lorenzodv
|
martedì 8 ottobre 2019
|
non un documentario
|
|
|
|
Il film è ispirato ad una storia vera: l'eccidio di Cielo Drive (non Sky drive, si chiama così e tu baby non puoi farci niente; se non ci credi digita in google mappe: "Cielo Drive, Beverly Hills, California, Stati Uniti") a casa si Roman Polansky e sua moglie Sharon Tate nel quale, assente il regista, morirono la moglie e numerosi suoi ospiti. E' ispirato ma non è un documentario, tant'è che riporta alcune varianti significative, come ad esempio che Sharon non è morta, anzi è andata ad informarsi allegra e lieta su cosa sia stato tutto quel casino.
La regia è di Tarantino e niente da dire; invece qualcosa da dire sulla scelta di cosa rappresentare.
[+]
Il film è ispirato ad una storia vera: l'eccidio di Cielo Drive (non Sky drive, si chiama così e tu baby non puoi farci niente; se non ci credi digita in google mappe: "Cielo Drive, Beverly Hills, California, Stati Uniti") a casa si Roman Polansky e sua moglie Sharon Tate nel quale, assente il regista, morirono la moglie e numerosi suoi ospiti. E' ispirato ma non è un documentario, tant'è che riporta alcune varianti significative, come ad esempio che Sharon non è morta, anzi è andata ad informarsi allegra e lieta su cosa sia stato tutto quel casino.
La regia è di Tarantino e niente da dire; invece qualcosa da dire sulla scelta di cosa rappresentare. Conto nella vostra comprensione per la mia scarsa cultura in fatto di cinema: non so distinguere sostanzialmente la sceneggiatura dalla responsabilità della produzione o altri particolari, perciò parlo semplicemente di scelte e mi disinteresso di chi sia la colpa.
La decisione di romanzare l'eccidio è patetica; non da intendersi nel senso che il risultato è scadente ma che la scelta è patetica, ha un contenuto triste e pietoso che di certo non renderà ai morti gli anni perduti né toglierà agli altri morti (di vecchiaia in galera) gli anni vissuti da condannati.
La scelta del punto di vista, quello di un personaggio secondario che per il miracolo della narrazione diventa il protagonista, è molto tarantiniana delle Iene, non di Pulp Fiction o di Jachie Brown; se si apprezza Tarantino bisogna apprezzarlo tutto, amarne anche i difetti, io non l'amo ma lo accetto, tuttavia lo interpreto come una futile necessità di originalità laddove la linearità logica e forse banale sarebbe più efficace.
La scena del Spahn Ranch è encomiabile nella ricostruzione dell'atmosfera ma indulge eccessivamente nella critica al modo di vivere della comune che, ironicamente, si scontra coi luoghi comuni della sporcizia, dell'imbroglio. Probabilmente Tarantino dovrebbe capire se credersi ribelle oppure allineato, valutando che in medio stat virtus. Peraltro quello che storicamente è emerso come personaggio guida della devianza nella comune non è nemmeno trattato, se si esclude una comparsa di venti secondi nella ricostruzione storica del sopralluogo introduttivo.
Insomma un bel film, due ore e mezza di piacere ma peccato che non sia stato di più e avrebbe potuto esserlo.
[-]
[+] ispirato ?
(di michele voss)
[ - ] ispirato ?
|
|
[+] lascia un commento a lorenzodv »
[ - ] lascia un commento a lorenzodv »
|
|
d'accordo? |
|
drums
|
lunedì 7 ottobre 2019
|
non lo riguarderei una seconda volta.
|
|
|
|
Si può dire che è un film che non riguarderei una seconda volta? Mi dispiace, ma se scorro la filmografia del regista, questo è davvero il film più piatto che lui abbia fatto.
