rmarci 05
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venerdì 31 maggio 2019
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un biopic furbo, piatto e stereotipato
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Atteso con grande trepidazione dai fan dei Queen di tutto il mondo e preceduto da una pubblicità enorme da parte dei mass media, Bohemian Rhapsody ha spaccato in due la critica: elogiato da alcuni come un film meravigliosamente emozionante e nostalgico, nonché tecnicamente impeccabile, e stroncato da altri, che lo hanno definito come un film piatto, frettoloso nella sceneggiatura, superficiale e molto, troppo, furbo. Personalmente, mi trovo d'accordo con la seconda metà della critica: nonostante il film si avvalga di un montaggio ineccepibile grazie a cui la musica dei Queen buca lo schermo e fa tremare la sala cinematografica, la sceneggiatura tragicamente approssimativa lo rende prigioniero dei molteplici stereotipi che caratterizzano ormai molti biopic moderni: il modo con cui viene affrontata la personalità di Freddie Mercury risulta costantemente banale e privo di spessore, elemento causato anche dall'interpretazione altalenante di R.
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Atteso con grande trepidazione dai fan dei Queen di tutto il mondo e preceduto da una pubblicità enorme da parte dei mass media, Bohemian Rhapsody ha spaccato in due la critica: elogiato da alcuni come un film meravigliosamente emozionante e nostalgico, nonché tecnicamente impeccabile, e stroncato da altri, che lo hanno definito come un film piatto, frettoloso nella sceneggiatura, superficiale e molto, troppo, furbo. Personalmente, mi trovo d'accordo con la seconda metà della critica: nonostante il film si avvalga di un montaggio ineccepibile grazie a cui la musica dei Queen buca lo schermo e fa tremare la sala cinematografica, la sceneggiatura tragicamente approssimativa lo rende prigioniero dei molteplici stereotipi che caratterizzano ormai molti biopic moderni: il modo con cui viene affrontata la personalità di Freddie Mercury risulta costantemente banale e privo di spessore, elemento causato anche dall'interpretazione altalenante di R. Malek che, nonostante sul palco non faccia rimpiangere il mito della musica, nelle scene dialogate è limitato da un trucco eccessivo che annulla qualsiasi forma di espressività. I cliché sono ben visibili anche nei dialoghi poco convincenti e nella raffigurazione delle relazioni omosessuali della star. Ciò che mi ha infastidito di più però è l'elevato tasso di furbizia con cui il regista tratta il film, indirizzandolo principalmente alla generazione che è cresciuta con la voce di Mercury, per assicurarsi l'accesso facile ai futili Premi Oscar nonché lo straordinario successo al botteghino. Per fare ciò inoltre concentra tutta l'attenzione sulla figura carismatica del protagonista che, dopo i primi tre quarti d'ora, prende totalmente il sopravvento sugli altri membri del gruppo, che si riducono a personaggi appena abbozzati. Insomma un film nostalgico, che però, nella sua abile operazione di ricostruzione di un'icona, tralascia quasi totalmente l'aspetto cinematografico, finendo per essere, almeno sotto quel punto di vista,
un parziale disastro. Nonostante questo, comunque, possiede delle qualità, come la magistrale scena finale al Live Aid, la qualità del montaggio sonoro e della colorata fotografia, oltre all'innegabile coinvolgimento emotivo.
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giorgio postiglione giorpost
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domenica 26 maggio 2019
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il mercury di singer è pura frenesia audio-visiva
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Farrokh Bulsara è un giovane studente di origini parsi trapiantato a Londra dall'età di 18 anni. Figlio di onesti (e religiosi) lavoratori, eredita da loro il senso del dovere che lo spinge a svolgere i lavori più umili, come il facchino all'aereoporto di Heathrow.
Spesso deriso per le sue radici, erroneamente confuse per pachistane, Farrokh sa di possedere il fuoco sacro dell'arte: deve soltanto trovare il canale giusto per consentirgli uno sfogo. Rapito da un concerto degli Smile, band amatoriale locale, si propone immediatamente come sostituto del cantante, in rotta coi compagni, facendo la conoscenza di Brian May e Roger Taylor: è amore (artistico) a prima vista.
