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Dolor y Gloria, il potere della cinefilia e della memoria

In concorso al Festival di Cannes, un melodramma che colpisce per la sincerità con cui Almodóvar mette in scena la sua vita. Dal 17 maggio al cinema.
di Roy Menarini

Dolor y Gloria

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Antonio Banderas (José Antonio Domínguez Banderas) (64 anni) 10 agosto 1960, Malaga (Spagna) - Leone. Interpreta Salvador Mallo nel film di Pedro Almodóvar Dolor y Gloria.
domenica 19 maggio 2019 - Focus

Il potere della cinefilia e della memoria. Avrebbe potuto anche intitolarsi così, Dolor y Gloria di Pedro Almodóvar, sorprendente meraviglia della tarda maturità - sorprendente non perché il regista non ci abbia già fornito prove maiuscole in passato quanto per la sensazione che si trovasse in una fase calante della sua carriera. E invece, come già accaduto in altri casi, l'opera dell'autore si impenna all'improvviso proprio per la sincerità e la spudoratezza con cui mette in scena autobiograficamente la sua vita (opportunamente riletta in chiave poetica, s'intende), con l'aiuto di un formidabile Antonio Banderas, alla prova più importante della sua intera carriera.

I riferimenti a 8 ½, per quanto seducenti, sono credibili fino a un certo punto poiché il cinema di Almodóvar, anche questa volta, ama circondarsi più che altro di cinefilia (un aspetto che notoriamente a Fellini interessava poco, più legato al linguaggio dell'inconscio e dell'onirismo, e più vicino alla cultura grafica e del disegno).

Cinefile sono le citazioni - ma questo è il meno -, cinefilo è il suo stesso rapportarsi al film-nel-film (non è certo la prima volta, ma è quella più vicina all'autoritratto che ogni grande cineasta realizza a un certo punto della sua vita), cinefilo è tutto il mondo di immagini e lampi che scorre sotto al film (qualche volta si intravede persino il nitore domestico di Ozu), e cinefilo è anche il modo trasparente attraverso cui gioca con il suo cinema del passato.
Roy Menarini

La memoria è il tema fondamentale di Dolor y Gloria. La memoria della madre, la memoria dell'amico perduto, la memoria dei film, la memoria di se stessi quando si invecchia e il meglio sembra alle spalle. La mossa vincente di Almodóvar è quella di fare del suo protagonista, ovvio alter ego, un personaggio dominato dal proprio corpo. In una delle sequenze più belle e spiazzanti, la sua voce fuori campo commenta un catalogo di disagi e disturbi fisici di cui soffre, mentre sullo schermo osserviamo disegni, anatomie, radiografie, in uno strappo visionario che non sarebbe dispiaciuto a Saul Bass - essendo del resto Alfred Hitchcock un fantasma sempre presente in tutta la filmografia almodovariana, e la musica di Bernard Herrmann ancora una volta ispirazione per la colonna sonora (fulgida) di Alberto Iglesias.

Il corpo di Salvador è sempre presente, e suscita tutti i ricordi e le nostalgie, spesso in uno stato di dormiveglia causato da medicine, droghe e crisi che lo riducono in uno stato narcotico. Da lì, a raggiera, il cineasta spagnolo fa nascere una serie di satelliti narrativi struggenti, grazie ai quali può fare i conti con l'arte, l'infanzia, la cultura latina, l'omosessualità, e molto altro ancora, pur con la capacità di gestire questi interrogativi universali attraverso il prisma della singolarità, della storia personale e dell'intimità.


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In foto una scena dal film Dolor y Gloria.
In foto una scena dal film Dolor y Gloria.
In foto una scena dal film Dolor y Gloria.

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