|
|
[+] lascia un commento a drums »
[ - ] lascia un commento a drums »
|
|
d'accordo? |
|
giorgio postiglione giorpost
|
lunedì 7 ottobre 2019
|
tarantino rivede a suo modo gli anni '60 di hollywood e abbatte la quarta parete come truffaut con un "effetto notte" molto spettacolare
|
|
|
|
Febbraio 1969, Los Angeles: Rick Dalton è una star della TV anni '50 che non riesce a sfondare sul grande schermo, salvo piccoli ruoli da cattivo in pellicole d'azione; va in giro da un decennio con l'inseparabile Cliff Booth, sua controfigura ufficiale, autista personale e migliore amico, ubriacandosi, fumando e perdendo sempre più fiducia in se stesso. In una Hollywood che va sempre più trasformandosi culturalmente e nella quale si da sempre più spazio a registi e star d'oltreoceano -soprattutto europei- Rick vede scivolare via il sogno di diventare un divo; a seguito di una chiacchierata con il manager Schwarzs (e dopo aver riconquistato sicurezza recitando nel pilota della nuova serie Lancer) è costretto, suo malgrado, ad accettare la proposta di recarsi a Roma per partecipare ad una manciata di western movie, altrimenti detti spaghetti-western, e spy-story all'italiana, unico modo per rilanciare una carriera destinata a sicura decadenza.
[+]
Febbraio 1969, Los Angeles: Rick Dalton è una star della TV anni '50 che non riesce a sfondare sul grande schermo, salvo piccoli ruoli da cattivo in pellicole d'azione; va in giro da un decennio con l'inseparabile Cliff Booth, sua controfigura ufficiale, autista personale e migliore amico, ubriacandosi, fumando e perdendo sempre più fiducia in se stesso. In una Hollywood che va sempre più trasformandosi culturalmente e nella quale si da sempre più spazio a registi e star d'oltreoceano -soprattutto europei- Rick vede scivolare via il sogno di diventare un divo; a seguito di una chiacchierata con il manager Schwarzs (e dopo aver riconquistato sicurezza recitando nel pilota della nuova serie Lancer) è costretto, suo malgrado, ad accettare la proposta di recarsi a Roma per partecipare ad una manciata di western movie, altrimenti detti spaghetti-western, e spy-story all'italiana, unico modo per rilanciare una carriera destinata a sicura decadenza. E mentre in California si organizzano feste in mega-ville di imprenditori dell'editoria erotica e le hippie adolescenti fanno l'autostop per adescare nuovi amanti e adepti (per iniziarli alla setta della Manson Family), Dalton si rende conto che non può più mantenere il suo tenore di vita, a partire dal fidato galoppino tuttofare Cliff e soprattutto la lussuosissima villa "su Beverly", confinante proprio con quella di Roman Polanski e la bella moglie Sharon Tate...
Tarantino torna alle origini, torna a Los Angeles e torna ad essere finalmente ispirato. Il suo nono film, C'era una volta a... Hollywood, ci riconsegna un autore nuovamente dotato di quella brillantezza parzialmente accantonata; l'opera, che per i suoi standard si svolge attraverso un orizzonte temporale insolitamente lineare, è idealmente suddivisa in tre blocchi, risultando al tempo stesso un dramma sull'incapacità umana nel sapersi reinventare (nella prima parte), una commedia delle citazioni (in quella centrale) e uno splatter movie con spolverata di thriller, nel concitato e psichedelico finale. Il regista americano ci delizia con delle trovate molto interessanti, degne del miglior Scorsese, se pensiamo alla straordinaria sequenza di Leonardo DiCaprio alle prese con i ciak della nuova produzione a cui prende parte (spronato da un'attrice bambina che ricorda la Fanning, autocitazione straordinaria) oppure quando seguiamo Sharon Tate in giro per L.A. tra shopping e sale cinematografiche nelle quali entra senza pagare per verificare le reazioni del pubblico alla sua interpretazione (vera) in una pellicola con Dean Martin, o ancora lo stuntman Cliff Booth alle prese con la "comune" hippie in un ranch apparentemente abbandonato. Si sprecano gli omaggi, a partire dal titolo stesso, chiaro riferimento a Sergio Leone, ma anche a Steve McQueen, presente come personaggio (interpretato dal somigliante Damian Lewis in un cameo) ma