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Farrokh Bulsara è un giovane studente di origini parsi trapiantato a Londra dall'età di 18 anni. Figlio di onesti (e religiosi) lavoratori, eredita da loro il senso del dovere che lo spinge a svolgere i lavori più umili, come il facchino all'aereoporto di Heathrow.
Spesso deriso per le sue radici, erroneamente confuse per pachistane, Farrokh sa di possedere il fuoco sacro dell'arte: deve soltanto trovare il canale giusto per consentirgli uno sfogo. Rapito da un concerto degli Smile, band amatoriale locale, si propone immediatamente come sostituto del cantante, in rotta coi compagni, facendo la conoscenza di Brian May e Roger Taylor: è amore (artistico) a prima vista.
Grazie alla sua incredibile voce, aiutata da un'insolita conformazione del cavo orale, il rock diviene il mezzo scelto per realizzare i suoi sogni; le sue doti canore non passano inascoltate, tant'e che attira sin da subito decine di fans nei vari locali dove i rinominati "Queen" si esibiscono.
In breve tempo il giovane Bulsara cambia nome all'anagrafe e procura un manager ed un contratto discografico alla band che intanto si completa con l'arrivo del bassista John Deacon.
Nasce, così, la leggenda di Freddie Mercury, uno dei più grandi frontman della storia del rock, animale da palcoscenico e fautore del tipico stile glam dei prolifici ed irripetibili anni '70. Il suo è talento difficile da tenere a bada, caratterizzato (come per i geni di ogni campo) da eccessi, ambiguità sessuale ed eccentricità.
Saranno questi i caratteri distintivi di un uomo dalla personalità tanto bizzarra ed egocentrica quanto fragile e sensibile; la sua stella, la cui epopea è ben nota, si consumerà troppo presto, in un drammatico percorso nel quale non mancano ostacoli che hanno le sembianze di parassiti, arrampicatori sociali e discografici incapaci.
Prima che il buio cali definitivamente, Freddie indosserà nuovamente la corona da Re e si mostrerà al mondo, al Live Aid del 1985, in tutto il suo splendore, in canottiera e jeans, conscio di dover "servire" un'ultima volta i suoi fans, perché lui, in fondo, altri non è che un performer.
Il miglior performer di sempre.
Bohemian Rhapsody (UK, 2018) non teme spoiler, perché narra di una storia conosciuta e per la quale, purtroppo, non c'è stato lieto fine. Il titolo rievoca la canzone più bella e famosa dello storico gruppo e fa da traino a tutta la pellicola.
Nella finzione, come nella realtà, ciò che sembra eccessivo o surreale è (quasi) totalmente accaduto, solo con alcune differenze, perlopiù cronologiche, rispetto ai fatti reali.
Sarà per esigenze di copione o magari per i primi sintomi di "anzianità" dei superstiti, fatto sta che l'opera è piena di inesattezze che (tuttavia) vengono istantaneamente perdonate grazie ad una notevole rappresentazione di Mercury del bravissimo Rami Malek, in un ruolo tanto rischioso quanto totalizzante. All'attore americano, che impara alla perfezione le gestualità "live" del rocker, possiamo solo contestare movenze eccessivamente femminili (un tempo avremmo detto "effemminate", ma siamo nell'epoca del me-too) non riscontrabili nel baffuto vocalist. Il regista Bryan Singer riesce nella difficile impresa della sintesi e, soprattutto, nel compito arduo di romanzare alcuni aspetti apparentemente irromanzabili: la scoperta della malattia e la sequenza dell'uscita dalla clinica sono da cineteca, così come è da applausi l'incredibile parte finale nella quale il bravo cineasta fa letteralmente un copy and past della performance al Wembley Stadium.
Il resto lo fanno le notevoli somiglianze degli attori ai 4 componenti originali della band, al punto che si fa fatica a pensare che quel capellone non sia davvero il chitarrista Brian May.
