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dal film Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu (2007)
Claudio Santamaria Rino Gaetano
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Talmente abile da innescare tutto il suo fascino magnetico nello sguardo di un non vedente ossessionato dalle note di Almost Blue. Così camaleontico da riuscire a incutere timore a nemici inermi in un Romanzo Criminale. Tanto audace da permettersi di far risorgere dalle ceneri un genio sregolato come Rino Gaetano. Carismatico, eclettico e dotato di un sex appeal da strafottente outsider: in due parole, Claudio Santamaria.
Formazione ed esordi
Nato nella Città Eterna e cresciuto nel quartiere Prati, il divo frequenta il Liceo artistico prima di avviare una breve parentesi nel mondo del doppiaggio.
Si iscrive al corso triennale di Acting Training, tenuto da Beatrice Bracco.
Dopo aver tentato invano di essere ammesso all'Accademia, Claudio debutta in teatro con "La nostra città" di Stefano Molinari.
Si esibisce sul palcoscenico sotto la direzione di Furio Andreotti e al fianco di Paola Cortellesi con la compagnia Area Teatro.
Nel 1997 avviene l'esordio sul grande schermo nei Fuochi d'artificio di Leonardo Pieraccioni.
In seguito, il ragazzo compare ne L'ultimo capodanno di Marco Risi, nonché ne L'assedio di Bertolucci.
Si fa notare in Ecco fatto, opera prima di Gabriele Muccino dove è un liceale che cerca di conseguire per la terza volta la maturità.
Riconoscimenti e cinema della maturità
Alle soglie del nuovo millennio, Santamaria si aggiudica la prima nomination ai Nastri D'Argento, grazie al giovane cieco che collabora alle indagini che conducono a uno spietato serial killer, nell'inquietante Almost Blue di Alex Infascelli.
Nel 2001, l'interpretazione del trentenne affetto dalla sindrome di Peter Pan ne L'ultimo bacio gli frutta la candidatura al David di Donatello.
Il 2002 lo vede dare vita all'ozioso studente Pentothal nella commedia Paz!. Questo insolito personaggio, partorito dalla fantasia del fumettista Andrea Pazienza, gli vale la seconda menzione da parte del Sindacato Nazionale dei Giornalisti Cinematografici Italiani.
Nei dodici mesi successivi, arriva ancora una nomination ai Nastri D'Argento per la convincente perfomance dell'aspirante attore in Passato prossimo. Il 2005 è l'anno del Romanzo criminale firmato da Michele Placido, crime-movie incentrato sulle vicende della Banda della Magliana. È qui che l'artista si conferma tra i maggiori protagonisti dell'attuale panorama cinefilo nostrano, seminando terrore nei panni di un delinquente fanatico, meglio conosciuto come Il Dandi della gang che, tra i '70 e gli '80, ambiva al dominio della capitale. Finalmente, Claudio si porta a casa il tanto agognato Nastro d'Argento come Miglior Interprete Protagonista, vinto ex-aequo con Kim Rossi Stuart e Pierfrancesco Favino. Nello stesso anno prende parte al film di Pupi Avati, Ma quando arrivano le ragazze?
Gli anni recenti
Nel 2006 si cimenta nello spietato attentatore Carlos in Casino Royale, 21esima pellicola sull'Agente 007. L'anno dopo lo troviamo a incarnare in modo splendido il compianto cantautore calabrese Gaetano, nella fiction RAI prodotta da Claudia Mori: Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu.
Sempre nel 2007, decide di rinchiudersi al Bellevue Hotel Aspettando il sole nel noir di Ago Panini. Si trasforma, inoltre, nel mafioso Antonio Perrone nel biografico Fine pena mai, viene coinvolto in riti esoterici nell'horror Il buio intorno e, nel 2008, si improvvisa spaventapasseri nel western moderno Birdwatchers.
Il 2009 recita nel film Il caso dell'infedele Klara, di Roberto Faenza, dove interpreta il ruolo di Luca, musicista italiano che vive a Praga in preda a un'incontrollabile gelosia nei confronti di Klara, sua fidanzata in procinto di laurearsi. Il 2010 lo vede recitare il ruolo di Paolo nel film di Gabriele Muccino, Baciami ancora, sequel de L'ultimo bacio. Nel 2011 l'attore appare nel film drammatico di Crialese Terraferma e nella commedia anni '70 I primi della lista, diretto da Roan Johnson. Il 2012 lo vede ancora una volta impegnato in film drammatici: partecipa infatti a Gli sfiorati, secondo lungometraggio di Matteo Rovere, tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore Sandro Veronesi, e a Diaz - Non pulire questo sangue, che racconta gli avvenimenti del drammatico G8 di Genova.
