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Oppenheimer, una parata di grandissime star al servizio di un film dalla potenza inaudita

Da Cillian Murphy a Matt Damon, da Robert Downey Jr a Florence Pugh. Christopher Nolan si affida a una supersquadra di interpreti, tra vecchie conoscenze e nuovi arrivi. Il risultato non può che essere esplosivo. Al cinema.
di Pedro Armocida

venerdì 25 agosto 2023 - Focus

C’è qualcosa di ancora più potente in Oppenheimer dell’Imax 70 millimetri, dell’esperimento della prima detonazione di una bomba nucleare realizzato senza effetti digitali eppure così impressionante, della splendida fotografia di Hoyte van Hoytema e del bombardamento della musica di Ludwig Göransson. Sono gli interpreti del film con i quali peraltro Christopher Nolan ama avere una certa consuetudine. Come se il mestiere dell’attore, nei suoi stessi film, andasse coltivato, curato, innaffiato e infine colto. 

È il caso di Cillian Murphy, l’enigmatico attore irlandese quarantasettenne, che è l’interprete, subito dopo Michael Caine, ad aver lavorato in più film di Nolan, ben sei, anche se in parti non da protagonista, dallo Spaventapasseri nella trilogia del Cavaliere Oscuro, a Inception, Dunkirk (guarda la video recensione) e ora Oppenheimer. «Questa volta il film è tutto sulle tue spalle» ha detto Nolan di Murphy che ha optato per una somiglianza camaleontica con il vero Julius Robert Oppenheimer fatta non di trucco prostetico ma di profondità di sguardo, di zigomi sempre più affilati, di occhi azzurri glaciali, penetranti ma, nel fondo, sempre interrogativi e di una magrezza che non riempie gli abiti eleganti del fisico dalla carriera fulminante.

Accanto a lui le sue donne fondamentali interpretate da due attrici esordienti con Nolan, Florence Pugh nei panni di Jean Tatlock con cui il fisico ebbe una relazione prima e dopo il matrimonio con la combattiva moglie Katherine interpretata da Emily Blunt. Una scena di nudo di Pugh, dalla forte carica erotica, è stata pure digitalmente oscurata in alcuni paesi tra cui l’India.

Mentre molti degli altri interpreti maschili sono delle vecchie conoscenze del cinema di Nolan. Come Matt Damon, apparso in Interstellar, che ora ha il ruolo fondamentale del generale Leslie Groves che affida a Oppenheimer la direzione del progetto Manhattan. Proprio a 9 anni da Interstellar ritroviamo Casey Affleck a cui è stato affidato il delicato ruolo di Boris Pash, un ufficiale  dell’intelligence dell’esercito degli Stati Uniti che indagò sul legame di Oppenheimer con il Partito Comunista. 

C’è poi Kenneth Branagh che, buon ultimo, ha ormai stretto un sodalizio con il regista che l’ha voluto negli ultimi suoi film, Dunkirk e Tenet, e ora nei panni del fisico danese Niels Bohr anch’egli sodale del Progetto Manhattan. 

Riappare invece nel cinema di Nolan Gary Oldman che, dopo la trilogia di Batman dove era il commissario James Gordon, in Oppenheimer è addirittura il presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman che saprà essere molto sgradevole con il fisico particolarmente preoccupato dalla proliferazione nucleare dopo il lancio delle bombe atomiche sul Giappone. Josh Hartnett, che aveva avuto contatti con Nolan per partecipare, senza successo, a The Prestige e poi a Il cavaliere oscuro, interpreta il fisico nucleare Ernest Lawrence. 

Di tutta questa lunga teoria di comprimari, tra cui troviamo anche Rami Malek nei panni del fisico David Hill, Benny Safdie in quelli del collega Edward Teller e Matthew Modine in quelli dell’ingegnere Vannevar Bush sostenitore del Progetto Manhattan, il volto e il personaggio che rimane più impresso, oltre al protagonista naturalmente, è quello di Robert Downey Jr. che, ancora una volta, sorprende per la sua grande prova attoriale nei panni del machiavellico Lewis Strauss, il presidente della Commissione per l’Energia Atomica degli Stati Uniti che finì per fare la guerra a Oppenheimer. Si tratta di un’interpretazione così profonda e sfaccettata, per un personaggio talmente ambiguo e intimamente cattivo, da apparire quasi come il villain del film. Anche se è difficile vedere Julius Robert Oppenheimer come un buono tout court, lui che citando un verso di un testo indù, ripeteva di essere «diventato Morte, il distruttore di mondi».


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