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Storia 'poconormale' del cinema: il giallo (4)

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema.
di Pino Farinotti

Puntata 48
Alfred Hitchcock (Alfred Joseph Hitchcock) 13 agosto 1899, Londra (Gran Bretagna) - 29 Aprile 1980, Los Angeles (California - USA).

venerdì 22 gennaio 2010 - Focus

Puntata 48
Un londinese 28enne obeso, nel 1929 dirigeva Ricatto, un film che già conteneva tutto ciò che per quasi sessant'anni sarebbe stata definita la magia di Alfred Hitchcock. Non è certamente un caso che "Hitch" sia un regista famoso come un divo, grazie anche ai suoi interventi, i camei, inserti dei suoi film, e alle sue presentazioni come testimonial di serie televisive di grande gradimento. Sempre nel concetto lato del giallo, inglese, se Agatha e Doyle significano la penna, Hitchcock è la macchina da presa. La sua grandezza sta nelle vaste possibilità di lettura dei suoi film, e nella sua cultura. La grande capacità di mimetizzare, garantire la qualità a contatto di film troppo colorati, persino patinati, con modelli troppo belli, alludo al periodo hollywoodiano, è un' attitudine ancora più rilevante. Naturale dono del thriller, umorismo, conoscenza dell'animo umano, una veniale dose di perversità, e poi il sortilegio non definibile del cinema, un suo fotogramma lo cogli subito, è la qualità dei maestri: ecco la formula del successo, presso tutti i paesi e le civiltà, di questo autore di cinema. Il tema centrale non ha molte varianti, prevale la vicenda di un uomo che suo malgrado, improvvisamente, si trova in una contingenza drammatica e deve uscirne dimostrando la sua innocenza. Valgono, in questa chiave alcuni dei suoi primi titoli del periodo inglese: Giovane e innocente, Il club dei 39, la prima edizione de L'uomo che sapeva troppo. Da questo nodo si dipanano tutte le possibili sfumature del comportamento umano, con tante tesi sviluppate rispetto ai momenti storici, il delitto, lo spionaggio, l'amore e anche la morte, l'immancabile Freud.

Dialettica
La dialettica critica, alla quale il regista inglese ha dato naturalmente tanta linfa, ha interpretato Hitchcock secondo il suo linguaggio "purista" dei primi periodi e la sua magniloquenza hollywoodiana, privilegiando la prima fase. In realtà, nonostante una palese evoluzione estetica, il regista non ha mai cambiato i contenuti, li ha semplicemente lucidati in California. I prezzi pagati, se l'artista ha dovuto pagare, non erano certo a scapito del rigore. Nel tempo, nel quadro dell'evoluzione generale della comunicazione e delle arti, Hitchcock, ignorato per decenni dalla critica prevalente, quella che faceva testo, depennato dalle liste dei titoli e degli autori nobili del cinema, i Welles, i Bergman, gli Stroheim e i Fellini, estraendo di getto alcuni nomi, si è visto riabilitare. Il suo Vertigo (La donna che visse due volte), nell'era recente è stato posto al secondo posto della classifica assoluta.

Facce
Hitchcock ha affrontato tutte le facce del tema. Il delitto perfetto è un giallo puro, con una soluzione (la chiave sotto il tappeto) che avrebbe potuto appartenere alla Christie. In Rebecca, di derivazione letteraria (Du Maurier) i toni sono romantici, persino melò. Poi ci sono i freudiani, come Io ti salverò e Marnie. C'è il surreale legato all'horror, Gli uccelli; il tema della guerra fredda in Topaz, il nazismo in Notorious; l'alta mondanità-quasi-commedia di Caccia al ladro. C'è il paranormale in Complotto di famiglia e ancora il Freud "duro" di Psyco. Hitchcock è davvero una presenza ingombrante, come lo sono i legislatori. Ha aperto nuove vie e poi le ha richiuse. Come i grandi capostipiti dell'arte figurativa ha costretto contemporanei e successori a percorrere quella via. "Hitchcockiano", è noto, è un lemma. E viene abitualmente attribuito a un thriller, se è di indiscussa qualità. "Hitch" era un tal fuoriclasse, da non essere neppure competitivo. Un autore, anche molto importante, si ispirava a lui, e neppure lo dissimulava.

Truffaut
François Truffaut nel '67 ha diretto La sposa in nero, dichiarando apertamente di aver rifatto Hitchcock. In effetti quel film, che narra la vendetta di Jeanne Moreau sugli assassini del marito, è un preciso esercizio in quel senso, a cominciare dalla musica, ai movimenti della macchina, al montaggio. Ho spesso scritto di Hitchcock, in pezzi specifici, per esempio in occasione dei 50 anni di Vertigo, che molti ritengono il vertice del suo percorso. Sembra che il maestro abbia trovato questo libretto, firmato da Boileau e Narcejac, su una bancarella a Parigi. Un romanzetto di nessuna qualità diventato un titolo leggendario. Trattasi di uno dei rari casi in cui un film prevale, e di quanto prevale, sul libro.

