iscarioth
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martedì 24 settembre 2019
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altro che serie televisive...
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Sempre più spesso sento dire che le serie televisivo hanno superato il cinema per qualità.
Non condivido e questo film è di quelli che mi fa amare e credere nella settima arte.
In 2 ore e mezza Tarantino è in grado di raccontarti un angolo di mondo, creare patos, suspance, a dare profondità ad alcuni personaggi e leggerezza ad altri.
E ti fa domandare per due ore come ed in che modo verrà fuori il momento tarantinesco.
Obbligatorio andare a vederlo senza aver letto nulla a riguardo (quindi se siete qui, siete già messi male...)
Unica pecca, che comunque credo sia voluta, la bellissima Margot Robbie fa una Sharon Tate un po' tanto sbadata e forse un po' leggerina.
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Sempre più spesso sento dire che le serie televisivo hanno superato il cinema per qualità.
Non condivido e questo film è di quelli che mi fa amare e credere nella settima arte.
In 2 ore e mezza Tarantino è in grado di raccontarti un angolo di mondo, creare patos, suspance, a dare profondità ad alcuni personaggi e leggerezza ad altri.
E ti fa domandare per due ore come ed in che modo verrà fuori il momento tarantinesco.
Obbligatorio andare a vederlo senza aver letto nulla a riguardo (quindi se siete qui, siete già messi male...)
Unica pecca, che comunque credo sia voluta, la bellissima Margot Robbie fa una Sharon Tate un po' tanto sbadata e forse un po' leggerina.
Vorrei poter tornare indietro e rivederlo per la prima volta, per sempre.
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michele voss
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martedì 24 settembre 2019
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il peggior tarantino
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Non ci vuole niente nel caso di Tarantino per essere definto "peggiore", perchè nessuno dei suoi film mi ha deluso.
E' quasi superfluo parlare di regia, intepretazioni, ambientazioni piuttosto che costumi (entrambe eccellenti), il cuore del film è la sceneggiatura e questa volta delude notevolmente.
Il film è anche abbastanza noioso, pochi i momenti davvero brillanti e divertenti, anche ripetitivo per cose già viste. Ma quello che fa scadere il film dopo oltre due ore è la parte finale di una pocchezza che mai ti saresti aspettato.
La storia è più che mai inconcludente, non hai visto un film sul Cinema, è forse una storia su Rick Dalton, ma alla fine si narra lo stravolgimento di un evento drammatico redendolo semplicemente grottesco.
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Non ci vuole niente nel caso di Tarantino per essere definto "peggiore", perchè nessuno dei suoi film mi ha deluso.
E' quasi superfluo parlare di regia, intepretazioni, ambientazioni piuttosto che costumi (entrambe eccellenti), il cuore del film è la sceneggiatura e questa volta delude notevolmente.
Il film è anche abbastanza noioso, pochi i momenti davvero brillanti e divertenti, anche ripetitivo per cose già viste. Ma quello che fa scadere il film dopo oltre due ore è la parte finale di una pocchezza che mai ti saresti aspettato.
La storia è più che mai inconcludente, non hai visto un film sul Cinema, è forse una storia su Rick Dalton, ma alla fine si narra lo stravolgimento di un evento drammatico redendolo semplicemente grottesco.
Aspettiamo il prossimo sperando che possa tornare ai suoi livelli degni della sua filmografia.
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maramaldo
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lunedì 23 settembre 2019
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nostalgia senza rimpianti
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O rimpianti senza nostalgia? Difficile penetrare nella psiche di Quentin, di per sè intricata, figurarsi quando decide di misurarsi con fior d'autori in una ricerca del tempo perduto. Aveva tanto da dire e, quindi, ha esagerato. Con quel Rick Dalton - un Leonardo DiCaprio solitamente sobrio e di poche parole, qui patetico e ripetitivo - la trascina un po'. Pare che l'avrebbe menata più a lungo: fateci caso, il film non "finisce", si tronca con un improvviso "cut", sicuramente intervenuto dall'alto per ragioni budgetarie.