anche in qualità di attore che ipoteticamente rinuncia all'ultimo momento al ruolo di protagonista nel leggendario La grande fuga e sostituito (in una sorta di sogno lucido) da Rick Dalton-DiCaprio in una imperdibile ed esilarante sequenza... Mister Tarantino, come è già noto, ama da sempre il Cinema, si nutre di esso, specie quello italiano, compresi i B-movies e i registi di culto di quegli anni, a cominciare dal grande Sergio Corbucci e finendo con quel filone cinematografico che partorì Bud Spencer e Terence Hill. Senza più i vincoli di Weinstein Tarantino ha le mani libere, e si vede: si diverte a citare, omaggiare, mettere in scena gigantografie tipiche del tempo (una di queste ritrae un ibrido tra i due divi DiCaprio e Pitt) con un'attenzione maniacale al periodo, soprattutto negli abiti, nelle pettinature, nelle automobili e nell'immancabile feticismo per i piedi di donna, "patologia" nata proprio in quel decennio. Magari stavolta i dialoghi risultano meno freschi e veloci del passato, questo si, ma sono più ipnotici: difficile, infatti, distogliere l'attenzione dai duelli verbali che Brad Pitt (a mio avviso finalmente utile alla causa) intrattiene con l'inquietante Dakota Fanning prima e con il "vero" Bruce Lee, poi. Quest'ultimo, tuttavia, viene dipinto in maniera sorprendentemente oltraggiosa, facendolo passare per arrogante e saccente: proprio da quel cineasta che ha sempre dichiarato di amare la star di Hong Kong (citato e copiato nello strepitoso Kill Bill - volume 1) in molti non ci saremmo aspettati un trattamento del genere, unica vera nota stonata del film che, tra l'altro, vede diverse comparse di attori legatissimi al regista come gli onnipresenti Michael Madsen e Kurt Russel (che "cede" il ruolo dello stuntman a Pitt) il quale, verso la fine, prende anche il timone della narrazione. Ma Tarantino ci ha anche abituati ai finali alternativi, e allora dopo la "sua" versione della fine del Nazismo e una sua personale visione vendicativa dello schiavismo americano, non poteva mancare un pensiero per la strage di Cielo Drive, residenza di Polanski che fu teatro del massacro di 5 persone (compresa la succitata attrice australiana) da parte di 3 folli seguaci di Charles Manson: senza eccessivi spoiler, va detto che è nettamente preferibile il finale secondo Quentin. Il cineasta di origini italiane mette sul tappeto anche un'altra corrente cinematografica a lui molto cara, la Nouvelle Vogue: impossibile non pensare al Truffaut di Effetto Notte durante le scene di "cinema nel cinema" allorquando, abbattendo la quarta parete, assistiamo ad un bravissimo DiCaprio guidato magistralmente dalla troupe di Lancer. Lasciatemi dire che è stato bello, per non dire emozionante, assistere alla (seppur breve) ultima prova di Luke Perry, prematuramente scomparso pochi mesi fa, star televisiva degli anni '90 che non ha avuto molta fortuna sul grande schermo, proprio come Rick Dalton. C'era una volta a... Hollywood è un film che resterà nella memoria, che non raggiunge l'apice di Pulp Fiction ma che si colloca tra i lavori più profondi e riusciti di Quentin Tarantino. Voto: 8,5
[-]
|
|
[+] lascia un commento a giorgio postiglione giorpost »
[ - ] lascia un commento a giorgio postiglione giorpost »
|
|
d'accordo? |
|
johnny1988
|
domenica 6 ottobre 2019
|
tarantino diverso
|
|
|
|
Dopo tante palline di carta e dita inchiostrate, sono giunto a una conclusione su ONCE UPON A TIME IN HOLLYWOOD (di Q.Tarantino, 2019). La trama, a differenza di tutti gli altri film precedenti del regista, è molto semplice: una star di film di serie B (Leonardo di Caprio) vive a Hollywood, deve fare i conti con l'età, la New Hollywood che man mano gli ruba la scena e si piega a girare western in Italia per ravvivare la sua immagine. Miglior amico e confidente è l'atleticissimo chaffeur e stuntman Brad Pitt, che sbarca il lunario alla bell'e meglio. A far da sfondo, oltre all'estate losangelina del '69, l'eccidio di Sky Drive, strada che dà il nome allo stesso indirizzo condiviso dall'allora attrice Sharon Tate e, qui nel film, da Leonardo di Caprio, in qualità di vicino di casa.
