Morricone ha vinto, prevedibile come per DiCaprio. Ecco perché dopo l'Oscar onorario l'Academy ha premiato ancora Ennio Morricone.
di Pino Farinotti
Morricone ha dunque vinto. Era prevedibile, quasi come per DiCaprio. Due settimane fa avevo scritto un pezzo intitolato Morricone nel cartello dei giganti, dove portavo gli argomenti relativi. Alcuni stralci li ripropongo. "Se sei a New New York, o a Parigi, a Londra, a Instambul o a Mosca e dici Fellini, tutti sanno chi è. Se dici Sorrentino o Tornatore... alcuni li conoscono. Ma se dici Morricone è come dire Fellini: lo conoscono tutti".
Quentin Tarantino uno strepitoso riconoscimento all'italiano lo ha già attribuito con queste parole: "Ennio Morricone è il mio compositore preferito e non intendo un compositore cinematografico, intendo uno come Mozart, come Beethoven, come Schubert".
Parole pesanti, dette da uno magari di parte e... un po' matto, ma che rimangono come marchi a fuoco. Ho ragionato anche sul premio Oscar alla carriera attribuito al maestro nel 2007. "L'Oscar onorario presenta una doppia lettura, una riduttiva, nel senso di un riconoscimento riparatore: nella competizione singola qualcuno ti ha sempre battuto, dunque ti riconosciamo per la tua opera complessiva". Ma il concetto può essere ribaltato: "le strane dinamiche degli Oscar ti hanno impropriamente penalizzato dunque meriti 'indiscutibilmente e globalmente' il riconoscimento". Il premio Oscar a Morricone non può certo essere riduttivo".
Nell'editoriale ho anche contestualizzato storicamente i grandi musicisti da cinema. "Prokofiev, grande compositore russo "adattato" al cinema collaborò con Ejzenstejn in opere come Aleksandr Nevskij e Ivan il terribile, imponendo la sua impronta. Korngold, austriaco naturalizzato americano componeva per la Warner: Errol Flynn entra trionfante nella Londra di Elisabetta prima o cavalca nella foresta di Sherwood al ritmo di Korngold.
Steiner, viennese-americano (chimica forte), sinfonico grande e completo, è morto nel 1971 ma, dovunque si trovi adesso, non so come abbia accolto il suo magnifico tema di Via col vento applicato a "Porta a porta" e Clark Gable omologato a Bruno Vespa.
Herrmann, nei titoli di La donna che visse due volte, con quella spirale, ti attanaglia lo stomaco e ti promette un'angoscia che verrà mantenuta. Waxman, tedesco-americano, nei titoli di Viale del tramonto, che scorrono sull'asfalto del Sunset Boulevard, ti indica subito il destino tragico del protagonista William Holden. Rozsa, ungherese-americano è titolare di due invenzioni non semplici, la musica dell'antica Roma, con Quo Vadis? e Ben Hur, e quella medievale, con Ivanhoe, e moltiplica l'energia delle storie. Tiomkin declina la cadenza epica del west in film come Mezzogiorno di fuoco e Sfida all'O.K. Corral e scrive le canzoni relative per Frankie Laine. Il tema, altro classico radicato nelle memorie, de I magnifici sette è di Bernstein. Se Young si applicava a "Istambul" e a "Saigon" ascoltavi il medio e l'estremo oriente e c'eri dentro.
A Barry dobbiamo il fraseggio dei titoli di 007: fa parte dell'"estetica" musicale del cinema del Novecento. Accompagnando sulla spiaggia, nella sequenza iniziale di Momenti di gloria, i giovani inglesi che parteciperanno alle Olimpiadi, Vangelis ti anticipa che la spedizione sarà "d'oro". John Williams ha firmato, oltre a centinaia di spartiti, le potenti, orecchiabili introduzioni di Superman, Guerre stellari, E.T. - L'extra-terrestre, la saga di Indiana Jones, e Star Wars: Episodio VII - Il risveglio della forza che sta battendo i record di incassi. È superfluo dire che su questa gente gli Oscar sono caduti a pioggia. E occorre anche dire che il cartello è ricco ma non può essere completo, con omissioni dolorose alle quali sei costretto quando devi raccontare una storia per sintesi. Tornando a Morricone.
