O rimpianti senza nostalgia? Difficile penetrare nella psiche di Quentin, di per sè intricata, figurarsi quando decide di misurarsi con fior d'autori in una ricerca del tempo perduto. Aveva tanto da dire e, quindi, ha esagerato. Con quel Rick Dalton - un Leonardo DiCaprio solitamente sobrio e di poche parole, qui patetico e ripetitivo - la trascina un po'. Pare che l'avrebbe menata più a lungo: fateci caso, il film non "finisce", si tronca con un improvviso "cut", sicuramente intervenuto dall'alto per ragioni budgetarie.
Con Cliff, lo stuntman "moglicida", un accattivante Brad Pitt, affiora l'inveterato vezzo di far comunque dell'umorismo. Gli fa raggiungere il tetto per aggiustare l'antenna (un pretesto) a balzi, più che da acrobata, da personaggio di fiaba cinese. La caricatura di Bruce Lee (Mike Moh) è una parentesi di buon umore. E quando, affrontando in velocità la curva in discesa di Cielo Drive, l'auto sculetta per rimettersi in carreggiata: lo ha tanto divertito che l'ha rifatto un'altra volta.
Vi è, poi, Pussycat (Margaret Qualley) l'adescatrice minorenne. La figura che più diletta anche se probabilmente nasconde chissà quali messaggi di perfidia. Giustamente, si indulge ad inquadrarla da più d'una prospettiva.
Eppure, questa personcina stuzzicante innesta la svolta tragica della vicenda. Ricondotta al suo habitat, un insediamento ai margini del deserto tra polvere squallore e sudiciume, repentinamente sbiadisce, si trasfigura mimetizzandosi con il suo popolo, un'umanità degradata dalla quale partirà la stupidità criminale che vuole vendetta sui "suini" benestanti. Mi chiedo come Tarantino veda il fenomeno hippy per il quale ogni tanto mostra qualche vicinanza: vedute antisistema, denuncia delle nequizie del potere, allucinazioni fonte di ispirazione, vivere nella natura ovvero ritorno allo stato brado. Intanto, questa fauna si è estinta, almeno artisticamente.
Non corre questo pericolo il nostro genietto oriundo il quale si salva e si rianima visitando spesso, anche mentalmente, il nostro Paese. Ne riceve influenze, ne ricava riflessioni. Qui lo assilla lo "spaghetti western". Non ne ha un gran concetto però si rende conto di non essere all'altezza di ricrearne atmosfera e suggestione. In compenso affida all'italoamericano Al Pacino (il sornione Marvin Shwarz) il compito di metter in cattiva luce quella genia che anche e soprattutto a Hollywood fa il bello e cattivo tempo non disdegnando di profittare di indifese aspiranti che vogliono aprirsi all'arte.
Ma ci sono effetti benefici. Da ogni "viaggio" Quentin torna più ingentilito. Delicata e affettuosa la rievocazione della povera Sharon Tate, non la farà nemmeno sfiorare dalla violenza demente che riserva ad altri. Lei si compiacerà a guardarsi e a riguardarsi sullo schermo esultando nel constatare il fascino e l'allegria che irradia sul pubblico. E' il Cinema cui Tarantino vuol rendere omaggio. Certo, ne ammette ingenuità e narcisismo. Ma sa che la "gente bella" ne ha diritto.
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