Letteratura, poesia, estetica, musica e cinema. Legati con forza da un'opera in un'opera che sorpassa i nostri confini.
di Pino Farinotti
Ho visto il film di Salvatores e il giorno dopo sono tornato a vederlo. Non mi succedeva da decenni, e mai per un film italiano. Chi mi conosce sa che nella mia personale gerarchia del cuore il cinema italiano occupa uno spazio in alto, ma si tratta del cinema dell'età dell'oro, di tanti, tanti anni fa. Quello delle ultime epoche sta... più in basso. Ma Tutto il mio folle amore (guarda la video recensione) l'ho assunto come un poema anarchico complesso e anomalo, nel senso migliore. Non so se Salvatores condividerà la mia lettura "poconormale" ma accade spesso che un autore legga di una sua opera e pensi "ma davvero ho detto questo?". Vedendo il film, che esprime una potenza visiva e sentimentale nuova per il regista, e per il movimento italiano, ho rimosso qualcosa dalla zona che custodisce l'educazione del sentimento e della cultura, la formazione.
Un gioco, un contrappasso, una memoria, una scansione mia personale, che non è alienabile. La letteratura, la poesia, l'estetica, la musica, il cinema naturalmente, legati con forza in un'opera che sorpassa i nostri confini. Bene così. Salvatores crea dei contrasti fulminei.
Passi da una notte con la luna a una pianura di pietra con un sole che ferisce la retina. È il contrasto fra l'endecasillabo, piano, sereno, e il settenario aggressivo. È il silenzio vasto, il canto notturno che circonda il pastore di Leopardi errante dell'Asia, "Che fai tu luna in ciel" - mi perdonino i puristi -. Il ragazzo Vincent è l'anima pura, ingenua, ma che sa valutare e reagire, alla Holden Colfield, l'adolescente ribelle di Salinger. Ma è anche Forrest Gump, che nessuno capisce ma ha ragione lui. Willy (Santamaria), il padre naturale, lo ha abbandonato alla nascita. Vuole ritrovarlo e non sa che Vincent è autistico. Ma fra i due scatta il sortilegio del sangue. Una digressione sul lemma "autistico", definizione mia personale magari un po' strumentale: è l'anarcoide geniale che ha regole sue che sono le regole giuste, non quelle degli altri. Girano fra Dalmazia e Croazia in un road che richiama, "mi" richiama, tutto ciò che ho scritto sopra. Mentre viaggiano la macchina si guasta, il semiasse, significa che è morta. Allora camminano. Ma sono distanze impossibili, è un cammino surreale. Ed è facile pensare a Cervantes, e qui, Willy e Vincent si alternano nel ruolo di Don Chisciotte e Sancho Panza. Dormono in una casamatta di assi, senza niente. Si staglia improvviso un cavallo dal basso, nella notte, sembra un dipinto del Greco. Incontrano una comunità di zingari che sono una sorta di isola che non c'è. Disney-Peter Pan.