fabiofeli
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lunedì 3 novembre 2014
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favoloso. semplicemente
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Il giovane favoloso di Mario Martone
In un vialetto tra due siepi di verde irrompono tre bambini. Forse unica immagine di gioia spensierata, che ricorda il girotondo di Fanny e Alexander di Ingmar Bergman. Il più grande dei fanciulli, Giacomo, diventerà un grande Poeta. Erudito latinista e grecista già in tenera età, non sarà solo poeta, ma anche scrittore, pensatore “politico” dell’Italia che verrà, filosofo cosciente della feconda potenza creatrice del Dubbio e anticipatore dell’Esistenzialismo.
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Il giovane favoloso di Mario Martone
In un vialetto tra due siepi di verde irrompono tre bambini. Forse unica immagine di gioia spensierata, che ricorda il girotondo di Fanny e Alexander di Ingmar Bergman. Il più grande dei fanciulli, Giacomo, diventerà un grande Poeta. Erudito latinista e grecista già in tenera età, non sarà solo poeta, ma anche scrittore, pensatore “politico” dell’Italia che verrà, filosofo cosciente della feconda potenza creatrice del Dubbio e anticipatore dell’Esistenzialismo.
Nelle scene successive ritroviamo Giacomo (Elio Germano) alle prese con i libri della ricca biblioteca del padre, il conte Monaldo Leopardi (Massimo Popolizio), ora generoso ora avaro dei testi da fornire al ragazzo, cercando una impossibile identificazione e affermazione nella bravura e precocità del figlio. Sono distanti le rispettive idee e concezioni; altrettanto distante e gelida è la madre di Giacomo, Adelaide Antici (Raffaella Giordano), tutta chiusa in una religiosità bigotta e senza cuore. La vita di Recanati, un paese bellissimo – è stupendo tuttora - ma chiuso in se stesso, appare sotto la finestra di casa, distraendo appena il ragazzo dai suoi studi. A Giacomo non basta l’infinito che riesce a intuire, perché altrettanto infinita è la sua brama di vedere, conoscere e riflettere. Anela a cose più alte di quel piccolo orizzonte e Pietro Giordani (Valerio Binasco) può essere la chiave che apre la porta per uscire finalmente nel mondo. Invano cerca la fuga, vanificata dall’autoritario padre. Riuscirà molto dopo a conoscere Firenze, Roma, Napoli; quasi un viaggio alla Goethe in un mondo che non lo capisce. Lo definiscono pessimista: “Pessimismo, ottimismo: parole vuote” obietta. Vede la realtà, semplicemente. Inutile tirare in ballo le malattie che lo corrodono – una tubercolosi ossea e una congiuntivite maligna – e che deformano il suo corpo; non ha senso imputare la sua visione del mondo agli sfortunate tentativi in campo affettivo, che fruttano solo rispetto ed amicizia, mai amore. La natura è matrigna, come Adelaide Antici, semplicemente, ed è inutile recriminare contro qualsiasi divinità. Il Poeta e Filosofo accetta l’inaccettabile: con autoironia in una taverna napoletana dà i numeri per il lotto ai commensali, perché “i gobbi portano fortuna”. Si appaga e si placa nei momenti di pace e serenità a Torre del Greco con l’amico carissimo Antonio Ranieri (Michele Riondino): osserva e impara dalla ginestra che cresce dove non è possibile …
Martone fa una lettura attenta, una trasposizione cinematografica rigorosa e rispettosa della vita e delle opere di Leopardi, con toni sommessi che smorzano l’urlo che verrebbe spontaneo ed una sola volta viene lanciato. Elio Germano è immenso, ma anche tutti gli altri attori sono impeccabili, interpretino essi il ruolo di familiari, amici o conoscenti di Giacomo. Il titolo della pellicola è un doveroso omaggio alla grande scrittrice napoletana Anna Maria Ortese. Il grande merito del film è che accresce l’amore per il poeta e spinge a rileggerlo tutto, ma proprio tutto: anche quello che si è solo sfiorato o appena intuito sui banchi di scuola. Da non mancare.