Ha prestato la sua voce a Eric Bana in Munich, nonché a Christian Bale in Batman Begins. Interpreterà poi un supereroe "di casa nostra" in Lo chiamavano Jeeg Robot, pluripremiato lungometraggio d'esordio di Gabriele Mainetti presentato con successo alla Festa del Cinema di Roma 2015, per il quale si è aggiudicato il David di Donatello come miglior attore protagonista.
Mainetti lo rivorrà anche nel film successivo, Freaks Out, ma nel frattempo reciterà anche per Cosimo Gomez (Brutti e cattivi), Salvatores (Tutto il mio folle amore) e Muccino (Gli anni più belli).
Appassionato di musica, il divo ha cantato un brano "Il Pendolo" - tratto dall'ultimo cd degli EQU, intitolato "Liquido".
Santamaria ha una figlia, Emma, avuta dalla compagna Delfina Delettrez Fendi, rampolla di casa Fendi.
"E racconta cose che ho visto con i miei occhi: a Roma, sulla Nomentana alta, a volte capita di vedere uno steso per terra perché è stato preso a botte da qualcuno cui doveva dei soldi". "Guido e Franco sembrano i due protagonisti del Sorpasso per quanto sono male assortiti", continua Santamaria. "Franco è guascone e istrionico, Guido è chiuso in se stesso e non dà all'altro nessuna corda. Anche Marco ed io siamo attori molto diversi, ma questo è un bene: nessuno dei due permette all'altro di essere quello che è di solito. Il che ha reso i nostri due personaggi più sfaccettati e approfonditi". "Conoscevo Claudio perché è stato protagonista del mio Il venditore di medicine, dunque la sua bravura non mi ha stupito", afferma Morabito. "Con Marco invece non avevo mai lavorato prima, e dopo averlo incontrato ho riscritto mezzo copione per incorporare nel personaggio di Franco alcuni aspetti della sua personalità ironica".
Uno dei pregiudizi più duri a morire nella cinefilia è quello che distingue il cinema di stile dal cinema di puro contenuto, ascrivendo alla seconda categoria tutti i film di denuncia. Sono tristemente note, infatti, le stroncature polemiche negli anni Sessanta e Settanta ai danni di Petri o Rosi, rei di non mettere "abbastanza cinema" nei loro soggetti di indignazione civile e di non attuare sufficiente "smontaggio" ideologico del linguaggio del potere. Oggi queste dinamiche sono per fortuna superate, e si decide caso per caso. Il venditore di medicine di Antonio Morabito, per esempio - film di grande competenza e di inconsueta autonomia espressiva - possiede uno stile molto riconoscibile pur essendo recepito (a una prima lettura delle recensioni) come opera principalmente di contenuto. Continua »
Un corto, un film, una serie tv per Beppe Fiorello. La sfida di un esordio come produttore cinematografico, e quella di raccontare – per il grande pubblico televisivo – il dramma dei padri separati. Infine, il ritorno al cinema, con il film di Emanuele Crialese Terraferma.
Fiorello, iniziamo dal tuo esordio come produttore. Il corto Domani, due minuti su uno dei principi della Costituzione italiana. Come è nato tutto?
In modo molto semplice. Giovanni Bufalini, un regista che da tempo lavora con me, mi ha proposto l'idea. C'era un concorso, per il quale potevano partecipare corti di due minuti, ispirati a princìpi della Costituzione. Abbiamo scelto il più semplice: la bandiera italiana è composta di tre rettangoli di eguale dimensione, bianco, rosso e verde. E ci abbiamo composto sopra una storia, breve e – spero – poetica.
Perché fare il produttore?
Per affrancarmi dai soliti meccanismi burocratici, dalle lungaggini, dai voleri di quelli più grandi di te. Quando c'è una buona idea, vorrei poterla realizzare, senza dover dipendere dai voleri di altri. In questo primo tentativo mi ha aiutato moltissimo mio fratello, Rosario. Gli ho detto: 'Rosa', damme una mano'. E lui non si è tirato indietro. Ci ha messo i suoi consigli, il suo entusiasmo, la sua società di produzione.
Ma sono state le prove generali per un film "lungo", da produrre in proprio?
Beh, in qualche modo sì. Produrre un film corto significa affrontare le stesse difficoltà che incontri nel produrre un film vero e proprio: cercare i permessi per girare, tutta la burocrazia, gestire un budget, gestire una troupe, curare che tutto sia professionale. Tutta esperienza che spero ci sia utile per affrontare un lungometraggio. L'idea c'è, abbiamo iniziato a scrivere la settimana scorsa. Sarà una commedia sul tema della famiglia, da girare il prossimo autunno, o nella primavera 2012. E mi piacerebbe che fosse lo stesso regista del corto, Giovanni Bufalini, ad affrontare l'impegno.
