antonello chichiricco
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venerdì 31 ottobre 2014
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un'opera fondamentale per il cinema italiano
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Tre sole piccole cose mi hanno infastidito in questo film:
la scelta poco felice del titolo (frutto della scrittrice Anna Maria Ortese ma a mio avviso inadeguato sia nel significato etimologico, sia in quanto epiteto elogiativo), l’inserimento nella, peraltro bella, colonna sonora di un brano cantato in inglese (quantunque discreto e appena accennato) in un contesto che più italiano non si può, e infine quel bislacco manifesto ufficiale con foto sottosopra, una trovata di cui mi sfugge il significato.
Per il resto senza alcun dubbio “Il giovane favoloso” è da considerarsi un’opera fondamentale per il nostro cinema di qualità.
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Tre sole piccole cose mi hanno infastidito in questo film:
la scelta poco felice del titolo (frutto della scrittrice Anna Maria Ortese ma a mio avviso inadeguato sia nel significato etimologico, sia in quanto epiteto elogiativo), l’inserimento nella, peraltro bella, colonna sonora di un brano cantato in inglese (quantunque discreto e appena accennato) in un contesto che più italiano non si può, e infine quel bislacco manifesto ufficiale con foto sottosopra, una trovata di cui mi sfugge il significato.
Per il resto senza alcun dubbio “Il giovane favoloso” è da considerarsi un’opera fondamentale per il nostro cinema di qualità. Il primo pregio del regista Martone è stato non cercare tanto la somiglianza fisica fra il personaggio e l’interprete (come invece accade spesso nelle biografie filmiche, anche ai limiti del posticcio), quanto una valenza interpretativa adeguata all’importanza umana e artistica del protagonista. In questo senso la scelta di Elio Germano si è rivelata azzeccatissima. Elio, a mio avviso, figura oggi insieme a Kim Rossi Stuart e Pierfrancesco Favino fra i più versatili attori uomini dell’attuale panorama del nostro cinema. Anche Germano come gli altri due è un eccellente trasformista, è abilissimo nel riprodurre inflessioni dialettali ed è dotato di una gamma espressiva che ne fa densa e credibile la recitazione.
Il film in ordine cronologico racchiude molto della vita tormentata di Giacomo Leopardi.
Il racconto inizia dall’infanzia spensierata nell’amata-odiata Recanati, avamposto provinciale di una società chiusa e arretrata, imperniandosi e dipanandosi nell’estenuante intensissima acculturazione e produzione letteraria adolescenziale (nella storia dell’arte universale diversi sono stati gli enfant prodige, con un celeberrimo Mozart nella musica, ma sicuramente con un gigante come Leopardi nella poesia), un’adolescenza sorvegliata dall’inesorabile oppressiva invadenza dei genitori e più in generale ideologicamente schiacciata da un ambiente culturale reazionario e clericale (Giacomo ai tempi della Restaurazione del Congresso di Vienna, 1815, aveva 17 anni e Recanati apparteneva alla Stato Pontificio). La narrazione si snoda sul filo teso dell’ incontenibile spasimo di conoscenza di Leopardi, favorito anche dal suo estimatore Pietro Giordani, arrivando finalmente all’agognata apertura al mondo con la delusione di Roma - corte papale corrotta, nobiltà depravata, invasa da puttane – e in parte di Firenze, dove stringe una fortissima amicizia con l’esule Antonio Ranieri e in seguito con la di lui sorella Paulina (entrambe splendide persone che accudendolo affettuosamente non lo lasceranno più), a Firenze entra in contatto con letterati quali Capponi, Colletta, Manzoni (quest’ultimo ne ammira la cultura e la poesia ma ne aborrisce le idee) e il cattoliberale Tommaseo che, a lui fortemente avverso, lo attacca a più riprese in pubblico e sulla stampa (nel film non se ne fa menzione ma Leopardi, intervallando con brevi ritorni a Recanati, soggiornerà anche a Milano, Bologna e Pisa), fino ad arrivare, sempre più minato nel fisico, all’epilogo della sua breve martoriata esistenza, costellata di sofferti aneliti e amori infelici, che lo vede estinguersi, ancora ragazzo, nel dolce struggente notturno napoletano.
Da rifiutare senza mezzi termini l’etichetta di “film erudito”. E’ un film per tutti, e chi non riesce ad apprezzarlo, anche in difetto di grande cultura, è un insensibile.
