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Storia "poconormale" del cinema: il comico (2)

I grandi eroi della comicità mondiale.
di Pino Farinotti

Uno stato di grazia
Vittorio Gassman 1 settembre 1922, Genova (Italia) - 29 Giugno 2000, Roma (Italia). Interpreta Brancaleone da Norcia nel film di Mario Monicelli L'armata Brancaleone.

venerdì 28 maggio 2010 - Focus

Uno stato di grazia
Ne La musa, episodio dei Mostri, di Dino Risi, Gassman è una donna, la titolare di un importante premio letterario. Tacchi alti, abito nero attillato con una scollatura che mette a nudo quella schiena di un metro quadrato. Insieme agli altri membri della giuria deve scegliere il libro vincitore. Ha messo gli occhi sull'autore, un analfabeta pugliese, che vorrebbe sedurre. Riesce, con prepotenza ("Chi non è con me è contro di me"), voce in falsetto, a fargli attribuire il premio. Rimasta sola con "l'autore" cerca, giusto pro forma, di intessere un minimo di discorso letterario, gli parla di anacoluto "ma perché lo usi così spesso?" L'altro confonde l'anacoluto con la Pepsi Cola. Poi si spengono le luci e scatta la seduzione. È una performance d'attore strepitosa. Un Gassman toccato dalla grazia, come spesso gli accadeva.
Ne L'armata Brancaleone Gassman ha raccolto il suo gruppo sgangherato. In cammino per la Crociata, il cavaliere avanza con tutta la sua enfasi. Seguono gli sgangherati. Si imbattono in un gruppo di briganti che attaccano la lettiga della vergine, Catherine Spaak. Brancaleone drizza il cavallo, dice ai suoi "seguitemi miei pugnaci" poi parte lancia in resta, letteralmente. Solo che gli sgangherati non lo seguono, si dileguano chi dietro un albero, chi oltre una collinetta, chi sotto la pista. Solo, eroico, "Branca" sgomina i briganti e salva la vita e la purezza della vergine. Passato il pericolo l'armata è uscita dai suoi nascondigli e si è ricomposta. L'eroe torna trottando verso i militi, li raggiunge, li guarda negli occhi uno per uno e dice: "quando dico seguitemi miei pugnaci, dovete seguirmi e pugnare" ripropone lo sguardo di rimprovero e conclude "altrimenti stiamo a prenderci per lo naso".

Grande
Il più grande attore drammatico italiano era anche il più grande attore comico. Lasciando Totò le suo spazio che è solo suo. Gassman, in gioventù è stato cavaliere misterioso (film omonimo), è stato vilain in Riso amaro e seduttore perverso di Audrey Hepburn- Natasha in Guerra e pace. Nel frattempo, in teatro era Amleto, a detta di molti il migliore Amleto italiano, era Otello, Adelchi, nel suo sconfinato repertorio classico, ed è stato il miglior Stanley Kowalski (Un tram chiamato desiderio) del nostro teatro. Finché nel 1958 Mario Monicelli intuisce, e davvero non si sa come, il talento comico dell'attore. Lo convince a interpretare Peppe, il pugile suonato che fa parte di un'altra precedente "armata brancaleone", il gruppetto di disperati romani che tentano una rapina ne I soliti ignoti. Da quel momento Gassman sarà l'eroe della nostra commedia, che aveva raccolto il testimone d'oro del realismo. Un cinema leader nel mondo. Col "Sorpasso", di Dino Risi, l'attore genovese dava corpo e volto a Bruno Cortona, comico-tragico, l'italiano che vive di espedienti, squattrinato e cinico, non cattivo, con un suo fascino, pronto a buttarsi tutto dietro le spalle, al volante della sua Aurelia supercompressa. Un ruolo perfetto, un Gassman perfetto.

Eroi
Al Gassman leader di comicità italiana seguono gli eroi della comicità del mondo. Riproduco uno stralcio della prefazione del mio libro Storie di cinema, in un uscita nella prima settimana di giugno.
"Ne gli Allegri eroi, siamo nel 1935, Stan e Oliver sono distaccati in India, soldati di Sua Maestà. Indossano il kilt e sono Laurel & Hardy, come li conosciamo, gag e tutto il resto. Hanno l'incarico di raccogliere la spazzatura in un bidone. Sono muniti di un bastone a punta per le cartacce. Cominciano il lavoro. Da qualche parte una banda militare intona una ballata scozzese. I due cominciamo a muoversi al ritmo della musica, girano intorno al bidone, si incrociano, si fanno dei cenni, poi i movimenti diventano ballo. E il ballo li distrae dal compito. Sopraggiunge lo storico antagonista, il baffuto arcigno James Finlayson, qui nelle vesti di un sergente. Hardy lo vede e se la dà a gambe, Stan, ignaro continua a ballare, sempre più compreso, sempre più eccitato. Mostra il sedere al sergente, lo prende per mano, lo guida in un paio di passi, fa una promenade in avanti verso l'obiettivo aprendo e chiudendo le gambette magre. Poi si accorge del "cattivo" e anche lui se la dà a gambe, inseguito dal sergente. Laurel supera di slancio una vasca piena d'acqua, mentre l'inseguitore ci cade dentro, poi raggiunge il compagno che si è già appostato davanti alla prigione, entrano marciando nella cella, chiudono la porta, buttano via la chiave e continuano a ballare al suono della banda. Trattasi di cinema. Del cinema. Alla coppia non serve altro che Laurel & Hardy. Non parlano, muovono quei corpi senza grazia con grazia infinita. Si rapportano con chi li guarda come nessun altro. Il poco di cui hanno bisogno non te lo spieghi, è pieno di misteri. È l'incanto non misurabile del cinema. I miei studenti del Centro Sperimentale e dell'Accademia di belle arti di Brera, dunque attitudini, culture e destini diversi, hanno guardato questa sequenza con sconcerto e sorpresa, prima di esplodere con un applauso alla fine. Laurel & Hardy, quasi sconosciuti, si accreditavano come una possibilità di incanto mai esplorata. La generazione che crede che il cinema cominci con Pulp Fiction si è scontrata col Cinema Assoluto, non lo ha capito ma lo ha intuito, e lo ha usato. E, per un momento, ne è uscita felice. Laurel & Hardy erano esportati in tutti i continenti, anche in zone lontane e nascoste, quasi estranee al cinema, divertivano tutti ed erano amati da tutti, senza doppiaggio, e anche la gente dei grandi ghiacci e delle grandi sabbie si divertiva quando, incidentalmente, poteva vederli. Un sortilegio che appartiene a loro e a pochi altri, ma soprattutto a loro. Quando mi si chiede una citazione, un ricordo, una classifica, senza rincorsa, senza pensiero, è questa la sequenza che la memoria richiama e che si impone senza esitazione. Questa storia del cinema la faccio dunque partire da loro, Stan Laurel e Oliver Hardy".

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