le scarpe e non lasciare alcuna traccia che possa far risalire a lui, e calcolando bene tutti i fattori che possono intercorrere ed intraporsi tra lui ed il suo obiettivo... i soldi della valigietta. Il terzo-falso protagonista, lo scieriffo che disgraziatamente deve indagare, perepisce di avere a che fare con qualcosa più grande di lui, di immondo, tanto da aver paura di rimetterci l'anima nel far parte di quel gioco.
Le vicende scorrono così, sempre a vantaggio di Chigurh che scofigge anche l'assoluta razionalità e calcolo di Carson Wells, un risolvi-problemi alla Mr.Wolf ingaggiato dai Messicani, dopo aver arruolato il traditore (...traditore ? ? ? ... ma non è detto che lo sia stato, almeno non secondo la sua natura) Chigurh, per recuperare la valigetta da quest'ultimo. Tutto sembra andare per il verso giusto per Chigurh, ma commette un errore: uccide una persona che nemmeno la moneta che è solito lanciare per far sciegliere al caso se dare un ultima possibilità a chi interferisce con lui, aveva facoltà di uccidere: questa persona rappresenta la devozione a Dio e la speranza del mondo di persone che non seguono la scia del denaro. Uccisa questa persona, controllatosi che gli stivali non fossero sporchi di sangue, Chigurh incontra il karma, il caso (... il caso o un intervento divino?) che finora a ben esorcizzato, lo tradisce e gli fa piombare addosso un auto ad un incrocio.
Ne esce con un osso del braccio fuori e mal ridotto, ma riesce comunque a ritrovare la sua via maledetta quando due ragazzini che hanno visto l'incidente lo aiutano regalandogli la camicia di uno dei due... Chigurh insiste perchè questo prenda dei soldi in cambio, ghignando ed insistendo perchè lo faccia, poi si allontana.
I ragazzini iniziano a litigare per dividersi i soldi... e da li chissa quante altre cose faranno per i soldi nel loro futuro.
Ora si è capito chi sono i due veri protagonisti del film?
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theallessioo
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sabato 28 novembre 2020
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... occorre l'unica chiave di lettura giusta per capirlo
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... se si presta bene attenzione, si può scorgere un unica trama di fondo che lega i film di questi registi; questa non è sempre in risalto, spesso la si può intendere nascosta dietro l'ironia (Grande Lebowsky...), la comicità (Lady K...), il thriller (Burn After...), altre volte proprio più in primo piano (A Serious...). Quello che accadde a me, è di intenderla, dopo averla intravista nel più conosciuto "Il Grande Lebowsky" ed erroneamente famoso per la sua ironia, in questo nodo del tessuto significatico: "Non è un paese per vecchi". Ad occhi di persone che avranno sicuramente avuto una vita "beata", tutto sembrerà scorrere senza particolari significati, una storia di violenza come ce ne sono tante.
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... se si presta bene attenzione, si può scorgere un unica trama di fondo che lega i film di questi registi; questa non è sempre in risalto, spesso la si può intendere nascosta dietro l'ironia (Grande Lebowsky...), la comicità (Lady K...), il thriller (Burn After...), altre volte proprio più in primo piano (A Serious...). Quello che accadde a me, è di intenderla, dopo averla intravista nel più conosciuto "Il Grande Lebowsky" ed erroneamente famoso per la sua ironia, in questo nodo del tessuto significatico: "Non è un paese per vecchi". Ad occhi di persone che avranno sicuramente avuto una vita "beata", tutto sembrerà scorrere senza particolari significati, una storia di violenza come ce ne sono tante... ma sin dalle prime inquadrature, dalla colonna sonora e dal simbolismo, si pùò sospettare che ci sia dell'altro che questo film voglia comunicare. Perchè allora così criptico?... perchè il messaggio è una sorta di messaggio incomunicabile esplicitamente, che perderebbe significato se non fosse trasmesso attraverso l'unico strumento giusto: il cinema. Il messaggio che con incredulità ho scorto unendo i nodi della trama di fondo, è, in sintesi, un monito per quello che è la vita realmente: un intrigo di azioni compiute da persone, mosse da malriposte considerazioni e pregiudizi sulle altrui intenzioni, razionalizzazioni che approssimano male la realtà, tutte con l'idea di avere il controllo sulle cose, quando in realtà l'unica legge che governa è l'aleatorietà di ogni cosa: la casualità. Per quanto il primo falso-protagonista Llewelyn, cerchi di prestare attenzione ad ogni dettaglio, gli sfugge sempre qualcosa, il destino sembra remargli contro da quando ha trovato quella maledetta borsa piena di soldi. Meglio forse dire valigetta... Dall'altra parte, il "nemico" e secondo falso-protagonista Chigurh, pondera bene ogni azione, valutando ad ogni passo di non sporcarsi mai le scarpe e non lasciare alcuna traccia che possa far risalire a lui, e calcolando bene tutti i fattori che possono intercorrere ed intraporsi tra lui ed il suo obiettivo... i soldi della valigietta. Il terzo-falso