[+]
Dopo tante palline di carta e dita inchiostrate, sono giunto a una conclusione su ONCE UPON A TIME IN HOLLYWOOD (di Q.Tarantino, 2019). La trama, a differenza di tutti gli altri film precedenti del regista, è molto semplice: una star di film di serie B (Leonardo di Caprio) vive a Hollywood, deve fare i conti con l'età, la New Hollywood che man mano gli ruba la scena e si piega a girare western in Italia per ravvivare la sua immagine. Miglior amico e confidente è l'atleticissimo chaffeur e stuntman Brad Pitt, che sbarca il lunario alla bell'e meglio. A far da sfondo, oltre all'estate losangelina del '69, l'eccidio di Sky Drive, strada che dà il nome allo stesso indirizzo condiviso dall'allora attrice Sharon Tate e, qui nel film, da Leonardo di Caprio, in qualità di vicino di casa. Tutti e tre i personaggi sono in qualche modo essenzialmente legati alle loro esistenze, solitarie, emarginate, al tentativo o di emergere (la Tate), di sopravvivere (Pitt) o di ri-emergere (Di Caprio). Come soggetto lo trovo particolare e leggermente sbilanciato fuori dalle scritture classiche di Tarantino. Il film mi ha intrattenuto e alcune scene in particolare le premio, fra cui il dialogo con Al Pacino, con la piccola attrice secchiona, il finale catartico e quasi gore con il lanciafiamme in piscina. Una nota di merito inoltre al casting azzeccatissimo. Ci sono inoltre alcune riflessioni che ho profondamente apprezzato: l'ironia verso uno sguardo collettivo di stampo nostalgico, tipico di oggi in cui, in tanti - me pure -, ci nutriamo di letteratura del passato, vecchi film, musica di cantautori, vhs e LP, e il sarcasmo verso il pubblico retromane che più che "capire" qualcosa, è balluginato dall'illusione di sentirsi parte di un tempo che se n'è andato, come se laggiù, negli anni '60 '70 si rifugiasse la "formula" dell'identità vera, quella figa, appartenente a quella generazione condita di valori, ideologie che oggi "non ci sono più". Proprio la generazione più rappresentativa e tanto idolatrata di quell'epoca, gli hippie, alfieri della pace, della ribellione culturale, dell'ecologia, di concetti spirituali e integralisti, viene da Tarantino bellamente sbeffeggiata e rivalutata sotto una luce totalmente nuova, così come piace a lui, che ama riaprire la Storia, rianalizzarla e spulciarla via dai cliché tonti a cui ci siamo attaccati romanticamente nella nostra era hypster ignorantella. Mi pare di notare sempre più vividamente quello che fa Tarantino fin da Pulp Fiction, prendere i luoghi comuni a cui meno facciamo caso, il linguaggio comune, pop, trash, la "banalità" dell'uomo medio e mettere in bocca a personaggi improbabili perle di filosofia. E qui, come non accadeva da Django, forse, ci sono alcuni momenti epici che vorrei fermare, registrare e rivedere. Poi, per carità, questo film pecca di lunghezza, buchi neri, pipponi e citazionismo segaiolo, tuttavia ogni tanto spuntano inquadrature (come i campi controcampi col cane e Pitt), alcune battute - penso alla bimba secchiona, alla demenzialità di Bruce Lee, la crudezza di Al Pacino - e considerazioni sottili sugli ultimi, gli emarginati, i sotto e sopravvalutati, la noia esistenziale con cui non si può non immedesimarsi. E il bello di quest'analisi è che non rimane circoscritta all'interno di un periodo storico preciso, bensì si rivolge indirettamente a noi, a come pensiamo, checché evolviamo, restiamo sempre gli stessi uomini, con lo stesso bagaglio di sentimenti, emozioni, necessità, fallimenti e limiti. Ecco perché non mi sento di scartare via questo film. Qualcosa di veramente buono c'è (di meglio e di più rispetto agli osannati seppur d'esclusivo intrattenimento Bastardi senza Gloria e Hateful Eight).
