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Dune - Parte 2, avanguardia del più puro spettacolo cinematografico contemporaneo

Quanti prodotti culturali detengono il titolo di “capolavoro della fantascienza letteraria”, “videogioco che ha fatto la storia” e “mitologico film non realizzato”?  Dune - Parte 2, dal 28 febbraio al cinema.
di Luigi Coluccio

Timothée Chalamet (Timothée Hal Chalamet) (28 anni) 27 dicembre 1995, New York City (New York - USA) - Capricorno. Interpreta Paul Atreides nel film di Denis Villeneuve Dune - Parte 2.
martedì 20 febbraio 2024 - Focus

Quanti prodotti culturali detengono il titolo di “capolavoro della fantascienza letteraria”, “videogioco che ha fatto la storia” e “mitologico film non realizzato”? – ogni definizione sotto virgolette, naturalmente. E pensare che tutto è nato da un viaggio compiuto a fine anni ’50 per scrivere un articolo (“They Stopped the Moving Sands”, poi mai pubblicato) sul tentativo del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense di fermare lo spostamento dei cordoni di sabbia della costa oceanica piantando delle graminacee. Il giornalista era Frank Herbert, la zona le Oregon Dunes e il libro che ne scaturì fu, appunto, "Dune". 

Da qui è facile: il “capolavoro della fantascienza letteraria” è proprio il primo "Dune" del 1965, cui seguirono nei successivi venti anni altri cinque capitoli, tutti scritti dall’autore originale (saga poi proseguita dal figlio Brian e da Kevin J. Anderson con il solito armamentario di prequel, sequel e midquel); il “videogioco che ha fatto la storia” è invece Dune II: The Battle for Arrakis, realizzato dai Westwood Studios nel 1992 e che ha ridefinito per sempre l’architettura e il gameplay degli strategici in tempo reale; “mitologico film non realizzato”, infine, è il tentativo della cordata francese guidata da Alejandro Jodorowsky di adattare a metà anni ‘70 il libro di Herbert, sforzo prometeico e melanconico nel mettere insieme Giger e Moebius, Pink Floyd e Dan O’Bannon, Salvador Dalí, Orson Welles, Mick Jagger – che fallì, sì, come il Napoleon di Kubrick e il Mastorna di Fellini, ma tanto di questo lavoro è poi idealmente confluito in Alien, L’Incal e La casta dei Meta-Baroni.
 


SCOPRI DUNE - PARTE 2

Quando nel dicembre 1963 "Dune" esce per la prima volta serializzato sulla rivista Analog, la più importante pubblicazione di settore diretta dal maudit Joseph W. Campbell, è appena passato un mese dall’assassinio di Kennedy a Dallas. L’America vede sfiorire la sua giovinezza dalla canna di un fucile Carcano e anche Herbert non si sente tanto bene: ci ha messo anni di ricerche e tutto quello che aveva nella realizzazione di "Dune", ma la pubblicazione su Analog gli porta ben poco. Dopo più di venti rifiuti, il romanzo trova quindi un editore nella Chilton Publishing Company, che fino ad allora aveva pubblicato soltanto manuali per auto (Herbert scherzava con il suo editor Sterling Lanier che il libro sotto le loro mani avrebbe dovuto intitolarsi “How to Repair Your Ornithopter”). Però c’è poco da ridere, visto che Lanier viene licenziato per il limitato successo commerciale di "Dune", vincitore di lì a poco dei premi Hugo e Nebula ma tardo nell’incontrare il successo di pubblico. 

Ma il libro di Herbert, da quelle prime edizioni sovra-prezzo e sotto-acquistate, avvia una marcia trionfale che lo porta nei decenni successivi all’essere considerato tra i migliori romanzi di fantascienza di tutti i tempi, bestseller numero 1 nelle classifiche di genere, opera-mondo (e, per una volta, non è un epiteto buttato lì) in cui convergono tutta una serie di topos della narrativa sci-fi classica come anche le avvisaglie di quello che verrà dopo. Herbert addensa nella sua saga le paranoie sul controllo (un suo distante cugino era “Cousin Joe”, il Joseph McCarthy della caccia alle streghe degli anni ’50), i viaggi psichedelici con psilocibina e peyote compiuti durante l’Era dell’Acquario, la centralità del discorso ecologico a partire dall’ “ecological demonstration project” costruito nella casa di Port Townsend, la critica all’imperialismo e al colonialismo attraverso l’adozione di un orizzonte altro rispetto a quello occidentale (al massimo Herbert peccava di orientalismo...). Non male per uno che si definiva un “tecno-campagnolo”.