Film che rimarrà, a tutti gli effetti, nella storia della Settima Arte e, pur non essendo perfetto, ha il merito di emozionare attraverso una pura e semplice frenesia audio-visiva: più lo si vede e più viene voglia di (ri)ascoltare Freddie Mercury e i Queen.
Voto: 8,5
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sandromagni
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mercoledì 27 marzo 2019
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mi aspettavo troppo
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Ho visto solo da poco il film e forse con tutto quello che si è detto e scritto mi ero fatto delle aspettative forse impossibili.
Sono un appassionato di musica e conosco bene l'avventura descritta nel film, peraltro con una regia e sceneggiatura perfette.
Però non posso negare di essermi annoiato tanto.L'attore protagoniscta non riesce secondo me a cogliere l'essenza di Freddie; è abilissimo sul palco a copiare le mosse del leader, ma non riesce a rappresentarne la presenza scenica unica.
Le tappe essenziali della storia narrata sono buttate lì in un modo banale, un esempio su tutte l'esperienza coi discografici.
Finito il film ho riguardato il filmato dei Queen al Live Aid.
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Ho visto solo da poco il film e forse con tutto quello che si è detto e scritto mi ero fatto delle aspettative forse impossibili.
Sono un appassionato di musica e conosco bene l'avventura descritta nel film, peraltro con una regia e sceneggiatura perfette.
Però non posso negare di essermi annoiato tanto.L'attore protagoniscta non riesce secondo me a cogliere l'essenza di Freddie; è abilissimo sul palco a copiare le mosse del leader, ma non riesce a rappresentarne la presenza scenica unica.
Le tappe essenziali della storia narrata sono buttate lì in un modo banale, un esempio su tutte l'esperienza coi discografici.
Finito il film ho riguardato il filmato dei Queen al Live Aid.
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cine64
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domenica 24 marzo 2019
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da vedere per tutta la famiglia
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Da vedere per tutta la famiglia. Si esce dal cinema con soddisfatti!
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marezia
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mercoledì 20 marzo 2019
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biopic non retorico e non santificante
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Comincio dalla fine: la parola "capolavoro" e la spiego alla luce di TUTTI I DOCUMENTI da me visionati, per caso, nelle notti insonni, ma anche di quelli cercati su Internet (e non sono stati pochi). "Capolavoro" in quanto capace di far emergere in modo netto la personalità dell'uomo-artista con grande verosimiglianza sia nei dialoghi cruciali che nella gestione degli spazi del suo raggio di azione, sfrondando sia il folklore dato dall'eccentricità dell'individuo che la morbosità pornografica che tale folklore avrebbe potuto favorire altrimenti. Tappe: il rapporto con la sua scoperta omosessualità c'è (ed è superbo), la gestione della sua promiscuità, insieme all'ingresso delle droghe portate dalle cosiddette "cattive compagnie" (citando le fonti che lo riguardavano) pure, e il punto di svolta della tragedia dell'HIV anche; QUINDI, LA SUA VITA C'E'.
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Comincio dalla fine: la parola "capolavoro" e la spiego alla luce di TUTTI I DOCUMENTI da me visionati, per caso, nelle notti insonni, ma anche di quelli cercati su Internet (e non sono stati pochi). "Capolavoro" in quanto capace di far emergere in modo netto la personalità dell'uomo-artista con grande verosimiglianza sia nei dialoghi cruciali che nella gestione degli spazi del suo raggio di azione, sfrondando sia il folklore dato dall'eccentricità dell'individuo che la morbosità pornografica che tale folklore avrebbe potuto favorire altrimenti. Tappe: il rapporto con la sua scoperta omosessualità c'è (ed è superbo), la gestione della sua promiscuità, insieme all'ingresso delle droghe portate dalle cosiddette "cattive compagnie" (citando le fonti che lo riguardavano) pure, e il punto di svolta della tragedia dell'HIV anche; QUINDI, LA SUA VITA C'E'. Infine, il fatto che il film si chiuda con il LIve Aid e non con il periodo successivo a questo (la Valentin e la malattia) è UN TRIBUTO ALLA ETERNITA'. UN TRIBUTO AL TALENTO NELLA SUA FASE PIU' PURA, PIU' LBERA, PIU' IM-MOR-TA-LE. Ci vuole la patente per capire questa sottigliezza?
