aborrelli
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domenica 22 febbraio 2015
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non è un film per i coen
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Sembra che "Non è un paese per vecchi" voglia voglia presentare una realtà spietata, cruda, che non lascia via di scampo. Eppure nei confronti del feroce assassino tutti si comportano con cortesia, affabilmente. Anche i criminali nemici si comportano con lui in maniera mite, arrendevole, e si presentano indifesi e disarmati, lasciandosi gentilmente ammazzare.
Si cerca di riprodurre una realtà crudele senza regole, eppure di fronte a un uomo che spara e ammazza, che minaccia e terrorizza, che circola con un fucile da killer e a viso scoperto, che entra armato negli hotel e perfino nel quartier generale dell'organizzazione malavitosa da lui tradita, nessuno gli spara a sua volta (tranne che nello scontro con il cacciatore), nessuno si vendica, nessuno lo insegue, nessuno lo perseguita, nessuno lo affronta, nessuno lo sfida, nessuno lo picchia, nesuno lo bracca, nesuno lo denuncia, nessuno lo insulta nemmeno .
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Sembra che "Non è un paese per vecchi" voglia voglia presentare una realtà spietata, cruda, che non lascia via di scampo. Eppure nei confronti del feroce assassino tutti si comportano con cortesia, affabilmente. Anche i criminali nemici si comportano con lui in maniera mite, arrendevole, e si presentano indifesi e disarmati, lasciandosi gentilmente ammazzare.
Si cerca di riprodurre una realtà crudele senza regole, eppure di fronte a un uomo che spara e ammazza, che minaccia e terrorizza, che circola con un fucile da killer e a viso scoperto, che entra armato negli hotel e perfino nel quartier generale dell'organizzazione malavitosa da lui tradita, nessuno gli spara a sua volta (tranne che nello scontro con il cacciatore), nessuno si vendica, nessuno lo insegue, nessuno lo perseguita, nessuno lo affronta, nessuno lo sfida, nessuno lo picchia, nesuno lo bracca, nesuno lo denuncia, nessuno lo insulta nemmeno ... sembra quasi di vivere nel regno dei buoni e dei santi!
Persino la polizia, quella americana, una delle più spietate al mondo, si presenta sonnacchiosa e compassata, priva di ogni minima parvenza di mordente e di aggressività. I suoi funzionari tollerano tranquillamente l'assassinio brutale di un proprio collega, e non pensano affatto ad avviare la caccia all'uomo nei confronti dell'omicida, ad essi ben noto.
Insomma, una sceneggiatura piena di contraddizioni e di assurdità.
L'assassino viene più volte definito "psicopatico" ma in effetti è un efferato criminale che perpetra i suoi delitti con accurato studio e conoscenza di ogni dettaglio organizzativo e tecnico. E' un cinico che persegue i suoi appetiti con lucida determinazione. E' uno che uccide per i soldi. Ma questo non vuol dire essere pazzi. Non vi sono affatto in lui quegli elementi di disfunzione o debolezza o vulnerabilità che possano giustificare la definizione patologica, e che alla fine esporrebbero lui stesso a situazioni di pericolo, o quanto meno di imbarazzo e difficoltà, che nella storia appunto non compaiono per niente.
Quanto alla decantata suspance del film, quella tensione striscante che pure andava salendo dalle scene iniziali, essa si diluisce sempre più, finendo per perdersi, per tutta quanta la seconda metà, in una stanca sequenza di situazioni ripetitive e prevedibili.
L'intensità dell'azione sarebbe potuta crescere solo sviluppando il duello fra il serial killer e il cacciatore fuggitivo, unico personaggio che riesce a mettere sotto scacco l'antagonista. Ma questo tema viene sciaguratamente messo a parte e i due non si incontrano più, fino allo scialbo finale in cui il predicozzo moralista dello sceriffo riesce solo a risultare incongruente, patetico e posticcio.
