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Non solo David

Riconoscimenti internazionali per Loren e Nero. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti


lunedì 9 maggio 2011 - Focus

C'è ancora l'eco dei David di Donatello, il cinema italiano che premia se stesso, mentre è ormai molto lontano, quasi non ci arriva più, l'eco dei Premi assoluti attribuiti ai nostri titoli e autori, alludo all'Oscar, alla Palma, al Leone. Gli ultimi titoli riconosciuti dal mondo sono stati La vita è bella (1998, Oscar) e La stanza del figlio (2000, Palma d'oro). È passato davvero tanto tempo.
Fuori dall'ufficialità dei Premi, arrivano in questi giorni due riconoscimenti che non andranno negli albi d'oro, ma contano, e molto. Hollywood ha dedicato un omaggio, sontuoso, a Sophia Loren. C'erano tanti eroi del cinema, al Samuel Goldwyn Theater, tutti in piedi per la standing ovation all'eroina italiana. C'era Rob Marshall, che l'ha diretta in Nine, c'erano Hanks e Travolta, e poi Benigni, e altri.

Mistica
La Loren non è un'attrice, non è neppure un personaggio, è un sortilegio eterno, una mistica. Le date sono impressionanti. Il suo primo ciak è del 1949, quando aveva quindici anni. Il film si intitolava Cuori sul mare, di Giorgio Bianchi. Millenovecentoquarantanove: c'erano ancora Coppi e Bartali e non al tramonto, ma nel loro momento migliore. De Gasperi e Togliatti avevano ancora una carriera davanti. Kennedy era ancora lontano, persino il suo predecessore Eisenhower doveva ancora essere eletto, c'era Truman alla presidenza, quello della guerra e della bomba atomica. Mancavano tre anni all'incoronazione di Elisabetta. Da noi non solo non c'era ancora Mike Bongiorno, non c'era neppure la televisione. Mancavano le cadute dei muri e dei regimi, Castro, il Vietnam, lo sbarco sulla luna, insomma mancava la seconda parte del Novecento e tutto quello che sappiamo. Sophia ha attraversato tutto rimanendo semplicemente intatta. L'abbiamo vista a Hollywood, gambe accavallate e grande scollatura. Eternamente uguale a se stessa. Dorian Gray senza il ritratto. Per lei Hollywood ha cambiato una regola che era un cardine: le ha dato un Oscar come interprete di un film non americano, La ciociara. E poi gliene ha attribuito un altro alla carriera. Ho detto eroina, non deve significare beata. Andò in America nel '57 e la Paramount investì su di lei in assoluto. Le diede dei partner che erano semidei. Da Grant a Sinatra, Ladd, Wayne, Gable, Peck, Holden, Brando e Newman, fra gli altri. Va detto che Sophia, in quell'ambiente, in quelle storie, in quel sistema, c'è stata e come, ma era sempre... sottilmente a disagio. La Loren è stata soprattutto la "ciociara". Comunque non è poco. E se il centro del cinema del mondo ha voluto evocare qualcosa di italiano, è lei che ha invitato.

Western
Nel 1966 Sergio Corbucci firmò un western italiano, Django, con Franco Nero. Sembrava uno dei tanti titoli che si erano messi in coda nel filone inventato da Sergio Leone. Ma quel film aveva qualcosa in più, poteva succedere. Possedeva una sua identità che lo emancipava dai codici del primo maestro. E poi c'era Franco Nero. Ci mise molto del suo, si fece conoscere e divenne il personaggio che sappiamo. Un grande attore. Nero aveva appeal, faccia internazionale, non avrebbe ancora potuto fare Amleto ma era una presenza diversa, un'anomalia italiana. Lo notavi subito. Da allora Nero ha dato corpo e volto a personaggi come Lancillotto, il capitano Bellodi (Il giorno della civetta), Valerio il giustiziere del Duce, Matteotti, Fra' Cristoforo, Garibaldi, Sant'Agostino, fra gli altri. E questi "altri" sono centinaia. Registri diversi, magari opposti, prove d'attore davvero complete, con le firme dei maggiori registi internazionali. A Nero appartiene un record del quale farebbe volentieri a meno, quello dei paesi di produzione, che sono una quarantina. Significa che l'attore ha dovuto molto... emigrare, perché c'è stato un tempo, verso la fine degli anni Settanta, in cui un modello bravo e di grande appeal, un eroe, non trovava più spazio, o uno spazio adeguato nel cinema italiano. Irrompevano i caratteristi, che allontanavano i protagonisti come la cattiva moneta espelle la buona dal mercato. Non voglio fare nomi.

Paradosso
Ma qualcosa succede, un bel paradosso. Nero continua ad avere riconoscimenti e mercato all'estero. E tanti amici. Uno di loro si chiama Quentin Tarantino, che non perde occasione di affermare come Franco Nero sia il suo attore preferito. Tarantino ha già scritto la sceneggiatura di Django Unchained, il film che comincerà a girare in estate. È un western alla Tarantino, il primo "Django" è un'ispirazione. Il protagonista è un nero, uno schiavo in fuga che si unisce a un killer tedesco per ritrovare la moglie passata a un altro padrone. E lo schiavo uccide un sacco di padroni. Si racconta di una cifra di violenza addirittura superiore a quella media di Tarantino. Al regista è stato chiesto "al suo amico Franco Nero, che ruolo ha riservato?". Ha risposto che sarà onorato se Franco accetterà di partecipare. "Magari" ha aggiunto "dovrà prepararsi a morire". Tarantino è da molti anni uno dei grandi profeti del cinema del mondo. L'idolo dei giovani, diciamo così, di due generazioni. Il suo linguaggio è un modello che ha ispirato una schiera di adepti per centinaia di titoli figli, magari degeneri, delle "Iene" e di Pulp Fiction. Un suo riconoscimento vale molto, vale più di tanti premi autoctoni. Quando la vicenda è importante, quando si seleziona la qualità, e la memoria del grande cinema deve scremare nomi italiani, evoca Loren e Nero.

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