protagonista, lo scieriffo che disgraziatamente deve indagare, perepisce di avere a che fare con qualcosa più grande di lui, di immondo, tanto da aver paura di rimetterci l'anima nel far parte di quel gioco. Le vicende scorrono così, sempre a vantaggio di Chigurh che scofigge anche l'assoluta razionalità e calcolo di Carson Wells, un risolvi-problemi alla Mr.Wolf ingaggiato dai Messicani, dopo aver arruolato il traditore (...traditore ? ? ? ... ma non è detto che lo sia stato, almeno non secondo la sua natura) Chigurh, per recuperare la valigetta da quest'ultimo. Tutto sembra andare per il verso giusto per Chigurh, ma commette un errore: uccide una persona che nemmeno la moneta che è solito lanciare per far sciegliere al caso se dare un ultima possibilità a chi interferisce con lui, aveva facoltà di uccidere: questa persona rappresenta la devozione a Dio e la speranza del mondo di persone che non seguono la scia del denaro. Uccisa questa persona, controllatosi che gli stivali non fossero sporchi di sangue, Chigurh incontra il karma, il caso (... il caso o un intervento divino?) che finora a ben esorcizzato, lo tradisce e gli fa piombare addosso un auto ad un incrocio. Ne esce con un osso del braccio fuori e mal ridotto, ma riesce comunque a ritrovare la sua via maledetta quando due ragazzini che hanno visto l'incidente lo aiutano regalandogli la camicia di uno dei due... Chigurh insiste perchè questo prenda dei soldi in cambio, ghignando ed insistendo perchè lo faccia, poi si allontana. I ragazzini iniziano a litigare per dividersi i soldi... e da li chissa quante altre cose faranno per i soldi nel loro futuro. Ora si è capito chi sono i due veri protagonisti del film?
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giovedì 4 luglio 2019
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fantastico
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che regia, stupendo, inquadrature, dialoghi, la storia scorre fluida ed é difficile staccarsi dallo schermo. da vedere.
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rmarci 05
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giovedì 27 giugno 2019
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un film intriso di brutalità e rassegnazione
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I fratelli Coen firmano la loro opera più drammatica e disperata, intrisa di una brutalità che è riscontrabile soprattutto nel gelido sguardo del perfetto Javier Bardem, ma anche nel perfetto utilizzo della fotografia, negli scarsi ma efficaci dialoghi e nell’espressione rassegnata di Tommy Lee Jones di fronte alla delirante situazione del mondo contemporaneo, dominato dalle imprevedibili regole del caso e dal potenziale distruttivo della violenza, i cui effetti si riversano anche sugli innocenti senza alcuna pietà. Ciò che angoscia maggiormente , comunque, è “l’inesprimibile senso di malessere” (M.
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I fratelli Coen firmano la loro opera più drammatica e disperata, intrisa di una brutalità che è riscontrabile soprattutto nel gelido sguardo del perfetto Javier Bardem, ma anche nel perfetto utilizzo della fotografia, negli scarsi ma efficaci dialoghi e nell’espressione rassegnata di Tommy Lee Jones di fronte alla delirante situazione del mondo contemporaneo, dominato dalle imprevedibili regole del caso e dal potenziale distruttivo della violenza, i cui effetti si riversano anche sugli innocenti senza alcuna pietà. Ciò che angoscia maggiormente , comunque, è “l’inesprimibile senso di malessere” (M. Morandini) che si insinua nello spettatore, dovuto all’insensatezza di tutto il meccanismo di omicidi e violenza, alla reazione impotente della giustizia e, soprattutto, alla direzione sempre più preoccupante che sta prendendo il mondo, che dà l’idea di essere una strada senza via d’uscita. In conclusione, un film a metà tra western di frontiera ed intrigo hitchcockiano che trascende tutti e due i generi per occuparsi di un discorso più complesso (che condanna, inoltre, lo stile di vita tipicamente americano) in cui non c’è quasi spazio neanche per il raffinato umorismo tipico dei due registi, che gestiscono il tutto con triste consapevolezza ed ammirevole lucidità. Tutte le scelte stilistiche, come l’assenza della colonna sonora o la violenza esplicitamente realistica, sono funzionali al racconto. Uno dei migliori film dei fratelli Coen, imperdibile.
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fabio
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venerdì 15 febbraio 2019
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un buon thriller
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Del film la cosa migliore sono le eccellenti prove d'attore dei protagonisti.
Per il resto: il film regala un crescendo da "caccia all'uomo" per un'ora e mezza, salvo poi sterzare per un finale che tuttavia non risulta ugualmente efficace.
I Coen non hanno mai fatto un brutto film tuttavia stavolta non trovano la chiave migliore per trasmettere il messaggio.
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