Occasione di riscatto per il film potrebbe essere l'insano gesto finale del killer (questo sì unico segno di inquietante malessere mentale) che va a uccidere la moglie del cacciatore solo perché in precedenza da lui minacciata, anche se ormai l'attuazione della minaccia non ha più alcun senso. Il gioco dell'imponderabile casualità, più volte evocato, avrebbe potuto richiamare nell'azione qualcun altro dei soggetti coinvolti e costretto stavolta proprio il glaciale sicario a doversi giocare la vita a testa o croce davanti all'imprevisto. Ma anche qui incredibilmente la scena prosegue tra blande lamentele quasi filosofeggianti della ragazza (impensabili in un momento così drammatico e terribile), compunta e arrendevole dinanzi al suo imminente uccisore.
E' proprio l'assenza di un guizzo catartico, di una resa dei conti finale, che rappresenta forse la più odiosa mancanza di rispetto per il pubblico, già costretto a subire per due ore un'escalation di atmosfere cupe e oppressive.
In conclusione un film mediocre, che dimenticheremo senza molti rimpianti.
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great steven
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lunedì 9 febbraio 2015
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violenza allo stato brado per un esame sull'uomo.
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NON è UN PAESE PER VECCHI (USA, 2007) diretto da JOEL ED ETHAN COEN. Interpretato da TOMMY LEE JONES, JAVIER BARDEM, JOSH BROLIN, WOODY HARRELSON, KELLY MACDONALD, GARRET DILLAHUNT, TESS HARPER
Un sicario professionista dalla follia lucidissima commette un paio di omicidi a freddo servendosi della sua bomboletta di gas a cui è collegato un meccanismi di sparo capace di ammazzare a presa diretta. Dopo la sua rocambolesca comparsa, entra in scena Moss, che s’imbatte nel deserto in un camioncino circondato da cadaveri. Nel portabagagli rinviene un carico di eroina e una valigetta contenente due milioni di dollari. Il furto di quel denaro innesca un’ininterrotta reazione a catena di violenze letali che nemmeno un paziente e disilluso sceriffo riesce ad arginare.
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NON è UN PAESE PER VECCHI (USA, 2007) diretto da JOEL ED ETHAN COEN. Interpretato da TOMMY LEE JONES, JAVIER BARDEM, JOSH BROLIN, WOODY HARRELSON, KELLY MACDONALD, GARRET DILLAHUNT, TESS HARPER
Un sicario professionista dalla follia lucidissima commette un paio di omicidi a freddo servendosi della sua bomboletta di gas a cui è collegato un meccanismi di sparo capace di ammazzare a presa diretta. Dopo la sua rocambolesca comparsa, entra in scena Moss, che s’imbatte nel deserto in un camioncino circondato da cadaveri. Nel portabagagli rinviene un carico di eroina e una valigetta contenente due milioni di dollari. Il furto di quel denaro innesca un’ininterrotta reazione a catena di violenze letali che nemmeno un paziente e disilluso sceriffo riesce ad arginare. Il Texas del romanzo di Cormac McCarthy, pubblicato nel 2005, che la Paramount Village ha messo a disposizione dei fratelli Coen, è un paese di morti e per morti, un assolato universo fuori dal tempo, ma non dalla Storia, nel quale non esistono personaggi anziani in quanto il sonno eterno coglie minacciosamente le persone quando sono nel pieno della gioventù. Difficile dare una definizione di genere a questo film eccessivo, sfaccettato, delirante e camaleontico: un action thriller? Un noir con cadenze da melodramma? Un film d’avventura camuffato dietro le apparenze di un blockbuster più elevato del solito? Forse un insieme che racchiude tutte e tre queste descrizioni. Fatto sta che i Coen hanno saputo imbastire con efficacia incredibile una gelida metafora del nostro tempo, ponendo la morte al centro di un discorso che rappresenta i comportamenti violenti come l’innata espressione dell’animo umano, e raffigura la malattia diabolica della mente umana con la precisione di uno psichiatra che analizzi un cervello patologico. Non a caso vi appare un