E il cinema degli altri, il cinema italiano degli "autori", che rapporto ha con te?
Sono sincero. Io non ho fatto parte del cinema italiano degli ultimi anni, e non è stato per mia volontà. Anzi, ne ho sofferto. Perché il cinema italiano l'ho sempre seguito, e apprezzato, e amato. Avevo esordito con Marco Risi ne L'ultimo compleanno, insieme a Claudio Santamaria, e poi avevo proseguito con Carlo Verdone, un'esperienza straordinaria, in C'era un cinese in coma. Poi, più niente, praticamente. Ma non sono stato io a volerlo.
Adesso, però, un film importante c'è.
Sì: e sono stato molto felice che un regista come Emanuele Crialese, che ha talento da vendere, si sia ricordato di me. Mi ha dato un ruolo in Terraferma, e mi è sembrato in qualche modo di rinascere, al cinema. Abbiamo girato a Linosa, con un cast di attori e di non attori: con me c'erano Donatella Finocchiaro, Mimmo Cuticchio, Filippo Pucillo, ma anche pescatori veri.
Qual è il tuo ruolo in Terraferma?
Sono Nino, un pescatore che non crede più in quello che hanno fatto i suoi padri, la sua gente, per generazioni. E che vuole usare la barca di suo padre per portarci su i turisti. É il crollo di un mondo, la trasformazione di un'economia. Io spero che il film di Crialese sia un modo, per me, per riaffacciarmi ad un mondo, quello del cinema italiano, che mi ha messo un po' da parte, senza che io lo volessi.
In compenso, per anni la televisione ti ha dato un ruolo centrale. Lo rinneghi?
No, niente affatto! La televisione mi ha permesso di diventare, per tanti italiani, un narratore di storie. Mi ha permesso anche di raccontare cose che forse il cinema non ha avuto il coraggio di raccontare. Come quando abbiamo fatto La vita rubata, su un omicidio di mafia, una storia rimasta insabbiata per vent'anni. Io credo che in molti casi la televisione abbia avuto più coraggio del cinema, nell'affrontare la nostra storia.
E ora quale storia vorresti raccontare?
É un tema che ho in mente da tanti anni. E che riguarda milioni di italiani. Il dramma dei padri separati. In Italia sono quattro milioni, i padri separati. E quasi un milione di loro vive sotto la soglia della povertà. Non è una cosa da niente. Perché? Perché quando una coppia si separa, è sempre lui a dover abbandonare il tetto coniugale, e quindi a doversi cercare una casa, e pagare gli alimenti. E molti non sono in grado di affrontare questo impegno.
Stai per iniziare a girare una serie su questo tema?
Sì: iniziamo a girare l'11 aprile. É una miniserie per Raiuno, due puntate che andranno in onda probabilmente in autunno. La regia è di Lodovico Gasparini. E ci saranno Ana Caterina Morariu, Rodolfo Laganà, Angelo Orlando e Gioia Spaziani. Il titolo provvisorio è Sarò sempre tuo padre.
Che cosa racconterete, esattamente?
Per esempio, che cosa succede, quando una coppia si separa, a un padre cui non viene data la possibilità di vedere suo figlio, che viene buttato fuori di casa, che non sa più dove andare a mangiare e a dormire... Quando gli sceneggiatori mi hanno fatto leggere la storia, ho detto loro: ma non avete esagerato? Mi hanno consigliato di visitare alcuni siti di assistenza a padri separati. Ho conosciuto storie che mi hanno messo i brividi. Ho scoperto situazioni addirittura tragiche. Gente che non sa come mangiare, dove dormire, che si adatta a dormire sotto i ponti. E tutto questo, in un'Italia apparentemente 'normale'.
Carlo, Giulia, Marco, Paolo, Adriano, Alberto, Livia e Veronica hanno dieci anni in più. Ce li ha anche Gabriele Muccino, che in mezzo ha visto Hollywood e le peripezie della vita, la propria e quella degli amici. Nell’idea di riprendere con Baciami ancora -come Bergman o Arcand o Solondz- i fili delle storie inaugurate da L'ultimo bacio, si affaccia ancora l’ambizione, la sana ambizione dell’ex ragazzo prodigio, che per il resto evita di scivolare sul personale e manda avanti i suoi attori. Sono loro ad animare la conferenza stampa, facendo gruppo e testimoniandogli fedeltà e gratitudine.
