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ONDA&FUORIONDA

Kevin Costner: dal thriller al salmone.
di Pino Farinotti

In foto Kevin Costner in una scena di Three Days to Kill.
Kevin Costner (Kevin Michael Costner ) (69 anni) 18 gennaio 1955, Lynwood (California - USA) - Capricorno. Interpreta Ethan Renner nel film di McG Three Days To Kill.

domenica 15 giugno 2014 - Focus

ONDA
Kevin Costner è doppiamente protagonista, in questi giorni, in Italia. E' in distribuzione, nelle sale, Three Days To kill, e nelle case lo spot sui prodotti -tonno, salmone, e altro- Rio Mare. Costner è un divo amico. Significa che tutti lo abbiamo adottato, da molti anni: fa parte della cosiddetta identificazione, un meccanismo importante e delicato che noi concediamo a chi ci sembra affidabile e garante, a un amico, appunto, che sa rappresentare l'eroe che non siamo e che vorremmo essere. Ancora aitante e bello, umano e dolce, con quegli occhi azzurri rassicuranti. L'anno prossimo Kevin compirà sessant'anni, ma regge ancora come modello d'azione e come amoroso e anche come padre: tutto questo emerge appunto in Three Days To kill dove Ethan è un agente della CIA che deve salvare il mondo recuperando un ordigno nucleare. Il nome importante del film è quello del produttore Luc Besson, uno che conosce il mestiere dell'azione, magari estrema, con una parte di paradosso, ma perfettamente allineata al gusto del nostro tempo e al target che conta, quello giovane. Ethan-Costner si muove fra i giovani. Presenta tutte le sue rughe, non nasconde niente, ma è sempre Kevin, seppure consapevole della sua stagione. Vedendolo pensi anche alla sua storia, all'inizio strepitoso con Oscar -Balla coi lupi- all'eroe Ness degli Intoccabili che sconfisse Capone, al procuratore Garrison, di JFK, che si mise contro il sistema americano per far luce sull'assassinio di Kennedy. E poi pensi agli errori e ai tonfi successivi, che sono molti. E adesso eccolo qui, in Italia, e non per un film. La pubblicità italiana, storicamente, è stata una irresistibile sirena per i divi. Grandi, grandissimi, assoluti. Verso la fine degli anni ottanta il creativo Gavino Sanna assunse Paul Newman, nientemeno, per fargli promuovere la Barilla. Poi fece vendere il prosciutto a Sophia Loren. Nel 2000 toccò a sua maestà Marlon Brando cedere la propria immagine, e che immagine, a uno spot della Telecom. Un vero piccolo capolavoro quel filmato, con Brando in piedi su una roccia, con quel suo corpo immenso e quella faccia che era a sua volta una roccia con tutto ciò che rappresentava, in assoluto, e con la cinecamera che gli girava intorno. Poi è stata la volta di... tutti. Da Robert De Niro a Dustin Hoffman, a Brad Pitt, a Leonardo di Caprio, Harrison Ford. E come non ricordare l'assiduo, ormai "italiano" George Clooney. E poi Banderas dalle mani infarinate che parla alla gallina. E altri che sarebbe lungo elencare. E parlo di prodotti italiani. Ancora in questi giorni è il Crodino che ci propone l'irresistibile Owen Wilson in uno spot divertente e dinamico. Il "Crodino" ha puntato sull'azione frenetica, ancora giovanile, di un quarantenne, il marchio del mare ha giocato sull'immagine, tranquilla e statica di un uomo maturo ma dall'appeal sicuro e consolidato. Kevin abita in un faro di un borgo della costiera amalfitana. Uno scenario favoloso, una vita italiana secondo un modello che ci viene attribuito dovunque, che purtroppo è ormai molto difficile da scovare. Roba da anni cinquanta. Roba da gente serena, magari felice. Una favola che quasi non esiste -ed è questa l'efficacia della finzione - così come non esiste quel faro che il regista ha creato al computer e che ha fatto irritare le autorità autoctone. Il concetto è: siamo talmente belli così che è inutile, anzi è negativo, quasi offensivo ricorrere a trucchi o corpi estranei che vanno a inquinare qualcosa che è già perfetto. Il marchio ha comunque costruito un prodotto, un promo perfetto, e non poteva mancare la voce di Michele Gammino, il doppiatore storico di Costner. Qualcuno dice: "Kevin Costner che fa quella pubblicità, che tristezza." Ma non è così, niente di triste. Certo, c'era un tempo in cui i divi hollywoodiani al tramonto venivano da noi per lavorare nei "pepla", oppure negli spaghetti western o nei polizieschi nostrani. Prestare se stessi a un prodotto, in questa epoca non è riduttivo, non è umiliante, fa parte di un gioco ricco e importante. Perché il divo non solo ti seduce, ma ti fa anche spendere. Del resto quasi tutti i nomi fatti non appartengono a personaggi in declino. E Costner, ribadisco, porta qualcosa di gradevole, poco importa la vendita. Stai davanti al piccolo schermo, nella "Gabbia" di Gianluigi Paragone vedi ministri che urlano e si insultano, "entri" nell'ambiente aberrante del Grande fratello, oppure resisti ai primi servizi di tutti i tg, roba di Mose e di Expo. Dico: ben venga l'interruzione di Costner seduto a tavola con belle donne sotto il sole amalfitano. E poi, puoi sempre acquistare un'altra marca.

