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Caparbia consorte del giocatore di football - Cuba Gooding Jr - in Jerry Maguire, viene coinvolta dal Nemico Pubblico - Will Smith - in una macchinosa operazione spionistica, per poi singhiozzare note d'amore a Ray Charles, sorvegliando la collega Miss F.B.I. - Infiltrata speciale, Sandra Bullock.
Vita Personale
Primogenita di un'educatrice, Gloria, e di un elettricista, Thomas, Regina King nasce a Los Angeles, dove cresce con la sorella Reina (nome che significa "regina" in lingua spagnola), anch'essa interprete. Dopo aver conseguito il diploma presso la Westchester High School, la giovane varca la soglia dell'University of Southern California. L'attrice è divorziata da Ian Alexander Sr., vice-presidente della Warner Bros, dal quale ha avuto un figlio.
Carriera
Gina studia recitazione per un decennio, sotto l'ala di Betty A. Bridges, prima di debuttare - nel 1985 - nella sitcom 227, nel ruolo della figlia adolescente della protagonista. Eccola, poi, esordire nelle prime tre pellicole firmate da John Singleton: Boyz n the Hood - Strade violente, Poetic Justice e L'università dell'odio. Si cimenterà, rispettivamente, nella 20enne del ghetto Shalika, nell'amica dell'estetista Janet Jackson, nonché nella compagna di stanza di Kristy Swanson. In seguito, l'attrice decide di offrire il suo appoggio ad Una bionda in carriera come Reese Witherspoon e trova l'abito perfetto per la romantica Hilary Duff di Cinderella Story. Nel 2010, entra nel cast della commedia multietnica, Un matrimonio in famiglia.
Entrambi i film hanno a che fare con la musica, che per il nativo del Queens è ormai il motivo ricorrente di un’intera carriera; al tempo stesso elemento propulsivo e fattore da tenere a una certa distanza, per non ritrovarsi limitato ai musical o ai ruoli di cantante.
E pensare che Odom, oggi quasi quarantenne, aveva vissuto una gavetta “d’altri tempi”, come d’altri tempi sono i ruoli che lo caratterizzano in attesa di spiccare il volo verso la contemporaneità. Si era diviso, da ragazzo, tra l’amato teatro, per il quale aveva studiato e in cui aveva esordito diciassettenne a Broadway, e quelle comparsate televisive che all’epoca (primi anni duemila) consentivano di arrotondare ma che vivevano in un mondo segregato rispetto a quello del cinema. Neanche vent’anni fa, ma un altro mondo rispetto a quello di oggi, molto più permeabile tra i diversi settori.
E se allora la dicotomia per il giovane attore era tra l’essere una star del palcoscenico (nel 2016 arriva a vincere il prestigioso Tony per Hamilton) e un volto televisivo (tra i CSI, Grey’s Anatomy e Law&Order di questo mondo) oggi è diventata quella ben più eccitante che lo vede destreggiarsi tra l’essere un grande talento musicale o una star tout court, pronta a mettersi sulle spalle grandi film senza che gli sia richiesto di cantare (Odom ha anche pubblicato un album jazz nel 2014).
Artista che sa coniugare un’energia affilata come un rasoio con una vulnerabilità che gli viene da una forte spiritualità personale, Leslie Odom Jr. si è costruito una carriera sui generis, e da ormai cinque anni lascia un segno profondo in ogni progetto a cui partecipa. Con Music, con Hamilton e con One night in Miami il suo 2021 è già ricco, e lascia presagire un prossimo salto verso un ruolo da assoluto protagonista che possa isolarne i contorni attoriali con precisione ancora maggiore.
Le sorprese non sono da escludere, ma delle sei candidature ottenute da Nomadland quelle per il miglior film e la miglior regia dovrebbero portare senza ostacoli alla statuetta. Meno possibilità avranno invece gli altri candidati nella categoria principale: oltre a Mank, favorito comunque per la fotografia di Erik Messerschmidt, The Father, Judas and the Black Messiah, Minari, Una donna promettente, Sound of Metal e Il processo ai Chicago 7, tutti allineati o quasi sulle sei candidature (con l’eccezione di Una donna promettente, fermo a cinque) a dimostrazione di un equilibrio che dice di un’annata in cui l’uscita delle grandi produzioni o di importanti film d’autore (Dune, West Side Story, The French Dispatch) è stata bloccata dalla pandemia.
Difficile, insomma, che in un anno normale film indie come Sound of Metal, produzioni classiche come The Father o anche la sorpresa Minari di Lee Isaac Chung (bellissimo film di un regista da festival oggi coccolato dalla stampa americana) avrebbero potuto concorrere agli Oscar.
Fa parte comunque del gioco, e soprattutto del tentativo di Hollywood di cambiare direzione in termini d’inclusione, vedere film “minori” trovare spazio in una cerimonia pensata in controtendenza rispetto al passato.
Qualche conferma ci sarà, come un nuovo Oscar alla sceneggiatura per Aaron Sorkin (Il processo ai Chicago 7) e magari un premio a Kemp Powers per lo script non originale di One Night in Miami (ma Regina King, lei sì che avrebbe meritato la nomination per la regia); qualche deluso pure (dopo i Golden Globes anche Una donna promettente ha visto diminuire le proprie chances, nonostante le nomination alla regista Emerald Fennell e alla protagonista Carey Mulligan), mentre qualche sconfitto in una categoria potrà rifarsi in un’altra, come il Thomas Vinterberg di Un altro giro, candidato per la miglior regia e più probabile vincitore per il miglior film in lingua straniera.
Insomma, sembra che mai come in questa strana edizione in realtà le cose siano già scritte, sia perché la linea di Hollywood è tracciata sia perché la rosa dei film a disposizione non è così ampia (Mank è un metro sopra tutti, ma si sa che non sempre vince il migliore…).
Da queste parti sarebbe già qualcosa poter vedere tutti i film candidati, anche se per il momento una proiezione di The Father, Minari, Una donna promettente, dello stesso Nomadland, di Un altro giro, di The United States vs. Billie Holiday o di Judas and the Black Messiah e (quest’ultimo favorito per la migliore interpretazione maschile non protagonista con ben due candidati, Daniel Kaluuya e Lakeith Stanfield) è ancora di là da venire…
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