La sceneggiatura, curata nei minimi particolari, è valorizzata da una scenografia filologicamente corretta. Efficace l’ambientazione nella discesa al purpureo ”inferno” prostitutorio partenopeo, in cui il Nostro, ancora “illibato”, avrebbe dovuto liberarsi ai piaceri del sesso mentre invece viene beffato e deriso da un’orda di impietosi scugnizzi, così come è ben resa la scena della baldoria nell’osteria in cui Leopardi riesce significativamente a liberare col popolo quel genuino trasporto affettivo che non trova nella mondanità aristocratica che lui, da nobile redento, malcelatamente detesta.
Un film intensamente emotivo, un toccante affresco amorevole nei confronti del più moderno e intellettualmente integro dei poeti italiani, un altissimo lucido pensiero, ai suoi tempi fastidiosa spina nel fianco, col suo classicismo laico-romantico e ateismo materialista, di un sistema socialmente aberrante e retrivo che ancora oggi fa proseliti. Un poeta, letterato e filosofo italiano, in assoluto fra i più apprezzati al mondo. Un vero “Cercante oltre la siepe”.
Ottimi gli attori, tutti. Oltre a Germano ho apprezzato in particolare Massimo Popolizio (Monaldo Leopardi, il padre) e Paolo Graziosi (il suo precettore, l’abate Sanchini).
Antonello Chichiricco
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frenky 90
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venerdì 31 ottobre 2014
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the fabolous germano
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E' difficile giudicare un film biografico. Il più delle volte si tratta di pellicole di medio livello, impreziosite dal grado di affettività nei confronti del personaggio raccontato da parte di autori e pubblico il quale entra in empatia con la pellicola solo a seconda della mole di interesse nei confronti della persona in questione e delle sue vicende. Quasi sempre il film è garbatamente ma più o meno marcatamente celebrativo e gli interpreti sono perfettamente calati nei ruoli anche e soprattutto per evitare querele o revoche dei permessi su copyright e diritti di sfruttamento d'immagine pubblica vari, o più semplicemente lamentele per inesattezze da parte del fan di turno.
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E' difficile giudicare un film biografico. Il più delle volte si tratta di pellicole di medio livello, impreziosite dal grado di affettività nei confronti del personaggio raccontato da parte di autori e pubblico il quale entra in empatia con la pellicola solo a seconda della mole di interesse nei confronti della persona in questione e delle sue vicende. Quasi sempre il film è garbatamente ma più o meno marcatamente celebrativo e gli interpreti sono perfettamente calati nei ruoli anche e soprattutto per evitare querele o revoche dei permessi su copyright e diritti di sfruttamento d'immagine pubblica vari, o più semplicemente lamentele per inesattezze da parte del fan di turno. Quel che è certo è che è una grossa responsabilità, a partire dagli sceneggiatori per finire con gli attori, realizzare un prodotto su una persona realmente esistita che nella maggior parte dei casi ha avuto una forte incidenza sulla memoria collettiva poiché non ci si può permettere di sbagliare ma è altrettanto veridico che si rischia di cadere nel “raccontino” se quantomeno non si prova ad aggiungere un pizzico di originalità alle immagini mostrate prendendosi quell'ombra di licenza che non macchia la realtà storica dei fatti. Ne “Il giovane favoloso” di Mario Martone, come in tutti i film biografici di questo mondo, c'è tutto questo e qualcosa in più: Elio Germano. Che se si chiamasse “German” e il film raccontasse le gesta di Walt Withman avrebbe già in tasca una luccicante statuetta d'orata col proprio nome sopra credo sia fuori discussione. Il dipinto d'autore che l'attore romano ricalca sulla china di Giacomo Leopardi è un mezzo capolavoro, e probabilmente è “mezzo” solo perchè gli tarpano le ali una trama a volte sfilacciata e una regia a tratti indulgente nell'insistere sulla ripetizione ossessiva di alcune inquadrature. Quello che insieme a Pierfrancesco Favino è rimasto forse l'unico Attore italiano con la A maiuscola (non me ne voglia la sterminata razza degli attori teatrali sconosciuti, squattrinati e tuttavia eccelsi di cui anche questa stessa opera si nutre ma è una provocazione la mia) incarna con magnifico ardore colui che è stato probabilmente il più grande poeta italiano della storia, donandogli vita e persino vitalità alla faccia dei luoghi comuni. A partire dalla camminata a finire dalla parlata Germano segue con perizia le orme del cantore di Recanati facendosi aiutare dall'ottima sceneggiatura di Ippolita Di Majo e dello stesso Martone, nonché dalla versatile fotografia dello svizzero-ticinese Renato Berta