alesimoni
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mercoledì 25 settembre 2019
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i love you,cinema!
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Se Tarantino è il tuo regista preferito perché ritieni abbia riscritto e innovato questa arte, puoi essere equidistante nel giudizio? Probabilmente NO. Puoi dire che questo non è tra i suoi film più riusciti?Decisamente SI'.Il fenomale regista ha voluto fare un omaggio al cinema degli anni d'oro, con tantissime citazioni che i comuni mortali non americani non coglieranno mai (bellissimo l'omaggio ai film poliziotteschi italiani però!), questo di per sè non è ovviamente un limite, ma ne limita la comprensione al grande pubblico.Coerentemente con questo sentimento di amore nostalgico, hanno creato dell credibili e bellissime locandine per i film di Rick e hanno girato il film su pellicola. Un film molto lungo, senza troppa suspence né azione ( o almeno a quella a cui siamo abituati) che però non annoia,anzi qualche volta è divertente, ma nemmeno appassiona.
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Se Tarantino è il tuo regista preferito perché ritieni abbia riscritto e innovato questa arte, puoi essere equidistante nel giudizio? Probabilmente NO. Puoi dire che questo non è tra i suoi film più riusciti?Decisamente SI'.Il fenomale regista ha voluto fare un omaggio al cinema degli anni d'oro, con tantissime citazioni che i comuni mortali non americani non coglieranno mai (bellissimo l'omaggio ai film poliziotteschi italiani però!), questo di per sè non è ovviamente un limite, ma ne limita la comprensione al grande pubblico.Coerentemente con questo sentimento di amore nostalgico, hanno creato dell credibili e bellissime locandine per i film di Rick e hanno girato il film su pellicola. Un film molto lungo, senza troppa suspence né azione ( o almeno a quella a cui siamo abituati) che però non annoia,anzi qualche volta è divertente, ma nemmeno appassiona.Bello il rapporto tra Rick e la sua controfigura, e anche l'analisi della crisi dello stesso Rick per una cosa che c'era e ora non c'è più, in cui molti si potrebbero riconoscere. Sempre ottima la scelta delle musiche, mancano quei dialoghi graffianti e memorabili che lo hanno reso celebre e le scene "splatter" sono limitate al finale. Magistrali prove di Pitt e di Di Caprio , soprattutto del secondo: ritengo che molta fortuna del film si debba a loro questa volta e non all'originalità dello script o delle scelte registiche. Comunque, ce ne fossero!
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massimiliano santucci
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martedì 24 settembre 2019
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bello...ma cosa diranno le neofemministe?
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Positivamente autoreferenziale, più ancora di altri film di Tarantino, è un collage dei richiami cinematografici a lui cari. Formidabile la coppia Pitt/Di Caprio e sempre soddisfatta la sete di vendetta nei confronti dei "cattivi". Ridimensionati gli antipatici (Bruce Lee e il fenomeno hippie in generale) e riscritto a lieto fine il noto fatto di cronaca nera che causò la morte di Sharon Tate e dei suoi amici ad opera di una setta. Ciò detto vorrei soffermare l'attenzione sul più cool dei 2 protagonisti, l'uxoricida Pitt (la scena del supposto omicidio non è completa ma immaginiamo che la moglie "rompipalle" venga fiocinata dopo l'ennesimo ed umiliante sermone nei confronti del protagonista).