N.B. DiCaprio è sempre di più Jack Nicholson: brutto, alcolizzato, megalomane e celebrità vanagloriosa. Vale il biglietto, giuro.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a johnny1988 »
[ - ] lascia un commento a johnny1988 »
|
|
d'accordo? |
|
luca_1968
|
domenica 6 ottobre 2019
|
amore x il cinema? casomai odio contro il pubblico
|
|
|
|
Storia inconcludente e senza senso. Tarantino non rappresenta quasi nessuna scena di violenza, ma decide piuttosto di sottoporre direttamente gli spettatori ad una tortura infinita. Esperimento ben riuscito, almeno per chi abbia inclinazione al masochismo...
|
|
[+] lascia un commento a luca_1968 »
[ - ] lascia un commento a luca_1968 »
|
|
d'accordo? |
|
giorgiodll
|
sabato 5 ottobre 2019
|
tarantino delude...e la noia prende il sopravvento
|
|
|
|
Film visto ieri.avevo alte aspettative visto che tarantino mi piace tantissimo. Film a mio avviso lentissimo con ottime interpretazioni ma senza senso con tante parti inutili per la storia.sinceramente avevo voglia di uscire dal cinema.il film non e' brutto ma lento e a volte senza senso...la rivisitazione in chiave positiva di un dramma avvenuto è interessante e anche divertente per come si svolge ma per il resto è un film che non ho capito proprio
|
|
[+] lascia un commento a giorgiodll »
[ - ] lascia un commento a giorgiodll »
|
|
d'accordo? |
|
lucio di loreto
|
venerdì 4 ottobre 2019
|
un’altro tassello verso il mito
|
|
|
|
Epoca 1969. Rick Dalton e Cliff Booth, attore spesso cattivo coprotagonista e stuntman nonché suo portaborse, sono amici inseparabili nella vecchia Hollywood. Due facce della stessa medaglia, pure se l’uno vive nelle colline di lusso e l’altro imboscato un po' ovunque; entrambi quasi accantonati dal mainstream cinematografico e vicini al baratro e all’affondo comune. Nessuna simulazione di forza dunque per il nuovo Tarantino, ma solo depressione, frustrazione e desolazione, da sfogare in pianti e alcool per il primo, allorquando gli comunicano che per riemergere e stare a galla deve emigrare nei B movie italiani o in momenti confidenziali durante i numerosi set, anche al cospetto di colleghe bambine.
[+]
Epoca 1969. Rick Dalton e Cliff Booth, attore spesso cattivo coprotagonista e stuntman nonché suo portaborse, sono amici inseparabili nella vecchia Hollywood. Due facce della stessa medaglia, pure se l’uno vive nelle colline di lusso e l’altro imboscato un po' ovunque; entrambi quasi accantonati dal mainstream cinematografico e vicini al baratro e all’affondo comune. Nessuna simulazione di forza dunque per il nuovo Tarantino, ma solo depressione, frustrazione e desolazione, da sfogare in pianti e alcool per il primo, allorquando gli comunicano che per riemergere e stare a galla deve emigrare nei B movie italiani o in momenti confidenziali durante i numerosi set, anche al cospetto di colleghe bambine. Il secondo lo scarrozza ovunque sistemandogli casa, antenna e macchina, al prezzo della sopravvivenza. Sullo sfondo le vicissitudini di allora, le feste, la droga e di contorno la “famiglia” Charles Manson, insieme al nuovo vicino e regista polacco con la sua bella moglie novella attrice. Tutto qua il nuovo film di Tarantino, che però ambisce all’elite grazie alla storica abilità di girovagare attorno ad un semplice soggetto, miscugliando tutto e di più: generi diversi, montaggio azzeccato, lunghe frasi e climax, primi piani, rivisitazione degli eventi e tanti colpi ad effetto che ne hanno fatto un’icona. Anche qui, come in passato, c’è una scrittura che fa discutere puristi e bigotti, in particolare sulla durata e il cambio degli accadimenti reali. Il voler però allungare il brodo della pellicola è il risultato costante di tutta la filmografia di Tarantino, nella quale i dialoghi la fanno da padrone. E anche qui non deludono, pure se facilitati da un tris d’assi al maschile ai quali il regista concede tre ruoli simili al passato che li hanno spinti nell’olimpo cinematografico. Di Caprio non ha rivali nell’urlare la sua recitazione, così come Pitt nell’ergersi a bello e misterioso, mentre il vecchio Al mantiene ghigno e grinta dei bei tempi. Chi risalta maggiormente è la Sharon Tate di Margot Robbie, alla quale Quentin cede per la prima volta una velatura romantica, apprezzata