che già “cinematografò” per la Novelle Vague francese donando i suoi servigi a Rohmer e Alain Resnais. La resa scenica della proverbiale gobba che nel film (in cui non manca l'ironia) viene toccata dai napoletani per portafortuna per l'immancabile gioco del lotto è il meno del lavoro dell'interprete già Palma D'Oro a Cannes, e il che è veramente tutto dire. Il pur buono cast di supporto, specialmente nelle interpretazioni di Popolizio e Binasco, scompare di fronte alla presenza schiacciante del “main caracter” che ruba letteralmente la scena. Rimangono estasiati anche i peggiori critici che, come me, si aspettavano di vedere l'atto fisico della morte del poeta che invece, e bisogna dirlo, con un colpo di coda registico da manuale viene più che degnamente sostituita dall'elucubrazione materiale del suo poema-testamento “La ginestra” che segna il definitivo declino fisico e morale del Leopardi uomo. Il sommo conte che non volle farsi prete ci appare sofferente e rassegnato alla luce dell'ultima eruzione del Vesuvio, e così tale in tutto il resto del film, non come pessimista riguardo alla vita ma come vittima della vita stessa, poiché gli è toccato prima che a molti altri di assaggiarne la futilità. E se inerme rimane di fronte alla morte altresì con fierezza risponde alle ingiurie dei villici che lo tacciano di malinconia, convinto che il suo pensiero fosse già all'epoca travisato dai suoi contemporanei con bieca faciloneria. “Due cose belle nella vita: amore e morte.” E altre sciocchezze scritte nei libri da liceo. Merita.
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kuiper
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giovedì 30 ottobre 2014
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pessimismo e fastidio...
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“Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura”. Ti piace vincere facile? Inutile negarlo, basterebbe ascoltare l’incipit di questo magnifico ed unico piccolo verso per consigliare la visione di un qualsiasi film che argomentasse su questo gigante mondiale della letteratura. Difficile poi scrivere di un film del genere dove ogni sola mia parola farebbe accapponare il maestro nella tomba. Ancor di più provare a raccontarne le gesta in un film senza rischiare di travisarne il pensiero e le azioni. Ma qui, ovviamente, non si elucubra sul genio indiscusso di Leopardi, ma sulla sensibilità con cui gli artisti, attraverso di Lui, hanno potuto donarsi alle nuove e vecchie generazioni.
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“Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura”. Ti piace vincere facile? Inutile negarlo, basterebbe ascoltare l’incipit di questo magnifico ed unico piccolo verso per consigliare la visione di un qualsiasi film che argomentasse su questo gigante mondiale della letteratura. Difficile poi scrivere di un film del genere dove ogni sola mia parola farebbe accapponare il maestro nella tomba. Ancor di più provare a raccontarne le gesta in un film senza rischiare di travisarne il pensiero e le azioni. Ma qui, ovviamente, non si elucubra sul genio indiscusso di Leopardi, ma sulla sensibilità con cui gli artisti, attraverso di Lui, hanno potuto donarsi alle nuove e vecchie generazioni. Elio Germano, seppur in alcuni casi incontenibile, è costretto suo malgrado a piegarsi fisicamente e psicologicamente alla grandezza dell’artista ed assolvendo in pieno al suo ruolo. Può lanciare, fieramente, il guanto di sfida a tutti coloro i quali vorranno cimentarsi in questo ruolo, alzando per la prima volta l’asticella ai massimi livelli. Tutto il cast, dal canto suo, fa da egregio contraltare alla riuscita del film con una menzione particolare ad Isabella Ragonese. Memorabili alcune battute con l’arcigno padre e nei lascivi vicoli di Napoli con le quali Leopardi si consegna a noi, attuale come non mai. Notevole la fotografia, che spesso nei film italiani lascia a desiderare, le musiche appropriate e la sceneggiatura chirurgica che non ammette sbavature e che si lascia degustare come uno splendido e leggero tiramisù dal godimento continuo. Unica pecca, se cosi si vuol dire e se proprio la volessimo ricercare, il non aver osato esteticamente di più nelle sequenze narrative per suggellare l’attualità di questa opera e per consentire alle giovani generazioni di appropriarsene in toto visto l’enorme baule di emozioni, colori e sensazioni che Leopardi avrebbe potuto spontaneamente metter loro a disposizione. Un grazie particolare agli sponsor ed ai produttori di questo film che hanno avuto comunque il coraggio di cimentarsi in questa difficile impresa. Or dunque …“O notte, portatrice di effimere illusioni, il tuo manto stellato possa avvolgere le mie parole e consegnarle al vento, affinché possa essere mio messaggero”…..