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Positivamente autoreferenziale, più ancora di altri film di Tarantino, è un collage dei richiami cinematografici a lui cari. Formidabile la coppia Pitt/Di Caprio e sempre soddisfatta la sete di vendetta nei confronti dei "cattivi". Ridimensionati gli antipatici (Bruce Lee e il fenomeno hippie in generale) e riscritto a lieto fine il noto fatto di cronaca nera che causò la morte di Sharon Tate e dei suoi amici ad opera di una setta. Ciò detto vorrei soffermare l'attenzione sul più cool dei 2 protagonisti, l'uxoricida Pitt (la scena del supposto omicidio non è completa ma immaginiamo che la moglie "rompipalle" venga fiocinata dopo l'ennesimo ed umiliante sermone nei confronti del protagonista). Nel dipanarsi del film il personaggio si redime agli occhi dello spettatore: saggio e lungimirante, ligio al lavoro e mai ambizioso, uomo affascinantissimo ma quasi disinteressato al fascino femminile, il suo amore è tutto rivolto al proprio cane. Eppure ha ucciso la moglie! Scatenatevi donne!
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frank bernardi
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martedì 24 settembre 2019
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tarantino narratore lineare? non del tutto...
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E' evidente, da alcuni commenti, come si pretenda da un autore noto sempre lo stesso film all'infinito. Così la "tarantinità", quando sembra emergere di meno, è l'elemento di cui si inizia a sentire la mancanza. E invece il grende regista spiazza un po' tutti, mixando in questa sorta di novella per immagini, reperti del passato e citazioni, ma anche prendendosi la libertà di abbandonare le solite scatole cinesi che vanno indietro e magari avanti nel tempo. Dunque, gli appossionati del flashback alla Tarantino rimarranno vagamente delusi: qualche rapido spostamento di tempi e luoghi ogni tanto si percepisce, ma la trama è fondamentalmente lineare, collocata - fatto salvo l'inserto di Di Caprio che va a fare lo spaghetti western in Italia - in tempi dilatatissimi.
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E' evidente, da alcuni commenti, come si pretenda da un autore noto sempre lo stesso film all'infinito. Così la "tarantinità", quando sembra emergere di meno, è l'elemento di cui si inizia a sentire la mancanza. E invece il grende regista spiazza un po' tutti, mixando in questa sorta di novella per immagini, reperti del passato e citazioni, ma anche prendendosi la libertà di abbandonare le solite scatole cinesi che vanno indietro e magari avanti nel tempo. Dunque, gli appossionati del flashback alla Tarantino rimarranno vagamente delusi: qualche rapido spostamento di tempi e luoghi ogni tanto si percepisce, ma la trama è fondamentalmente lineare, collocata - fatto salvo l'inserto di Di Caprio che va a fare lo spaghetti western in Italia - in tempi dilatatissimi. Si narrano due - tre giorni di vita sul set e fuori da esso, ove apparentemente nulla accade, se non la messinscena delle depressioni di Di Caprio, la descrizione non scevra da ambiguità - vedi flashback - della sua controfigura/badante, lo straordinario Brad Pitt, che gareggia in bravura con tutti in un cast comunque stellare e sapientemente graduato: c'è un Al Pacino ridotto a caratterista di lusso, il grande Bruce Dern, che fa la parte di un cieco soggiogato dalla banda di hippies sanguinari di Manson, e tanti altri visi tarantiniani e non, più o meno sfruttati dal regista secondo le sue esigenze. Nulla, in questo film che è un'opera d'autore e non un pastone commerciale dalla indistinguibile regia, sfugge all'occhio unico del suo sceneggiatore e regista: ripeto, quasi un racconto lungo, fondamentalmente giocato su due tronconi irregolari che alla fine si saldano. La Hollywwod anni Sessanta, di feste, piscine, gente famosa e gente sfigata, che è la veste esterna, ovviamente strepitosamente offerta al nostro occhio. Al di sotto l'idea che qualche emozione possa anche avere spazio: una Sharon Tate che pretende di essere riconosciuta come diva da una cassiera, entra al cinema senza pagare e si gode la proiezioni di un film di cui è interprete (con arti marziali orientali incluse, maestro Bruce Lee, quello stesso che la controfigura Pitt scaraventa contro una macchina rimettendoci il posto). Poi cala la notte, si giunge al finale splatter, dove le citazioni si sprecano. Il Dario Argento di