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erica villafranca
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martedì 12 marzo 2019
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un film tra essere ed appartenere: la mia psicorecensione
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Questo film racconta la storia di Farrokh (un ragazzo, un uomo, un essere umano, una persona) che segue la sua forte spinta ad Essere, Esprimersi e Realizzarsi ben lontano dai canoni di tradizione familiare e culturale di appartenenza. Anche se il conseguimento del successo e della popolarità nella prima parte del film rappresentano la meta positiva raggiunta dal protagonista, nella seconda parte emerge chiaramente il Dilemma del protagonista: “Essere o Appartenere?” già anticipato nelle prime scene. La storia del Mito Freddie Mercury e l’emergere del Dilemma umano di Farrokh vengono qui presentati attraverso l’osservazione delle caratteristiche psicologiche e dei vissuti evidenziati nella regia di questo film.
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Questo film racconta la storia di Farrokh (un ragazzo, un uomo, un essere umano, una persona) che segue la sua forte spinta ad Essere, Esprimersi e Realizzarsi ben lontano dai canoni di tradizione familiare e culturale di appartenenza. Anche se il conseguimento del successo e della popolarità nella prima parte del film rappresentano la meta positiva raggiunta dal protagonista, nella seconda parte emerge chiaramente il Dilemma del protagonista: “Essere o Appartenere?” già anticipato nelle prime scene. La storia del Mito Freddie Mercury e l’emergere del Dilemma umano di Farrokh vengono qui presentati attraverso l’osservazione delle caratteristiche psicologiche e dei vissuti evidenziati nella regia di questo film. Il Dilemma “Essere o Appartenere” rimane sullo sfondo di una storia di successo e non ha spinte né motivazioni sufficienti per essere risolto efficacemente nella vita del suo protagonista nella prima parte della storia filmata, dove la decisione sul dilemma si limita ad un’attribuzione di priorità all' “Essere”, trascurando il valore e l’importanza che l’”Appartenere” riveste rispetto al proprio benessere. Solo con l’affacciarsi del Dramma nella sua Vita e quindi attraverso un contatto con il proprio mondo interiore di sofferenza ci saranno gli elementi che saranno di supporto al protagonista per una presa di decisione creativa e integrativa di “Essere e Appartenere”. Emergerà una nuova consapevolezza da Sé e per Sé rispetto alle scelte ed alle relazioni professionali ed affettive.
La necessità di separarsi dalla famiglia per conquistare la propria autonomia ed il proprio successo. Farrokh non viene incoraggiato dalla famiglia, in particolare dal padre, che si mostra scettico e ostile verso le inclinazioni artistiche di quel figlio. Attraverso una grande motivazione all'autonomia e al successo, ispirato dalla creatività, da incredibili doti canore e da una espressività decisamente anticonvenzionale diventa Freddie Mercury, il leader e front man del Gruppo (i Queen) che lo accoglierà e lo rispecchierà per valori, comportamenti e modalità espressive. Farrokh diventa Freddie, un vero Idolo con fan in tutto il mondo. Per Essere sé stesso, Farrokh si ribella a imposizioni ed aspettative e diventa Freddie, rispecchiando quel che vuol Essere. Non cede ai giudizi, alle critiche ed alle costrizioni commerciali che ostacolerebbero la sua creatività e spontaneità e, con grande coraggio, insieme al suo Gruppo, porta avanti un unico e speciale progetto rappresentato emblematicamente dalla canzone Bohemian Rhapsody, manifesto del successo di Freddie dei Queen. Farrokh sa quali sono le sue capacità, sa che può realizzare il proprio sogno e progetto. Ha una buona dose di fortuna: è la persona giusta, nel posto giusto e nel momento giusto. Ma la sola fortuna non basta in una storia di successo. Il successo di Farrokh è qui raccontato come un processo quasi inevitabile, e assolutamente non casuale. Non è solo una questione di fortuna, ma di saperla cogliere attivamente come la scintilla iniziale. Lui e solo lui sa cogliere l’opportunità di un evento fortuito. La situazione del posto giusto nel momento giusto è l’arena di un uomo presente a sé stesso e al mondo che lo circonda che attiva intenzionalmente il proprio successo e lo fa diventare un esito di consapevolezza, progettazione e costruzione. Farrokh è la persona giusta poiché possiede l’autostima necessaria per essere quel che è, ha spirito di iniziativa, coraggio e spontaneità nel cercare e trovare i suoi alleati, sa di poter contare su competenze e coraggio necessari per affrontare le sfide e gli ostacoli. La prima parte della storia di Farrokh parla quindi del suo successo (Essere e Autorealizzarsi) e di come questo processo possa compiersi naturalmente quando ve ne sono le basi.