Valutazione *** ½
FabioFeli
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mister dp
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lunedì 3 novembre 2014
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poesia italiana sussurata in sala ad una nipote.
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Al di là di tutto il valore artistico del film, anche della superba prova di Elio Germano che per quanto mi riguarda ha già vinto il David di Donatello, mi preme sottolineare l'alto valore "patriottico", mi si passi questo termine così poco di moda, di questo film.
Personalemente mi ha commosso vederlo accanto ad un'anziana signora con sua nipote, e sentirla accanto a me bisbigliarle i versi di Leopardi o i passaggi della sua vita, conosciuta come fosse quella di una rockstar. Forse la prima volta in assoluto che non mi ha infastidito qualcuno che mi parla accanto in sala.
Un film che al pari di un mondiale di calcio, ci fa sentire italiani, ci fa riscoprire le nostre radici, ci riporta malinconicamente ai giorni in cui imparavamo a memoria, costretti, i versi dei nostri poeti o a quelli successivi in cui imaparavamo, costretti, "la vita e le opere" dei nostri autori.
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Al di là di tutto il valore artistico del film, anche della superba prova di Elio Germano che per quanto mi riguarda ha già vinto il David di Donatello, mi preme sottolineare l'alto valore "patriottico", mi si passi questo termine così poco di moda, di questo film.
Personalemente mi ha commosso vederlo accanto ad un'anziana signora con sua nipote, e sentirla accanto a me bisbigliarle i versi di Leopardi o i passaggi della sua vita, conosciuta come fosse quella di una rockstar. Forse la prima volta in assoluto che non mi ha infastidito qualcuno che mi parla accanto in sala.
Un film che al pari di un mondiale di calcio, ci fa sentire italiani, ci fa riscoprire le nostre radici, ci riporta malinconicamente ai giorni in cui imparavamo a memoria, costretti, i versi dei nostri poeti o a quelli successivi in cui imaparavamo, costretti, "la vita e le opere" dei nostri autori.
Un film che ci riconcilia, che unisce le generazioni, e ci restituisce il valore di una forma d'arte, la poesia, cui non sembra esserci più spazio nei nostri giorni.
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tamburo91
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lunedì 3 novembre 2014
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film per pochi
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Ahimè la mia prima recensione sul sito è per un film che ho visto al cinema e che non ho assolutamente amato. Non voglio contestare la durata visto che essendo la pellicola, la biografia di un uomo con un talento "favoloso", il tempo di durata non è mai abbastanza. Magari sarebbe stato meglio ripartirle diversamente queste due ore, dare più spazio ad un personaggio come Silvia, che nei nostri studi scolastici, è sempre apparsa come il fulcro della (triste) vita del poeta. Detto questo un Elio Germano all'altezza della situazione come al solito, è stato uno dei motivi per cui ho deciso di spendere una serata al cinema per un film italiano, ma tutto si ferma lì.
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Ahimè la mia prima recensione sul sito è per un film che ho visto al cinema e che non ho assolutamente amato. Non voglio contestare la durata visto che essendo la pellicola, la biografia di un uomo con un talento "favoloso", il tempo di durata non è mai abbastanza. Magari sarebbe stato meglio ripartirle diversamente queste due ore, dare più spazio ad un personaggio come Silvia, che nei nostri studi scolastici, è sempre apparsa come il fulcro della (triste) vita del poeta. Detto questo un Elio Germano all'altezza della situazione come al solito, è stato uno dei motivi per cui ho deciso di spendere una serata al cinema per un film italiano, ma tutto si ferma lì. Un film che probabilmente ameranno solo i veri cultori della letteratura italiana ma che ad una persona di medio rango scolastico non lascia niente, se non un po' di amarezza nel vedere l'ennesima, deludente, produzione cinematografica italiana.
