Il giovane favoloso |
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Un film di Mario Martone.
Con Elio Germano, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Anna Mouglalis, Valerio Binasco.
continua»
Biografico,
durata 137 min.
- Italia 2014.
- 01 Distribution
uscita giovedì 16 ottobre 2014.
MYMONETRO
Il giovane favoloso ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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The fabolous Germano
di frenky 90Feedback: 1021 | altri commenti e recensioni di frenky 90 |
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venerdì 31 ottobre 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
E' difficile giudicare un film biografico. Il più delle volte si tratta di pellicole di medio livello, impreziosite dal grado di affettività nei confronti del personaggio raccontato da parte di autori e pubblico il quale entra in empatia con la pellicola solo a seconda della mole di interesse nei confronti della persona in questione e delle sue vicende. Quasi sempre il film è garbatamente ma più o meno marcatamente celebrativo e gli interpreti sono perfettamente calati nei ruoli anche e soprattutto per evitare querele o revoche dei permessi su copyright e diritti di sfruttamento d'immagine pubblica vari, o più semplicemente lamentele per inesattezze da parte del fan di turno. Quel che è certo è che è una grossa responsabilità, a partire dagli sceneggiatori per finire con gli attori, realizzare un prodotto su una persona realmente esistita che nella maggior parte dei casi ha avuto una forte incidenza sulla memoria collettiva poiché non ci si può permettere di sbagliare ma è altrettanto veridico che si rischia di cadere nel “raccontino” se quantomeno non si prova ad aggiungere un pizzico di originalità alle immagini mostrate prendendosi quell'ombra di licenza che non macchia la realtà storica dei fatti. Ne “Il giovane favoloso” di Mario Martone, come in tutti i film biografici di questo mondo, c'è tutto questo e qualcosa in più: Elio Germano. Che se si chiamasse “German” e il film raccontasse le gesta di Walt Withman avrebbe già in tasca una luccicante statuetta d'orata col proprio nome sopra credo sia fuori discussione. Il dipinto d'autore che l'attore romano ricalca sulla china di Giacomo Leopardi è un mezzo capolavoro, e probabilmente è “mezzo” solo perchè gli tarpano le ali una trama a volte sfilacciata e una regia a tratti indulgente nell'insistere sulla ripetizione ossessiva di alcune inquadrature. Quello che insieme a Pierfrancesco Favino è rimasto forse l'unico Attore italiano con la A maiuscola (non me ne voglia la sterminata razza degli attori teatrali sconosciuti, squattrinati e tuttavia eccelsi di cui anche questa stessa opera si nutre ma è una provocazione la mia) incarna con magnifico ardore colui che è stato probabilmente il più grande poeta italiano della storia, donandogli vita e persino vitalità alla faccia dei luoghi comuni. A partire dalla camminata a finire dalla parlata Germano segue con perizia le orme del cantore di Recanati facendosi aiutare dall'ottima sceneggiatura di Ippolita Di Majo e dello stesso Martone, nonché dalla versatile fotografia dello svizzero-ticinese Renato Berta che già “cinematografò” per la Novelle Vague francese donando i suoi servigi a Rohmer e Alain Resnais. La resa scenica della proverbiale gobba che nel film (in cui non manca l'ironia) viene toccata dai napoletani per portafortuna per l'immancabile gioco del lotto è il meno del lavoro dell'interprete già Palma D'Oro a Cannes, e il che è veramente tutto dire. Il pur buono cast di supporto, specialmente nelle interpretazioni di Popolizio e Binasco, scompare di fronte alla presenza schiacciante del “main caracter” che ruba letteralmente la scena. Rimangono estasiati anche i peggiori critici che, come me, si aspettavano di vedere l'atto fisico della morte del poeta che invece, e bisogna dirlo, con un colpo di coda registico da manuale viene più che degnamente sostituita dall'elucubrazione materiale del suo poema-testamento “La ginestra” che segna il definitivo declino fisico e morale del Leopardi uomo. Il sommo conte che non volle farsi prete ci appare sofferente e rassegnato alla luce dell'ultima eruzione del Vesuvio, e così tale in tutto il resto del film, non come pessimista riguardo alla vita ma come vittima della vita stessa, poiché gli è toccato prima che a molti altri di assaggiarne la futilità. E se inerme rimane di fronte alla morte altresì con fierezza risponde alle ingiurie dei villici che lo tacciano di malinconia, convinto che il suo pensiero fosse già all'epoca travisato dai suoi contemporanei con bieca faciloneria. “Due cose belle nella vita: amore e morte.” E altre sciocchezze scritte nei libri da liceo. Merita.
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