L’Apoteosi e il Dramma: la Responsabilità della propria VIta Veniamo alla seconda parte del film. Il coraggio espressivo e l’autodeterminazione del protagonista, nella prima parte della sua storia sono necessari per raggiungere il successo che fanno diventare l’uomo un culto. L’uomo di successo diventa un idolo, quasi una divinità immortale. Ma la natura dell’uomo… immortale non è. Il culto di sé stesso e degli aspetti che sono stati necessari al successo, portano Farrokh ad allontanarsi dalla vera natura umana e dai suoi basilari . Non tiene conto degli aspetti di fragilità inevitabili della sua condizione umana cui è comunque esposto, nonostante tutta la ricchezza, tutto il successo e tutto il potere accumulato. Tutto quel che è servito a Farrokh per diventare Freddie viene continuamente e spasmodicamente alimentato fino ad ottenere una vera e propria idolatria nei confronti di una immagine incompleta e falsata rispetto al suo sentire umano e fragile. Senza rendersene conto il protagonista arriva e si trova a condurre una Vita piena di illusioni, dove l’illusione principale e inconsapevole è la divina immortalità. La Vita da portare avanti è quella di una immagine divina e diventa una trappola. Si rivela infatti insoddisfacente per la persona umana e sofferente, che ancora vive e abita dentro quella immagine con il suo bisogno di amore, di vicinanza, di fiducia e di protezione rimasti immutati ma ora trascurati. L’ostinazione grandiosa nel prendersi cura della sua immagine alimenta una illusione ben lontana da sé stesso, diventa catalizzatrice di solitudine e disperazione che vengono negate, evitate ed accantonate fino a fare cadere Farrokh in una spirale che lo condurrà forzosamente a prendere atto del Dramma della Vita Umana (non Divina e non Eterna). Una volta illuso, l’unico modo per sperimentare la drammatica realtà è passare per la delusione, sentendo la sua condizione umana nella paura, nella solitudine, nel tradimento umano della fiducia e nella fragilità.