Profondo Rosso e quello di Suspiria nel descrivere l'orrida fine dei mansoniani (qui dei veri balordi dilettanti un poco invasati) dilaniati da un cane, massacrati contro un muro o bruciati dal lanciafiamme di Di Caprio (doppia citazione, dal film stesso e da Bastardi senza gloria). Tutto a posto, dunque? Si fa per dire: la storia è rovesciata e riscritta, e la pace riconquistata ha qualcosa di metacinematografico, in quanto Pitt, l'eroe perdente e generoso (sotto acido) rimanda agli uomini tutti d'un pezzo della propaganda Usa più classica. Quasi limpida la lettura, parrebbe, allora: c'è chi si impegna senza ricompensa a salvare il benessere lussuoso di divi grandi e piccoli, ma anche, ed è certo peggio, chi viene sbattuto in una guerra lontanissima e ci rimette la vita per mantenere grandi gli Usa. Ma niente retorica: Tarantino è troppo sottile per mettersi a fare il moralista con mezzo secolo di ritardo; alla fine il Di Caprio in crisi forse soggiacerà all'illusione di avere una parte migliore tramite Sharon Tate, salvata dalla morte grazie alla riscrittura della storia. I cancelli delle ville di lusso (in realtà assai penetrabili) si chiudono al mondo di fuori e un nuovo party avrà inzio. Tutti gli altri stanno lì a immaginare: compreso il regista - che spegne il film celandoci la sorte di Di Caprio - e noi spettatori, tratti in salvo da questo lavoro di eccellenza visiva assoluta e mai omologato alla moda hollywoodiana odiena. Appunto, C'era una volta Hollywood.
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(di michele voss)
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forest
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martedì 24 settembre 2019
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c'era... c'è tarantino
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Pagate il biglietto e sedetevi sulla poltrona con umiltà, per capire ogni singola scena occorre una laurea in cinematografia dal dopoguerra ad oggi.
Tarantino è l'unico regista che non fa i film per il pubblico ma per se stesso, lui è il suo pubblico.
Di Caprio superlativo come sempre dal Titanic in poi, Pitt ci mette il fisico da Fight club, Robbie ci mette la spensieratezza di quegli anni e poi c'è Al Pacino.
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Pagate il biglietto e sedetevi sulla poltrona con umiltà, per capire ogni singola scena occorre una laurea in cinematografia dal dopoguerra ad oggi.
Tarantino è l'unico regista che non fa i film per il pubblico ma per se stesso, lui è il suo pubblico.
Di Caprio superlativo come sempre dal Titanic in poi, Pitt ci mette il fisico da Fight club, Robbie ci mette la spensieratezza di quegli anni e poi c'è Al Pacino.
Questo è un film didattico su chi non perde il vizio di riscrivere la storia, licenza cinematografica che pochi si possono permettere.
Godetevi lo spettacolo.
Ciak!
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brata
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martedì 24 settembre 2019
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c'era una volta
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Non posso parlare di delusione perchè i film di Tarantino sono sempre un bel vedere. Ma in questo caso il film non mi ha convinto in quanto la sceneggiatura (che nei suoi film è la parte migliore) non è brillante come al solito, non ci sono dialoghi o monologhi che ti conquistano, anche le interpretazioni sono buone ma nulla di più. Il finale poi......va bene prendersi una rivincita sulla storia per come la conosciamo noi, ma così non è credibile!!!
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rmarci 05
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martedì 24 settembre 2019
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il luogo dove tutto è possibile
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Dopo 4 anni di assenza dal grande schermo, Tarantino è finalmente tornato nella sua seconda casa, la sala cinematografica, e anche stavolta risulta al vertice dell’ispirazione. Infatti, la caratteristica più sorprendente di questo autore, che peraltro l’ha reso unico nel panorama cinematografico contemporaneo, è la sua straordinaria capacità di riproporre in contesti sempre diversi i suoi inconfondibili stilemi e di elevarli sempre di più film dopo film, a partire da Bastardi senza gloria, dando vita ad un percorso autoriale che sembra culminare proprio con C’era una volta a… Hollywood.