Bardem (premiato con l’Oscar al migliore attore non protagonista) nei panni di un assassino periodico il cui flemma implacabile è responsabile di uccisioni che danneggiano non tanto i corpi quanto l’onore, il valore e la costituzione psicologica delle sue vittime, ignare del pericolo fino all’ultimo secondo della loro esistenza, dal momento che questo psicopatico impazzito agisce con una rapidità sconcertante. Non c’è cinefilia compiaciuta né nostalgia del passato e dei suoi miti in questa sfilata di cadaveri putrefatti esposti al sole. Con la loro scrittura classicheggiante, ma ricca di scarti e sottrazioni, deviazioni e stonature calcolate, i Coen arrivano allo zenith dell’immenso quadro della malevolenza umana dipinto con una sagacia da detrattori e una stupefacente carica di pessimismo cosmico che però non chiude i battenti alla speranza in extremis (ne è un esempio il personaggio della Macdonald, l’unico di risalto fra quelli femminili, simbolo della purezza interessata e dell’innocenza di per sé ignorante ma in fin dei conti anche discolpante). La pellicola coinvolge, fa aspettare, sorprende, perfino diverte, ma lascia dentro una sofferenza inesprimibile. Un colpo di genio che non va assolutamente trascurato è la decisione di inserire una colonna musicale praticamente assente: solo i rumori del deserto e della vita metropolitana scandiscono il tempo ritmico di questo capolavoro di abbondante sarcasmo e analisi autoreferenziale dell’homo sapiens inteso come animale disposto a versare sangue pur di ottenere i suoi obiettivi. Funzionale Brolin nella parte del protagonista fuggiasco: loquace, circospetto e propenso a correre tutti i rischi necessari per salvaguardare la sua preziosa refurtiva. Bravo anche T. L. Jones in un inconsueto ruolo positivo, ma pur sempre affiliato ad un’associazione, la quale, in questo caso, provvede all’ordine pubblico e garantisce (o almeno cerca di garantire) una sicurezza unanime e univoca. Oltre a Bardem, hanno ricevuto l’Oscar anche il film, i due registi e gli sceneggiatori, che hanno saputo trarre dalle pagine scritte di McCarthy un succo significativo che rasenta una profondità di sensi e sensazioni entrambi ugualmente carismatici e controversi. Due Golden Globe: sceneggiatura e Bardem.
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mdelgaudio
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martedì 3 febbraio 2015
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troppo poco
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Una borsa piena di soldi, bande rivali e un eroe solitario, uno sceriffo stanco e disincantato, un assassino che si muove, parla e uccide senza cambiare mai espressione.
Da questi elementi muove l'intreccio di questa storia, narrata fra le desolate freeways texane e il confine messicano, giocata fra le scorribande di delinquenti di frontiera e il fatalistico abbandono all'imponderabile di chi vorrebbe tutelare l'ordine ma capitola di fronte a qualcosa che sente più grande di lui.
Le atmosfere sono cupe, intrise di un pessimismo risoluto.
L'incombere di un destino spietato che nella sua furia distruttrice non risparmia nessuno, prevale su ogni possibile barlume di speranza, su ogni minima possibilità di ribellione.
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Una borsa piena di soldi, bande rivali e un eroe solitario, uno sceriffo stanco e disincantato, un assassino che si muove, parla e uccide senza cambiare mai espressione.
Da questi elementi muove l'intreccio di questa storia, narrata fra le desolate freeways texane e il confine messicano, giocata fra le scorribande di delinquenti di frontiera e il fatalistico abbandono all'imponderabile di chi vorrebbe tutelare l'ordine ma capitola di fronte a qualcosa che sente più grande di lui.
Le atmosfere sono cupe, intrise di un pessimismo risoluto.
L'incombere di un destino spietato che nella sua furia distruttrice non risparmia nessuno, prevale su ogni possibile barlume di speranza, su ogni minima possibilità di ribellione.