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emiliadg
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domenica 2 novembre 2014
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"chi dubita sa e sa più che si possa"
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"Il givoane favoloso" di Mario Martone è lo stupore di (ri)scoprire un "nanerottolo" che è essenzialmente un gigante libertario, sognatore, controcorrente, con un'ironia pungente, un'intelligenza superiore e una grande voglia di vita. Meraviglioso l'effetto prodotto dal ritmo narrativo proprio di Martone che si incrocia con la musica di Sascha Ring e i versi di Leopardi declamati da un formidabile Elio Germano. Sorprendente la bellezza delle ambientazioni e la fotografia. Finale eccezionale. Consiglio a tutti di correre al cinema per goderne a pieno!
"Non vivono fino alla morte, se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita.
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"Il givoane favoloso" di Mario Martone è lo stupore di (ri)scoprire un "nanerottolo" che è essenzialmente un gigante libertario, sognatore, controcorrente, con un'ironia pungente, un'intelligenza superiore e una grande voglia di vita. Meraviglioso l'effetto prodotto dal ritmo narrativo proprio di Martone che si incrocia con la musica di Sascha Ring e i versi di Leopardi declamati da un formidabile Elio Germano. Sorprendente la bellezza delle ambientazioni e la fotografia. Finale eccezionale. Consiglio a tutti di correre al cinema per goderne a pieno!
"Non vivono fino alla morte, se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita."
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aristole
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domenica 2 novembre 2014
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bruttino
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A mio parere un'occasione mancata. Per le segunti ragioni. Anzitutto il protagonista, praticamente per tutta la durata del film (dunque gobba o non gobba), si muove come un buffone e assume pose da contorsionista (facendo venire in mente, più che Giacomo Leopardi, l'Igor di Frankenstein Junior). Poi quello che dice, e come lo dice, è sempre teso, drammatico, sopra le righe, a tratti urlato. Non c'è praticamente mai nulla di colloquiale, nei dialoghi, nulla di ironico (ed è un mistero come qualcuno abbia potuto vedere qui la riscossa dell'ironia). Gli scambi di idee che il protagonista ha con altri letterati ripetono sempre lo stesso cllchè, storicamente inesatto e artisticamente noioso (Leopardi, buono; gli altri, cattivi): gli altri non fanno altro che criticarlo duramente (chi non conoscesse altro di Leopardi oltre al film, non potrebbe mai immaginare che negli anni '30 egli era già un poeta e un letterato famoso e stimato da moltissimi), e lui come risposta si incazza.
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A mio parere un'occasione mancata. Per le segunti ragioni. Anzitutto il protagonista, praticamente per tutta la durata del film (dunque gobba o non gobba), si muove come un buffone e assume pose da contorsionista (facendo venire in mente, più che Giacomo Leopardi, l'Igor di Frankenstein Junior). Poi quello che dice, e come lo dice, è sempre teso, drammatico, sopra le righe, a tratti urlato. Non c'è praticamente mai nulla di colloquiale, nei dialoghi, nulla di ironico (ed è un mistero come qualcuno abbia potuto vedere qui la riscossa dell'ironia). Gli scambi di idee che il protagonista ha con altri letterati ripetono sempre lo stesso cllchè, storicamente inesatto e artisticamente noioso (Leopardi, buono; gli altri, cattivi): gli altri non fanno altro che criticarlo duramente (chi non conoscesse altro di Leopardi oltre al film, non potrebbe mai immaginare che negli anni '30 egli era già un poeta e un letterato famoso e stimato da moltissimi), e lui come risposta si incazza. Sufficiente la descrizione di Recanati - tolto Monaldo, a cui viene attribuita una personalità che davvero non possedeva: chi, vedendo il film, sospetterebbe che Monaldo era quasi un personaggip da operetta, reboante e tronfio nei suoi atteggiamenti esterni, ma quasi succube inerme della moglie in casa sua? Aggiungi - ed è la cosa più grave - che si fanno dire a Leopardi colossali fesserie, rinnovando ancora una volta i fraintendimenti che il Recanatese per gran parte della sua vita aveva cercato invano di dissipare. A un certo punto, in un breve dialogo con la sorella, il lettore apprende stupefatto che la filosofia di Leopardi è una forma di scetticismo critico. E quando mai? Per Leopardi la ragione è potentissima, e ha da tempo scoperto la verità delle cose (altro che scetticismo!). Il problema è che questa verità è terribile per l'uomo, per cui la filosofia è dannosa (L. dice della sua filosofia che è "dolorosa ma vera"). Si salvano i recitativi, tra cui la scelta originale dei pezzi. L'Infinito non poteva non esserci; ma non c'è nessuno dei grandi idilli, mentre è ripreso lo splendido attacco della "Sera". Poi, a sorpresa, troviamo brani del ciclo di Aspasia tra cui uno, se ho udito bene, addirittura dal Consalvo. Immensa, infine, la recitazione di una parte della Ginestra. Ma per dare queste emozioni bastava un bravo attore e un teatro: per un film è davvero troppo poco.