Con Cliff, lo stuntman "moglicida", un accattivante Brad Pitt, affiora l'inveterato vezzo di far comunque dell'umorismo.
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O rimpianti senza nostalgia? Difficile penetrare nella psiche di Quentin, di per sè intricata, figurarsi quando decide di misurarsi con fior d'autori in una ricerca del tempo perduto. Aveva tanto da dire e, quindi, ha esagerato. Con quel Rick Dalton - un Leonardo DiCaprio solitamente sobrio e di poche parole, qui patetico e ripetitivo - la trascina un po'. Pare che l'avrebbe menata più a lungo: fateci caso, il film non "finisce", si tronca con un improvviso "cut", sicuramente intervenuto dall'alto per ragioni budgetarie.
Con Cliff, lo stuntman "moglicida", un accattivante Brad Pitt, affiora l'inveterato vezzo di far comunque dell'umorismo. Gli fa raggiungere il tetto per aggiustare l'antenna (un pretesto) a balzi, più che da acrobata, da personaggio di fiaba cinese. La caricatura di Bruce Lee (Mike Moh) è una parentesi di buon umore. E quando, affrontando in velocità la curva in discesa di Cielo Drive, l'auto sculetta per rimettersi in carreggiata: lo ha tanto divertito che l'ha rifatto un'altra volta.
Vi è, poi, Pussycat (Margaret Qualley) l'adescatrice minorenne. La figura che più diletta anche se probabilmente nasconde chissà quali messaggi di perfidia. Giustamente, si indulge ad inquadrarla da più d'una prospettiva.
Eppure, questa personcina stuzzicante innesta la svolta tragica della vicenda. Ricondotta al suo habitat, un insediamento ai margini del deserto tra polvere squallore e sudiciume, repentinamente sbiadisce, si trasfigura mimetizzandosi con il suo popolo, un'umanità degradata dalla quale partirà la stupidità criminale che vuole vendetta sui "suini" benestanti. Mi chiedo come Tarantino veda il fenomeno hippy per il quale ogni tanto mostra qualche vicinanza: vedute antisistema, denuncia delle nequizie del potere, allucinazioni fonte di ispirazione, vivere nella natura ovvero ritorno allo stato brado. Intanto, questa fauna si è estinta, almeno artisticamente.
Non corre questo pericolo il nostro genietto oriundo il quale si salva e si rianima visitando spesso, anche mentalmente, il nostro Paese. Ne riceve influenze, ne ricava riflessioni. Qui lo assilla lo "spaghetti western". Non ne ha un gran concetto però si rende conto di non essere all'altezza di ricrearne atmosfera e suggestione. In compenso affida all'italoamericano Al Pacino (il sornione Marvin Shwarz) il compito di metter in cattiva luce quella genia che anche e soprattutto a Hollywood fa il bello e cattivo tempo non disdegnando di profittare di indifese aspiranti che vogliono aprirsi all'arte.
Ma ci sono effetti benefici. Da ogni "viaggio" Quentin torna più ingentilito. Delicata e affettuosa la rievocazione della povera Sharon Tate, non la farà nemmeno sfiorare dalla violenza demente che riserva ad altri. Lei si compiacerà a guardarsi e a riguardarsi sullo schermo esultando nel constatare il fascino e l'allegria che irradia sul pubblico. E' il Cinema cui Tarantino vuol rendere omaggio. Certo, ne ammette ingenuità e narcisismo. Ma sa che la "gente bella" ne ha diritto.
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lorifu
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lunedì 23 settembre 2019
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tarantino dieci e lode
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C'era una volta a... Hollywood
Un Tarantino inedito, spettacolare, capace di reinventarsi e presentarsi al pubblico con una pellicola che di tarantiniano ha ben poco, direi quasi niente, se non il tocco finale dove ritroviamo il “quentin” di sempre che, a sorpresa, per un cambiamento al quale lo spettatore è impreparato, lo trascina in un finale al cardiopalma, catartico e liberatorio.