Tutti vengono travolti, innocenti e criminali, coraggiosi e pavidi, uomini e donne.
E anche l'energia caparbia del cacciatore / saldatore / reduce del Viet Nam, unico personaggio che osa sfidare l'inesorabile, viene compressa e frustrata, relegata in secondo piano rispetto alla primazia del nichilismo assoluto.
La violenza, pur non frequentissima, è a tratti gratuita, superflua. Ne sarebbe bastata la metà per conservare al film la sua carica sconsolante e disperata.
In quest'opera dei Coen viene a mancare quella carica sarcastica e graffiante che caratterizzava alcune loro precedenti realizzazioni. Qui essi si cimentano con un linguaggio astratto e glaciale, con la pretesa di una narrazione rarefatta e dal taglio appuntito.
Ma nella insistente ricerca di esiti eccessivi, la sceneggiatura diventa poco accurata e spesso incongruente.
Dopo una prima parte in cui l'impasto degli antefatti prometteva uno sviluppo ben più adrenalinico, il film comincia a perdere colpi, si ripiega su se stesso e declina stancamente nella ripetitività di un cliché ossessivo, fino alla desolante aridità del finale - non finale.
Non basta a riscattare la vicenda dalla sua monotonia e prevedibilità la tirata moraleggiante dello sceriffo nel finale, nella quale, più che una insignificante resa di fronte alla ineluttabilità del male, null'altro è dato cogliere.
Per chi riponeva più elevate aspettative nei confronti del collaudato duo di registi / sceneggiatori, tutto ciò è troppo poco. Davvero troppo poco, troppo vuoto, troppo niente.
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giulio dispenza
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giovedì 20 novembre 2014
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il "western moderno" dei coen
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Dopo i grandi successi Fargo e il Grande Lebowsi i fratelli Coen decidono di tornare alla ribalta con il loro nuovo film, quello che può essere definito il ""wester moderno" per eccellenza. Adattando a sceneggiatura cinematografica il romanzo di Cormac Mc Carthy. Ci troviamo all'inizio degli anni '80 in Texsas dove un reduce della guerra del Vietnam, durante una partita di caccia nelle infinite e desolate distese del vasto stato americano viene in possesso di una valigetta contenente due milioni di dollari appartenente ai cartelli della mafia messicana. Questo darà vita a una spietata caccia all'uomo lasciando dietro di se numerosi cadaveri.
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Dopo i grandi successi Fargo e il Grande Lebowsi i fratelli Coen decidono di tornare alla ribalta con il loro nuovo film, quello che può essere definito il ""wester moderno" per eccellenza. Adattando a sceneggiatura cinematografica il romanzo di Cormac Mc Carthy. Ci troviamo all'inizio degli anni '80 in Texsas dove un reduce della guerra del Vietnam, durante una partita di caccia nelle infinite e desolate distese del vasto stato americano viene in possesso di una valigetta contenente due milioni di dollari appartenente ai cartelli della mafia messicana. Questo darà vita a una spietata caccia all'uomo lasciando dietro di se numerosi cadaveri. Spietato, freddo e realistico questi possono essere i principali aggettivi per descrivere la nuova pellicola dei due acclamati registi. Una violenza molto diversa dagli altri film. Infatti ci troviamo di fronte a un particolare realismo e cinismo dei Coen, rappresentando gli omicidi non i chiave "pulp tarantinana" ma in uno stile del tutto realistico e morale che si vvicina per molti versi a quello rappresentato da Martin Scorsese in "The Departed". Oltre alla straordinaria capacità dei rigesti di manterene attiva l'attenzione dello spettatore anche con i numerosi monologhi o scene non dialogate , salta subito all'attanzione la quasi totale assenza della colonna sonora, un elemento non di poco spessore, che rappresenta l'intenzione dei registi a mantenere un profilo il più realistico possibile. Oltre ai numerosi omicidi, la sceneggiatura non manca di sottolineare una importante chiave morale al racconto per voce di quello che può essere considerato il personaggio principale, lo sceriffo interpretato da Tommy Lee Jones. Infatti atttraverso un lungo monologo all'inizio e alla fine del film, egli rappresenta la vecchia generazione, che non è più in grado di stare al passo con l'escalation di violenza e immoralità che sta invadendo il paese, da qui il titolo "Non è un paese per vecchi".