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Dopo 4 anni di assenza dal grande schermo, Tarantino è finalmente tornato nella sua seconda casa, la sala cinematografica, e anche stavolta risulta al vertice dell’ispirazione. Infatti, la caratteristica più sorprendente di questo autore, che peraltro l’ha reso unico nel panorama cinematografico contemporaneo, è la sua straordinaria capacità di riproporre in contesti sempre diversi i suoi inconfondibili stilemi e di elevarli sempre di più film dopo film, a partire da Bastardi senza gloria, dando vita ad un percorso autoriale che sembra culminare proprio con C’era una volta a… Hollywood. Nonostante esso non sia il miglior lavoro tra gli ultimi diretti dal regista, è forse l’opera che meglio contiene in sé l’essenza della poetica tarantiniana, ovvero il potere del Cinema. Per cui, dopo aver fatto un falò di nazisti (Hitler compreso) nel film sopracitato, dopo aver trucidato tutti gli schiavisti bianchi del Sud America in Django Unchained e dopo aver fatto piazza pulita tra i reduci della Guerra di Secessione Americana in The Hateful Eight, il regista americano sconvolge per la quarta volta la Storia Ufficiale (in questo caso Charles Manson e l’omicidio di Sharon Tate) con lo scopo di intavolare una sentita riflessione sulla natura favolistica del Cinema (da qui il titolo C’era una volta…), inteso come una gigantesca macchina illusoria creatrice di racconti salvifici e ottimisti, estremamente lontana dalla dura realtà ma proprio per questo capace di travalicarla per far evadere gli spettatori dal mondo che li circonda. Solamente al cinema, dunque, vediamo i perdenti avere una speranza di prendersi la rivincita su un mondo spietato e feroce. Solamente al cinema vediamo i buoni trionfare e i cattivi subire la giusta punizione. Solamente al cinema le vittime hanno la possibilità di farsi giustizia e di regolare i conti con i propri carnefici. Perché, secondo Tarantino, il Cinema (ed è qui la genialità del film) è il luogo dove tutti i sogni possono essere esauditi. Senza soffermarmi troppo sulla componente tecnica e visiva (comunque strabiliante), mi limito a dire che la ricostruzione della Hollywood del 1969 è talmente fedele, meticolosa e di una precisione chirurgica sotto qualsiasi punto di vista (abbigliamento, musica, acconciature, locali pubblici, abitudini…) che si riesce a riesumare alla perfezione quel periodo di profondo cambiamento dell’industria cinematografica che Tarantino ricorda con profondo affetto e con sincero amore, quel cinema che ha adorato e che ha ispirato non solo lui, ma intere generazioni successive di cineasti. Non si contano, quindi, le splendide citazioni a Sergio Leone e Sergio Corbucci, alle serie televisive poliziesche, al cinema di Roman Polanski, a James Dean e persino a Brian De Palma, il cui rimando a Scarface con Al Pacino risulta il più divertito e divertente tra tutti (la sua stessa partecipazione al film potrebbe essere considerata come un tributo alla Nuova Hollywood). In un’epoca di grande rivoluzione, dunque, il regista ci presenta i due protagonisti della storia, un attore in declino e la sua controfigura (DiCaprio e Pitt magnifici), desiderosi di raggiungere il successo nell’industria di Hollywood ma impotenti di fronte a un establishment ostile e impietoso che scarica chiunque non risponda più alle esigenze del mercato. Ma ciò che rende il loro rapporto realmente simbiotico è l’incapacità, da parte di entrambi, di accettare un cambiamento. La ciliegina sulla torta è sicuramente l’interpretazione di Margot Robbie nel ruolo di Sharon Tate, stella luminosa di una bellezza abbagliante destinata tragicamente a spegnersi sotto i colpi di coltello della “Manson Family”. In definitiva, e con qualche prolissità perdonabile, C’era una volta a… Hollywood non è solo un omaggio a un’epoca trascorsa e parzialmente dimenticata, e non si limita neanche a riflettere sulla Settima Arte, ma piuttosto preferisce andare oltre e configurarsi come una favola malinconica, intima e contemplativa, un viaggio immersivo e totalizzante all’interno del mondo dove tutto è possibile: il Cinema.