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papat
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domenica 2 novembre 2014
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leopardi, favoloso per straordinario.
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Premesse la mia misoginia per la gran parte delle pellicole italiane e la convinzione che portare sullo schermo la figura e soprattutto la vita di un uomo come Leopardi è impresa destinata di per sé all'insuccesso, e che, anche in caso di felice riuscita del proposito cinematografico, la concreta trasposizione filmica del soggetto distruggerebbe la magia poetica dell'uomo, che di per sé, in ispecie nel caso del Leopardi, ha i suoi confini più propri nella delineazione critica letteraria, nei suoi versi e nella tempra virile e sociale del suo carattere. Come scriveva De Sanctis, a proposito di quei critici che volevano risalire all’identità della Nerina di Leopardi (figlia di un cocchiere o di un cappellaio?) e confinare la sua figura in una concreta immagine di persona fisica, "ahimè, mi avete ucciso Nerina".
Inizio dalla parte tecnica del film.
Tono scialbo delle riprese. Fotografia afflitta da una leggera patina brumosa; evidente e fastidiosa sovraesposizione degli sfondi dei panorami
Le strade, gli interni e le architetture esterne dei palazzi e dei manufatti stradali del tutto lustre e pulite, denuncianti in modo evidente la preparazione scenica.
Dalle sequenze napoletane in poi la fotografia e la scenografia si ribaltano. Belle inquadrature, credibili frontespizi delle architetture intaccate dal tempo, con superfici disomogenee nella corrosione degli agenti atmosferici.
Qualche bella inquadratura delle vie cittadine; appena uno scorcio di p.zza del Plebiscito e porta Capuana, si poteva fare un bel campo lungo con una visione d'assieme dei luoghi.
Molto bella la scena dell'eruzione del Vesuvio, con il richiamo ai versi de ‘La ginestra’.
Buona colonna musicale.
Nei confini dell’angolazione della narrazione, di talento la recitazione di Elio Germano; simpatica ed appropriata al personaggio Ranieri quella di Michele Riondino; credibile, ben intonata ed incisa quella di Massimo Popolizio (Monaldo, il padre) e dolce quella di Isabella Aragonese nei panni della sorella Paolina.
Per quanto riguarda la narrazione, Il film presenta il poeta come una persona chiusa nei limiti delle sue patologie, dolorante nell'anima per i confini angusti in cui lo circoscrivono le sue limitazioni fisiche e con una visione della realtà vista attraverso il filtro dei suoi mali, quasi un ipocondriaco chino sui suoi acciacchi, intento a leccarsi le ferite.
Eppure proprio nel film vien fatto dire al poeta che il suo problema fisico non è causa causante della sua filosofia di vita, che deriva invece, causa sui, da una sua formazione spirituale personale, formatasi razionalmente in stridio con la vita fisica reale, contro paradisi in terra e chiuse prospettive saggio-proletarie-borghesi monaldesche. Cosa che il poeta ha sempre ribattuto con forza e profonde argomentazioni.