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claudiofedele93
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domenica 16 marzo 2014
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un grande film degno dei coen: cinico e spietato!
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Texas 1980. Siamo al confine tra Stati Uniti e Messico, in un paese che sembra aver abbandonato i vecchi valori per cadere in preda ad una violenza cieca e incontrollata; tale violenza si incarna perfettamente nello psicopatico Chigurh (Javier Bardem), sicario di professione munito di una micidiale filosofia di vita ed una morale perversa. Il suo avversario è lo sceriffo Bell (Tommy Lee Jones) un uomo del passato, vecchio, stampo che non sa farsi una ragione riguardo alla perdita dei valori e dei cambiamenti repentini del mondo e della società. Entrambi sono alla ricerca di Llewelyn Moss (Josh Brolin) che trovatosi accidentalmente in una sparatoria in mezzo al deserto adesso sta fuggendo con una borsa piena di soldi.
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Texas 1980. Siamo al confine tra Stati Uniti e Messico, in un paese che sembra aver abbandonato i vecchi valori per cadere in preda ad una violenza cieca e incontrollata; tale violenza si incarna perfettamente nello psicopatico Chigurh (Javier Bardem), sicario di professione munito di una micidiale filosofia di vita ed una morale perversa. Il suo avversario è lo sceriffo Bell (Tommy Lee Jones) un uomo del passato, vecchio, stampo che non sa farsi una ragione riguardo alla perdita dei valori e dei cambiamenti repentini del mondo e della società. Entrambi sono alla ricerca di Llewelyn Moss (Josh Brolin) che trovatosi accidentalmente in una sparatoria in mezzo al deserto adesso sta fuggendo con una borsa piena di soldi. Tutti agiscono spinti da una necessità ineluttabile, in un mondo dove solo gli spietati sopravvivono e dove si può scegliere soltanto in quale ordine abbandonare la propria vita.
Una regia sempre raffinata ed impeccabile ed un plot narrativo che sa il fatto suo, ecco le fondamenta su cui si basa il cinema dei Coen ed anche in questo caso, come per gran parte (se non tutti) dei loro lavori i due fratelli non mancano il bersaglio riuscendo, alla fine, a portare a casa un prodotto al passo con i tempi, dal passato recente chiama in causa il nostro presente, intriso di quella spettacolarità e quella morale dilaniante e spaventosamente reale. Ecco, dunque, il mondo in cui agiscono i personaggi usciti dalla penna di McCarthy, un universo privo di idee, di morale e buoni sentimenti. Si potrebbe pensare ad una visione un po’ troppo azzardata ed una rappresentazione eccessiva della società, eppure, se ci guardiamo attorno possiamo comprendere con i nostri occhi che quanto orchestrato da questi due cineasti non è ormai tanto diverso dalla vita che affrontiamo tutti i giorni, un’esistenza che si trascina sempre più verso il caos e l’odio.
Ecco dunque un duello a tre nelle vaste praterie del Texas, un inseguimento ove ogni componente ha la sua fede e la sua prospettiva di vita, aspetti che però hanno poca rilevanza di fronte al fatto che prima o poi, in un mondo brutale come questo, tutto ciò a cui teniamo verrà trascinato o portato via da qualcuno. Un film che, dunque, parla di uomini crudeli e di uomini sconfitti, che fa della violenza non un fattore estetico (e qui potremmo chiamare in causa Tarantino) ma un elemento costante, un aspetto comune nonché sempre presente in noi ma sopratutto attorno a noi dal quale è bene difendersi.