Consigliato: Assolutamente Si
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fassbinder81
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giovedì 30 ottobre 2014
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un poeta senza poesia
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Niente di più drammatico di un film su un poeta, senza poesia. Martone illustra, non è mai personale. Il suo film è un bigino sulla vita di Leopardi, tra liriche decantate e scivoloni ( la scena del bordello ).
Germano funziona bene come Leopardi giovane, ma quando inforca gobba e sciorina una camminata da sciancato, il tutto scade.
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carlosantoni
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giovedì 30 ottobre 2014
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e naufragar m'è dolce in questo mare, di bravura
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Il giovane favoloso
È un film di rara potenza espressiva, non fosse altro che per la straordinaria, superlativa interpretazione di Elio Germano, che nell’interpretare Leopardi dà il meglio di sé e riesce a dargli corpo, e volto, e voce, in maniera così persuasiva ed emozionante come non so chi altri al posto suo avrebbe mai potuto. La sua mimica, il suo sguardo, che modula in un vasto ventaglio di timbri a seconda delle situazioni e delle condizioni esistenziali del suo personaggio, il modo incredibilmente convincente col quale usa mani e piedi e gambe e il corpo tutto per mostrare la gracilità del fisico di Leopardi e il suo progressivo incurvarsi nel tempo sotto l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, il modo asciutto e riflesso con cui recita alcune delle poesie più famose, quasi che le pensasse nello stesso momento in cui le dice, sono una dimostrazione di altissimo mestiere, di straordinaria bravura.
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Il giovane favoloso
È un film di rara potenza espressiva, non fosse altro che per la straordinaria, superlativa interpretazione di Elio Germano, che nell’interpretare Leopardi dà il meglio di sé e riesce a dargli corpo, e volto, e voce, in maniera così persuasiva ed emozionante come non so chi altri al posto suo avrebbe mai potuto. La sua mimica, il suo sguardo, che modula in un vasto ventaglio di timbri a seconda delle situazioni e delle condizioni esistenziali del suo personaggio, il modo incredibilmente convincente col quale usa mani e piedi e gambe e il corpo tutto per mostrare la gracilità del fisico di Leopardi e il suo progressivo incurvarsi nel tempo sotto l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, il modo asciutto e riflesso con cui recita alcune delle poesie più famose, quasi che le pensasse nello stesso momento in cui le dice, sono una dimostrazione di altissimo mestiere, di straordinaria bravura.
Ma non c’è solo Elio Germano: c’è la regia nel suo insieme che appare convincente, a cominciare da una sceneggiatura che affronta la prova difficile di descrivere un personaggio tanto complesso e impegnativo, utilizzando la via più lineare, che è quella cronologica. C’è una fotografia eccellente, non calligrafica (certi hanno fatto riferimento al Mozart di Forman: non mi pare sia un accostamento del tutto congruo: nel film di Martone c’è grande ricchezza, non sfarzo), ma che spessissimo riprende scene di interni, e soprattutto di esterni, trasformandoli in veri e propri quadri, direi allusive proprio di certa pittura ottocentesca; e l’uso misurato della luce ne accresce il fascino. C’è una colonna sonora ben studiata. Ci sono riferimenti continui alle opere leopardiane non direttamente recitate dal magnifico Germano, quali “il venditore di almanacchi” o i “Prolegomeni alla batracomiomachia”.
Unico lato debole, forse, l’eccessivo barocchismo un po’ troppo macchiettistico del capitolo napoletano; ma la chiusa del racconto sull’eruzione del Vesuvio e la declamazione della “Ginestra” è comunque eccellente.
