In occasione dell'uscita di Questi giorni di Giuseppe Piccioni, presentato a Venezia 73 e da domani al cinema, ecco i 10 migliori film on the road della storia del cinema.
di Gabriele Niola
Il cinema e lo spostamento, inteso come viaggio attraverso un paesaggio che fa da grande metafora per un viaggio all'interno di se stesso, nasce alla fine degli anni '60 e matura dagli anni '70. Nasce nel fermento culturale della New Hollywood con Easy Rider ma poi matura in Europa con il più "americano" dei registi dell'epoca, Wim Wenders. Da lì in poi il road movie diventa un genere a sé, uno che consente una sceneggiatura dinamica data dall'avvicendarsi di luoghi e situazioni diverse, ma anche un percorso di maturazione che è più evidente tanto più cambiano paesaggi e ambienti.
È passato a Venezia e ora arriva in sala Questi giorni di Giuseppe Piccioni che proprio su un viaggio basa la sua sceneggiatura. Quattro amiche si muovono verso Belgrado dove una di loro è diretta in cerca di una vita diversa. Road movie canonico che vuole anche giocare sulla più eterna dinamica del cambiamento di vita, mettersi in strada e nel muoversi maturare nuove consapevolezze riguardo se stessi.
Ci siamo chiesti allora quali siano i viaggi che cambiano la vita. Almeno quali siano quelli raccontati dal cinema, in risposta abbiamo trovato i nostri 10 più importanti.
Nessuno in Italia come Gabriele Salvatores ha lavorato sull'idea della fuga e del viaggio come risposta ai problemi quotidiani. I suoi eroi, a partire da Marrakech express, sono gruppi di amici insoddisfatti della vita che conducono e pronti a partire tutti insieme per trovare in altri posti (più desolati, meno urbanizzati, più esotici) quell'unione e quella dimensione panica che sentivano mancare.
Quello di Alexander Supertramp è per certi versi il cambio di vita cardinale, quello più dichiarato, esplicito e politico. Il film che Sean Penn ha tirato fuori dalla sua disavventura rende giustizia sia al desiderio di distacco dalla società per come la intendeva la sua famiglia, sia all'incontro con i grandi spazi americani, sia infine alle contraddizioni di una simile, estrema, decisione.
È il film con il quale Alfonso Cuaron si è presentato al mondo del cinema che conta, nonchè quello che ha dato il via alla carriera di Gael Garcia Bernal. Due ragazzi messicani (uno più abbiente dell'altro) partono in un viaggio con una donna molto più matura di loro. In questa peripezia conoscono il sesso e mettono alla prova la loro amicizia. Più di tutto Cuaron utilizza lo spostarsi e il trovare nuovi luoghi per suggerire come ognuno, dentro di sé, covi dei segreti e come ogni posto parli diversamente ad ogni persona.
Un proiezionista viaggia sul confine tra Germania Est e Germania Ovest. Nel suo spostarsi incontra un altro uomo che a lui si unisce. Non accade molto, a livello di intreccio, in questo film fiume di Wenders, ma la maniera in cui i paesaggi interagiscono con i personaggi ha fatto scuola. Per il regista tedesco è più vero che mai come non sia la meta ma lo spostarsi a contare. Nel corso del tempo medita sulle lunghezze, sulla lentezza, sul muoversi attraverso non tanto i paesaggi veri ma attraverso le inquadrature che quei paesaggi cercano di incorniciare.
Forse nessuno è mai uscito tanto cambiato da una viaggio come le povere Thelma e Louise, così consapevoli del mutamento, così incapaci di tornare alla loro vecchia vita da non poter accettare altra soluzione se non quella più estrema. Per una coppia di donne che non avevano conosciuto altra realtà se non quella imposta dal mondo degli uomini, solo cambiare paesaggio, muoversi e fare quel genere di esperienze mordi e fuggi che il cinema on the road consente poteva realmente cambiare qualcosa.
Esistono dei viaggi canonizzati, delle mete e dei percorsi fissi a cui vengono associati determinate prese di coscienza. Il viaggio in Tibet è uno di questi, non tanto il muoversi per attraversare luoghi ma il muoversi per arrivare in un punto preciso, per entrare in contatto con qualcosa di molto diverso e (nel caso specifico) molto spirituale. Nei viaggi che cambiano la vita non può quindi mancare quello effettuato da Brad Pitt verso l'origine dello spiritualismo buddista moderno.
Forse il vero protagonista del film di Dennis Hopper del 1968 è Jack Nicholson, è lui che davvero attraversa un cambiamento, unendosi ai due biker cui il film riserva il maggior numero di inquadrature. Se Wyatt e Billy sono dei viaggiatori di professione, il George di Nicholson è un uomo comune che si unisce alla causa e attraverso i suoi occhi possiamo vedere il vero cambiamento, è lui che da esterno si inserisce in quello stile di vita e, insoddisfatto dell'America trova e perde nuovi ideali viaggiando con un casco da football in testa.
La lavorazione infernale per eccellenza è stato un viaggio al termine della sanità mentale prima di tutto per chi lo ha fatto, e il fatto che tutto questo sia accaduto per una storia che, essa stessa, racconta di un viaggio verso la follia è solo la più cinematografica delle coincidenze. Willard è incaricato di sopprimere Kurtz e il suo regno del terrore, per farlo deve attraversare via fiume il Vietnam in guerra fino ad arrivare in Cambogia. Il suo viaggio è una discesa all'inferno, di girone in girone. Un percorso al termine del quale emerge pieno di fango dalla melma gridando all'orrore.
L'animazione ha fatto del viaggio una delle modalità principali di racconto delle sue storie. Già prima del cinema dal vero Gli aristogatti o i 101 dalmata guidati da Pongo e Peggy lo facevano. Eppure quando la Pixar è arrivata ad inserire le tecniche e il linguaggio del cinema dal vero in quello animato anche il road movie è cambiato. Alla ricerca di Nemo (e poi Wall-E) sono gli esempi migliori di viaggi formativi che lo studio abbia mai proposto. L'impossibile traversata di un pesce minuscolo attraverso tutto l'oceano e poi fino a dentro lo studio di un dentista è una delle più grandi imprese di sempre.
Tra vero racconto ed invenzione, il film di Ang Lee ha un grande trucco finale, un inganno rivelato solo in chiusura che funziona da twist narrativo. Eppure anche senza quello è il più grande viaggio in un mondo che non c'è. Costruito in digitale proprio per essere fasullo, pittorico, espressionista e raccontare con la tecnologia l'esperienza di maturazione interiore, l'oceano di Vita di Pi oscilla tra uno spiritualismo un po' generico e un umanesimo autentico.