La visione naturalistica-idillica dei suoi versi è di grande tensione poetica, si agita e ruggisce in una tempra non remissiva e succube che dà vita alla radice eroica della poesia leopardiana.
Non un grido isolato di battaglia ma una voce continua, da origini antiche che parla sicura e decisa nel suo declinarsi verso l’unica possibilità, il volere un futuro fatto dall’uomo, abitante abbandonato e solo di questo cosmo, in una nera assenza di scopi.
E in quest' assenza di etica e di qualsivoglia sentimento dell'intero universo, l'unico progresso che può in parte rimediare a questa gelida e vuota realtà della natura è il sodalizio degli uomini (di contro all’uomo “religioso amante del Nulla”), il loro sforzo nell'unione comune per dare un volto e un calore umano a questa ignobile realtà, devastante teatro unico della nostra sofferenza, ("Forse in qual
forma, in quale / Stato che sia, dentro covile o cuna, / È funesto a chi nasce il dì natale".").
A mio modesto avviso la parte più liricamente sofferta come ‘singolo’ è il suo ardore amoroso, soffocato sul nascere dalla sorte fisica del suo essere, sia quando sommessamente canta la donna ideale ('Alla sua donna’; ‘qui neghittoso immobile giacendo, / il mar, la terra e il ciel miro e sorrido) sia quando rivive nel suo cuore un amore concreto mai nato (‘Aspasia’; ‘…e la perduta / speme de’ giorni miei, di te pensando, / a palpitar mi sveglio.’.) Una data memorabile per Leopardi fu il venerdì 15 febbraio 1823, quando si recò a far visita al sepolcro di Tasso, che tanto lo commosse e gli presentò il contrasto fra l’umile sepoltura del Poeta e quella presuntuosa del ‘poeta’ Guidi, che ‘volle giacere propre magnos Torquato cineres, come dice l’iscrizione’.
E lungo la strada per arrivarvi, descrive come il suo spirito fu colto nei sentimenti più veri, apparendogli con forte impatto emotivo non l'orpello magnificente e scintillante della vuota vanità esteriore ma il rumore della mola, della raspa e lo stridio della sega, che accomuna universalmente gli uomini nella umana ma serena necessità di vita “…le maniere della gente… che si incontra per quella via...la cui vita si fonde sul vero e non sul falso, cioè che vivono di travagli e non di intrighi”.
Una diffusa ‘interpretazione antiidillica’, vede attraverso la lettura di Walter Binni (La protesta di Leopardi) un grande stimolo di lotta contro le negatività della nostra società nei confronti dell’uomo.
Pertanto non una natura chiusa in un castello appartato sulla cima della montagna, avulso dalla realtà del mondo ma da un fisico debole un puntello su cui fare forza per erigere una grande energia combattiva, di contro ad una realtà nemica, emergente in modo netto e definito da una lucida e maschia indagine e riflessione critica.
Invero, al termine di queste mie impressioni devo dire che reputo notevole e lodevole, pur nei forti limiti che ho creduto di vedervi, il proposito del regista Martone di rappresentare sullo schermo la figura di uno dei nostri massimi poeti, in un'epoca sciocca di spettacoli cinematografici e televisivi.
Ed è pur vero che la poliedricità dello spessore umano del poeta è di difficile delimitazione in una visione univocamente conclusa una volta per tutte.
Uno dei massimi studiosi di Leopardi, Cesare Luporini (assieme a Walter Binni), nella prefazione della riedizione del suo saggio (1947-1980) ‘Leopardi progressivo’ (titolo quanto mai appropriato), scrisse “Da ultimo, oggi toglierei o attenuerei di molto il confronto col <pensiero dialettico>, e non lo configurerei comunque come indicazione di un limite di Leopardi…L’atteggiamento negativo, o via via specificamente contestativo, di Leopardi contiene una tale energia intrinsecamente dialettica, che egli non ha davvero bisogno di siffatti ingabbiamenti”.