"… Il plot è strano, da romanzo d'appendice, straripante di melò, nessuna nobiltà o letteratura. Un uomo si innamora due volte di una donna che crede diversa ma è la stessa (leggere la recensioni di Mymovies). La donna è ossessionata da un'antenata, morta di pazzia e di dolore. Anche lei morirà due volte. Subito sospetti tutto quanto, il mistero, i fantasmi e i demoni, sospetti… Hitchcock. Il preludio di Bernard Herrmann aggredisce e avvolge i titoli iniziali. Un volto di donna in primo piano, le labbra e poi l'occhio nel quale entra, circolare come una punta a spirale, il fraseggio principale della colonna, aggressivo e inquietante, un vero precedente, non riproducibile, perfetto come una sfera. Il preludio, dal titolo "Scena d'amore", è stato usato per lo spot dei gioielli Damiani, nel 2008,… mezzo secolo dopo dunque, e non si sarebbe potuto trovare di meglio. Il protagonista, James Stewart, è devastato da una forma di acrofobia che gli impedisce di fare le scale. Un'invenzione comoda, quasi grottesca, per essere funzionale al racconto, ma proposta da Hitchcock, dunque giusta. Stewart, amatissimo dal regista, era soprattutto un modello western, comunque eroe candido e dinoccolato e di scarso erotismo (non era un Gable o un Cooper). Il regista te lo vende come amoroso struggente e tragico. E tu lo compri. E Kim Novak è un'altra che non esisterebbe, astratta e distratta, monoespressiva, un disegno biondo sospeso fra le ossessioni del passato e del presente. E tutto, tutto, viene avocato e ridotto alle esigenze di Hitchcock. Il Golden gate, il ponte d'oro di San Francisco sembra un elemento del set, smontato la sera, ripristinato la mattina. Come sarebbe successo l'anno dopo con le icone dei Presidenti del monte Rushmore in Intrigo internazionale. Opere e monumenti che sembrano esistere perché esistono quei film. E niente è reale, verosimile, naturale, niente è normalmente umano. E' solo puro cinema, costruzione, è il "momento e la cifra che esulano da tutti i codici", detti sopra. Stewart pedina, a piedi e in macchina la Novak. La segue in un museo vuoto. La segue in un cimitero, vuoto. Si nasconde tra i fiori, esplosi, ipercolorati, che sarebbero estranei all'estetica del racconto. I due camminano nelle strade della città, nelle piazze, vuote per ospitare il film. E' inutile cercare verosimiglianza, surreale, paradosso". Quel cinema scivola via dalle definizioni, come l'acqua da un cesto. Gli aggettivi, non trovati, stanno nella magnifica capacità illogica che può appartenere al cinema, anche al più rigoroso. Il finale del racconto sembrerebbe improvvisato, banale, ma, ancora una volta Hitchcock lo legittima con la sua autorevolezza. Stewart costringe Kim Novak a tornare sul luogo del mistero, salgono su una torre, lassù tutto sarà spiegato, non si saranno più spazi, il sipario si squarcerà, la donna dovrà rispondere al passato e al destino. Tutto altissimo melò. In cima alla torre, nel buio, la donna dovrà precipitare, raggiungere l'"altra". Ed ecco apparire dal nulla, dal nero, una suora. La donna, terrorizzata precipita, Stewart, che non poteva essere un assassino, assiste dall'alto. E' l'ultima scena del film. I codici legittimi venivano sostituiti dai codici anomali, ma sì sbagliati, di Hitchcock, solo che da quel momento diventavano giusti. Entravano in gioco altre variabili. E' il mistero governato dalle regole e dalla patologia artistica del Maestro capace di legare i polsi e il collo dello spettatore a uno scranno, e costringerlo a rimanere, attonito e in pericolo, nella cripta di Tutanchamon. Codici o non codici. Tutte queste invenzioni, questi "errori", hanno portato Vertigo in cima a quella classifica. Inutile analizzarlo, definirlo. Ogni argomento sarebbe buono, così come il suo contrario. E' il cinema, soprattutto quello grande, che è così…"

Incanto
Ma il grande sortilegio, il segnale dell'incanto e del prodigio, sta nella capacità dell'autore di fissare dei modelli intoccabili. Un concetto che ribadisco. Un uomo corre sul profilo di una collina, attraversa un ponte romano nella brughiera. Una macchina costeggia la riva del mare di notte, la luna si riflette sull'acqua. Sono estetiche, sono sentimenti che Hitchcock affonda nelle cellule della nostre coscienza e memoria e che rimarranno lì. Anche altri autori mostrano colline e strade lungo il mare, ma la memoria non le trattiene. Alfred Hitchcock non è solo un testimone, un narratore che possiede l'attitudine inglese del giallo. E' un artista dal mistero potente, che ti porta nel suo mondo diverso, te lo fa riconoscere, e una volta che ne sei uscito, te lo rammenta come un approdo felice. Potrai tornarci. Adesso basta un dvd, i film di Hitchcock sono stati editati, tutti.

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