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valentino giorgi
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mercoledì 29 ottobre 2014
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leopardi: un poeta moderno
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Il giovane favolosoè un breve viaggio che ripercorre a tratti la vita di Leopardi. Inizia dall’insofferente Recanati, una prigione tagliata fuori dal mondo in cui il giovane poeta è rinchiuso, costretto tra uno studio “matto e disperatissimo” e la severa educazione del padre. Solo il rapporto epistolare con il famoso classicista Pietro Giordani darà a Leopardi brevi momenti di conforto e riconoscimento personale; anche grazie a Giordani il poeta maturerà l’idea di fuggire da Recanati per farsi una nuova vita altrove. Ci prova e viene scoperto dal padre ma questo non impedirà una sua futura e definitiva evasione. Dieci anni dopo, Leopardi vive a Firenze insieme al suo amico Ranieri che lo sostiene e assiste quasi come fosse infermo.
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Il giovane favolosoè un breve viaggio che ripercorre a tratti la vita di Leopardi. Inizia dall’insofferente Recanati, una prigione tagliata fuori dal mondo in cui il giovane poeta è rinchiuso, costretto tra uno studio “matto e disperatissimo” e la severa educazione del padre. Solo il rapporto epistolare con il famoso classicista Pietro Giordani darà a Leopardi brevi momenti di conforto e riconoscimento personale; anche grazie a Giordani il poeta maturerà l’idea di fuggire da Recanati per farsi una nuova vita altrove. Ci prova e viene scoperto dal padre ma questo non impedirà una sua futura e definitiva evasione. Dieci anni dopo, Leopardi vive a Firenze insieme al suo amico Ranieri che lo sostiene e assiste quasi come fosse infermo. Lì entrerà in contatto con l’élite intellettuale fiorentina, liberale, borghese, patriottica, ma troppo tradizionalista per comprendere la portata delle opere leopardiane: apprezzavano la lirica e l’erudizione del poeta ma ritenevano che le teorie sul pessimismo fossero pericolose e controproducenti per l’epoca. In un periodo in cui gli animi dei letterati erano animati dal sogno patriottico dell’Italia unita il pessimismo leopardiano annichiliva gli spiriti entusiasti che ardevano per le insurrezioni. Di conseguenza i tormenti e le sofferenze del poeta, secondo un’analisi rigidamente classicista, venivano letti come le cause di una realtà materiale oggettiva che fosse politica o legata alle debilitazioni fisiche dell’autore piuttosto che frutto di ragionamenti teorici. Il pessimismo di Leopardi invece è una presa di coscienza filosofica estremamente moderna, molto simile a Shopenhauer, letterariamente più vicino alle inquietudini di uno Svevo o di un Pirandello. Leopardi fa una riflessione esistenziale sull’uomo preso nella sua individualità senza declinarla collettivamente (dandogli quindi un senso politico), la sua filosofia non è pratica ma speculativa, è un’interpretazione della realtà che assume l’assolutezza in quanto filtrata dalla sensibilità del poeta; per questo i suoi contemporanei non riuscivano a capirlo. Aveva poco a che vedere con i pensieri degli intellettuali fiorentini dell’epoca, più intenti agli studi classici e alla situazione politica italiana. La portata innovatrice del poeta è compresa solo da pochi intimi, tra cui l’amico Ranieri sempre intento a sostenere e assistere un Leopardi che diventa ogni giorno più debole. L’amore non corrisposto con la bella Fanny, invece, contribuisce a una nuova svolta della poetica leopardiana, un nuovo approdo al pessimismo dopo brevi momenti di aspettative e speranze – che si dissolvono in una segreta infelicità quando scopre della relazione tra l’amata e l’amico Ranieri. Privo di ogni illusione, Leopardi si trasferisce ancora affrontando le ultime parti della sua vita quasi arrancando. Goffo e lento come un vecchietto si aggira nei vicoli di Napoli senza che nessuno ancora conosca la sua grandezza, parla con la gente, va a prendere il suo gelato, ma soprattutto se ne sta a letto, per i dolori non riesce neppure a scrivere; prova anche ad avere un rapporto con una prostituta ma non ci riesce a causa delle burle di alcuni ragazzini. Ormai sempre più debole è qui che la sua vita giunge al termine. Si trova nella villa di Ranieri ai piedi del Vesuvio quando, sussurrando i versi de La Ginestra, Leopardi tira il suo ultimo sospiro.