Ascoltare e comprendere le proprie emozioni e i sentimenti. Decidere. Il ragazzino eccentrico e dotato che avevamo visto all’inizio del film attraversa un Dramma e diventa Adulto. Si ripulisce dell’inutile e dannoso per Sé (l’idolatria e l’illusione), riprende parti dimenticate (i suoi bisogni umani di amore e appartenenza) e le unisce a quelle riscattate (la sua autorealizzazione ed il riconoscimento sociale). Finalmente intero e pieno nel sapere e sentire Chi è. Il culmine del cambiamento è una presa di decisione importante sulla sua Vita ed è frutto di un travolgimento e coinvolgimento emotivo che non può più essere evitato con altre illusioni. E’ una spinta vitale di fronte al dramma della malattia e della morte che gli permette di arrivare ad una nuova lucida conoscenza e di agire in piena consapevolezza di Sé. Attraverso la delusione, la disperazione, la paura e la solitudine ha un insight che gli consente di distinguere chiaramente tra l’ascoltare profondamente sé stesso e il vedere la propria immagine. Di fronte alla chiarezza delle due alternative possibili, può scegliere. Il Cambiamento si attua come una decisione che riporta Farrokh dove immaginiamo di averlo lasciato, prima di raggiungere il suo successo e dove ora sente di aver bisogno di tornare con nuova consapevolezza. Farrokh ritorna alle origini, al suo bisogno di amare e di appartenere. Sente che non è più tempo di allontanarsi, si è allontanato e si è ritrovato. Ora è tempo di far ritorno portando con sé ciò che è diventato. Ormai si accetta e sa di poter essere accettato. E queste sono le qualità che gli sono necessarie per amare ed appartenere là dove non ci sono più idoli, ma solo persone adulte e fragili come lui. Farrokh decide che non può bastare a sé stesso, che la vicinanza non può essere ottenuta solo attraverso il successo. L’importanza delle relazioni umane che erano sullo sfondo diventano figure di rilievo. E l’importanza del successo che era in primo piano diventa una cornice preziosa di questo film meraviglioso. Successo e bisogno di relazioni autentiche si muovono insieme, i due portavoce di Essere e Appartenere. Esse sono interdipendenti e si muovono dentro Farrokh e dentro ciascuno di noi. Misurarne e sentirne l’intensità, ricercarne l’equilibrio e l’armonia è un fatto assai personale, è una questione di ascolto di sé stessi, è un’opportunità per poter essere felici e vivere sereni, nonostante la Vita…nonostante il Dramma. Essere e Appartenere sono i due motori dell’animo umano che ritroviamo nel vivere sociale di una persona di successo. Ogni Vita e ogni storia è diversa per i tempi con cui vengono azionati i due motori, chi parte con uno, chi con l’altro, chi di uno o entrambi ha troppa paura e non parte mai.
Così per Farrokh, giunto alla fine del film ma non ancora della sua Vita è il tempo di negoziare, non di subire né di imporre; è il tempo di chiedere e trovare ciò di cui ha sempre avuto ed ha ancora bisogno senza rinnegarlo e senza pretenderlo. E’ il tempo di integrare il successo, tutto quello possibile, ad una Vita e ad una necessità decisamente più umane.
E’ il tempo di salire sul palco di Wembley e di godersi lo spettacolo del pubblico insieme all’amore della famiglia a cui sente e vuole appartenere.
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stefano
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domenica 3 marzo 2019
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un movie scadente..furbo,prodotto solo x interess
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Che si poggia solo sul mito di Freddy,nonostante l impegno dell interprete,con una protesi lunga ua spanna,non emoziona,non entusiasma,tanta noia,vinciore di Oscar immeritati, brilla solo nei venti minuti di montaggio origiale della perfomance dei Queen nel live Aid..almeno potevano scegliere un interprete più adatto,definito il sosia di Mrcury, coè Sacha Baron Cohen,forse con una migliore direzione si sarebbe rivelato più interessante ed emozionante
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snap
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giovedì 28 febbraio 2019
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no kind of magic
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Appare giusta, in fondo, la decisione dell'Academy di riservare i premi per Bohemian Rhapsody principalmente all'aspetto sonoro e alla mimetica (ed empatica) interpretazione di Rami Malek.
Il film, infatti, riduce i suoi meriti specificamente cinematografici al finale ellittico, che tronca la parabola umana e artistica di Mercury con il Live Aid dell'85, evitando la retorica di un finale risaputo, e upgradando i canoni tradizionali del biopic.
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Appare giusta, in fondo, la decisione dell'Academy di riservare i premi per Bohemian Rhapsody principalmente all'aspetto sonoro e alla mimetica (ed empatica) interpretazione di Rami Malek.
Il film, infatti, riduce i suoi meriti specificamente cinematografici al finale ellittico, che tronca la parabola umana e artistica di Mercury con il Live Aid dell'85, evitando la retorica di un finale risaputo, e upgradando i canoni tradizionali del biopic. Tant'è vero che una simile ellissi la ritroviamo già in Io sono mia, il film di Riccardo Donna su Mia Martini, rispetto al quale, se non altro, un navigato cineasta come Bryan Singer ci risparmia l'odioso cliché del finale con immagini reali del protagonista.