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boffese
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martedì 24 settembre 2019
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tarantino ricorda hollywood
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Il nono film di QT e' un regalo e un omaggio a se stesso , alla sua L.A. in giovinezza , alla passione per il cinema dell epoca , a tutto quello che poi col tempo avrebbe fatto esplodere il suo grande amore per la settima arte .
La storia e' incentrata su Rick Dalton ,interpretato da un Di Caprio come sempre in stato di grazia , attore in declino, che sfoga la sua caduta cinematografica nel bicchiere.
Il suo stunt ma sopratutto il suo fidato amico e' Cliff Booth (B.Pitt) che lo segue e lo aiuta nella vita di tutti i giorni.
Margot Robbie veste i panni di Sharon Tate , vicina di casa di Dalton , nonche' moglie di Polanski ,regista tra i piu' in voga di quell estate del 1969.
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Il nono film di QT e' un regalo e un omaggio a se stesso , alla sua L.A. in giovinezza , alla passione per il cinema dell epoca , a tutto quello che poi col tempo avrebbe fatto esplodere il suo grande amore per la settima arte .
La storia e' incentrata su Rick Dalton ,interpretato da un Di Caprio come sempre in stato di grazia , attore in declino, che sfoga la sua caduta cinematografica nel bicchiere.
Il suo stunt ma sopratutto il suo fidato amico e' Cliff Booth (B.Pitt) che lo segue e lo aiuta nella vita di tutti i giorni.
Margot Robbie veste i panni di Sharon Tate , vicina di casa di Dalton , nonche' moglie di Polanski ,regista tra i piu' in voga di quell estate del 1969.
Intorno a loro c e' una citta' che sta cambiando , non solo per l arrivo delle comunita' hippie , c e' una moltitudine di personaggi non del tutto reali che vivevano la Los Angeles Hollywoodiana di quei bei tempi.
La regia per una volta non e' da fuoriclasse , gira con maturita' senza esagerare, un po come lo e' anche lo script. Una sceneggiatura intelligente , che racconta il cinema , con alcuni picchi di grande humor.
Il cast e' sensazionale , una moltitudine di piccoli camei , grandi attori , tutti messi nel posto giusto , al momento giusto.
Si puo' pensare che e' facile fare bei film lavorando con tutti questi grandi attori , ma in realta' la grande dote di Tarantino , in questo e in tutta la sua filmografia , sta proprio nel saperli gestire al meglio come un orchestra.
C era una volta a Hollywood ,non sara' forse il film migliore del regista nato a Knoxville e cresciuto in California , ma e' sicuramente uno dei piu maturi , non e' il piu' "tarantiniano", ma di sicuro il piu' personale.
Una sorta di Amarcord in salsa Hollywoodiana .
VOTO : 8
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carloalberto
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martedì 24 settembre 2019
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noioso-deludente-disturbante gioco di prestigio
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Come un buon prestigiatore Tarantino allestisce il classico spettacolo del gioco degli specchi grazie all’abusato marchingegno del film girato sui film, che genera molteplici immagini caleidoscopiche che si riflettono l’una nell’altra, rinviando, nella fattispecie, dal Di Caprio attore al Di Caprio che interpreta un attore di telefilm popolari, che a sua volta interpreta il ruolo del cattivo nei western della Hollywood degli anni ’60, che a loro volta si rispecchiavano negli spaghetti-western di Corbucci e di Leone in Italia. Pitt interpretando la controfigura di Di Caprio, lo stuntman amico-lacchè inseparabile che vive una vita miserrima ma forse più divertente della sua, duplica l’immagine del protagonista nella vita e sul set, moltiplicando l’effetto all’infinito.