Il film racconta con minuzia di particolari molti episodi della vita del poeta concentrandosi giustamente sulla figura di Leopardi interpretato dal capacissimo Elio Germano. L’attore riesce bene ad approfondire l’interiorità e la psicologia del personaggio mettendo in luce le ossessioni e le inquietudini del poeta: quello che soffre è un Leopardi moderno capace di dire molto anche ai giorni d’oggi, non un autore rinchiuso in libri polverosi ma un uomo in grado di parlare al presente. Il Leopardi pensato dal regista Mario Martone è quello che facilmente ci si può immaginare quando a scuola si studia l’autore. È deboluccio e gracile, insicuro e infelice, ma dotato di intelligenza e lucida ironia. Possiamo dire che è un personaggio azzeccato in quanto corrisponde all’idea che le persone generalmente hanno di Leopardi. Un altro elemento fondamentale nel film sono gli scritti del poeta che assumono, come si può intuire, un valore importante. Le poesie recitate, quasi sussurrate dietro un sottofondo di immagini evocative e musica elettronica mischiata a sinfonie classiche, scandiscono la narrazione e accompagnano lo spettatore durante tutta la vicenda. Sono importanti anche perché fanno capire (o almeno ci provano) lo sviluppo della poetica leopardiana nel corso degli anni. Per quanto riguarda gli aspetti un po’ più tecnici del film, il giovane favoloso ha una buona fotografia e una sceneggiatura molto attenta, soprattutto nei dialoghi molto profondi e suggestivi. A non convincere però è l’andamento della narrazione, il film passa dal raccontare le vicende a Recanati subito a 10 anni dopo, quando il poeta si trova a Firenze insieme all’amico Ranieri, cosa succede nel frattempo non è dato di saperlo. Solitamente questo tipo di espediente narrativo si usa o nel prologo o nell’epilogo di un film, messo in una parte così centrale è infruttuoso e anti-cinematografico. Appare in questo momento molto fastidioso che venga introdotto nel film un personaggio fondamentale come quello di Ranieri come fosse spuntato dal nulla. Ma non è l’unico caso. A guardare il film a volte si ha la sensazione che certe cose vengano date per scontate, in molti casi sembra quasi un collage, Il giovane favoloso è privo di una continuità narrativa, una catena causale che accompagna la vita di Leopardi. Su questo il film ha un grosso limite perché appare elitario, rivolto a una minoranza: di fatto chi non conosce bene Leopardi dal film ci capisce poco. Fatte queste osservazioni non banali, il giovane favoloso rimane un buon film la cui visione è obbligata almeno per tutti gli appassionati di Leopardi.
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vagabonda
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martedì 28 ottobre 2014
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il lungo lamento di "il giovane favoloso"
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Il "giovane favoloso"... direi piuttosto "il giovane patologicamente lamentoso". Ritengo che non si sia reso un buon servizio al geniale poeta recanatese e, soprattutto, che non si sia riusciti a cogliere nella sua interezza la figura, in realtà poliedrica, del Leopardi: l'altra faccia, quella - sia pure amaramente - sarcastica non è affatta fuoriuscita da questo film.
D'accordo "Giacomino" aveva assai pochi motivi per ridere e cogliere il lato allegro e colorato - per quanto esiguo! - della vita, ma, soprattutto nelle "Operette morali" - citate poco e per lo più a sproposito nel film - da prova di un'ironia sottile quanto perfida, dove sorride - e riesce a far sorridere - anche dei lati più oscuri del'esistenza.
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Il "giovane favoloso"... direi piuttosto "il giovane patologicamente lamentoso". Ritengo che non si sia reso un buon servizio al geniale poeta recanatese e, soprattutto, che non si sia riusciti a cogliere nella sua interezza la figura, in realtà poliedrica, del Leopardi: l'altra faccia, quella - sia pure amaramente - sarcastica non è affatta fuoriuscita da questo film.
D'accordo "Giacomino" aveva assai pochi motivi per ridere e cogliere il lato allegro e colorato - per quanto esiguo! - della vita, ma, soprattutto nelle "Operette morali" - citate poco e per lo più a sproposito nel film - da prova di un'ironia sottile quanto perfida, dove sorride - e riesce a far sorridere - anche dei lati più oscuri del'esistenza.
Come avvicinare ai giovani un così grande poeta se oltre ad essere ed apparire inesorabilmente "uno sfigato" è per di più circondato da tutti quei toni cupi e quegli orrori sottolineati dall'epidemia di colera e dall'eruzione del Vesuvio? Persino "la casa di tolleranza ante litteram" appare come un antro delle streghe, dall'aspetto un po' da catacombe ed un po' da girone infernale: un giovane di oggi, immagino, scapperebbe a gambe levate dinanzi ad una tale messe di iattura!.