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C'era una volta a... Hollywood
Un Tarantino inedito, spettacolare, capace di reinventarsi e presentarsi al pubblico con una pellicola che di tarantiniano ha ben poco, direi quasi niente, se non il tocco finale dove ritroviamo il “quentin” di sempre che, a sorpresa, per un cambiamento al quale lo spettatore è impreparato, lo trascina in un finale al cardiopalma, catartico e liberatorio.
Tarantino ha scritto una sceneggiatura superba per parlare di cinema, spalmandola di poesia; questo suo film è un atto d’amore e il regista non ha lesinato spunti, materiale, scenari, fatti fittizi e reali, cercando di restituire uno spaccato degli anni ’70, una sorta di rievocazione di un periodo che ha fatto storia.
Una carrellata di brani superlativi, il look, la magica cadillac e tutti gli altri modelli di auto più o meno scalcagnate, la polvere dei dintorni di Los Angeles, Hollywood e il suo mondo di cartapesta, i sogni, le frustrazioni, i tic, il fumo, rappresentano un caleidoscopio multicolore dove realtà e finzione si compenetrano fino a scambiarsi i ruoli.
Tarantino mescola immaginazione e realtà scolpendo dei personaggi che vanno a interagire con quelli reali, intersecando vite e azioni.
Ed ecco che l’attore-cowboy in declino Rick Dalton (DiCaprio) e il suo stuntman Cliff Booth (Pitt) si troveranno casualmente invischiati nella vicenda reale dell’omicidio di Sharon Tate moglie di Roman Polanski. La coppia ha appena acquistato la villa accanto a quella di Rick Dalton e i seguaci della setta di Charles Manson, il 9 agosto 1969 faranno una strage uccidendo oltre a Sharon Tate, incinta di otto mesi, anche i suoi tre amici. Questa la realtà ma Tarantino la ribalta, la asseconda al suo progetto cinematografico lasciando a ciascuno uno spunto per riflettere.
Cast grandioso, prestazioni eccellenti, da quella dell’eccezionale Di Caprio a quella più contenuta di Pitt, senza parlare di un performante Al Pacino.
Due cammei: uno, l’attore Mike Moh, un Bruce Lee convincente oltre che fortemente rassomigliante all’attore scomparso, protagonista di una memorabile scazzottata con Brad Pitt; l’altro, la deliziosa Margot Robbie, Sharon Tate nella finzione, che va al cinema per potersi ammirare nel buio della sala mentre guarda il film da lei interpretato.
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vanessa zarastro
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lunedì 23 settembre 2019
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film vintage
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“C’era una volta Hollywood” è un po’ una fiaba, da un lato mostra la nostalgia di un tipo di cinema che non c’è più, dall’altra è la storia di un attore in declino, un povero cristo, che non riesce a reinserirsi nella società cinematografica. Questo attraverso il racconto delle storie di tre personaggi: Rick Dalton (uno strepitoso Leonardo Di Caprio in stato di grazia), la sua controfigura Cliff Booth (un emaciato e cresciuto Brad Pitt) e la vicina di casa a Cielo Drive, Sharon Tate (Margot Robbie), un’insicura attricetta, giovane moglie di Roman Polanski.
Rick è un personaggio vanesio preoccupato di non avere più il successo di una volta, e si accontenta di girare parti secondarie in film TV, dove è declassato a fare le parti del cattivo, pur di non venire in Italia a girare uno spaghetti western.
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“C’era una volta Hollywood” è un po’ una fiaba, da un lato mostra la nostalgia di un tipo di cinema che non c’è più, dall’altra è la storia di un attore in declino, un povero cristo, che non riesce a reinserirsi nella società cinematografica. Questo attraverso il racconto delle storie di tre personaggi: Rick Dalton (uno strepitoso Leonardo Di Caprio in stato di grazia), la sua controfigura Cliff Booth (un emaciato e cresciuto Brad Pitt) e la vicina di casa a Cielo Drive, Sharon Tate (Margot Robbie), un’insicura attricetta, giovane moglie di Roman Polanski.
Rick è un personaggio vanesio preoccupato di non avere più il successo di una volta, e si accontenta di girare parti secondarie in film TV, dove è declassato a fare le parti del cattivo, pur di non venire in Italia a girare uno spaghetti western. Per superare la sua depressione inizia a bere un po’ troppo, con il risultato che ha difficoltà a ricordarsi tutte le battute. Molto significativo è il duetto tra Rick e l’attrice bambina saputella, nella pausa delle riprese.
