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Storia 'poconormale' del cinema: quei magnifici anni Cinquanta (3^ parte)

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema secondo Farinotti.
di Pino Farinotti

Cartello
Audrey Hepburn (Andrey Kathleen Ruston) 4 maggio 1929, Bruxelles (Belgio) - 20 Gennaio 1993, Tolochenaz (Svizzera). Interpreta La principessa Anna; Anya Smith nel film di William Wyler Vacanze romane.

venerdì 28 agosto 2009 - Focus

Cartello Il molto spazio dedicato al decennio '50 è naturalmente più che giustificato. Ne ho spiegato le ragioni nelle due puntate precedenti. Ma al di là della mia discrezionalità, come riferimento credibile – non esatto, perché, ribadisco ancora, nulla esiste di "esatto" nel cinema - cito i maggiori premi del cinema, a cominciare dall'Oscar. L'Oscar "assume" gli anni cinquanta con grande efficacia. Ne rappresenta l'identità. In questa chiave estraggo un anno preciso, quando la grande manifestazione avvenne al Pantages Theatre il 25 marzo del 1954, a premiare i film del '53. Quel '53, insieme al '39, è "l'anno del cinema del mondo".
La cinquina che si giocò la statuetta assoluta presentava: Giulio Cesare, Vacanze romane, La tunica, Il cavaliere della valle solitaria, Da qui all'eternità. Non esiste cartello più completo, per spettacolo, qualità, ricerca, talenti, gradimento di pubblico e di critica. E ci metto anche "leggenda". C'era la commedia nobile, la favola in magnifico stile (Vacanze romane) raccontata da un autore dalle misure perfette per cultura e spettacolo, Wyler. C'era Audrey, che ebbe l' Oscar, emergente, fra i modelli assoluti di donna del secolo. C'era la Roma felice, da turismo dorato vista dagli americani. E alla fine il mito capovolto di Cenerentola, sempre prevalente.

Shane
Il "cavaliere" (Shane) mi mette in imbarazzo. Sul Farinotti&Mymovies c'è un'esplicita dichiarazione che pone il film nel punto più alto delle classifiche, per quanto possano valere. Trattasi di western romantico comunque riconosciuto nella massima eccellenza del genere da tutti. Uno dei pochi(ssimi) casi in cui il film prevale sul romanzo. Grande incasso all'epoca e ottime critiche. Regista-autore, Stevens, che ci mise del suo e del nuovo, lavorando con tre cinecamere e montando oltre la tradizione. Titolo amatissimo anche dai francesi, un credito che dovrebbe far testo. Magnifico Alan Ladd, eroe dolce e violento, gran tutore dei buoni e gran giustiziere dei cattivi. Musica (Young) e fotografia (Griggs, premio Oscar) a loro volta nobili. In Gioventù bruciata, applicata all'interno dell'anta dell'armadietto di Sal Mineo c'è il primo piano di Shane.

Brando
G iulio Cesare è la nobiltà più alta. Shakespeare in cinema. Brando che fa Antonio diretto dal colto e raffinato Mankiewicz. Una combinazione cinema-teatro credibile e preziosa, con due modelli a incontrarsi che rappresentano al massimo le due categorie. Brando appunto, istintivo, lontanissimo dalla pratica superclassica di quel teatro inglese, e John Gielgud, nei panni di Casca, uno dei maggiori profeti Shakespeariani. Eppure Brando, di puro istinto appunto, travolse il classico Gielgud. Il monologo di Brando-Antonio sul corpo di Cesare trucidato è una delle maggiori performance dello spettacolo del '900.

Cinemascope
L a tunica in chiave popolare fu il titolo più importante fra i selezionati, e titolo decisivo tout court. Un doppio colossal, per investimento e per... formato. Fu infatti il primo cinemascope della storia, dovuto al genio di Zanuk, il leader della Fox, che intendeva, col nuovo grande formato dello schermo, contrastare la televisione. Fra tutti i film presentati quell'anno La tunica ottenne l'applauso più lungo. Il nuovo magnifico artificio, diretto naturalmente al grande pubblico, non poteva non dettare un certo modello di storia, popolare appunto, ma in un contesto di grande estetica, la Roma antica. L'amore fra il tribuno Marcello e la vergine Diana si intreccia con la Storia della Roma al tempo di Tiberio, poi di Caligola, con un inserto non insignificante, gli ultimi giorni di Gesù e la sua crocifissione. Dunque un intreccio che si addiceva alla perfezione al grande prodotto proposto su uno schermo quasi raddoppiato in lunghezza. Burton e Jean Simmons erano i beniamini della Fox. Il tutto nelle mani di Henry Koster, regista solido, garanzia ulteriore. Da allora quasi tutti i film sarebbero stati girati in quella ( o in una molto simile) dimensione.

Europeo
D a qui all'eternità prevalse. Vinse otto Oscar. Era diretto da Fred Zinnaman, un viennese adottato a Hollywood, grande autore. Portava la cultura di lingua tedesca derivata da Weimar e dall'espressionismo, e la integrò al meglio con quella americana. Un europeo a Hollywood, altro segnale importante. Il film era tratto dal romanzo di James Jones. Alle Hawaii, nei giorni dell'attacco a Pearl Harbor si intrecciano le storie di tre militari. Performance indimenticabili di Clift e Lancaster, e anche di Sinatra, che ebbe l'Oscar, che aveva mosso tutte le sue conoscenze, di tutti gli ambienti, per ottenere la parte di Maggio. La memoria del cinema registra una delle più intense sequenze d'amore e di erotismo, un unicum non ricostruibile: Lancaster e Deborah Kerr che si baciano, avvinghiati nella risacca. Fra le otto statuette c'era anche quella di miglior film e migliore regista.

Imperiale
Una cinquina imperiale che, come detto all'inizio, che rappresenta, al livello più alto, tutte le opzioni del cinema. Un concentrato strepitoso e fortunato. Cinque lati armonici del poligono.

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