Trovo poi slegati i vari periodi della vita dell'artista: a chi infatti non conosce a fondo la biografia del Leopardi può risultare molto ostico ed incomprensibile il passare dalle ubbie malinconiche di Recanati, all'incontro con l'affascinante Antonio Ranieri, nonchè le relative "distrazioni" di Firenze, Roma e Napoli.
Di questo film salverei pertanto soltanto l'ottima fotografia - sia pure calibrata nei toni cupi da desiderata del regista -, la ricostruzione storica di ambienti e costumi e l'ottima interpretazione del protagonista (Elio Giordano). Sublimi come sempre i versi del poeta che neppure tanti foschi toni sono riusciti ad offuscare...
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polda
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martedì 28 ottobre 2014
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noia mortale!!!!
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DECISAMENTE NOIOSISSIMO. UNA VERA PIZZA!!!!
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ennas
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martedì 28 ottobre 2014
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il giovane favoloso e i leopardi
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Tre ragazzi, due maschi e una femmina, si rincorrono in un giardino: il più “grande” ha il capo cinto da un serto di alloro. La scena di apertura di “Il giovane favoloso” di Martone mi ricorda subito qualcosa. Quello splendido ragazzo biondo e snello l’ho già visto al cinema. E’ simile, direi uguale al giovane Tadzio, il bellissimo adolescente del film “La morte a Venezia” di Luchino Visconti.
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Tre ragazzi, due maschi e una femmina, si rincorrono in un giardino: il più “grande” ha il capo cinto da un serto di alloro. La scena di apertura di “Il giovane favoloso” di Martone mi ricorda subito qualcosa. Quello splendido ragazzo biondo e snello l’ho già visto al cinema. E’ simile, direi uguale al giovane Tadzio, il bellissimo adolescente del film “La morte a Venezia” di Luchino Visconti.
E’ un omaggio del regista Martone ad un genio della vecchia guardia del cinema italiano? Oppure un richiamo simbolico e letterario : creatività-bellezza-poesia-amore-morte, temi di fondo anche per un’opera ambiziosa e impegnativa come questo “giovane favoloso”? Forse entrambe le cose o questa può essere soltanto una mia idea sulle suggestioni alla base del progetto del regista. Certamente io non mi aspettavo di vedere in questo film il “vero” Leopardi bensì un Leopardi immaginato e proposto da un regista di oggi. Che ha avuto certamente coraggio a maneggiare e proporre un personaggio complesso da far tremare anche maestri più navigati ed esperti di regia.
La prima parte del film ha quasi un ritmo documentaristico: l’infanzia e la giovinezza a Recanati, in un ambiente chiuso e repressivo ma anche aristocratico ed esclusivo.
Diversi elementi rendono efficace l’atmosfera del film: una sceneggiatura accurata (aver potuto girare in luoghi originari è fondamentale, casa Leopardi in primis) una fotografia molto bella e suggestiva, una buona colonna sonora, un’ottima prestazione degli attori, anche non protagonisti.
E’ nel proseguire del film che, a mio parere l’efficacia si inceppa : la regia e la prestazione pur lodevole di Elio Germano non riescono a fare del “giovane favoloso” un personaggio a tutto tondo: una fisicità problematica posta sempre più in primo piano va a scapito dell’insieme del personaggio, rendendone poco incisivo il tentativo di attualizzarlo anche attraverso aspetti accennati, (ad es. l’omosessualità latente nel suo rapporto con Ranieri, l’individualismo pessimista
ma anche aristocratico).
La personalità complessiva anziché approfondirsi evapora ed il “giovane favoloso” e il contesto del film assumono contorni macchiettistici.
Stando ai dati positivi del botteghino un pregio indotto di questo film è secondo me, far ricordare, riscoprire o scoprire agli spettatori il loro Leopardi: chi lo studiato di malavoglia, chi l’ha amato oppure odiato, chi l’ha dimenticato o non lo ha conosciuto.
Se avverrà questa circolazione di adrenalina letteraria ( che forse sarebbe piaciuta anche al vero Leopardi) dovremo rallegrarcene vivamente,anche qualora avessimo trovato, come me, il film , un po’ noioso.
Al “giovane favoloso” si riconoscono pregi e difetti e gli spettatori che hanno visto il film, avranno
il piacere, per suo tramite, della riscoperta: i loro Leopardi. A ciascuno il suo.