Il film uscirà in sala il 29 gennaio in più di 600 copie, alcune delle quali per la prima volta sottotitolate per i non udenti. "Ci sono persone che non riescono mai a vedere un film italiano al cinema, sono costrette ad aspettare l’uscita in dvd o il passaggio tv –spiega il produttore Domenico Procacci- sarebbe bello che le sale si attrezzassero d’ora in poi con dei display appositi, se c’è qualche non udente in sala; ci vorrà del tempo, ma speriamo che questo impegno vada avanti." Per ora, hanno aderito l’Apollo di Milano, il Modernissimo di Napoli, l’Astra di Padova, il Piccolo di Bari e il Politecnico Fandango di Roma.
Il film racconta di un gruppo di quarantenni squinternati. È un gruppo particolarmente sfortunato o rappresenta uno spaccato reale?
Muccino: Non voglio che si pensi che questo è un film sui quarantenni come non volevo che all’epoca dell’Ultimo bacio si pensasse che facevo un film sui trentenni: non mi posso mettere in cattedra, la mia è una visione limitata. Ma quel che vedo è una generazione in cui il rapporto di coppia è più nevrotizzato e complesso di anni fa, alle donne si chiede moltissimo e gli uomini vivono un profondo disorientamento e hanno bisogno di parlare tra loro per cercare di capire le loro donne.
Nel suo film i bambini sono testimoni muti, vittime che ci guardano?
Muccino: La responsabilità di chi siamo e cosa tramandiamo ai nostri figli è una responsabilità grande, i collassi famigliari fanno dei bambini degli adulti con dei problemi quasi certi. È un fenomeno nuovo, mai come ora ci sono in Italia tanti figli di coppie separate o divorziate e cosa ne sarà dei bambini di oggi quando saranno adulti non lo possiamo sapere, non ancora.
Un mostro si aggira per il cinema italiano. Ha "gli occhi verdi e si prende gioco della carne di cui si nutre". È la gelosia. Al centro del mirino fotografico c'è Laura Chiatti, fresca martire di Iago, nuovamente vittima e carnefice di Claudio Santamaria, ne Il caso dell'infedele Klara, dove Roberto Faenza indaga con strumenti contemporanei un sentimento universale. Affiancano i protagonisti, Iain Glen, già cooptato dallo stesso Faenza per Prendimi l'anima, Kierston Wareing (dall'ultimo Ken Loach) e Paulina Nemcova. In movimento tra Praga, città dei misteri, e Venezia, città dei sospiri, il film sonda la più cinematografica delle malattie: quella che confonde gli sguardi.
Esce il 20 febbraio in cinquanta copie griffate Mikado Aspettando il sole, lungometraggio con cui Ago Panini si affaccia sul grande schermo, dopo aver a lungo frequentato quello piccolo, come regista di spot e videoclip.
Nel bel mezzo di niente, nel tempo di una notte, tre balordi s'imbattono in un blocco di cemento, l'Hotel Bellevue, formicaio di esistenze solitarie e marginali, destinate a venir coinvolte in un unico inarrestabile destino. Un "Four Rooms" nostrano, meno colorato di spettacolo e più intriso di sconsolante umana piccolezza. Ambientato alle soglie del dominio della televisione commerciale, è un film che gioca con i generi del cinema e con le sue piccole grandi stelle, da Raoul Bova a Gabriel Garko, Claudia Gerini e Vanessa Incontrada.
Il cinema italiano non è affatto estraneo all'argomento mafia, ma forse mai prima d'ora si era aperta una pagina sulla nascita della cosiddetta quarta mafia, la Sacra Corona Unita. Decisi a riempire quel vuoto, i documentaristi Davide Barletti e Lorenzo Conte della Fluid Video Crew fanno il loro esordio nella fiction cinematografica con un film basato sulla storia vera di Antonio Perrone. Un ragazzo come tanti, proveniente da una buona famiglia, che abbandona il sogno di un viaggio in India per diventare prima un "apostolo dello sballo", poi un potente spacciatore di droga e infine un affiliato della Sacra Corona Unita. "Antonio e Daniela erano due giovani che avevano tutto e avrebbero potuto scegliere qualunque altro percorso, invece si sono ritrovati in un giro dove sono stati costretti a recitare delle parti che non sono più riusciti a scrollarsi di dosso. Volevamo fare un film freddo dove non ci fossero i cattivi da una parte e i buoni dall'altra. Non volevamo che si tifasse per il cattivo". Lo hanno raccontato i due registi nella conferenza stampa che si è tenuta questa mattina a Roma in occasione della presentazione di Fine pena mai.
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