Per il resto, Bohemian Rhapsody si rivela un film scorrevole, piacevole da guardare per i fan del rock e dei Queen in particolare, ma abbastanza anonimo sul piano drammatico e drammaturgico. Mentre la narrazione della storia musicale della band - l'ascesa al successo, la genesi dei brani più famosi, i conflitti personali e discografici - appassiona, delude invece il versante drammatico, che vorrebbe restituire la solitudine del grande frontman, i pochi amori sinceri (Love of my life) e i tanti falsi amici (Friends will be friends). In questo caso il sospetto di freddezza è lecito, e la capacità di penetrazione psicologica della sceneggiatura si rivela scarsa, informata al livello del fumetto, a cui Synger non a caso ha ispirato diverse opere.
A (parziale) discolpa del regista, va detto che Mercury, straordinario e iconico musicista, non ebbe mai una vera carica eversiva, la sua fu in fondo un'ambiguità istituzionalizzata, e consacrata da un decennio come gli anni Ottanta, giustamente definito "di riflusso" rispetto agli estremismi politici dei Seventies, ma proprio per questo blandamente mitopoietico.
Bohemian Rhapsody come film manca della genialità e dell'audacia dell'omonima canzone, che avere scelto per titolo appare quasi una excusatio non petita per la magia che non c'è.
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vanessa zarastro
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sabato 16 febbraio 2019
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una vita rock
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Ormai questo film era stato già visto da quasi tutti i miei amici, ma ieri lo proiettano ancora in un paio di sale della capitale. Il film è un sostanzioso biopic di Freddie Mercury, il frontman del gruppo musicale rock “The Queen”. Pieno di musiche appaganti, “Bohemian Rapsody” mostra vari concerti dal vivo di enorme successo, così com’erano una volta negli anni ’70 e ’80, e un mondo musicale oggi un po’ sparito.
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Ormai questo film era stato già visto da quasi tutti i miei amici, ma ieri lo proiettano ancora in un paio di sale della capitale. Il film è un sostanzioso biopic di Freddie Mercury, il frontman del gruppo musicale rock “The Queen”. Pieno di musiche appaganti, “Bohemian Rapsody” mostra vari concerti dal vivo di enorme successo, così com’erano una volta negli anni ’70 e ’80, e un mondo musicale oggi un po’ sparito. Infatti, una volta la musica era veicolata principalmente dalle tournée: le band incidevano un nuovo album e lo pubblicizzavano in una serie incontri programmati con il pubblico. Oggi i CD stanno sparendo, si registrano ancora i DVD che sono promossi dalle TV e/o da internet. Anche se gli artisti si esibiscono ancora in tournée, il dato commerciale è talmente preponderante, che si è persa la sintonia tra artista e pubblico cercata in quegli anni. Così afferma Freddie: «Voglio dare al pubblico ciò che desidera, cioè il paradiso».
Il personaggio è descritto abbastanza bene dal regista e impersonato alla lettera da Rami Malek – già premiato con il Golden Globe 2019 e in odore di Oscar – «che resuscita per 134 minuti quella nostra antica speranza, sepolta sotto migliaia sguardi delusi allo specchio, di anni di anonimato, di esami studiati controvoglia e di curriculum da mandare allo sbaraglio, e di carrelli della spesa da riempire in qualche modo» scrive Enrico Dal Buono in “Rolling Stone”. Così racconta l’attore Rami Malek: «Ero fan dei Queen, ora sono un fanatico. La loro musica è diventata la colonna sonora della mia vita…ho cercato di capire chi fossero. Non conoscevo la parte intima di Mercury. Quello che spesso appare è una figura eccentrica, votata agli estremi. Sfugge la qualità prettamente umana, l’insicurezza e l’interiorità con le quali tutti noi riusciamo a relazionarci. Proprio il suo lato umano mi ha permesso di entrare nella parte di questo simbolo del rock. Leggendo i suoi testi, poi, ho capito l’espressione della sua anima, quella di uomo che parlava e anelava l’amore. In Lily of the valley si comprende la natura capricciosa e solitaria di Freddie».