Cliff è il suo stuntman ma anche il suo autista, il suo amico, e anche una sorta di bodyguard. Condividono i film, le bevute e anche le solitudini. Si vocifera che Cliff abbia ucciso la moglie ma che l’abbia fatta franca. Cliff è più solido di Rick, ha una decina d’anni di più ma non si vede, non cerca la notorietà, può essere violento quando provocato, ma ha la sua etica e un alto senso dell’amicizia.
Sharon Tate, è descritta come una svampita e allegra giovane che va perfino a cinema a vedere uno dei due film che ha interpretato, chiedendo lo sconto. Nata a Dallas, Texas, ventisei anni prima possiede una bellezza eterea e archetipica.
Un’atmosfera malinconica pervade tutto il film, mentre la città è rappresentata da strade, automobili, luoghi, insegne, studios, roulotte, billborads e musica, tanta tanta musica (Otis Redding, Joe Cocker, Aretha Franklin, The Mama & The Papas, The Rolling Stones ecc. ecc.). Una Los Angeles del 1969 quella di Tarantino che non c’è più, ma è per sempre fissata nella memoria delle innumerevoli pellicole che ne hanno attraversato gli spazi.
Quentin Tarantino è un cineamatore, un regista con grande conoscenza dei prodotti cinematografici e televisivi e lo mostra in questo film dove ci sono moltissimi riferimenti a B movies, alcuni che noi in Italia neanche abbiamo conosciuto. Spesso il regista fa riferimento a TV show della fine degli anni ’60 o inizio della successiva decade, come la serie “Billy Jack” di Tom Laughlin, maestro dell’arte marziale hapkido, o quelli con attori come Ty Hardin (la serie western Bronco), Edd Byrnes (interprete di spaghetti western) o George Maharis (serie Route 66). Viene citata spesso la serie di successo F.B.I. che in US è andata in onda dal 1965 al 1974, seguita anche da George Spahn, il proprietario del ranch dove bivaccano gli hippies. Il film è pieno di dettagli vintage e nella casa di Rick appare un manifesto di “The Golden Stallion”, un musical western di Roy Rogers del 1949.
Appare per due minuti anche Steve Mc Queen, che è stato l’attore cool per antonomasia, ed è sicuramente un riferimento per la figura di Cliff, anche per il rapporto con il suo stuntman Bud Ekins che lo ha contagiato con la passione per le corse.
Bellissime sono le due scene di preparazione del cibo del cane che ricordano quella indimenticabile il “Long Goodbye” di Altan con Eliot Gould che dava da mangiare al gatto esigente.
Rick e Cliff andranno in Italia a girare insieme alcuni spaghetti western, nonostante la riluttanza iniziale di Rick dovuta anche alla sua scarsa conoscenza cinematografica: «Chi è Corbucci?» Chiede al manager Schwarz/Al Pacino: «Il secondo importante regista di spaghetti western», gli risponde il manager pensando molto probabilmente a Sergio Leone. Rick Dalton tornerà dall’Italia con una moglie italiana di nome Francesca Capucci.
Sicuramente ci sono nel film molte cose arbitrarie messe lì solo per il piacere di citazioni, però la favola cambia la Storia e viene procurato un diverso finale alla strage di Bel Air.
A Rick Dalton non piace il nuovo cinema di cui “Easy Rider” viene considerato un capostipite, e ubriaco sul finale chiama l’hippy Tex col nome di Dennis Hopper, facendo confondere la filosofia hippy con quella violenta di Charles Manson. Del resto è così che Tarantino ce la presenta.
Così che Giustizia è fatta attraverso Vendetta, elemento ricorrente nel repertorio tarantiniano, come era già successo in “Bastardi senza gloria” o in “Kill Bill”.
Sembra quasi impossibile per chi si ricorda questa Hollywood raccontata da Tarantino di puro entertainmente di disimpegno, che oggi, ai tempi di Trump, sia rimasta l’ultimo baluardo di una sinistra americana.
