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Figli del sole, un accorato sguardo di dolore verso l’infanzia violata

Nel film di Majid Majidi si rimane colpiti dagli sguardi dei bambini, senza speranza e senza futuro eppure belli, vitali, con gli occhi enormi e affamati di vita. Premiato a Venezia e dal 2 settembre al cinema.
di Giovanni Bogani

Figli del sole

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giovedì 26 agosto 2021 - Focus

Bambini. Bambini costretti a rubare, bambini senza speranza, senza futuro. Eppure belli, vitali, con gli occhi enormi, sguardi in allarme, affamati di sopravvivenza, se non di vita. Sono i bambini a cui guarda da sempre il regista iraniano Majid Majidi, che per gran parte della sua opera ha raccontato l’infanzia abbandonata, violata. Lo aveva fatto con Bambini del cielo, sfiorando l’Oscar per il Miglior film straniero: ma quello era l’anno di La vita è bella di Roberto Benigni, e non ce n’era per nessuno. Lo fa, stavolta, con Figli del sole, in uscita in Italia il 2 settembre.

Lo scorso settembre, Figli del sole era in Concorso alla Mostra del cinema di Venezia, e non era un caso. La Mostra del Cinema, sotto la direzione di Alberto Barbera, sia nel suo primo che nel secondo mandato, ha promosso, valorizzato, portato alla luce molto cinema iraniano. Nel 1999 Abbas Kiarostami fu Leone d’Argento con Il vento ci porterà via, nel 2000 Jafar Panahi Leone d’oro con Il cerchio, nel 2001 Babak Payami vinceva il Premio Speciale per la regia con Il voto è segreto. L’anno scorso, Terra desolata di Ahmad Bahrami vinceva la sezione Orizzonti.
 

Figli del sole si inserisce nella tradizione di racconto scabro, rosselliniano di gran parte del cinema iraniano. E se certi autori, come Asghar Farhadi, hanno scavato a fondo nelle sottigliezze dell’anima, nei caleidoscopi delle piccole e grandi questioni morali, Majidi è senza dubbio più semplice. Più immediato, e se si vuole, puro.

Non è certo la prima volta che il cinema punta la cinepresa verso bambini dimenticati, marginali, vite difficili, vite al limite. Los olvidados, i dimenticati, si chiamava un film messicano di Luis Bunuel del 1950, che in Italia si chiamò I figli della violenza. In Italia, pochi anni prima, De Sica aveva girato Sciuscià, e aveva portato il piccolo Enzo Staiola in giro per una Roma ancora densa di macerie in Ladri di biciclette. Negli ultimi giorni degli anni ’50 la Nouvelle vague francese si imponeva al mondo con I 400 colpi di Truffaut e il suo giovanissimo Jean-Pierre Léaud, che correva da solo verso il mare, visto per la prima volta nella vita.

Il bambino di strada di Salaam Bombay di Mira Nair che attraversava le strade dell’India più violenta, e quello che stava per finire in mano ai trafficanti di organi in Central do Brasil di Walter Salles, viaggio da Rio al Nord-est brasiliano. L’elenco sarebbe infinito: passerebbe da ogni angolo del mondo, dalla Romania nei cui sotterranei di Bucarest bimbi vivono sniffando colla in Pa-ra-da di Marco Pontecorvo. Fino al dodicenne libanese di Cafarnao di Nadine Labaki, già finito in carcere.

È un lungo sguardo, pieno di amore e dolore, quello del cinema verso l’infanzia violata. Ora si aggiunge lo sguardo di Majidi verso il dodicenne Ali, interpretato da Roohollah Zamani con travolgente intensità, che gli è valsa il premio Mastroianni come Migliore Attor Giovane alla Mostra di Venezia. Sguardo sempre all’erta, come se fosse sempre sul punto di combattere, o di fuggire. Occhi spalancati, lentiggini, denti che potrebbero aprirsi in un sorriso bellissimo, se solo ce ne fosse l’occasione. E invece, lo vediamo a cercare sempre una via di fuga, o almeno una soluzione, mentre in ogni attimo del film lui e i suoi amici sembrano in trappola.

Nella trama, come nella regia, tutto è piuttosto semplice: lo spunto – paradossale, ma neanche troppo – è che un capo criminale locale impone al ragazzino un compito: recuperare un non meglio specificato tesoro caduto nelle fogne sotto il cimitero del quartiere. Ci si può arrivare soltanto scavando un tunnel sotto una scuola, una scuola che accoglie ragazzini disagiati: proprio come Ali. E allora, ecco Ali, senza quaranta ladroni, ma solo con due amici, cercare disperatamente di farsi ammettere in quella scuola…


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