Ma vediamo meglio chi siano i Queen. Nel 1970 il chitarrista Brian May, il batterista Roger Taylor, e il bassista John Deacon (l’anno dopo), formano un gruppo musicale rock cui si aggrega Freddie Mercury, cantante e compositore. Tutti e quattro, oltre a essere musicisti erano anche autori di canzoni. Mentre i primi tre sono tutti studenti al college – chi di odontoiatria, chi d’ingegneria -, Freddie (al secolo Farruck Bulsara) è un emarginato, nato a Zanzibar da famiglia parsi, e dopo aver studiato grafica, lavorava come facchino all’aeroporto di Heatrow. Era un immigrato, alla ricerca di un modo per appartenere a qualcosa e alla ricerca di un’identità visibile che potesse riscattarlo dalle sue origini.
Un’eccezionale estensione di voce, dovuta anche ai suoi quattro incisivi anomali – si parla addirittura di quattro ottave incluso il falsetto - una straordinaria carica vitale e una grande generosità, lo faranno diventare il trascinatore del gruppo, cimentandosi sempre in nuove imprese e raccogliendo un incredibile successo discografico. Trasgressivo, esibizionista e amante del trasformismo, Freddie nonostante le grandi differenze è riuscito a trasmettere l’idea della coesistenza.
Ebbe una lunga relazione con Mary Austin, con cui visse per sette anni – gli ultimi però più di amore platonico - prima di essere certo della sua preferenza omosessuale, ed ebbe varie storie e storielle prima di fidanzarsi definitivamente con Jim Hutton che lo seguirà fedelmente fino alla sua morte prematura per l’AIDS, all’età di quarantacinque anni.
Negli anni ‘80 Freddie Mercury cambia look, si taglia i capelli, che prima portava molto lunghi, e si fa crescere i baffi seguendo una moda detta “Castro clone”. Il nome Castro viene dalla comunità gay di S. Francisco, mentre clone è un uomo che appare, nell'abbigliamento e nello stile, simile ad un individuo della classe lavoratrice idealizzato ed iper-mascolinizzato. Freddie era un animalista e aveva sempre tanti gatti che si faceva perfino passare al telefono, quando era fuori Londra. Ne ha avuti dieci con predilezione di una gatta soriana che si chiamava Delilah, cui ha dedicato una canzone.
L’ultimo concerto mostrato nel film è il Live Aid, organizzato da Bob Gelford contemporaneamente in vari luoghi, nel luglio del 1985, allo scopo di raccogliere fondi per la fame in Africa. I concerti si sono tenuti sia nel John F. Kennedy Stadium a Filadelfia, sia nel Wembely Stadium di Londra, oltre a Sydney e a Mosca. Trasmessi in diretta in 150 paesi via satellite, si stima che due miliardi di telespettatori abbiano assistito all’evento. Pertanto è stato riconosciuto come uno dei più grandi eventi rock della storia, caratterizzando gli anni Ottanta.
Un anno dopo la sua morte si è tenuto il Freddie Mercury Tribute Concert, sempre al Wembely Stadium di Londra, per favorire l’informazione e la prevenzione nei confronti dell’AIDS.
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bimbobazar
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venerdì 15 febbraio 2019
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bellissimo!
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Mi ero fatto un idea completamente sbagliata del film per le recensioni ricevute. Mi sono divertito, ho provato schifo per certi personaggi, mi sono commosso. Era tantissimo tempo che non provavo emozioni così contrastanti in un cinema. Per fortuna non mi sono fermato come ho fatto altre volte dando, aimè, retta alle recensioni. E visto che per l'ennesima volta è successo mi sono fatto questa idea... quando le recensioni di my movies sono mediocri il film è una bomba... Provare per credere.
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