La motivazione del premio Oscar alla carriera a Morricone del 2007 recita: "per i suoi contributi magnificenti e sfaccettati all'arte della musica da film". È una formula concisa che però racconta benissimo le attitudini del musicista.
Il compositore è capace di essere "tutti" quelli raccontati sopra: musica applicata alle emozioni e ai sentimenti, alle etnie e alle culture, al colosso e all'opera di qualità, musica che "affianca", musica che sovrasta. Tutto insomma. Se devi scovare nella memoria immediata, certo ti arrivano le note dei film di Sergio Leone. Magari il fraseggio di Per un pugno di dollari. Un altro avvallo lo offre ancora Tarantino: "Il mio rapporto con la musica del Maestro viene da molto lontano: avevo otto anni quando, a causa della passione insana che mia madre nutriva per Clint Eastwood, mi vidi per la prima volta la Trilogia del Dollaro di Sergio Leone con le sue musiche."
Domenica 28 febbraio sulla "Lettura" del "Corriere della sera" c'era un editoriale di Paolo Di Stefano sul libro di Paola Italia "Il metodo di Leopardi" dove vengono messi a confronto i metodi di lavoro di Leopardi e di Manzoni. L'analogia può essere impropria ma ho pensato a "quei due" giganti dell'Ottocento e a "quelli" dell'era contemporanea. Momenti assolutamente diversi, certo, con l'Italia da fare e una qualità diversa di passioni. Leopardi era uno stanziale ultrastudioso che pensava e trasmetteva cose magnifiche, da poeta, scrittore, e filosofo. Manzoni aveva vissuto a lungo a Parigi e in una Milano che era un modello di dottrina illuminista. Una cultura da rivoluzione francese prima della rivoluzione stessa. Era stato, con la sua scrittura, un protagonista del Risorgimento, così come Verdi lo era stato con la sua musica. Dunque non è semplice un contrappasso col Novecento e primi duemila.
Abbiamo avuto dei Nobel della letteratura, Quasimodo, Montale e Fo. Sempre che il Nobel faccia testo, perché tutti si chiedevano perché Ungaretti, forse il primo referente in quel senso, non lo abbia ottenuto.
E allora rimane la possibilità di un focus sui talenti italiani recenti e contemporanei. Gente che ha oltrepassato i confini e dettato sentimento e cultura al mondo. Fatta una selezione arbitraria e di getto, rispetto ai segnali dell'Italia, storica culla della cultura universale, oggi tutti ci riconoscono... la moda, il design, e qualche picco individuale nelle arti. Abbiamo avuto dei Nobel della letteratura, Quasimodo, Montale e Fo. Sempre che il Nobel faccia testo, perché tutti si chiedevano perché Ungaretti, forse il primo referente in quel senso, non lo abbia ottenuto.
Abbiamo inventato una corrente "realista" del cinema, che ha dettato a tutti i movimenti, e abbiamo avuto Fellini, cinque Oscar. Pavarotti è... Pavarotti. Il Piccolo Teatro di Milano è un modello che non è improprio definire "colonizzatore". Gli eroi sono Strehler e Ronconi, puri inventori. Umberto Eco è l'italiano più tradotto nel mondo. Un nome forse non popolare come quelli fatti è Maurizio Cattelan, una star dell'arte contemporanea, l'unico italiano a cui il Guggenheim di New York abbia dedicato una personale con tutte le sue opere. Ribadisco, è un tentativo certo arbitrario di sintesi. Con omissioni, perfetto per non essere magari condiviso dalla rete. Per dire che Morricone entra a pieno diritto in questo cartello.
Se devo indicare una mia predilezione personale sugli spartiti del musicista cito Il ritorno di Ringo del 1966 di Duccio Tessari, con Giuliano Gemma. Ritengo quel western migliore di alcuni di Sergio Leone. È la storia di un ufficiale che torna dalla guerra civile e che era creduto morto. Vede le tombe dei suoi genitori e sua moglie che sta per sposare un ricco messicano. Il tema musicale di Il ritorno di Ringo è potente ma si adegua a tutti i registri: l'avventura, la tensione, il momento d'amore e il "ritorno". Con un uso strumentale completo. Alla Ennio Morricone.