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Osama: irresistibile per il cinema

Kathryn Bigelow girerà Kill Bin Laden.
di Pino Farinotti


mercoledì 17 agosto 2011 - Focus

È ormai polemica quotidiana riferita al nuovo progetto di Kathryn Bigelow, dedicato alla caccia e all'uccisione di Bin Laden. Gli aspetti della polemica sono molti. Il primo sarebbe la segretezza: i servizi segreti, e la politica, hanno fatto tutto il possibile perché la vicenda del blitz, e poi della morte, e poi della sepoltura dello sceicco rimanesse nell'ambiguità e nel dubbio, nella non chiarezza. Sono stati forniti davvero pochi particolari. Le ragioni erano, appunto, segretezza e ragion di stato. La Bigelow è una grande regista, è una che aggredisce, che va in fondo alle cose. Se farà un film su Bin Laden significa che ha in mano molte e importanti carte. Che è andata ben oltre le normali informazioni divulgate, che ha potuto accedere a qualcosa di più profondo e importante. E questo è il secondo aspetto della polemica. C'è stato un pronunciamento dei repubblicani che hanno accusato questa amministrazione di aver dato troppe informazioni e dettagli per il film, mettendo dunque a repentaglio la sicurezza nazionale. Tutto questo a favore del presidente Obama. E questo è il terzo aspetto della polemica: il film uscirà nell'ottobre del 2012, dunque in piena campagna elettorale presidenziale. Il neo presidente, è notorio, sarà eletto a novembre. Così come è notoria la ... simpatia della Bigelow nei confronti di Obama. Lo ha già soccorso una volta, col film The Hurt Locker, che rilevava il coinvolgimento degli americani in Iraq, dove gli sminatori non si limitavano al proprio dovere, ma partecipavano con passione al dramma del popolo irakeno. Premio Oscar al film e solido spot a favore dell'amministrazione.

Cinema
Il cinema si è sempre interessato ai presidenti americani e i presidenti al cinema. Anche se, nelle epoche, il rapporto è cambiato, proprio nella meccanica, è diventato da attivo a passivo. C'era un tempo in cui a Roosevelt serviva un manifesto contro il comunismo e Hollywood produceva Ninotchka disponendo per quel servizio l'eroina massima, Greta Garbo. Oppure usando Gary Cooper, eroe massimo, nei panni del sergente York quando serviva un incentivo interventista. Senza contare le centinaia di film sulla Seconda guerra, dove i marines debellavano i nazisti. Col Vietnam è tutto cambiato. La storia ha insegnato, subito, senza dover aspettare decenni, che era una guerra sbagliata. Con film come Tornando a casa, Nato il 4 luglio, Il cacciatore, Full Metal Jacket, l'America veniva messa in croce, ma chi piantava i chiodi lo faceva con dolore. Poi, con l'Iraq, l'evoluzione della spirale sentimentale avrebbe trasformato il dolore in rivendicazione, magari in odio. Film come Stop Loss, Grace is gone, Jarhead, Three Kings, non erano storie di eroi, ma di errori e di disastri. Esemplare è Redacted, in cui il regista De Palma racconta un episodio accaduto: quando un gruppo di soldati americani violentarono una ragazza irachena, la uccisero e sterminarono la sua famiglia. Il regista è inesorabile nell'analisi dei sentimenti in gioco, quelli dei militari, dei media e della popolazione irachena. Feroce, spietata, autocritica Usa. Appunto. Insomma nell'era recente il cinema di guerra attaccava chi quelle guerre le aveva volute. La storia e la prospettiva in effetti hanno detto che si trattava di guerre "sbagliate", anche se la prospettiva dell'Iraq è vicina, addirittura presente. Il cinema americano, dunque, da decenni si pone come forum attento, attivo e critico rispetto all'azione del governo. Il cinema non ha la struttura e l'autorevolezza per dettare una soluzione. Non può fermare le guerre, però se dà un'indicazione, è bene che vi si ponga attenzione.

Assunto
Dunque i presidenti. Occorre stabilire un assunto, il cinema, la letteratura, la cosiddetta intellighenzia, cioè i liberals, cioè la sinistra, hanno sempre prediletto i presidenti democratici. Partendo dalle stagioni della comunicazione adulta, insomma dal predominio del mezzo televisivo, cioè dal presidente Kennedy, questa predilezione è nettissima. Kennedy, democratico, si è giovato di titoli, postumi purtroppo, che erano quasi un'apologia, come J.F.K. e Thirteen Days. Nixon, repubblicano, è stato devastato, letteralmente, dal cinema. I titoli sono Tutti gli uomini del presidente, sul Watergate, e poi Intrighi del potere, una biografia dove le ombre nascondono le luci, e ancora Frost/Nixon - Il duello, sulla famosa intervista che mise a nudo l'uomo e il politico. Reagan, repubblicano, è stato provocato e accerchiato, ma si era ben accreditato, lui uomo di destra e titolare di azioni di sinistra autentica. Bush senior, repubblicano, se l'è cavata con un'amministrazione attenta, senza gravi errori, e poi era un eroe di guerra. Clinton, democratico, sarebbe stato un grande leader, e forse lo è stato, ma ha dovuto vedersela con l'affair-Lewinsky. Il cinema lo ha sostenuto. In Il presidente – una storia d'amore, Michael Douglas dà corpo e volto a un presidente umano, intelligente e progressista. Molti ci videro, o vollero vederci, Bill Clinton. Bush junior, repubblicano, e i film: un disastro. Michael Moore ne ha fatto un idiota pericoloso e disonesto in Fahrenheit 9/11. Avrebbe dovuto essere lo strumento per portare il democratico John Kerry alla presidenza nel 2004. Invece prevalse Junior. La faziosità dolosa, tattile di Moore, non fece breccia. Gli americani colsero l'eccesso e non punirono il repubblicano. Anche Stone, in W, ha fatto di Bush jr. un cretino che per due legislazioni ha messo a repentaglio Usa e mondo intero.

Romantico
Adesso Obama. Quando è stato eletto, tre anni fa, lui, così completo, romantico, bello e ideale, aveva dato speranze a tutti. Si era visto attribuire persino un Nobel preventivo, senza esserselo ancora meritato. Gli americani, e noi tutti, gli avevamo concesso un'apertura di credito quasi in bianco. A quel tempo dedicai molto spazio alla vicenda Obama, definendola un film persino troppo perfetto, che aveva funzionato fino all'elezione. Adesso finiva la fiction e arrivava la realtà. Scrivevo: "...la premessa è finita. Adesso c'è il mondo, sappiamo. Ora subentra il reale. Ci sono le guerre, le differenze, le economie dell'est, i criminali, i poveri, i trust, le banche, gli avversari, i nemici. Il pubblico rimarrà nella sala ad assistere al secondo tempo oppure uscirà e il biglietto verrà rimborsato?"
Il presente, la realtà, li conosciamo: il consenso per Obama scende paurosamente, il debito è alle stelle. E tutto il resto che sappiamo. L'anno prossimo la Bigelow cercherà di dare una mano al suo amico. Ma sempre di fiction si tratterà. Starà agli americani valutare, "sgamare", separare i meriti e le azioni ... dal cinema. Il Presidente ha poco più di un anno di tempo. Certo è bene avere gli artisti dalla propria parte. Ma a volte non basta. Lo sanno bene anche alcuni nostri politici. Come Veltroni, circondato da attori, cineasti, autori, addirittura abbracciato dal divo Clooney. Così come Rutelli, anche se era senza Clooney. Concorrevano alla presidenza del consiglio e a sindaco di Roma. Gli eletti furono altri, senza cineasti.

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