 


SCOPRI DUNE DI DAVID LYNCH

Un paniere così abbondante non poteva non venire razziato dal cinema, così a metà anni ‘70 il nostro Dino De Laurentiis acquista i diritti del film dal consorzio jodorowskiano e mette sotto contratto lo stesso Herbert, Ridley Scott e di nuovo Giger per realizzare finalmente il primo adattamento filmico, cosa che gli riesce soltanto nel 1984 con il Dune di David Lynch. E anche soltanto leggendo i primi nomi dei titoli di testa si capisce la portata dell’operazione: Carlo Rambaldi per gli effetti speciali, i Toto alle musiche, Brian Eno autore del “Tema della Profezia”; e poi l’esordio al cinema di Kyle MacLachlan, Silvana Mangano, Max Von Sydow, Patrick Stewart, Dean Stockwell, Sean Young, Sting. Lynch veniva dai successi di critica e pubblico di Eraserhead – La mente che cancella e The Elephant Man, aveva appena rifiutato di dirigere Il ritorno dello Jedi e con questo contratto si era impegnato a realizzare altri due film per De Laurentiis (di cui vedrà la luce soltanto uno, Velluto blu...). Quello che ne viene fuori è commercialmente un semi-fallimento, artisticamente ben altro: seppur non pienamente soddisfacente, il Dune di Lynch ammalia per il suo andamento mesmerizzante, gli scenari da barocco arrugginito, la materia organica continuamente violata dal post-umanesimo.

Nonostante gli ottanta set e i sedici teatri di posa utilizzati in Messico, un budget di quaranta milioni di dollari, migliaia di persone al lavoro, il film finisce appunto per scontentare un po’ tutti, compreso lo stesso Lynch che decide di apporre il canonico pseudonimo di Alan Smithee nei crediti della versione televisiva da 189 minuti per disconoscere il montaggio realizzato dal distributore Universal. È con questa aura di rimandate aspettative e continue delusioni che nel 2000 viene lanciata Dune – Il destino dell’universo, miniserie andata in onda sul canale via cavo SyFy. Sotto l’egida dell’esperto produttore Richard P. Rubinstein (che ha lavorato a lungo con George Romero e Stephen King), i tre episodi scritti e diretti da John Harrison segnano una svolta importante per il broadcaster americano, che da lì in poi inizierà a lavorare su titoli sempre più ambiziosi in termini di budget e ascolti, come anche nel tracciare un’altra possibile modalità di approccio al monolite di Herbert: i 265 minuti della miniserie, con protagonisti William Hurt, Alec Newman e Giancarlo Giannini, fotografata da Vittorio Storaro (vincitore dell’Emmy), si fregia di un ottimo lavoro di composizione visiva ampiamente supportato da una scrittura fedele e ossequiosa nei confronti del "Dune" letterario, operando un’oculata selezione del materiale di partenza (ogni episodio un capitolo del primo libro) in un’epoca nella quale I Soprano erano alla loro prima stagione e ancora doveva essere forgiato il termine Prestige Tv.

 


SCOPRI DUNE - LA MINISERIE

Una precisa scommessa che ha pagato, e anche bene, quella di SyFy (e che ha dato vita tre anni dopo ad un seguito, I figli di Dune, adattamento del secondo e terzo libro della saga di Herbert, premiato agli Emmy per i miglior effetti visivi e ancora oggi sul podio dei maggiori ascolti della rete). Come è passato all’incasso, bene, benissimo – ma non troppo in termini reali –, il Dune di Denis Villeneuve, uscito nel 2021 e di cui in questo 2024 vedremo la seconda parte. Certo, Villeneuve non è né LynchJodorowsky, fa piuttosto parte della schiera di autori fantascientifici hard, realistici e sincretici capitanati da Christopher Nolan; ma non è neanche un filologo da catena di montaggio, perché sa quando inspessire e quando limare il materiale a disposizione. Il suo dittico herbertiano, oltre ad un solido lavoro di scrittura blockbuster (assieme ad Eric Roth e Jon Spaihts), è il massimo esempio possibile di produzione hollywoodiana capace di essere allo stesso tempo minuziosa programmazione e ragionata visione autoriale, intrattenimento globale e lavoro di artigianato, testo industriale e prodotto culturale

Nonostante l’uscita in tempi pandemici ne abbiano più volte rimandato l’approdo in sala, tanto da condizionarne il successo economico vista anche l’uscita in contemporanea su HBO Max, il Dune di Villeneuve è una delle avanguardie del più puro spettacolo cinematografico contemporaneo, tempestato da un casting esemplare per nomi e ruoli (Timothée Chalamet, Oscar Isaac, Rebecca Ferguson, Zendaya, Jason Momoa, Josh Brolin, Javier Bardem, Dave Bautista ecc.), in procinto di vedere realizzata una possibile terza parte sempre con Villeneuve al timone e una serie tv, Dune: Prophecy, ambientata 10.000 anni prima degli eventi dei film. Perché chi controlla Dune controlla l’universo.

 


SCOPRI DUNE - PARTE 2

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