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elpiezo
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lunedì 23 settembre 2019
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malinconico!!!!
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Nella soleggiata Los Angeles datata 1969 si mescolano le bizzarre esistenze di alcuni personaggi legati al cinema Hollywoodiano.
Servendosi di un cast impressionante Tarantino intreccia molteplici piani temporali, amalgama realtà e finzione e onora il cinema di un tempo attraverso un languido e patinato affresco anteponendo il riguardo narrativo ai consueti defloranti intrighi.
L’opera più intima ed introspettiva di un poetico sognatore contemporaneo che celebra con garbo tutta la sua devozione verso la macchina da presa.
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andreamymovies.it
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lunedì 23 settembre 2019
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imprevedibile
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Chi va al cinema pensando di assistere al solito film di Quentin Tarantino non può che rimanere deluso, soprattutto dai primi 140 minuti. Mi limiterò a discutere di questi perché il finale, a dir poco eccezionale, è un film a sé stante, e non se ne può parlare senza rischiare di demitizzare l'intera pellicola.
Turpiloquio e ossessione per i piedi a parte, sono pochi gli elementi caratterizzanti il cinema del regista statunitense che ricorrono anche in "C'era una volta...a Hollywood". Non ci sono sparatorie, gangster con la battuta pronta, o lunghi dialoghi su mance, hamburger e via dicendo.
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Chi va al cinema pensando di assistere al solito film di Quentin Tarantino non può che rimanere deluso, soprattutto dai primi 140 minuti. Mi limiterò a discutere di questi perché il finale, a dir poco eccezionale, è un film a sé stante, e non se ne può parlare senza rischiare di demitizzare l'intera pellicola.
Turpiloquio e ossessione per i piedi a parte, sono pochi gli elementi caratterizzanti il cinema del regista statunitense che ricorrono anche in "C'era una volta...a Hollywood". Non ci sono sparatorie, gangster con la battuta pronta, o lunghi dialoghi su mance, hamburger e via dicendo. Paradossalmente, sono più "tarantiniani" i metafilm che interpreta il personaggio di DiCaprio, l'attore Rick Dalton, del film in sé per sé.
Eppure, se si va al cinema con la consapevolezza di star per assistere a qualcosa di nuovo, di inusuale per Tarantino, allora il film assume un altro significato e colpisce proprio per la sua unicità.
Lo ammetto, dopo la prima mezz'ora del film, proceduto a ritmi lenti, ho cominciato a pensare alle tante critiche negative che avevo letto:"noioso", "non succede praticamente niente" e ha iniziato a incombere nella mia testa lo spettro della caduta di un mito, sensazione che avevo già provato dopo la prima mezz'ora di "Dunkirk". Tuttavia, se per il film di Nolan le prime impressioni negative hanno trovato conferma anche alla fine, in questo caso, fortunatamente, no.
"C'era una volta a...Hollywood" è imprevedibile, soprattutto nelle scene che riguardano Cliff Booth (Brad Pitt): ci sono scene in cui sembra stia per succedere qualcosa, e poi non succede niente, e scene in cui sembra andare tutto liscio, e poi ti ritrovi catapultato in un duello Pitt-Bruce Lee. Ed è proprio la violenza, parte integrante nei film di Tarantino, ad assumere in questo un significato particolare, multiforme: a volte gratuita, altre no, per gran parte del film completamente assente, a volte finta, altre reale.
La cosa più riuscita del film, a mio avviso, è il personaggio di Rick Dalton, un attore in declino, probabilmente bipolare, che convince e affascina con la sua storia e la sua personalità sia quando è se stesso, sia quando interpreta i suoi tanti personaggi.
In conclusione, lo considero un film da vedere. Non l'ho trovato troppo lungo, come sostengono in molti, dal momento che 161 minuti sono passati velocemente. Tarantino non delude, il cast nemmeno.