di rado in passato, incarnando la giovane voglia di esistere a chi invece il destino ha riservato un futuro terribile, impegnandola perciò più in sorrisi ed espressioni gioviali che in monologhi alla Uma Thurman! L’attrice dimostra ancor di più le enormi peculiarità che ne progrediscono a dismisura l’alone da stella, passando così dalla donna oggetto di “Wolf of Walt Street” alla diabolica Harley Quinn, dalla Tonya pronta a tutto per emergere fino alla spensieratezza di una ragazza che sbarca il lunario. I vecchi trucchi che lo hanno reso celebre sono tuttora presenti ed ognuno degli attori che passa sullo schermo ha così la sua occasione (Kurt Russel, Emile Hirsch, Timothy Olyphant o i camei di Michael Madsen e Damien Lewis/Steve McQueen), come aprire delle parentesi durante le scene, utilizzando frame ad hoc, oppure effettuare eccezionali doppi piani sequenza montati ad arte per unire due contesti differenti, tipo il rientro a casa dalle colline e l’istantanea uscita da una porta secondaria, o ancora il fotogramma di un manifesto usato come punto di inizio, svolgimento e conclusione di un periodo. Inoltre, girare vorticosamente la realtà dei fatti è da sempre il desiderio del regista, per chi non lo avesse ancora capito. Il suo scopo è ambire o ancor di più sognare di controbattere la violenza degli stolti e ottusi, di coloro che uccidono o compiono eccidi a ordinazione, con una veemenza e brutalità splatter addirittura superiore, tramite il proprio antieroe. Anche per costui Tarantino apporta una novità rispetto alle sceneggiature passate. Si va infatti dall’onesto infiltrato Mister Orange a caccia di rapinatori, dal killer misantropo schizzofrenico Richard Gecko ammazza vampiri, dalla vendicatrice Black Mamba tutta spade e kung fu, dall’istrionico anti nazista tenente Raine e da Django, prigioniero pronto a rivedere il concetto di schiavitù a Cliff Booth, underdog di professione e un ultimo della vita se ce ne è uno! E’ suo qui il ruolo predominante, il giustiziere che riscrive la storia della notte più calda di Hollywood, in modo simile ai suoi predecessori per impeto e durezza, ma diverso a livello caratteriale. Lo stuntman di Bradd Pitt, dal passato oscuro, obbedisce difatti al suo capo e implora piccole parti nei set, è silenzioso all’ennesima potenza, è psicologicamente chiuso e imperscrutabile e vive di stenti in una roulotte, con l’unico affetto in Brandy, femmina di pitbull, ma nei momenti del bisogno, tira fuori una tempra che cambia le carte in tavola e permette al regista di ottenere ancora una volta la sua soddisfazione: liberarsi dell’accaduto fantasticando ad occhi aperti! D’altronde è la bellezza del cinema o di alcuni suoi generi e aspetti, quello da parte del direttore e scrittore di rivedere a modo proprio il copione di una storia avvenuta in modo opposto, tanto da far divenire ebrei, schiavi e oppressi vendicatori di se stessi. Non importa cosa abbia fatto il cattivo per essere tale, diventa semplicemente il nemico su cui Tarantino esplode tutta la sua ira. L’odio di Quentin su chi compie stragi in maniera non personale e autonoma, senza un briciolo di auto convinzione ma obbedendo semplicemente a chi in alto è una colpa da punire a tutti i costi. Questo è lui, violento e veemente come non mai, amante quasi morboso e malato nel trasformare in via truculenta la vittima in carnefice: prendere o lasciare. E se andare contro il nazismo, la schiavitù, i ladri o il parricidio è ideale comune, stavolta saranno gli hippie a patire la sua furia; prendendo spunto dalla setta di Manson, subiranno infatti ogni epiteto e verranno raffigurati come movimento composto solo da sbandati, sporchi e drogati, privi di cultura sociale, minorenni dai facili costumi, senza intelletto nonché ladri di proprietà. La lunghezza della pellicola, perciò, rispecchia tutti i mantra che hanno fatto di Tarantino un punto di riferimento del cinema, differenziandolo dagli altri grandi del passato o contemporanei. Il tutto aiutato da una magnifica fotografia accesa, che fa così splendere un’epoca alla quale egli è evidentemente attratto. Il film potrà anche aver fatto qualche passo indietro, con maggiori conferme e poche novità, ma è stato utile per avvicinare ancor di più Quentin verso l’immortalità!