Ingabbiare l’uomo nel suo involucro di individuo sarebbe come volere contenere la luce della stella che, comunque, negli anni, giunge lontano a brillare nel cielo dell’uomo.
(paolo patrone)
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edoardo lorenzi
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domenica 2 novembre 2014
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estremamente attuale!
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Un film per chi non ha fretta. L' approccio del regista è sicuramente encomiabile: rendere Leopardi accessibile a tutti (alle masse, se volete), recuperndo una funzione divulgativa dello strumento "cinema" che sicuramente è andata persa. L' intensità de "Il giovane favoloso" ben rende il malessere dell' autore senza mai scadere in un racconto scolastico, un disagio che trova fonte nella irrequietezza del Leopardi per le regole, per le tradizioni e per la terra (intesa nella sua concezione universale) che egli calpesta. Emerge un Leopardi-ribelle, che ci pone dinnanzi a un quadro estremamente attuale di inquietudine di fronte al mondo contemporaneo (o forse si potrebbe parlare di inattitudine del mondo contemporaneo per l' Uomo ?), ne
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Un film per chi non ha fretta. L' approccio del regista è sicuramente encomiabile: rendere Leopardi accessibile a tutti (alle masse, se volete), recuperndo una funzione divulgativa dello strumento "cinema" che sicuramente è andata persa. L' intensità de "Il giovane favoloso" ben rende il malessere dell' autore senza mai scadere in un racconto scolastico, un disagio che trova fonte nella irrequietezza del Leopardi per le regole, per le tradizioni e per la terra (intesa nella sua concezione universale) che egli calpesta. Emerge un Leopardi-ribelle, che ci pone dinnanzi a un quadro estremamente attuale di inquietudine di fronte al mondo contemporaneo (o forse si potrebbe parlare di inattitudine del mondo contemporaneo per l' Uomo ?), nell' era della globalizzazione qual è la condizione del singolo ?
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mauridal
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domenica 2 novembre 2014
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la sfida del poeta
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Ancora una sfida e un'azzardo per mario martone ,regista teatrale ma votato al cinema con questo leopardi film sulla figura del poeta ma anche sulla condizione dell'italia tra nord e sud alla metà dell'ottocento. un tema questo caro a martone dopo il film storico noi credevamo che in qualche modo viene ripreso qui come pretesto narrativo per fare da sfondo al leopardi giovane che tra poesia e malanni partecipa alla lontana alla vicenda politica dell'italia come un giovane ribelle , patriota agli albori degli ideali risorgimentali . certo una visione antiscolastica che il regista vuole imprimere alla vicenda umana e poetica di leopardi . E d è qui che si scontra con una figura di poeta pessimista e dalla dolorosa esistenza che come studenti prime e professori poi siamo stati abituati ad accettare , dalla letteratura italiana accreditata nei testi accademici.
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Ancora una sfida e un'azzardo per mario martone ,regista teatrale ma votato al cinema con questo leopardi film sulla figura del poeta ma anche sulla condizione dell'italia tra nord e sud alla metà dell'ottocento. un tema questo caro a martone dopo il film storico noi credevamo che in qualche modo viene ripreso qui come pretesto narrativo per fare da sfondo al leopardi giovane che tra poesia e malanni partecipa alla lontana alla vicenda politica dell'italia come un giovane ribelle , patriota agli albori degli ideali risorgimentali . certo una visione antiscolastica che il regista vuole imprimere alla vicenda umana e poetica di leopardi . E d è qui che si scontra con una figura di poeta pessimista e dalla dolorosa esistenza che come studenti prime e professori poi siamo stati abituati ad accettare , dalla letteratura italiana accreditata nei testi accademici. La sfida di martone anti accadamico sembra riuscita ma il film deve necessariamente passare per il gusto dei giovani studenti e dei vecchi letterati che dovranno necessariamente passare in rassegna gli ottimi monologhi di un bravoi - germano- leopardi alle prese con una poesia declamata a cinema.