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Come un buon prestigiatore Tarantino allestisce il classico spettacolo del gioco degli specchi grazie all’abusato marchingegno del film girato sui film, che genera molteplici immagini caleidoscopiche che si riflettono l’una nell’altra, rinviando, nella fattispecie, dal Di Caprio attore al Di Caprio che interpreta un attore di telefilm popolari, che a sua volta interpreta il ruolo del cattivo nei western della Hollywood degli anni ’60, che a loro volta si rispecchiavano negli spaghetti-western di Corbucci e di Leone in Italia. Pitt interpretando la controfigura di Di Caprio, lo stuntman amico-lacchè inseparabile che vive una vita miserrima ma forse più divertente della sua, duplica l’immagine del protagonista nella vita e sul set, moltiplicando l’effetto all’infinito. L’installazione di un ultimo specchio, rappresentato dalla tragica storia di cronaca nera che coinvolse Sharon Tate, dovrebbe coinvolgere, quale unico elemento realistico della pellicola, lo spettatore in sala, conducendolo ipnoticamente in una dimensione temporale parallela ove il protagonista ed il personaggio si fondono in un finale catartico. Basta un cammeo di Al Pacino, il duo protagonista Pitt-Di Caprio e la firma di Tarantino per realizzare un prodotto commercialmente valido e artisticamente pretenzioso da presentare alla Mostra del cinema di Venezia? Ovviamente la risposta è si. Poi tutto segue di routine. Il battage pubblicitario gratuito fatto da interviste televisive compiacenti a questo o a quell’attore e dalle retrospettive sull’autore mandate in onda sui canali nazionali la settimana prima dell’uscita nelle sale, farà il resto. C’era una volta a Hollywood ha il merito di far riflette su cosa sia diventata oggi Hollywood: la più potente macchina dello spettacolo globalizzato. Quale era la necessità artistica di fare gossip sulla vita privata di Polanski e di tirare in ballo la tragica fine di Sharon Tate? Nessuna. E’ stata una scelta cinica e di cattivo gusto, con la quale, tuttavia, il maestro Tarantino ha dimostrato di essere molto simile a uno dei suoi personaggi trash, lasciandosi coinvolgere nel suo stesso gioco di rimandi e di rinvii, così che il cinismo del prestigiatore-regista si riflette nel cinismo del bounty killer e così via. Il gioco di prestigio è riuscito a metà. Lo spettacolo esteticamente compiuto rimane sulla scena. L’ultimo specchio ha prodotto l’effetto opposto a quello sperato perché lo spettatore non si può rendere complice di un’operazione immorale e disturbante e ne resta distaccato. Alla fine rimane la sensazione di squallore e la consapevolezza di essersi annoiati per più di due ore, irretiti consumatori dell’ennesimo prodotto pseudoartistico sfornato da quella formidabile industria dell’intrattenimento che è oggi Hollywood.
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[+] deludente, noioso, senza una vera trama
(di jayan)
[ - ] deludente, noioso, senza una vera trama
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nota giovanni
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martedì 24 settembre 2019
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purtroppo un fim assolutamente inutile
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A malincuore devo dire che questo è il peggiore dei film visti negli ultimi anni.
Unica nota positiva i frammenti musicali che pervadono tutti i 120 minuti del film in attesa dei titoli di coda.
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giovanni romanelli
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martedì 24 settembre 2019
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pitt and leo
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In questa nuova pellicola di Tarantino non trovo niente dei suoi capisaldi. Trama inesistente. A tratta veramente noioso, a parte il finale che non delude. Il film è sorretto dall'interpretazione eccezzionale di questi due Attori.
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