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Storia 'poconormale' del cinema: il giallo (5)

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema.
di Pino Farinotti

Puntata 49

venerdì 29 gennaio 2010 - Focus

Puntata 49
Ribadisco l'assunto iniziale della grande attitudine della cultura anglosassone, specie di quella britannica, al giallo. I nomi e i titoli sono stati fatti. Fra i nomi, di autori e di personaggi, che possano attestarsi sulla stessa piattaforma di qualità, non ci sono italiani. La tradizione gialla italiana ha radici decisamente meno importanti. I nostri autori hanno preferito raccontare storie di matrice sociale, fantastica, realista o intimista. O magari leggere-con-qualità. I nomi sono i soliti: Visconti, Fellini, De Sica e Rossellini, Antonioni, Risi e Monicelli. Il giallo, il poliziesco eccetera nascono da noi come generi minori, quasi non-generi. E parlo di un tempo quando i generi esistevano perché nell'era recente del cinema italiano, non esistono più. Devo davvero forzare la memoria per estrarre un giallo italiano "di genere": forse La ragazza del lago, di impianto quasi tradizionale. Il film, con Toni Servillo che indaga, diretto da Andrea Molaioli è però soltanto parzialmente italiano, essendo tratto dal romanzo della norvegese Karin Fossum. Tornando alle stagioni dei generi, la nostra scarsa attitudine, la nostra quasi dipendenza da modelli nati altrove emerge semplicemente facendo dei nomi. Gli altri avevano Bogart, noi Enrico Maria Salerno; gli altri Clint Eastwood, noi Maurizio Merli.
Ragionando "italianamente" sui generi, ecco venir fuori due talenti nostrani e smaliziati, buoni per tutte le storie: Mastroianni e Tognazzi. Il primo è il commissario ne La donna della domenica scritto dai nostri giallisti più accreditati, Fruttero e Lucentini. Mastroianni è il buon, italico poliziotto, anche in Doppio delitto, di Steno, per la penna di Moretti. Di Tognazzi ricordiamo Il commissario Pepe, di maigretiana memoria, e Il commissario Ambrosio, creato da Renato Olivieri, nostro giallista ufficiale. E poi due citazioni importanti: Franco Nero, nel ruolo del capitano dei carabinieri Bellodi ne Il giorno della civetta: e ancora Pietro Germi che fa il commissario della Squadra mobile di Roma ne Il maldetto imbroglio, tratto dal romanzo "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana". E così con Leonardo Sciascia e Carlo Emilio Gadda annoveriamo anche noi due grandi scrittori nella voce "giallo".

Pittoresco
Dal versante pittoresco del nostro cinema, certo frequentato, ecco uscire delle buone trovate. Una è quella di "Mondezza", il Tomas Milian con parrucchino riccioluto, protagonista di una serie di film diretti da Bruno Corbucci, ricordiamone due: Delitto al ristorante cinese e Delitto sull'autostrada. Nel 2005 Claudio Amendola ha riproposto il personaggio di Monnezza. Si è arrabbiato molto Tomas Milian e si sono molto arrabbiati gli appassionati dell'antico Monnezza, un vero e proprio culto. Milian e gli appassionati... non avevano del tutto torto.
E non si può ignorare la lunga serie di "Piedone", con Bud Spencer che agiva in situazioni italiane ma non sempre. Anche noi abbiamo avuto un bello con la pistola, molto vicino a certi detectives americani, Franco Gasparri, che ha dato vita a Mark il poliziotto in tre film, diretti da Stelvio Massi, nella metà degli anni settanta.

Argento
Naturalmente un nome che deve ricorrere è Dario Argento. I suoi film hanno indubbiamente il marchio della riconoscibilità immediata, che è un merito. E ne hanno uno ancora maggiore, sono stati esportati. E non accade davvero spesso al nostro cinema. Il giallo riguarda Argento solo parzialmente. Nel tempo l'autore si è evoluto verso l'orrore toccando elementi anche estremi del soprannaturale e del demoniaco. Ma almeno tre titoli vanno ricordati: L'uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio. I gialli, appunto.

Maigretiano
La citazione sopra del commissario Pepe "maigretiano", porta di riflesso al giallo francese. Per qualità e popolarità George Simenon non ha molto da invidiare ad Agatha o a Doyle, e Maigret certo equivale Holmes e Poirot. Ma lascio il commissario Maigret alle pagine successive. Perché il cinema francese, contrariamente a noi, alimenta il genere a modo suo, il modo è il noir. Le radici sono quelle del grande cinema francese di cui ho più volte scritto, quello del Fronte popolare. La ricerca è quella dell'uomo isolato, con regole sue, senza nessuna protezione privata o istituzionale, che finisce nella disperazione o peggio. È un modello che ben presto diventerà il vilain di tanti francesi. Tutti i grandi attori, e quasi tutti i registi francesi hanno interpretato e firmato storie di mala. Jean Gabin è il capostipite, si porta dietro Ventura, Delon, Belmondo. Gabin eroe dei film di Renoir e Carné, con problematica da arcigno intellettuale, anche se era muratore, soldato o ferroviere, era l'organizzatore del Grisbì vent'anni dopo, per la regia di Becker, anche lui grande maestro di cinema. Era poi il patriarca del Clan dei siciliani di Verneuil, ed erano passati altri vent'anni. Gabin è davvero il cinema francese, soprattutto è il nero del cinema francese. Ma non è finita, la più popolare espressione del poliziesco francese si chiama, appunto, Simenon autore e Maigret commissario, e ancora Gabin attore.

Erede
Non esiste un vero erede di Gabin, esistono attori che hanno ripreso alcuni dei suoi ruoli. Alain Delon ha percorso, a sua volta, quasi tutte le strade del cinema, dunque anche il thriller e il poliziesco. Delon è stato killer in Frank Costello faccia d'angelo, è stato il vilain-con-principi in Borsalino, e in altre storie. Così come è stato poliziotto. Ricordo l'ambizioso e calligrafico Flic Story, e ancora due titoli di Georges Lautner, Esecutore oltre la legge e Morte di una carogna. Lautner è legato a un altro grande francese, Jean-Paul Belmondo, uno che è stato guardia o ladro con disinvoltura. Concetto che vale anche per un Jean-Louis Trintignant e per Lino Ventura. Sono i nomi del mosaico del nero francese. Un bel mosaico.

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