FUORIONDA
Uso questo spazio per un altro argomento - che in un certo senso si lega a Costner, personaggio in un ambiente che non è suo - che ha tenuto banco nei giorni scorsi. La vicenda mi sta a cuore, in un quadro più allargato me ne sono occupato più volte. Il quadro riguarda un certo sincretismo, chiamiamolo benevolmente così, legittimato dalla televisione: ex veline, conduttori, insomma "televisivi" che scrivono libri, quasi sempre pessimi, si fanno ospitare dai loro amici omologhi e così li vendono. Togliendo spazio a giovani, magari di talento, che non riescono a pubblicare, soprattutto, togliendo la loro qualità agli utenti, che non li trovano nelle librerie. Questo è un aspetto, poi c'è l'altro, che chiamerò del "tutto uguale". La lunga, devastante "onda media", che tutto appiattisce e volgarizza, capillare e impietosa, si è rivelata, alla perfezione, con un modello perfetto. Una premessa, a didascalia: un asino raglia, è nella sua natura, non è colpa sua, lo lasci nella sua stalla; un clown fa il clown nel circo, è il suo posto e il suo status, non lo porti a teatro. Invece i due soggetti vengono, di volta in volta inseriti in contesti che non sono i loro. La televisione ci ha proposto, fra gli altri un Celentano che spiega banalità soffocanti, un Pelù, che legge un pronunciamento politico risaputo e metabolizzato. Adesso c'è stato Paolo Ruffini al David di Donatello. Un'altra premessa: quest'anno la qualità dei film era molto alta, non ricordo, nell'era recente, un'altra annata così. Meritava una confezione all'altezza. Ruffini è un comico da corsa, Colorado, cinepanettoni, roba alla Amici di Maria, alla Grande fratello. Vocabolario e pensiero certo deboli, adeguati a quelle situazioni. E' quello che è. Non ne ha colpa. E non vede cosa c'è intorno. Intorno c'era gente come Rosi, Montaldo, Scola, Bellocchio, modelli di Storia, persino di nobiltà. C'era Rondi, il patriarca dei "David", impietrito come un'effigie dell'hichcockiano monte Rushmore. Ruffini ha dato della "topa" alla Loren, signora ottantenne, eroina italiana del novecento e oltre. Quando Sophia gli ha dato del bischero, il "bischero" ha risposto che essere sgridati dalla Loren lo rende felicissimo. Invece dovrebbe renderlo invisibile, sepolto. Ruffini ha detto, presentandolo, che Bellocchio, è stato finalmente accolto dagli americani. Il regista ha risposto "guardi che gli americani mi accolgono da cinquant'anni." Virzì, con stile, ha detto al "conduttore": guarda che io parlo le lingue, ma non ti capisco, fatti mettere i sottotitoli. Poi è stata la volta di Mastandrea, che, certo col sorriso, ha accusato il "comico" di "non avercela fatta", a fare il cinema, cioè roba seria. Sì, il cinema si è arrabbiato.

Ginevra
In 7 km da Gerusalemme -libro di Farinotti e film di Malaponti- c'è un personaggio, Ginevra, conduttrice, con grande audience, di uno spazio pomeridiano. Il modello è conosciuto. E' del tutto ignara della propria ignoranza, si rivolge con lo stesso linguaggio a un dj, a un poeta premio Nobel, a un ministro, a una velina, a un trans brasiliano, a un rettore. E' tutto uguale. Si fa spiegare la questione in Medio oriente. Per risolverla. L'autore, col sorriso le dice che non è semplice, che dovrebbe mettere d'accordo Gesù e Maometto. Lei non coglie il paradosso, ci pensa e dice "sarebbe carinissimo". Poi fa il suo proclama: "mi rivolgo ai governati dei paesi nemici, venite da Ginevra, che sa parlare alla gente. E sono sicura che Gesù e Maometto, che erano persone per bene, si sarebbero messi d'accordo. E Ginevra vi metterà d'accordo. Vi aspetto." Non credo di avere ... molto estremizzato: le "Ginevre" incombono, e ci schiacciano. La loro ignoranza, il loro centro, credono che sia il centro del mondo. L'ho detto sopra, gli asini ragliano, senza colpa. La responsabilità è di chi dà loro spazio, e che spazio, per ragliare.

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