[-]
|
|
[+] lascia un commento a lucio di loreto »
[ - ] lascia un commento a lucio di loreto »
|
|
d'accordo? |
|
mauro
|
venerdì 4 ottobre 2019
|
troppo lungo e noioso
|
|
|
|
Tarantino non si discute, la regia c'è e si vede. Anche gli attori, scenografie, costumi ci sono; quello che manca è la sceneggiatura. Per due terzi il film non racconta quasi nulla è la noia vince. Nel finale si riprende ma non basta a giustificare tutto il film.
|
|
[+] lascia un commento a mauro »
[ - ] lascia un commento a mauro »
|
|
d'accordo? |
|
alessandra
|
venerdì 4 ottobre 2019
|
pessimo
|
|
|
|
Lunghissimo, noioso.. le scene più belle sono a circa 15 minuti dalla fine..
[+] ed il voto?...
(di luca_1968)
[ - ] ed il voto?...
|
|
[+] lascia un commento a alessandra »
[ - ] lascia un commento a alessandra »
|
|
d'accordo? |
|
nefasta
|
giovedì 3 ottobre 2019
|
c a p o l a v o r o
|
|
|
|
Potrei cominciare dalla scena in cui Brad Pitt, a torso nudo, aggiusta un'antenna sul tetto solo per il fatto che l'unica scena "kitsch-hot" del film è dedicata al pubblico femminile dopo gli anta (e già per questo merita un posto speciale nel mio cuore) ma invece voglio tessere le lodi di un Leonardo Di Caprio in stato di grazia, che, pur appesantito sulle sue gambette, con una prestazione magistrale in pieno stile actor studio chiude la questione su cosa sia la recitazione al cinema: istrionico, camaleontico, bipolare.... un gigante! Il film è un tripudio di colori pastello con la pellicola che a volte sgrana o si blocca o si appanna ad accentuare l'effetto vintage-melancholia che permea tutta la storia.
[+]
Potrei cominciare dalla scena in cui Brad Pitt, a torso nudo, aggiusta un'antenna sul tetto solo per il fatto che l'unica scena "kitsch-hot" del film è dedicata al pubblico femminile dopo gli anta (e già per questo merita un posto speciale nel mio cuore) ma invece voglio tessere le lodi di un Leonardo Di Caprio in stato di grazia, che, pur appesantito sulle sue gambette, con una prestazione magistrale in pieno stile actor studio chiude la questione su cosa sia la recitazione al cinema: istrionico, camaleontico, bipolare.... un gigante! Il film è un tripudio di colori pastello con la pellicola che a volte sgrana o si blocca o si appanna ad accentuare l'effetto vintage-melancholia che permea tutta la storia. Menzione particolare per i dettagli delle calzature alla moda del periodo, (comode o addirittura sformate, che si ribellano agli schemi del bon ton fino ad arrivare al l'esibizione del piede nudo come punto di rottura con la classe borghese ormai decadente) e per gli occhioni spalancati di Margot Robbie, resi ancor più grandi dagli enormi occhiali, mentre si ammira genuinamente stupefatta e meravigliata in una scena di metacinema con lei che interpreta Sharon Tate che guarda Sharon Tate mentre recita in un film al cinema. La corruzione di Hollywood pare qui ancora lontana da lei. E infatti, in omaggio al titolo, il finale diverge da quello truculento della realta e i cavalieri, ancorché sgangherati, vinceranno sui cattivi. Infine, a proposito di omaggi e citazioni che punteggiano tutto il film, da fan ed estimatrice di Dario Argento della prima ora, concludo ricordando la sequenza in cui Cliff sbatte i denti di Texas sul caminetto di marmo esattamente nello stesso modo in cui avviene in Profondo Rosso...Una chicca per intenditori.
[-]
[+] complimenti
(di inesperto)
[ - ] complimenti
|
|
[+] lascia un commento a nefasta »
[ - ] lascia un commento a nefasta »
|
|
d'accordo? |
|
|