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adelio
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martedì 28 ottobre 2014
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un leopardi raccontato con il 3, il 2 e con l’1
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Guardare seduti in una comoda poltrona il film d Martone su Leopardi è una delizia, è un piacere che raggiunge un buon numero di ricettori dell’umana cultura attraverso molteplici espressioni artistiche tutte presenti ne “il giovane favoloso”. Parliamo di fotografia, di musica, di cinematografia, di linguaggio filosofico e naturalmente di poesia.
Non importa stabilire se trattasi di documentario o trasposizione nel contemporaneo di una vita sofferta, sacrificata ma altamente spirituale di un “ragazzo” prodigio di mestiere Poeta e Letterato.
Importa, guardando il film, cogliere il “sentire” del Poeta, il travaglio dell’Uomo, la superficialità della Società.
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Guardare seduti in una comoda poltrona il film d Martone su Leopardi è una delizia, è un piacere che raggiunge un buon numero di ricettori dell’umana cultura attraverso molteplici espressioni artistiche tutte presenti ne “il giovane favoloso”. Parliamo di fotografia, di musica, di cinematografia, di linguaggio filosofico e naturalmente di poesia.
Non importa stabilire se trattasi di documentario o trasposizione nel contemporaneo di una vita sofferta, sacrificata ma altamente spirituale di un “ragazzo” prodigio di mestiere Poeta e Letterato.
Importa, guardando il film, cogliere il “sentire” del Poeta, il travaglio dell’Uomo, la superficialità della Società.
In questa lettura saltano agli occhi alcuni “trucchi” cinematografici giocati su una numerazione dalla sequenza inesorabile “tre” (3), “due” (2) e “uno” (1) che il Regista vuole accompagnino l’intera vita di Leopardi e ne condizionino il pensiero filosofico (benché storicamente reputato minore e troppo condizionato dal vissuto personale).
Il Poeta/Letterato nell’espressione del proprio ruolo e nell’evoluzione artistica è costantemente gravato dal numero “3”, quando interferenti col mondo esterno.
Il film inizia proprio con i tre fratelli, ognuno di loro (Giacomo compreso) sembrano rappresentare gli effetti della “Natura” quella Natura che Leopardi vive in tre distinte fasi e in tre Città diverse (quasi fossero Tesi, Antitesi e Sintesi)…la natura buona e amica (periodo giovanile del fanciullino in Recanati)…la natura cattiva e nemica (periodo della consapevolezza in Firenze)….la natura come riscoperta dell’uomo e del vivere in gruppo (periodo della passionalità in Napoli). Tre sono le evoluzioni della sua opera poetica. Il tre perseguita il Poeta e Filosofo…. sono in tre quando studia, sono in tre quando subisce reprimende per le sue idee politico/morali … sono in tre quando si cimenta da Genio come linguista classico e….ahimè sono in tre quando corteggia (mai corrisposto) delle avvenenti “signore”.
Quando Giacomo, l’eterno giovane, vive l’imperativo categorico di liberarsi dal dovere di essere Artista e Poeta … tenta la fuga ed esce l’uomo…esce il numero “2” ….emerge la distonia tra anima e corpo … si lega ad una amicizia (Ranieri) che lo accompagnerà per tutta la vita … Leopardi è affascinato dall’animalità dell’amico, degli uomini, di una città come Napoli colma di contraddizioni…ma in questa fase importante della sua vita di uomo artista …storpio, deforme, sofferente ..scopre la passionalità, il piacere e fors’anche la sessualità omosessuale. Questa è la fase del conflitto interiore….è la ricerca intima di un equilibrio impossibile….di un’agognata felicità umana.
Arriva poi la morte, e quando si muore …si muore soli, abbandonati…. in solitudine come il numero “1”…idealmente come “la ginestra” che solitaria sino all’ultimo istante di vita, conquista e afferma la propria esistenza contro tutto e contro tutti…. da soli si affronta il giudizio degli uomini che si esprimerà su ciò che siamo stati…su il Leopardi Uomo, Poeta e Filosofo.
Stupende le ambientazioni…un encomio particolare alla colonna musicale che simbolicamente passa da brani classici (nelle fasi del “3” – armonia nell’espressione artistica esteriore) a brani psichedelici (nelle fasi del “2” – distonia nel conflitto interiore).
Film gradevole e sicuramente da non perdere..anche per rinfrescare qualche romantico ricordo del periodo Liceale attraverso una commovente lettura di stupendi pezzi di poesia leopardiana.
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[+] ottima recensione
(di luisavalli)
[ - ] ottima recensione
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