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antonietta dambrosio
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sabato 1 novembre 2014
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un giovane leopardi incolore
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Il giovane favoloso -recensione
Se avessimo voluto ripassare la vita e le opere di Giacomo Leopardi avremmo potuto aprire le pagine del nostro vecchio libro di letteratura italiana. Quella di Mario Martone è una cronaca asettica ed incolore di una vita che ha segnato la storia della nostra letteratura, del poeta e filosofo fanciullo che più abbiamo amato al solo udir della voce, perché la sua voce l'abbiamo udita e la sua sofferenza si è fermata sulla pelle, naufragando dolcemente in quel suo mar, abbiamo guardato oltre attraverso i suoi occhi con una lucidità carica di ironia spingendoci al di là di ogni male terreno, sollevati dalla sua poesia.
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Il giovane favoloso -recensione
Se avessimo voluto ripassare la vita e le opere di Giacomo Leopardi avremmo potuto aprire le pagine del nostro vecchio libro di letteratura italiana. Quella di Mario Martone è una cronaca asettica ed incolore di una vita che ha segnato la storia della nostra letteratura, del poeta e filosofo fanciullo che più abbiamo amato al solo udir della voce, perché la sua voce l'abbiamo udita e la sua sofferenza si è fermata sulla pelle, naufragando dolcemente in quel suo mar, abbiamo guardato oltre attraverso i suoi occhi con una lucidità carica di ironia spingendoci al di là di ogni male terreno, sollevati dalla sua poesia. Elio Germano ha dato volto e figura al nostro Leopardi, in una patetica interpretazione, quasi comica nel mettere in scena una ribellione fine a se stessa, stridendo nel tono della voce, che di lui avevamo sognato melodica come la sua poesia, profonda e infinitamente avvolgente. Nessuno è stato testimone del suo tempo, ma tutti attraverso L'Infinito abbiamo osato superare l'orizzonte, abbiamo riconosciuto il suono del silenzio, e nessun altro ci ha dato la misura ed il valore dell'attesa, l'importanza del dubbio. Attraverso Martone ci si ferma sul bambino prodigio, sul giovane oppresso dall'amore soffocante del conte Monaldo e di sua moglie, rigidi entro i limiti di un'educazione che non va oltre i canoni di regole dettate dalla morale cattolica e di un etica che risponde al rispetto della fede monarchica, seguendone i passaggi solo cronologici, da Recanati a Firenze, poi Roma e Napoli indugiando più del necessario sull'ambigua amicizia con Antonio Ranieri. Dell'evoluzione del suo pensiero solo qualche balzo che va dalla sete di gloria alla ribellione solo immaginata nei confronti di suo padre, dalla fascinazione verso gli ambienti liberali, al pessimismo scaturito anche dalla precaria condizione fisica fino a fargli maturare l'odio verso una natura che definisce matrigna. In ultima analisi Leopardi approda all'esaltazione della noia come conseguenza del nulla dato dal senso di distacco dalla vita, e solo agli spiriti superiori è dato di riconoscerla e provarla. È stato questo il senso dell'opera di Martone, ricondurci al tedio e alla noia nei 137 minuti della sua pellicola, per rendere sublime il nostro spirito? Per cimentarsi in tali opere non basta riempire lo schermo col volto di Elio Germano, sempre più sgarbato e curvo sotto il peso di uno studio sfrenato, che recita pochi versi con poca enfasi sul palcoscenico di una cartolina bellissima, accompagnato dalle note di una colonna sonora in determinati passaggi anche inopportuna e non sarà capace tale opera di sbiadire il senso del suo passaggio dalle vite di ognuno di noi.
Antonietta D'Ambrosio
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(di beppe colella)
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(di grazia miccoli)
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fabifabi
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sabato 1 novembre 2014
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noioso
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Adoro Leopardi ma questo film l'ho trovato noiosissimo e , cosa che mi capita raramente , siamo usciti dopo mezz'ora.
[+] meno siamo , meglio stiamo
(di angelo mandelli)
[ - ] meno siamo , meglio stiamo
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