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Sono d'accordo con la tua spiegazione. Vorrei aggiungere un altro elemento a mio parere degno di nota. Per raggiungere il monolito è stato necessario disattivare hal, rappresentante della razionalità estrema che conduce ad una disumanizzazione sterile e che toglie valore alla vita umana. Per "toccare" il monolito/verità/dio/infinito l'uomo è dovuto tornare uomo/scimmia. Così l'eterno ritorno si compie. Inoltre credo che il finale non vada interpretato, non viene detto perchè l'infinito/verità/dio nn può essere detto con il linguaggio. Kubrick sapeva che la parola uccide, più che il monolito il film stesso rappresenta l'infinito, il quale non può essere spiegato con le nostre parole(come stiamo facendo noi in questo spazio). Da li i pochi dialoghi(freddi come i personaggi) e la ricerca da parte del regista di un altro linguaggio, visivo e emozionale, per cercare di dire ciò che non può essere detto.
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bob70
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domenica 15 novembre 2015
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forse si,forse no
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Il tuo commento,come gli altri precedenti in riferimento alla recensione credo, di Andrea,potrebbero essere esatti,o forse no.In realtà quello che Kubrick voleva trasmetterci,lo può sapere soltanto lui.Io vorrei soltanto farvi notare che:non sempre i registi realizzano un film per poterci dire,qualcosa di concreto,di certo,di logico ecc... ma a volte realizzano il film proprio con l'intento di lasciarci,come dire un dubbio,persino un paradosso,con il semplice scopo di costringerci a parlarne,ad arrovellarci per riuscire a trovare una logica spiegazione.E proprio Kubrick in particolare,è uno di questi registi.La prova la trovate in altri suoi film.Uno su tutti è "Shining" che con il suo finale,mi riferisco alla fatidica foto che ritrae il protagonista durante una festa di fine anno di molti anni prima ma con la stessa età del momento,ne è la prova evidente della mia per così dire teoria.
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Il tuo commento,come gli altri precedenti in riferimento alla recensione credo, di Andrea,potrebbero essere esatti,o forse no.In realtà quello che Kubrick voleva trasmetterci,lo può sapere soltanto lui.Io vorrei soltanto farvi notare che:non sempre i registi realizzano un film per poterci dire,qualcosa di concreto,di certo,di logico ecc... ma a volte realizzano il film proprio con l'intento di lasciarci,come dire un dubbio,persino un paradosso,con il semplice scopo di costringerci a parlarne,ad arrovellarci per riuscire a trovare una logica spiegazione.E proprio Kubrick in particolare,è uno di questi registi.La prova la trovate in altri suoi film.Uno su tutti è "Shining" che con il suo finale,mi riferisco alla fatidica foto che ritrae il protagonista durante una festa di fine anno di molti anni prima ma con la stessa età del momento,ne è la prova evidente della mia per così dire teoria.Saluti a tutti voi.Alla prossima
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filippo
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lunedì 20 gennaio 2025
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non necessariamente
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Kubrick rilasciò in un''intervista la sua personale chiave di lettura o spiegazione della sequenza narrativa. Ciascuno è libero di vederci quello che meglio solletica il suo intelletto, ma direi che che l''interpretazione data dal regista, vero e proprio maestro della settima arte, rappresenti il miglior spunto di riflessione da cui partire nella lettura dell''opera. Tale visione - è bene osservarlo - non presuppone la necessità di cui parli, tantomeno si può scorgere in essa un qualche giudizio etico assoluto sulla supremazia dell''uomo rispetto alla macchina, portato del suo incessante ricercare e progredire, o viceversa. Anzi, quest''ultima è tratteggiata in modo tale da apparire notevolmente umanizzata: si notino la curiosità e il sospetto, il timore e la decisione drastica di adottare provvedimento estremi, antitetici alle leggi della robotica, la paura finale del proprio dover cessare, quasi a voler suggellare con essa la caratteristica tanto ineluttabile quanto connaturata nell''ente cosciente limitato, per via della quale non risulta possibile sfuggire alla immanenza e insieme trascendenza delle profonde oscure ragioni dell''essere e del suo contrario, una imperscrutabile scatola nera, un monolite, per l''appunto.
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Kubrick rilasciò in un''intervista la sua personale chiave di lettura o spiegazione della sequenza narrativa. Ciascuno è libero di vederci quello che meglio solletica il suo intelletto, ma direi che l''interpretazione data dal regista, vero e proprio maestro della settima arte, rappresenti il miglior spunto di riflessione da cui partire nella lettura dell''opera. Tale visione - è bene osservarlo - non presuppone la necessità di cui parli, tantomeno si può scorgere in essa, cosi come nella trama, un qualche giudizio etico assoluto sulla supremazia dell''uomo rispetto alla macchina, portato del suo incessante ricercare e progredire, o viceversa. Anzi, quest''ultima è tratteggiata in modo tale da apparire notevolmente umanizzata: si notino la curiosità e il sospetto, il timore e la decisione drastica di adottare provvedimenti estremi, antitetici alle leggi della robotica, la paura finale del proprio dover cessare, quasi a voler suggellare con essa la caratteristica tanto ineluttabile quanto connaturata nell''ente cosciente limitato, per via della quale non risulta possibile sfuggire alla immanenza e insieme trascendenza delle profonde oscure ragioni dell''essere e del suo contrario, una imperscrutabile scatola nera, un monolito, per l''appunto.
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