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flora tolfo
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lunedì 23 settembre 2019
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un film da evitare
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Un film completamente inutile, noioso, lento, senza senso e privo di qualsiasi interesse. Chissà perchè Tarantino ha voluto sprecare un budget altissimo e degli attori eccellenti, sperperare simili risorse per costruire un’ idiozia del genere .Mi chiedo come mai un regista così talentuoso inciampi in disastri simili. Un film da non vedere.
Un film completamente inutile, noioso, lento, senza senso e privo di qualsiasi interesse. Chissà perchè Tarantino ha voluto sprecare un budget altissimo e degli attori eccellenti, sperperare simili risorse per costruire un’ idiozia del genere .Mi chiedo come mai un regista così talentuoso inciampi in disastri simili. Un film da non vedere.
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stramonio70
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lunedì 23 settembre 2019
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un ulteriore passo indietro per tarantino...
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Prima di cominciare questa mia personale recensione desidero premettere che conosco bene il cinema di Tarantino, avendo visto tutti i suoi film precedenti, pertanto cercherò di essere il più obiettivo possibile. Mi duole dirlo ma questo suo ultimo film non è all'altezza neppure del suo penultimo lavoro (il mediocre "The hateful eight") che già mostrava i primi segni di cedimento di un regista che, seppur amato dal pubblico, ha avuto anche lui i suoi alti e bassi professionali. "C'era una volta... a Hollywood" è sicuramente un film valido come recitazione, regia, scenografia, fotografia... se non fosse che manca di qualcosa di non meno importante: una sceneggiatura decente e dei dialoghi brillanti.
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Prima di cominciare questa mia personale recensione desidero premettere che conosco bene il cinema di Tarantino, avendo visto tutti i suoi film precedenti, pertanto cercherò di essere il più obiettivo possibile. Mi duole dirlo ma questo suo ultimo film non è all'altezza neppure del suo penultimo lavoro (il mediocre "The hateful eight") che già mostrava i primi segni di cedimento di un regista che, seppur amato dal pubblico, ha avuto anche lui i suoi alti e bassi professionali. "C'era una volta... a Hollywood" è sicuramente un film valido come recitazione, regia, scenografia, fotografia... se non fosse che manca di qualcosa di non meno importante: una sceneggiatura decente e dei dialoghi brillanti. Qui non solo siamo lontani da capolavori come "Django unchained", "Bastardi senza gloria" o "Pulp Fiction", ma anche "Jackie Brown", "Le iene" e i due "Kill Bill" hanno dialoghi e scavo psicologico dei personaggi migliori di questa pellicola. Se ad oggi il peggior film di Tarantino rimane "A prova di morte", questo si pone sicuramente al secondo posto. Purtoppo se non si ha una storia valida da raccontare a poco serve un ottimo contesto storico in cui inserirla. Qui tutto gira a vuoto a cominciare dai due personaggi principali che, a parte spostarsi da un posto all'altro, in macchina o in aereo, fanno ben poco nel corso della trama. Anche la colonna sonora, infarcita di brani dell'epoca, finisce presto col risultare ridondante e fastidiosa. Non si capisce poi l'inserimento nella storia del personaggio di Sharon Tate la cui sorte, come tutti sanno, fu ben diversa da quella descritta nel film. Margot Robbie avrà si e no tre o quattro battute in tutto il film e lo stesso vale per molti degli attori secondari (Emile Hirsch, Bruce Dern, Luke Perry, Kurt Russell, ecc...) segno che forse gran parte del cast (Al Pacino a parte) è decisamente sprecato e finalizzato solo a fare cassa. Detto questo concludo dicendo che il film mi ha enormente deluso oltre che annoiato, tuttavia ritengo Tarantino un grande regista e mi auguro che col suo prossimo lavoro riuscirà a rimediare allo scivolone fatto con questa sua opera numero nove. Voto finale : 6-
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folgore94
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lunedì 23 settembre 2019
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non per tutti
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Un film che puo' far discutere,ma se non hai un minimo di cultura cinematografica difficile da apprezzare.Scenografia costumi e musiche magistrali.Ottimi gli attori su cui spiccano ovviamente i due protagonisti specie Pitt a mio parere.Meno dialoghi da antologia ma un finale classico tarantiniano.Aspettiamo il prossimo ora
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