Dietro ad una regia sempre attenta, a cui non è oggettivamente possibile obbiettare la minima svista, al di là delle belle panoramiche e delle tante riprese ricche di pathos, in No Country for Old Men vi è sopratutto una sceneggiatura che sa il fatto suo, la quale si dimostra essere costantemente ricca di dialoghi, a volte riempiti di quel sarcasmo tanto geniale quanto grottesco che contraddistinguono le opere de “Il Regista a due Teste”, che meritano assolutamente di entrare nell’immaginario collettivo e di sequenze spettacolari, condite da un perenne mancanza di tracce audio il cui scopo è quello di enfatizzare in ogni momento l’azione e concentrare l’attenzione dello spettatore.
A concludere il tutto, vi è un cast d’eccezione dove a farla da padrone è senza ombra di dubbio lo spagnolo Bardem nelle vesti di Anton Chigurh, un sicario dal passato oscuro nonché volto ed essenza del male, una figura che è difficile dimenticare sia per il perverso carisma che per il modo in cui immediatamente, fin dalla prima sequenza, riuscirà ad attirare l’attenzione dello spettatore con i suoi modi ambigui e le sue frasi talvolta apparentemente prive di senso. Ottime, inoltre, le scenografie e la fotografia capaci di ricreare ad hoc le atmosfere degli anni ’80 e della frontiera americana dell’epoca.
Non è un Paese per Vecchi è il capolavoro dei Coen? Difficile dirlo, in tutta sincerità, ma se così non fosse rimane comunque un prodotto imperdibile ed uno dei migliori film degli ultimi anni. E’, forse ad un primo impatto, la loro opera più ordinaria e quadrata sotto certi punti di vista, ma rimane comunque una pellicola potente che mescola spettacolarità e morale (ma lascia da parte la retorica) dove è impossibile annoiarsi e rimanere delusi. Dinanzi ad una carriera che comprende produzioni che hanno dato vita a film cult come Il Grande Lebowski, Fargo e Il Grinta è davvero difficile capire dove No Country for Old Men si inserisca e se ciò di cui si è appena scritto sia davvero il miglior lungometraggio mai realizzato dai due fratelli. Al di là di frivoli dubbi e vane incertezze, questo eccellente lavoro resta da vedere e rivedere da appassionati, fan e spettatori casuali ma che hanno molta voglia di conoscere e sperimentare la vera settima arte perché nella sua semplicità e nella sua grottesca morale si respira a pieni polmoni l’animo e l’essenza del cinema di Joel ed Ethan Coen.
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toty bottalla
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mercoledì 5 febbraio 2014
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un thriller western tra soldi, droga e sangue!
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Storia ispirata a un romanzo che i fratelli coen diriggono puntando su uno stile freddo ed efficace, lasciando parlare le immagini e i silenzi, in un vero western la faccenda tra: chigurh e moss finirebbe in un duello, invece qui non viene evidenziata, privileggiando un filone cinico e progressivo che nella sua lucida follia ha il volto di javier bardem: straordinario. Saluti.
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gordongekko
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domenica 2 febbraio 2014
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tra i più brutti e schifosi mai visti
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una vera porcheria, regno dell'inutilità, tranne per chi ha psicotiche mire delinquenziali......
storiella di minore originalità di un telefilm poliziesco....
coen & c, mettiamoci il quintino visto lo stile, che li rinchiudano in una clinica psichiatrica e che buttino via la chiave.....
ah, per completare il quadro, bardem bastava che si facesse imbalsamere la faccia e poteva fare tutto il film solo facendosi doppiare.....
