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Tino Carraro

Tino Carraro (Agostino Carraro). Data di nascita 1 dicembre 1910 a Milano (Italia) ed è morto il 12 gennaio 1995 all'età di 84 anni a Milano (Italia).

L'antiattore

A cura di Fabio Secchi Frau

Anche se pochi lo ricordano, Tino Carraro, con quell'aria vissuta e un po' stropicciata, fu uno degli eroi della recitazione italiana. Attore disincantato, con la sua aria ruvida e lo sguardo malinconico, fu il prototipo di un nuovo modo di concepire il mestiere della recitazione. Occhi mobili e profondi, abbigliamento casual, voce suadente, svolse una carriera impeccabile, all'insegna di ruoli spiazzanti e imprevedibili.
Figlio di un tipografo, fin da ragazzo recitò nelle compagnie amatoriali, guadagnandosi però il pane come venditore di pezzi di ricambio per auto. Nel frattempo, si diplomò all'Accademia dei Filodrammatici, entrando nelle maggiori compagnie di giro dell'epoca, accanto ad attori come Ernesto Calindri, Laura Adani, Evi Maltagliati e Luigi Cimara, con i quali interpreterà una magistrale "Anna Karenina" nel 1941 (passata alla storia del teatro e agli onori della critica). Con il dopoguerra, dal 1951 al 1952, entrò al Piccolo Teatro di Roma, diretto da Orazio Costa, dove interpreterà "Le colonne della società" di Ibsen e "Così è (se vi pare)" di Pirandello.
Sposato con l'attrice portoghese Maria Mayer, debutterà cinematograficamente nel bellico I sette dell'Orsa Maggiore (1952) di Duilio Coletti, con Riccardo Garrone e Eleonora Rossi Drago. Seguiranno piccole pellicole, dove tuttavia lavorò gomito a gomito con Yvonne Sanson, Tomas Milian, Tiberio Murgia, Massimo Girotti, Gisella Sofio e Nino Castelnuovo. Interprete ideale dei peplum anni Sessanta, a teatro divenne invece primo attore del Piccolo di Milano (prendendo il posto lasciato da Gianni Santuccio). Antidivo, antiattore, vide il suo mestiere come quello di un artigiano e dal sodalizio artistico con Giorgio Strehler nacquero spettacoli memorabili come: "Ingranaggio", "Giulio Cesare", la "Trilogia della villeggiatura", "Il giardino dei ciliegi", "Most Milan", "Coriolano". Ma rimarrà insuperabile nel suo ruolo di Mackie Messer ne "L'opera da tre soldi" con Milly e Mario Carotenuto. Disgraziatamente, questa unione artistica si ruppe quando Strehler gli preferì Tino Buazzelli nella messa in scena de "Vita di Galileo", perché Carraro era troppo magro.
Ritornato al cinema, recitò con Gina Lollobrigida in Venere imperiale (1963) di Jean Delannoy, ma la sua fama raggiunse dimensioni spropositate con il suo secondo legame artistico: quello con il regista Sandro Bolchi. Signore degli sceneggiati della prima televisione italiana, Bolchi trovò in Carraro il suo interprete ideale e lo inserì nel cast di miniserie come: Il mulino del Po (1963), con Raf Vallone e Gastone Moschin; I miserabili (1964), nel ruolo di Javert; I promessi sposi (1967) nei panni di Don Abbondio; Le mie prigioni (1968) e I corvi (1969). Nel frattempo, il cinema italiano, con i suoi primi B-movie, bussava alla sua porta. Eccolo dunque apparire in pellicole come Orgasmo (1969) di Umberto Lenzi, ma anche in La monaca di Monza (1969) di Eriprando Visconti, entrando poi nella corte dell'altro Visconti, il più leggendario Luchino. Esportato cinematograficamente anche all'estero, fu uno degli attori più usati dal francese Georges Franju (L'amante del prete e il televisivo La ligne d'ombre), anche se difficilmente lo si scorderà in Il gatto a nove code (1971) di Dario Argento.
Solo con l'allontanamento di Strehler e la nuova direzione presa da Patrice Chéreau al Piccolo di Milano, Carraro tornò nel tempio milanese del teatro impegnato, recitando spesso con Valentina Cortese, e restando anche dopo il ritorno di Strehler, sotto la quale sapiente regia interpretò "Re Lear" (1972) e "La tempesta" (1978), entrambe di Shakespeare. E con un tale bagaglio professionale alle spalle, fu singolare vederlo poi in televisione nella serie italiana di fantascienza A come Andromeda (1972) di Vittorio Cottafavi, che aveva come protagonista Paola Pitagora. Un po' meno ritrovarlo in altri due sceneggiati di Bolchi: Puccini (1973) e Melodramma (1984).
Samperi, Làszlò Szabò, Francesco Rosi gli offriranno piccole, ma significative parti nelle loro opere. L'ultimo regista ad averlo diretto fu Carlo Mazzacurati in Notte italiana (1987) con Mario Adorf e Robert Citran. Poi darà anche l'addio definitivo al teatro, interpretando nel 1994 "I giganti della montagna" di Pirandello, perché la sua salute, ormai precaria non gli permise di proseguire. Qualcuno disse che nei suoi occhi portava tutta la stanchezza di un'umanità al tramonto...
Laconico e malinconico, muore per un arresto cardiaco nella sua Milano. In quasi un secolo di carriera macinò di tutto, dagli sceneggiati di successo, ai b-movie, compresi i film d'autore, rappresentando di fatto che l'esperienza e il cambiamento sono l'essenza del lavoro dell'attore.

Ultimi film

Drammatico, (Italia - 1987), 93 min.
Drammatico, (Italia - 1980), 110 min.
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