lunedì 25 gennaio 2016 - Celebrities
Nel 2010 David Owen Russell, classe 1958, dirige un film intitolato The Fighter, storia problematica di due fratelli pugili rispettivamente interpretati da Mark Wahlberg e Christian Bale. Un certo successo soprattutto di critica, per via della visione di un'America disperata, desolata, ripresa a poca distanza dallo scoppio della grande crisi economica.
Nel tormentato rapporto tra i due fratelli "combattenti", nel diverso approccio alla vita e alla lotta, anche una messa in discussione della tipica capacità di "resilienza" dell'americano medio, qui ridotto in miseria.
Si laurea con una tesi sull'intervento statunitense nel Cile di Allende e finisce a fare l'insegnante in Nicaragua con i sandinisti. Più che la biografia di un filmmaker sembra quella di un personaggio di "Il potere del cane" di Don Wislow...
Forse più interessante che bello, ma se partiamo da questo film e non da altri di Russell è per rimarcare come spesso i colleghi, e soprattutto gli attori, chiamino lui "the fighter", in virtù del carattere non troppo accomodante, specie sul set. Secondo una leggenda, mentre girava Three Kings (1999) si picchiò con il protagonista George Clooney stufo di sentir volare insulti indirizzati ora ai tecnici, ora al cast. Gentilezza e remissività non sono criteri richiesti a un regista, e di sicuro Russell appartiene alla schiatta dei cineasti impegnati e di carattere, non un semplice "shooter", il professionista che obbedisce alla star o al produttore, e morta lì. Un curriculum in questo senso evidente.
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Poi, com'è come non è, dopo Three Kings, war movie surreale ambientato nell'Iraq in pieno conflitto, notevole successo di pubblico in patria, e con l'eccezione del già citato The Fighter, Russell cambia radicalmente percorso abbracciando la commedia. Capita ad esempio con I Heart Huckabees - Le strane coincidenze della vita (2004), piuttosto trascurabile, durante la lavorazione del quale, non avendo perso il vizio, litiga con Dustin Hoffman.
Ma è soprattutto Il lato positivo - Silver Linings Playbook (2012) a convincere e a consolidare il suo talento di regista brillante. Storia di un tizio bipolare interpretato da Bradley Cooper che conosce una giovane vedova forse più svitata di lui. Nonostante le avversità, finiranno per amarsi, dopo aver partecipato a un ballo quasi fiabesco. Lei è Jennifer Lawrence, premiata con l'Oscar, ma va detto che la vicenda di queste due anime perse è meno interessante dei tipi di contorno, specie la famiglia di lui, con papà Robert De Niro a scommettere su tutto e mamma Jacki Weaver giustamente apprensiva. Danno quel colore sullo sfondo che fa tanto commedia hollywoodiana vecchio stile. Nulla di trascendentale, sia chiaro, ma un film garbato e divertente, con una sua originalità. Premiato dal pubblico anche in Italia.
Non mi annovero invece tra i fan di American Hustle - L'apparenza inganna (2013), ambientato negli anni '70 in piena campagna anticorruzione del Congresso Usa, condotta dall'Fbi con l'aiuto di due noti truffatori. Affidandosi alla capacità mimetica, anche un po' sopra le righe, dei "suoi" attori (Christian Bale, Bradley Cooper, Jennifer Lawrence) Russell sembra uno Scorsese "vorrei ma non posso", e tuttavia il film piace alla critica. Nonostante dieci nomination agli Oscar però non ne vince neanche uno. Andrà meglio con Joy? A correre per la più ambita delle statuette è ancora una volta Jennifer Lawrence, nominata come migliore attrice per la sua prova nei panni di Joy Mangano, donna e madre di due bambini, divorziata, che ha una grande intuizione e inventa una scopa destinata a rivoluzionare, semplificandolo, il modo di lavare i pavimenti (tipo mocio). Da giovedì 28 gennaio nelle sale.