[+] non sense
(di micheledb)
[ - ] non sense
[+] neanche io comprendo
(di mdelgaudio)
[ - ] neanche io comprendo
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pao_1093
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venerdì 31 gennaio 2014
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intenso
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Film che ti prende dentro e ti lascia con il fiato in sospeso fino alla fine. Javier Bardem unico ed irripetibile nel contesto. Riesci a personalizzarti nel cittadino medio americano texano che vive la realtà tra pericolo e monotonia
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rosemberg
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lunedì 2 dicembre 2013
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cose che non capiamo
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Vero e proprio capolavoro di regia dei fratelli Coen (prima di essere un film è soprattutto una grandiosa opera letteraria del grande Cormac McCarthy),questo film del 2007 si presenta come assoluto punto di rottura tra cinema del passato e cinema moderno,tra la classica storia "europea" gonfia di sentimento,di passione e di intensa riflessione intellettuale e filosofica,e il cinema spicciolo,violento e macho che dagli anni 60 in poi ha sempre più dominato il panorama hollywoodiano. La storia si svolge in un torbido deserto,nei luoghi tanto cari a Mc Carthy,città semi-deserte in cui vige la legge del più forte,in cui furti,sparatorie e questioni risolte col sangue sono all'ordine del giorno.
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Vero e proprio capolavoro di regia dei fratelli Coen (prima di essere un film è soprattutto una grandiosa opera letteraria del grande Cormac McCarthy),questo film del 2007 si presenta come assoluto punto di rottura tra cinema del passato e cinema moderno,tra la classica storia "europea" gonfia di sentimento,di passione e di intensa riflessione intellettuale e filosofica,e il cinema spicciolo,violento e macho che dagli anni 60 in poi ha sempre più dominato il panorama hollywoodiano. La storia si svolge in un torbido deserto,nei luoghi tanto cari a Mc Carthy,città semi-deserte in cui vige la legge del più forte,in cui furti,sparatorie e questioni risolte col sangue sono all'ordine del giorno. E,ovviamente,non poteva mancare la voce di sottofondo dello sceriffo della contea (un Tommy Lee Jones allucinante per quanto è bravo!),la voce della coscienza,la voce dell'uomo che non ne può più,che non riesce più a stare al passo coi tempi,perché "troppo vecchio" per il suo paese. Succedono cose in No country for old man,cose difficili da capire,difficili da digerire,difficili da accettare. Un serial killer sadico e senza legge (il premio oscar Javier Bardem)è alla ricerca di una valigetta che contiene diversi milioni di dollari,valigetta ritrovata sul luogo di un massacro da Llewelyn Moss (Josh Brolin sembra nato per la parte del cowboy vecchia maniera) durante una battuta di caccia poco fortunata. Inizia così uno scontro spietato tra due uomini molto diversi ma efficacemente duri entrambi,una caccia che verrà risolta,quasi come in tutte le opere di McCarthy,da un episodio del tutto estraneo alla trama. Quello che sembrano volerci dire i Coen (da notare che i due fratelli non hanno alterato neanche minimamente la trama del libro) è che il mondo,o meglio,che la razza umana,sia lasciata ai suoi impulsi primitivi sia quando utilizza al pieno le sue capacità razionali,non può fare a meno di essere crudele,malvaggia,sadica,sanguinosa. Ma c'è anche un altro punto,e questo è a mio avviso il più interessante:la storia del film è una storia,una storia con dei personaggi ben precisi che fanno quello che devono fare rispondendo unicamente alle loro svariate nature. Una cosa del genere dovrebbe concludersi entro i limiti di ciò che accade,ma non è così. Ciò che realmente questo film ci dice è che non sia altro che una parte del tutto e che,nonostante tutte le precauzioni prese (il buon Llewelyn lo potrebbe confermare) si finisce sempre con l'essere fregati da un evento che non era possibile premeditare. E così i Coen ci mostrano nell'arco di quello che è il loro capolavoro assoluto (spero che il Drugo non se la prenda con me!) la vita per quello che è,in tutta la sua brutalità,in tutta la sua idiozia,in tutta la sua fragilità. E,pre finire,dico solo che il film è del tutto privo di colonna sonora. Avevo detto reale?
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